Decreto legislativo - 30/03/2001 - n. 165 art. 64 - Accertamento pregiudiziale sull'efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi (Art. 68-bis del d.lgs n. 29 del 1993, aggiunto dall'art. 30 del d.lgs n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall'art. 19, commi 1 e 2 del d.lgs n. 387 del 1998)Accertamento pregiudiziale sull'efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi (Art. 68-bis del d.lgs n. 29 del 1993, aggiunto dall'art. 30 del d.lgs n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall'art. 19, commi 1 e 2 del d.lgs n. 387 del 1998) 1. Quando per la definizione di una controversia individuale di cui all'articolo 63, è necessario risolvere in via pregiudiziale una questione concernente l'efficacia, la validità o l'interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale, sottoscritto dall'ARAN ai sensi dell'articolo 40 e seguenti, il giudice, con ordinanza non impugnabile, nella quale indica la questione da risolvere, fissa una nuova udienza di discussione non prima di centoventi giorni e dispone la comunicazione, a cura della cancelleria, dell'ordinanza, del ricorso introduttivo e della memoria difensiva all'ARAN. 2. Entro trenta giorni dalla comunicazione di cui al comma 1, l'ARAN convoca le organizzazioni sindacali firmatarie per verificare la possibilità di un accordo sull'interpretazione autentica del contratto o accordo collettivo, ovvero sulla modifica della clausola controversa. All'accordo sull'interpretazione autentica o sulla modifica della clausola si applicano le disposizioni dell'articolo 49. Il testo dell'accordo è trasmesso, a cura dell'ARAN, alla cancelleria del giudice procedente, la quale provvede a darne avviso alle parti almeno dieci giorni prima dell'udienza. Decorsi novanta giorni dalla comunicazione di cui al comma 1, in mancanza di accordo, la procedura si intende conclusa. 3. Se non interviene l'accordo sull'interpretazione autentica o sulla modifica della clausola controversa, il giudice decide con sentenza sulla sola questione di cui al comma 1, impartendo distinti provvedimenti per l'ulteriore istruzione o, comunque, per la prosecuzione della causa. La sentenza è impugnabile soltanto con ricorso immediato per Cassazione, proposto nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione dell'avviso di deposito della sentenza. Il deposito nella cancelleria del giudice davanti a cui pende la causa di una copia del ricorso per cassazione, dopo la notificazione alle altre parti, determina la sospensione del processo. 4. La Corte di cassazione, quando accoglie il ricorso a norma dell'articolo 383 del codice di procedura civile, rinvia la causa allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza cassata. La riassunzione della causa può essere fatta da ciascuna delle parti entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza di cassazione. In caso di estinzione del processo, per qualsiasi causa, la sentenza della Corte di cassazione conserva i suoi effetti. 5. L'ARAN e le organizzazioni sindacali firmatarie possono intervenire nel processo anche oltre il termine previsto dall'articolo 419 del codice di procedura civile e sono legittimate, a seguito dell'intervento alla proposizione dei mezzi di impugnazione delle sentenze che decidono una questione di cui al comma 1. Possono, anche se non intervenute, presentare memorie nel giudizio di merito ed in quello per cassazione. Della presentazione di memorie è dato avviso alle parti, a cura della cancelleria. 6. In pendenza del giudizio davanti alla Corte di cassazione, possono essere sospesi i processi la cui definizione dipende dalla risoluzione della medesima questione sulla quale la Corte è chiamata a pronunciarsi. Intervenuta la decisione della Corte di cassazione, il giudice fissa, anche d'ufficio, l'udienza per la prosecuzione del processo. 7. Quando per la definizione di altri processi è necessario risolvere una questione di cui al comma 1 sulla quale e già intervenuta una pronuncia della Corte di cassazione e il giudice non ritiene di uniformarsi alla pronuncia della Corte, si applica il disposto del comma 3. 8. La Corte di cassazione, nelle controversie di cui è investita ai sensi del comma 3, può condannare la parte soccombente, a norma dell'articolo 96 del codice di procedura civile, anche in assenza di istanza di parte. InquadramentoL'art. 64 del d.lgs. n. 165/2001 detta una particolare procedura per l'ipotesi in cui la definizione di una controversia individuale tra P.A. e dipendenti pubblici dipenda dalla soluzione, in via pregiudiziale, di una questione concernente l'efficacia, la validità o la interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale sottoscritto dall'ARAN. Tale disposizione prevede che, valutata la pregiudizialità della questione, il giudice investito della controversia di pubblico impiego contrattualizzato è tenuto ad innestare nel normale processo un ulteriore giudizio diretto alla soluzione della questione stessa. A tale proposito il giudice, con ordinanza non impugnabile, deve rinviare la causa a una successiva udienza, da fissare non prima di 120 giorni, e, contemporaneamente, ordinare la trasmissione dell'ordinanza medesima (oltre che del ricorso introduttivo e della memoria difensiva) all'ARAN, per l'avvio di una fase stragiudiziale da svolgersi dinanzi alle parti collettive (comma 1). A questo punto il legislatore ha prospettato due possibili percorsi. Laddove l'ARAN, che deve convocare i sindacati firmatari entro 30 giorni dalla comunicazione, raggiunga con questi un accordo circa la modifica o l'interpretazione autentica della clausola controversa, quest'ultima viene sostituita dall'accordo, i cui effetti retroagiscono all'inizio della vigenza del contratto (cfr. il comma 2 dell'art. 64, che rinvia all'art. 49 del decreto n. 165). Il testo dell'accordo è trasmesso, a cura dell'ARAN, alla cancelleria del giudice procedente, la quale provvede a darne avviso alle parti almeno dieci giorni prima dell'udienza. Laddove siano decorsi infruttuosamente novanta giorni dalla comunicazione, la procedura accennata si intende conclusa. In mancanza di accordo sulla modifica o sulla interpretazione autentica, il g.o. si riappropria del proprio potere-dovere di decidere, facendo proseguire la causa tra le parti e innescando l'accertamento pregiudiziale: si pronuncerà sulla sola questione preliminare, con una sentenza parziale di merito (quindi, non definitiva) inerente la clausola nella sua formulazione originaria. Tale statuizione è impugnabile soltanto con ricorso immediato in Cassazione (comma 3). Cfr. al riguardo anche l'art. 63, comma 5, del decreto n. 165, che richiama il «caso di cui all'articolo 64, comma 3», statuendo che «il ricorso per cassazione può essere proposto anche per violazione o falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali». Ciò consente di ottenere abbastanza rapidamente una decisione della Suprema Corte, di per sé tale da fornire una interpretazione vincolante per quella sola causa (sia per il giudice che ha emesso la sentenza non definitiva che nei confronti di qualsiasi altro giudice che dovesse essere adito per quella stessa controversia, come ad esempio il giudice di appello o la stessa Cassazione). Essa risulta, comunque, significativa per qualsiasi altra simile causa che si volesse instaurare. Difatti, l'instaurazione del giudizio in Cassazione determina sia la obbligatoria sospensione del processo in corso che, eventualmente, la sospensione (facoltativa) di altri processi la cui soluzione pure dipenda dalla medesima questione pregiudiziale sulla quale la Cassazione è chiamata a pronunciarsi, sì da evitare che fattispecie tra loro simili possano avere soluzioni contrastanti. La Cassazione, quando accoglie il ricorso a norma dell'articolo 383 del codice di procedura civile, rinvia la causa allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza cassata. La riassunzione della causa può essere fatta da ciascuna delle parti entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza di cassazione. In caso di estinzione del processo, per qualsiasi causa, la sentenza della Corte di cassazione conserva i suoi effetti. La Suprema Corte può condannare la parte soccombente, a norma dell'articolo 96 del codice di procedura civile (responsabilità aggravata per mala fede o colpa grave), anche in assenza di istanza di parte. Nell'ipotesi di altri (successivi) processi nei quali sia necessario risolvere una questione interpretativa sulla quale è già intervenuta una pronuncia della Corte di cassazione, il giudice della nuova causa potrà scegliere di non uniformarvisi. Una tale eventualità è, però, sottoposta a specifici vincoli procedimentali: si applicherà, infatti, il disposto del comma 3 dell'art. 64, necessitando una decisione parziale sulla sola specifica questione, impugnabile con il ricorso immediato in Cassazione. In questa eventualità, la Cassazione non è vincolata alla sua precedente decisione, potendo pervenire ad una differente interpretazione, che sarà quella che i giudici di merito dovranno poi tenere presente nel decidere le controversie sottoposte al loro esame. L'ARAN e le organizzazioni sindacali firmatarie possono intervenire nel processo anche oltre il termine previsto dall'articolo 419 del codice di procedura civile e sono legittimate, a seguito dell'intervento, alla proposizione dei mezzi di impugnazione delle sentenze che decidono una questione concernente l'efficacia, la validità o la interpretazione delle clausole collettive. Possono, anche se non intervenute, presentare memorie nel giudizio di merito ed in quello per cassazione. Tale ruolo trova giustificazione nella funzione dell'istituto de quo di evitare controversie di serie. L'attivazione della procedura di accertamento sull'efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi prevista dall'art. 64 trova applicazione solo nel giudizio di primo grado, e non anche in quello d'appello (Cass. sez. lav., n. 6748/2010; cfr. anche Cass. sez. lav., n. 6113/2005).Il rimedio processuale di cui all'art. 64 non si estende, neppure in via interpretativa, alla contrattazione collettiva provinciale applicabile nelle province autonome di Trento e Bolzano, anche in ragione della considerazione dell'autonomia differenziata delle due province e della peculiarità della contrattazione collettiva nelle province autonome rispetto al livello nazionale (Cass. sez. lav., n. 24865/2005). Analoghe le conclusioni di Trib Trieste, n. 124/2005: «è inammissibile l'intervento dell'Aran in giudizio a norma del comma 5 dell'art. 64 d.lgs. n. 165/2001, nei casi in cui la norma contrattuale invocata sia contenuta in contratti collettivi sottoscritti dall'Areran che è l'Agenzia che rappresenta a livello regionale in sede di contrattazione collettiva gli enti del comparto unico della Regione e degli enti locali del Friuli-Venezia Giulia. Lo stesso dicasi per l'intervento dell'Areran in quanto l'art. 64 è disposizione processuale di carattere eccezionale che introduce una deroga (solo per l'Aran) ai termini prescritti dall'art. 419 c.p.c. disciplinante l'intervento in giudizio ordinario; pertanto non è suscettibile, come tale, di interpretazione analogica. Ben poteva l'Areran effettuare un intervento ad adiuvandum ma sempre nel rispetto dei termini ordinari di cui all'art. 419 c.p.c.». Neanche ai contratti integrativi «si applica la procedura di interpretazione consensuale di cui all'art. 64 del d.lgs. n. 165 del 2001 – la quale può essere promossa solo per i contratti di comparto (in quanto è solo per questi che l'ARAN svolge attività negoziale) – e neppure la procedura “ex” art. 420-bis cod. proc. civ., la quale, pur avendo portata generale, riguarda solo i contratti ed accordi collettivi nazionali rispetto ai quali il contratto integrativo si pone in posizione di alterità» (Cass. sez. lav., n. 4505/2008). Appare opportuno ricordare che il d.lgs. n. 40/2006, introducendo la disposizione di cui all'art. 420-bis del c.p.c., ha parzialmente esteso anche al settore privato quanto inizialmente previsto, con esclusivo riferimento alle controversie relative a rapporti di lavoro alle dipendenze della P.A., dall'art. 64 del d.lgs. n. 165/2001. Nel passaggio dalla specificità del lavoro pubblico contrattualizzato alla generalità dei rapporti di lavoro il legislatore ha ritenuto di non riproporre la fase iniziale della complessa procedura che, nell'ambito del pubblico impiego, vede il pronunciamento del giudice di merito ed il successivo controllo di legittimità quale mera eventualità, esito residuale del mancato raggiungimento, in sede sindacale, di un apposito accordo interpretativo. I dubbi di costituzionalitàLa singolarità della disciplina in esame non è sfuggita agli operatori del diritto. I dubbi sollevati in ordine alla legittimità costituzionale dell'art. 64, tuttavia, non sono stati accolti. Corte cost. n. 199/2003 ha, infatti, ritenuto «infondata la questione relativa all'art. 64, comma 2, d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 – censurato in riferimento all'art. 3 Cost. per l'ingiustificata disparità della disciplina processuale applicabile al pubblico dipendente rispetto al lavoratore privato, nonostante la tendenza alla «omogeneizzazione» di tutto il lavoro dipendente – in quanto la disposizione tiene conto delle peculiarità del contratto collettivo nel pubblico impiego, le quali rendono evidente l'impossibilità di ritenere a priori irrazionali le peculiarità della disciplina del processo in cui quel contratto collettivo – ben diverso da quelli cosiddetti di diritto privato – deve essere applicato. È infondata altresì la questione concernente l'art. 64, comma 1 – censurato in riferimento all'art. 24 Cost. perché «la sua macchinosità», con l'arresto del processo per 120 giorni, lo renderebbe incompatibile con la tutela cautelare – in quanto prevede una valutazione del giudice richiesto di una misura cautelare la cui natura sommaria è ben compatibile con una (anteriore, coeva o successiva) rimessione della questione interpretativa all'ARAN ai fini della (successiva) decisione di merito. È infondata, infine, la q.l.c. dell'art. 64, comma 3 – censurato in riferimento agli artt. 76 e 111 Cost. in quanto impone al giudice, ove non intervenga l'accordo tra l'ARAN e le organizzazioni sindacali, di «emettere una sentenza non definitiva su un determinato profilo della controversia, privandolo di ogni valutazione discrezionale sull'opportunità di rinviare ogni decisione al definitivo» – dal momento che prevede un meccanismo certamente in sintonia con lo scopo perseguito dalla legge delega e con il generale contesto normativo che quello scopo ha suggerito: il principio fissato in subiecta materia è stato, infatti, del tutto adeguatamente tradotto dal legislatore delegato in una disciplina che, in presenza di una (ovviamente, «seria») questione interpretativa, fa della controversia individuale – sia pure attraverso un modesto «sacrificio» per il singolo lavoratore – l'occasione per pervenire ad una definitiva, perché potenzialmente generale, soluzione della questione e, quindi, alla rimozione erga omnes della situazione di incertezza posta in evidenza dalla controversia; senza, peraltro, che ciò, nell'esercizio della discrezionalità legislativa, costituisca uno spreco di attività giurisdizionale o provochi una non ragionevole, e quindi iniqua, durata del processo». L'istituto si colloca, infatti, tra le misure processuali atte a prevenire disfunzioni dovute al sovraccarico del contenzioso. All'intera fattispecie, nel suo impianto originario e nel contesto del processo di contrattualizzazione dell'impiego pubblico destinato a culminare nella devoluzione delle controversie alla giurisdizione ordinaria, è stata riconosciuta «una propria ragione d'essere e, soprattutto, un proprio sostanziale equilibrio, saldamente ancorato sulla centralità della fase sindacale, quale momento di composizione della questione interpretativa ad opera delle parti collettive contraenti. Tanto più in un settore, quello del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, nel quale i margini di certezza dei rapporti sindacali sono garantiti da una regolamentazione legale dei soggetti contraenti, così come dei singoli prodotti dell'autonomia collettiva, nonché degli effetti giuridici del contratto sottoscritto» (Liebman, 1031). Caratteri e presupposti.Il carattere obbligatorio del procedimento previsto dall'art. 64, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001, «si desume dalla netta formulazione della norma, secondo cui alla necessità di risolvere una questione concernente l'efficacia, la validità o l'interpretazione di un contratto o accordo nazionale sottoscritto dall'ARAN è collegato, senza alcuna ulteriore indicazione limitativa, il dovere per il giudice di indicare la questione in apposita ordinanza, disponendone la comunicazione all'ARAN e rinviando la causa ad una nuova udienza di discussione» (Cass. sez. lav., n. 21022/2006). Non sussiste, comunque, un obbligo del giudice all'attivazione della procedura in oggetto in funzione della sola diversa prospettazione, ad opera delle parti, di una questione sull'interpretazione del contratto collettivo. Al contrario, il giudice deve valutare la sussistenza dei presupposti a cui la norma stessa, esplicitamente o implicitamente, subordina la propria applicazione. In particolare, è esclusa la sospensione del processo e la remissione della questione all'ARAN quando il dedotto dubbio esegetico risulti manifestamente infondato (Cass. sez. lav., n. 7932/2005). L'attivazione della procedura di accertamento sull'efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi presuppone, infatti, che il contratto od una sua clausola sia di contenuto oscuro e che la pregiudiziale interpretativa si presenti seria (Cass. sez. lav., n. 12328/2008). Anche la dottrina evidenzia che il giudice può non attivare il meccanismo descritto dalla norma, qualora il testo sia chiaro o l'interpretazione pacifica (Borghesi, 899). Quanto all'elemento rilevanza, la instaurazione del subprocedimento sulla questione pregiudiziale è subordinata dalla legge alla condizione che la risoluzione delle questioni – che ne formano l'oggetto – risulti “necessaria” al fine della definizione della controversia, nel senso che tali questioni devono essere conosciute o decise dal giudice al fine della definizione della controversia e non costituire semplicemente dei punti pregiudiziali, ossia antecedenti logici del merito della causa, incontroversi tra le parti. Il rilievo dell'accordo sull'interpretazione autentica (o sulla modifica) della clausola controversa.Laddove sia raggiunto un accordo sull'interpretazione autentica del contratto, ovvero sulla modifica della clausola controversa, esso è destinato, ai sensi dell'art. 49 del decreto n. 165, a sostituire l'accordo precedente con valenza ex tunc e ad esso, dunque, il giudice dovrà conformarsi nel pervenire alla soluzione della controversia nel cui ambito la questione è sorta. La funzione compositiva dell'eventuale accordo è qui destinata ad espandersi «ben oltre i confini della singola controversia originaria, giacché la prevista sostituzione del vecchio testo (controverso) con la nuova clausola interpretativa conferisce a quest'ultima tutti i caratteri tipici del contratto collettivo del settore pubblico (applicabilità generalizzata ed inderogabilità): i giudici di qualunque controversia relativa all'applicazione del medesimo contratto collettivo saranno dunque vincolati all'applicazione del rinnovato assetto negoziale e la questione potrebbe tornare ad essere oggetto di controversia non per rimettere in discussione il primato della clausola nella formulazione uscita dal nuovo negoziato, ma solo qualora si ritenesse che essa o non abbia chiarito i dubbi, ovvero ne abbia creato di nuovi» (Liebman, 1029). Il giudice è, bensì, «vincolato ad adottare l'interpretazione del contratto collettivo fornita dall'ARAN e dalle OO.SS. a seguito di rinvio pregiudiziale, ma resta di sua esclusiva competenza lo scrutinio in ordine alla validità o meno della norma interpretata» (Trib. Prato, 7 marzo 2003). Va, altresì, sottolineato che, quando è necessario «risolvere in via pregiudiziale una questione concernente l'efficacia, la validità o l'interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale ai sensi dell'art. 64 del d.lgs. n. 165/2001, affinché l'accordo sull'interpretazione autentica (o sulla modifica) della clausola controversa abbia efficacia – sostituendosi sin dall'inizio della vigenza del contratto ex art. 49 dello stesso d.lgs. – è necessario il consenso di tutte le parti firmatarie del contratto collettivo da interpretare (o da modificare), stante il carattere sostanzialmente novativo di tale attività negoziale rispetto al contratto vigente; mentre, un'interpretazione della norma volta a dare rilievo alla rappresentatività sindacale (ex art. 43 dello stesso testo normativo) sarebbe incompatibile con la natura conciliativa del procedimento e con l'effetto ex tunc dell'accordo previsto dal suddetto art. 49» (Cass. sez. lav., n. 7932/2005). Spetta, poi, al giudice valutare se l'intesa raggiunta dalle parti sociali, sulla questione indicata dal medesimo ai sensi del comma 1 dell'art. 64 in esame, «integri o meno, per il suo effettivo contenuto, l'accordo sull'interpretazione o sulla modifica della clausola controversa contemplato nei commi 2 e 3 della norma citata, da cui, ove la conclusione sia negativa, il dovere di pronunciare, con sentenza, sulla sola questione di interpretazione, restando comunque salvo il potere della Corte di cassazione, chiamata a decidere sull'impugnazione, di verificare l'eventuale l'erroneità del presupposto. Ne consegue che, ove il giudice prospetti alle parti sociali un dubbio interpretativo, indicando, tra le possibili interpretazioni, anche una lettura della clausola aderente al testo letterale, costituisce valido accordo di interpretazione autentica, idoneo a fornire la specifica regola di valutazione nel caso controverso, quello che privilegi quest'ultima alternativa, mentre nel caso in cui sia prospettato un dubbio sulla validità della clausola pur interpretata in sostanziale adesione al testo letterale, l'accordo con il quale le parti, condividendone l'esegesi, si limitino a contrapporre una diversa valutazione della sua validità, esula dall'ambito dei poteri attribuiti alle parti in funzione dell'interpretazione delle clausole collettive e non integra i requisiti previsti dalla norma» (Cass. sez. lav., n. 16676/2008). BibliografiaBorghesi, Il rinvio a titolo pregiudiziale per l'interpretazione dei contratti collettivi del pubblico impiego resiste ai primi controlli della Corte Costituzionale (nota a Corte Costituzionale, sentenza 5 giugno 2003 e a Corte Costituzionale ordinanza 22 luglio 2003, n. 268), in Il lavoro nelle p.a., 2003, 899; Liebman, Brevi note in tema di accertamento pregiudiziale sull'efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi di lavoro, in Argomenti di diritto del lav., 2008, 1027. |