Decreto legislativo - 30/03/2001 - n. 165 art. 68 - Aspettativa per mandato parlamentare (Art. 71, commi da 1 a 3 e 5 del d.lgs n. 29 del 1993)Aspettativa per mandato parlamentare 1. I dipendenti delle pubbliche amministrazioni eletti al Parlamento nazionale, al Parlamento europeo e nei Consigli regionali sono collocati in aspettativa senza assegni per la durata del mandato. Essi possono optare per la conservazione, in luogo dell'indennità parlamentare e dell'analoga indennità corrisposta ai consiglieri regionali, del trattamento economico in godimento presso l'amministrazione di appartenenza, che resta a carico della medesima. 2. Il periodo di aspettativa è utile ai fini dell'anzianità di servizio e del trattamento di quiescenza e di previdenza. 3. Il collocamento in aspettativa ha luogo all'atto della proclamazione degli eletti; di questa le Camere ed i Consigli regionali danno comunicazione alle amministrazioni di appartenenza degli eletti per i conseguenti provvedimenti. 4. Le regioni adeguano i propri ordinamenti ai principi di cui ai commi 1, 2 e 3 1. [1] A norma dell'articolo 3, comma 1, del D.L. 21 maggio 2013, n. 54, convertito, con modificazioni, dalla Legge 18 luglio 2013, n.85, i membri del Parlamento, che assumono le funzioni di Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro o Sottosegretario di Stato, non possono cumulare il trattamento economico in godimento per il quale abbiano eventualmente optato, in quanto dipendenti pubblici, ai sensi del presente articolo, con il trattamento stipendiale previsto dall'articolo 2 della legge 8 aprile 1952, n. 212, e con l'indennita' spettante ai parlamentari ai sensi della legge 31 ottobre 1965, n. 1261. InquadramentoL'art. 68 del d.lgs. n. 165/2001 disciplina l'istituto del collocamento in aspettativa, per l'intera durata del mandato, dei pubblici dipendenti eletti al Parlamento nazionale, a quello europeo e nei Consigli regionali. Il quarto comma dell'art. 68 prevede che le regioni adeguano i propri ordinamenti ai principi contenuti nell'articolo in oggetto. Come per le altre forme di aspettativa, si è in presenza di un'ipotesi di temporanea sospensione dell'obbligo del dipendente pubblico di prestazione del servizio; tale modificazione del rapporto di lavoro trova qui la sua giustificazione nella esigenza di tutela dell'esercizio di funzioni pubbliche elettive di particolare rilievo. Una previsione analoga si rinviene nell'art. 81 Tuel (Testo Unico enti locali), che norma il collocamento in aspettativa non retribuita, a richiesta, dei lavoratori dipendenti che siano amministratori locali. Profili costituzionali.Corte cost., n. 149/2002 rimarca che «le garanzie costituzionali, per chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive, sono quelle di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro, oltre che di poter accedervi in condizioni di eguaglianza, ex art. 51 della Costituzione, essendo rimesso alla discrezionalità legislativa (influenzabile anche da una valutazione degli interessi attinenti alla situazione economica generale) il trattamento economico e giuridico del lavoratore chiamato alle funzioni anzidette, con il vincolo, in ogni caso, derivante dalle predette garanzie costituzionali». T.A.R. Abruzzo, L'Aquila, n. 174/2003 ha considerato manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 71 d.lgs. n. 29/1993 in quanto non è configurabile alcuna violazione degli art. 1,2 e 3 Cost. atteso che il pubblico dipendente chiamato allo svolgimento di attività politiche complesse e impegnative – quali quelle che ineriscono alle cariche elettive di parlamentare nazionale o europeo e di consigliere regionale – non è certo nella identica posizione di qualsiasi altro lavoratore pubblico non impegnato in dette cariche, per cui ragionevole appare la scelta compiuta ad evitare situazioni di incertezza lavorativa, di commistione di ruoli, di possibili conflitti di interesse e di assurde ubiquità pregiudizievoli del pubblico interesse; inoltre, «non è ravvisabile violazione dell'art. 36 Cost., sotto il profilo della comprensione del diritto allo svolgimento del lavoro, trattandosi di sospensione temporanea dell'attività di pubblico dipendente giustificata dall'esercizio di un mandato politico comportante funzioni che, oggettivamente lasciano ben poco tempo disponibile per l'espletamento delle mansioni inerenti al rapporto di pubblico impiego». Regime dell'aspettativa.II d.lgs. n. 29/1993, pur escludendo l'applicazione della disciplina privatistica «pura» – quella recata dallo Statuto dei lavoratori, che dedica l'art. 31 alla aspettativa dei lavoratori privati chiamati a funzioni pubbliche elettive o a ricoprire cariche sindacali nazionali o provinciali – ha operato una significativa razionalizzazione della frammentata normativa antecedente la riforma. Dato caratterizzante la speciale disciplina pubblicistica resta la permanente previsione del collocamento d'ufficio in aspettativa senza assegni dei pubblici dipendenti eletti. Esso ha luogo all'atto della proclamazione. Le Camere ed i Consigli regionali danno comunicazione della proclamazione alle amministrazioni di appartenenza degli eletti per i conseguenti provvedimenti. Cons. St. I, n. 194/2016 ha confermato che «ai dipendenti pubblici nominati alla carica di assessore regionale senza essere membri del Consiglio regionale (e quindi ricoprenti una carica non elettiva) non è applicabile l'art. 68 T.U. 30 marzo 2001 n. 165 che ne prevede l'obbligatorio collocamento in aspettativa». L'atto con cui viene disposto il collocamento in aspettativa ha carattere vincolato e natura dichiarativa. In tema cfr. T.A.R. Lazio, Roma III-ter, n. 570/1988. Viene pertanto «mantenuta quella differenza con la disciplina dell'art. 31 della l. n. 300/1970, che, in materia, non prevede il collocamento in aspettativa d'ufficio ma solo a richiesta dell'interessato. In tale ambito, è il lavoratore dunque a decidere, sulla base di una propria valutazione dei tempi necessari all'espletamento dell'incarico, se chiedere o meno l'aspettativa, con la possibilità in quest'ultimo caso di cumulare retribuzione ed indennità parlamentare» (Soloperto, 1492). Il trattamento economico- previdenziale.Il decreto n. 29/1993 e poi il decreto n. 165 hanno prescritto che per i pubblici dipendenti il periodo di aspettativa parlamentare risulti sostanzialmente utile a tutti gli effetti (con specifico riferimento «ai fini dell'anzianità di servizio e del trattamento di quiescenza e di previdenza»). Ciò segnava una ulteriore differenza rispetto alla meno recisa previsione dell'art. 31 l. n. 300/1970, che sancisce che i periodi di aspettativa «sono considerati utili, a richiesta dell'interessato, ai fini del riconoscimento del diritto e della determinazione della misura della pensione» a carico dell'assicurazione generale obbligatoria, nonché a carico di enti, fondi, casse e gestioni per forme obbligatorie di previdenza sostitutive della assicurazione predetta, o che ne comportino comunque l'esonero. Successivamente è, però, intervenuta la l. n. 724/1994. Essa, all'art. 22, comma 38, dispone, in primo luogo, che «le norme sull'aspettativa per mandato parlamentare per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, di cui all'art. 71, d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, si interpretano autenticamente nel senso della loro applicabilità anche ai professori e ricercatori universitari a decorrere dalla data di entrata in vigore del predetto decreto». Al successivo comma 39, la legga specifica che «la normativa prevista dall'art. 31 della l. 20 maggio 1970, n. 300 e successive modificazioni, si interpreta autenticamente nel senso della sua applicabilità ai dipendenti pubblici eletti nel Parlamento nazionale, nel Parlamento europeo e nei consigli regionali». Il legislatore ha, così, inteso conformare, in senso perequativo, il regime previdenziale dei lavoratori pubblici e privati chiamati ad assolvere mandato politico o sindacale. Per Corte cost., n. 149/2000 il legislatore si è mosso «con l'obiettivo di razionalizzare e tendenzialmente parificare, per i profili essenziali, le discipline relative ai trattamenti economici dell'aspettativa dei dipendenti pubblici chiamati a cariche elettive, alla disciplina dettata per i lavoratori privati». Sul punto, Cons. St. IV, n. 5753/2008 ha statuito che «la norma di «interpretazione autentica» contenuta nel comma 39 dell'art. 22 della l. n. 724/1994, letta in combinato disposto con quanto stabilito dal precedente comma 38, sancisce proprio l'applicabilità anche ai professori e ricercatori universitari della disciplina generale in tema di aspettativa per mandato parlamentare ex art. 71 d.lgs. n. 29/1993 (cfr. Cons. St. VI, n. 3870/2002; Id. n. 3315/2002; Id. n. 3287/2001). Una volta affermato tale principio, esso non può che valere in toto, nel senso che anche per i dipendenti suindicati – così come per tutti gli altri dipendenti pubblici – il periodo di aspettativa parlamentare non potrà computarsi anche ai fini del trattamento di fine servizio, oltre che ai fini pensionistici, non essendo ciò previsto dalla disciplina generale di cui alla l. 20 maggio 1970, n. 300, che proprio il ridetto comma 39 richiama. In altri termini, ratio delle disposizioni testé richiamate è proprio quella di chiarire una volta per tutte l'estensibilità, in linea generale, a tutte le tipologie di dipendenti pubblici della normativa prevista per i dipendenti privati in materia di aspettativa per mandato parlamentare». Inconferente appare, quindi, «il richiamo all'art. 68, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, che effettivamente contempla la computabilità dei periodi di aspettativa anche ai fini del trattamento di buonuscita, non potendo tale disposizione, solo per il fatto di essere successiva alla l. n. 724/1994, leggersi come derogatoria rispetto ai principi da quest'ultima enunciati: è pacifico, infatti, che il citato testo unico ha avuto natura non innovativa, ma meramente compilatoria, e nella specie la disposizione innanzi citata altro non ha fatto che riprodurre pedissequamente il previgente art. 71 d.lgs. n. 29/1993, come detto superato dalla normativa speciale del 1994». In relazione al trattamento economico, va evidenziato che, scomparso il precedente principio del cumulo parziale tra indennità di carica e retribuzione, ai pubblici dipendenti è ora attribuita soltanto la possibilità di optare per laconservazione, in luogo dell'indennità di carica, del trattamento economico in godimento presso l'amministrazione di appartenenza, che rimane a carico della stessa. Secondo Cons. St. I, n. 604/1993 «non esistono termini per l'esercizio da parte degli impiegati pubblici nominati deputati, senatori o consiglieri regionali, del diritto di optare per l'indennità di carica o per la conservazione del trattamento economico fruito presso l'amministrazione di provenienza, ai sensi dell'art. 71 d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29». Corte cost., n. 22/1996 ha, poi, evidenziato che «l'art. 71, comma 1, d.lgs. n. 29/1993, secondo cui i dipendenti delle pubbliche amministrazioni eletti al Parlamento nazionale sono collocati in aspettativa senza assegni per la durata del mandato parlamentare, e l'art. 22 comma 38 l. 23 dicembre 1994 n. 724, che ne ha dichiarato l'applicabilità anche ai professori e ricercatori universitari, non contrastano con gli art. 3 e 36 Cost., perché il fatto che secondo l'art. 13 d.P.R. 11 luglio 1980 n. 382, i docenti universitari, pur se nominati parlamentari, possano svolgere conferenze, lezioni e attività seminariali di ricerca, ossia un concorrente esercizio di talune circoscritte e ridotte attività didattiche (rimesse alla loro discrezionalità nella misura e frequenza, fino alla libertà di non svolgerle affatto) si risolve in un dato normativo insignificante, agli effetti del trattamento economico, rispetto alla posizione di ogni altro pubblico dipendente, tanto più che la garanzia apprestata dall'art. 36 Cost. non esclude la legittimità di prestazioni volontarie senza compenso». La stessa sentenza sottolinea anche che il divieto di cumulo fra indennità parlamentare e retribuzione è dettato dall'art. 2 legge di delega 23 ottobre 1992 n. 421 per tutti i dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Da ultimo, Cons. St. IV, n. 8021/2010, ha precisato che «è legittimo il provvedimento con il quale la p.a. ha chiesto ad un professore universitario dipendente, che era stato collocato in aspettativa per mandato parlamentare, il rimborso dei contributi previdenziali versati durante il periodo di aspettativa, limitatamente alla quota prevista per il dipendente; infatti, l'art. 71 del d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29, in relazione al principio per cui i periodi utili dei dipendenti pubblici in aspettativa per mandato parlamentare ai fini del trattamento previdenziale devono essere effettivamente coperti, implica non solo che le amministrazioni di provenienza dell'eletto effettuino i versamenti contributivi obbligatori alle competenti gestioni, ma che sussiste l'obbligo per il dipendente in aspettativa di pagare le proprie quote contributive, pur non percependo alcuna retribuzione o assegno. [...] Dal riportato quadro normativo emerge, dunque, che il regime previdenziale connesso a mandato politico o sindacale è uguale per tutti i dipendenti, pubblici e privati e che esso, di norma e salve ipotesi di forme sostitutive per il periodo del mandato, non subisce modifiche temporali e neppure sostanziali per effetto dell'aspettativa». Sempre in tema di trattamento economico è opportuno, infine, menzionare l'art. 3, comma 1, del d.l. 21 maggio 2013, n. 54. Secondo tale norma «i membri del Parlamento, che assumono le funzioni di Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro, Vice Ministro o Sottosegretario di Stato, non possono cumulare il trattamento stipendiale previsto dall'art. 2 della l. 8 aprile 1952, n. 212, con l'indennità spettante ai parlamentari ai sensi della l. 31 ottobre 1965, n. 1261, ovvero con il trattamento economico in godimento per il quale abbiano eventualmente optato, in quanto dipendenti pubblici, ai sensi dell'art. 68 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165». Tale disciplina si colloca in un filone di interventi volti alla riduzione degli emolumenti dei membri del governo. BibliografiaSoloperto, Commento all'art. 71 d.lgs. n. 29/1993, in Corpaci, Rusciano, Zoppoli, (a cura di), La riforma dell'organizzazione, dei rapporti di lavoro e del processo nelle amministrazioni pubbliche, in Nuove leggi civ., 1999, 5-6, 1492. |