Legge - 7/08/1990 - n. 241 art. 6 - Compiti del responsabile del procedimento1

Luigi Tarantino

Compiti del responsabile del procedimento1

 

1. Il responsabile del procedimento:

a) valuta, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l'emanazione di provvedimento;

b) accerta di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all'uopo necessari, e adotta ogni misura per l'adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria. In particolare, può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali;

c) propone l'indizione o, avendone la competenza, indìce le conferenze di servizi di cui all'articolo 14;

d ) cura le comunicazioni, le pubblicazioni e le notificazioni previste dalle leggi e dai regolamenti;

e) adotta, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale, ovvero trasmette gli atti all'organo competente per l'adozione. L'organo competente per l'adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell'istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale2 .

 

Inquadramento

L'art. 6 della l. n. 241/1990 provvede all'elencazione puntuale dei compiti primari del responsabile del procedimento, rifuggendo da definizioni indeterminate ed elastiche che, di fatto, si concretizzino nella possibilità di escludere o limitare, in via esegetica, la responsabilità per la mancata o la tardiva conclusione dell'iter procedimentale.

A tal fine, pertanto, l'art. 6 pone a carico del responsabile del procedimento il dovere generale di porre in essere ogni atto o adempimento – specificamente individuati alle cinque lettere della norma – necessario per il buon esercizio dell'azione amministrativa, entro il limite segnato dal divieto di aggravamento del procedimento, di cui all'art. 1, comma 2, l. n. 241/1990.

Dottrina e giurisprudenza, peraltro, sono concordi nel ritenere l'elencazione di cui all'art. 6 meramente esemplificativa, e non esaustiva dei poteri del responsabile (Franchini, Lucca, Tessaro, 430): deve ritenersi, quindi, che la norma in commento si limiti ad indicare solo i doveri essenziali del responsabile per il corretto esercizio dell'attività amministrativa, destinati a definirsi in concreto in base alle specifiche peculiarità dei singoli procedimenti amministrativi ed, eventualmente, mediante il coordinamento con gli ulteriori incombenti disposti da specifiche disposizioni normative, in ordine a particolari tipologie di procedimenti.

Ne consegue, dunque, che in capo al responsabile confluiranno in via residuale tutte le altre competenze interne che non risultino specificatamente attribuite a diverse unità o diversi soggetti, primo fra tutti un dovere di supervisione, sollecitazione e coordinamento dell'iter procedimentale.

Occorre, in ogni caso, che il responsabile effettui un equo contemperamento tra quelle che sono le esigenze emergenti nel corso del procedimento: avendo sempre presenti sullo sfondo i principi di efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa, egli dovrà, da una parte, compiere tutte le attività utili a fornire un quadro completo all'interno del quale adottare la decisione più rispondente sia all'interesse pubblico che all'interesse del privato coinvolto nell'azione amministrativa, dall'altra, esimersi dal compiere atti o svolgere una qualsiasi attività che, non essendo né utile né necessaria all'adozione di una scelta ponderata, comporti un aggravio del procedimento, violando così uno dei principi cardine della riforma che ha investito il settore amministrativo (Caringella, 1136).

I compiti del responsabile: profili generali.

Come anticipato, l'art. 6 della l. n. 241/1990 pone a carico del responsabile del procedimento il dovere di valutare, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l'emanazione del provvedimento (in particolare, nei casi di procedimento avviato ad istanza di parte); di valutare la sussistenza dell'obbligo di provvedere della p.a. e di accertare d'ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all'uopo necessari; di adottare ogni misura per l'adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria, anche domandando il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete o mediante accertamenti tecnici, ispezioni ed esibizioni documentali.

Il responsabile, dunque, rappresenta il vero dominus dell'istruttoria, e gestisce la stessa in completa autonomia: gli unici limiti che incontra nell'istruttoria procedimentale, infatti, sono costituiti dal principio di non aggravamento del procedimento e dal principio di leale collaborazione tra p.a. e privato, il quale impone che il responsabile metta l'amministrato nelle condizioni di rettificare le dichiarazioni e le istanze erronee.

Al responsabile, poi, compete la facoltà di proporre l'indizione, ovvero, avendone la competenza, di indire egli stesso le conferenze di servizi di cui all'articolo 14; inoltre cura le comunicazioni, le pubblicazioni e le notificazioni previste dalle leggi e dai regolamenti. Tale previsione va coordinata con l'art. 8 l. n. 241/1990, che individua, nel responsabile del procedimento, il soggetto competente a provvedere alla comunicazione dell'avvio del procedimento al privato (cfr. sub art. 8), e con l'art. 10-bis in materia di preavviso di diniego del provvedimento, la cui competenza, per lo meno in alcuni casi, è attribuita al responsabile del procedimento (vedi sub art. 10-bis).

Spetta a quest'ultimo, infine, adottare il provvedimento finale, ove ne abbia la competenza, ovvero trasmettere gli atti all'organo competente per l'adozione.

Deve segnalarsi, peraltro, come la novella del 2005 abbia potenziato il ruolo del responsabile del procedimento nella fase pre-decisionale: la lett. e) del comma 1 dell'art. 6, invero, stabilisce che l'organo competente all'adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, è tenuto a dare necessariamente conto, nella motivazione dell'atto in questione, delle ragioni che l'abbiano eventualmente indotto a discostarsi dalle risultanze dell'istruttoria condotta dal responsabile del procedimento.

Il tenore letterale della norma, pertanto, induce a ritenere che il responsabile del procedimento debba definire le risultanze dell'istruttoria in una relazione scritta, che si atteggi a vero e proprio schema dell'atto emanando, trasmesso in modo formale all'organo competente all'adozione del provvedimento finale.

In ogni caso, il potenziamento del ruolo pre-decisionale del responsabile del procedimento non snatura il carattere meramente endoprocedimentale dello schema del provvedimento finale da questi elaborato: ne consegue, pertanto, la inidoneità dell'atto in questione ad incidere direttamente sulla sfera giuridica dell'istante, con la conseguenza che, come tutti i provvedimenti non immediatamente lesivi, esso non sarà suscettibile di impugnazione autonoma.

Deve infine sottolinearsi come il ruolo del responsabile del procedimento, in ogni caso, non riguardi solo la conduzione dell'istruttoria, ma anche i rapporti con i soggetti a vario titolo coinvolti nel procedimento (vedi artt. 9 e 10, l. n. 241/1990), la valutazione dei requisiti di ammissibilità e legittimazione, la fase decisoria, ove sia demandata ad esso, nonché la fase di comunicazione o esternazione ed integrazione di efficacia dell'atto.

Lett. a): valutazioni preliminari.

La lettera a), comma 1, art. 6, prevede che sia compito del responsabile valutare, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti rilevanti per l'emanazione di provvedimento.

Il responsabile del procedimento, dunque, è tenuto ad effettuare valutazioni e verifiche preliminari, tenendo conto di tutti gli elementi che abbiano rilevanza ai fini della emanazione di un provvedimento. In tal modo il legislatore del 1990 ha anteposto la valutazione della ammissibilità a quella della fondatezza dell'istanza del privato, in modo da evitare lo sperpero dell'attività amministrativa (Cons. St. VI, n. 5303/2021; Cons. St. VI, n. 695/2004).

Tale disposizione, nel rispetto del principio di efficienza che deve caratterizzare l'attività della pubblica amministrazione, mutua una regola di economia, di origine processual-civilistica, per la quale è inutile iniziare un procedimento ogniqualvolta la domanda è inammissibile, o perché diretta ad ottenere un provvedimento che la P.A. non può adottare o perché la richiesta proviene da un soggetto che non possiede i requisiti di legittimazione. Nell'ipotesi in cui i risultati di questa indagine preliminare siano negativi non sarà necessario procedere alla valutazione della fondatezza della domanda del privato. È evidente che qualora il responsabile procedimentale abbia ritenuto opportuno proseguire lo svolgimento dell'attività istruttoria, non accorgendosi dell'esistenza di condizioni di inammissibilità o valutando le condizioni suddette in modo non conforme alla normativa vigente, ciò non precluderà la possibilità di far valere in un momento successivo la causa ostativa all'emanazione del provvedimento (Caringella, 1136).

In questa fase, quindi, il responsabile valuta la competenza dell'amministrazione cui è richiesto il provvedimento, l'idoneità della domanda a costituire avvio del procedimento, l'osservanza di eventuali termini perentori, la sussistenza di altri atti richiesti per l'emanazione del provvedimento (Cass n. 8032/2003), la presentazione di una domanda da parte di un soggetto abilitato a presentarla, la titolarità dei requisiti soggettivi eventualmente prescritti dalla domanda, nonché le altre condizioni di fatto e di diritto previste per l'utile svolgimento del procedimento (T.A.R. Lazio, Roma III, n. 1833/2003; Cons. St. V, n. 6483/2002).

Ove sussista una di queste condizioni ostative, il responsabile del procedimento provvederà senz'altro agli adempimenti di cui alla lettera e).

Lett. b): i poteri di accertamento.

La lett. b), comma 1, art. 6, attribuisce al responsabile del procedimento una serie di poteri, che vanno dall'accertamento d'ufficio dei fatti alla richiesta di dichiarazioni, alla rettifica di dichiarazioni o istanze erronee.

In particolare, occorre distinguere la «regolarizzazione» dalla «integrazione» documentale, perché la prima consiste in un chiarimento, ovverosia nel completamento marginale di un documento, che è stato già prodotto nel suo contenuto essenziale, mentre la seconda si sostanzia nell'introduzione di un contenuto nuovo, non desumibile dalla documentazione già esistente, nell'ambito di un procedimento (Cons. St. V, n. 1038/2010; T.A.R. Sicilia, Catania IV, n. 395/2010 ; T.A.R. Sicilia, Palermo II, n. 1883/2008; T.A.R. Trentino Alto Adige, Trento, n. 40/2008; T.A.R. Sicilia, Palermo I, n. 1633/2007). In definitiva, la norma in esame, ha introdotto, nell'ambito delle regole del procedimento amministrativo, il c.d. soccorso istruttorio, con la finalità di regolarizzare o integrare una documentazione carente, nell'ottica della tutela della buona fede e dell'affidamento dei soggetti coinvolti dall'esercizio del potere. I casi in cui è attivabile il soccorso istruttorio, peraltro, vanno tenuti distinti da quelli nei quali, non di documentazione irregolare o carente si tratta, ma di errore commesso dal privato nell'istanza o domanda presentata alla pubblica amministrazione (Cons. St. VI, n. 5413/2021; vedi Plen. 16/2020 in tema di gare pubbliche). In definitiva, il soccorso istruttorio ex art. 6 della l. n. 241/1990 consente di completare dichiarazioni o documenti già presentati (ma non di introdurre documenti nuovi) e ricomprende la possibilità di chiedere chiarimenti, purché il possesso del requisito sia comunque individuabile dagli atti depositati e occorra soltanto una delucidazione ovvero un aggiornamento. In tal caso, infatti, non si sta discutendo della esistenza del requisito ma soltanto di una consentita precisazione che non innova e non altera la par condicio, avendo ad oggetto un fatto meramente integrativo, da un punto di vista formale, di una situazione sostanzialmente già verificatasi e acquisita al procedimento (Cons. St. VI, n. 4917/2021).

Secondo la giurisprudenza in materia di concorsi pubblici, la P.A. ha sempre un ragionevole obbligo, nei limiti di razionale proporzionalità, di verificare la correttezza delle domande di partecipazione alle procedure concorsuali e di attivarsi mercé il soccorso istruttorio ex art. 6 della l. 7 agosto 1990, n. 241, ove siano riscontrati meri errori materiali, agevolmente desumibili dai documenti versati in atti o segnalati dal candidato. L'attivazione del c.d. soccorso istruttorio, difatti, è tanto più necessaria per le finalità proprie di dette procedure che, in quanto dirette al fine pubblico della selezione dei migliori candidati a posti pubblici, non possono essere alterate nei loro esiti da meri errori formali, come accadrebbe se un candidato meritevole non risultasse vincitore per una mancanza facilmente emendabile con la collaborazione dell'Amministrazione (T.A.R. Sicilia, Catania, IV, n. 2923/2021: Cons. St. VI, n. 3664/2021). Pertanto, si è ritenuto illegittima la decisione assunta dalla commissione di concorso di non valutare il diploma di laurea presentato da un candidato con la domanda di partecipazione – motivata in riferimento al fatto che l'interessato ha omesso di indicare il voto di laurea, in violazione di specifiche norme del bando – senza il preventivo esercizio del c.d. dovere di soccorso istruttorio, disciplinato dall'art. 6, comma 1, lett. b), l. 7 agosto 1990, n. 241. Ciò in quanto la giurisprudenza (Cons. St. V, n. 7975/2019) ha da tempo riconosciuto che quest'ultima norma ha introdotto una regola procedimentale a carattere generale – come tale valevole anche nei concorsi pubblici – che, in applicazione dei principi di buona fede e tutela dell'affidamento, consente ai soggetti coinvolti nell'esercizio del potere di regolarizzare od integrare la documentazione incompleta presentata. Nell'ambito dei concorsi pubblici, l'attivazione del c.d. soccorso istruttorio è tanto più necessaria per le finalità proprie di dette procedure che, in quanto dirette alla selezione dei migliori candidati a posti pubblici, non può essere alterata nei suoi esiti da meri errori formali, come accadrebbe se un candidato meritevole non risultasse vincitore per una mancanza facilmente emendabile con la collaborazione dell'amministrazione.

In definitiva, la norma impone al responsabile l'accertamento d'ufficio dei fatti, disponendo il compimento degli atti all'uopo necessari ed adottando ogni misura di iniziativa e di impulso procedimentale per l'adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria, per gli atti istruttori che non sono materialmente svolti dallo stesso responsabile. Secondo la giurisprudenza, infatti, «Alla luce dei principi dettati dall'art. 6 lett. b, l. 7 agosto 1990 n. 241, l'istruttoria dei procedimenti amministrativi deve essere informata al principio della iniziativa d'ufficio e del potere-dovere del responsabile del procedimento di acquisire d'ufficio ogni elemento utile per l'istruttoria e di invitare gli interessati a regolarizzare istanze e dichiarazioni incomplete. Ne deriva che, a fronte di una documentazione ritenuta inidonea, è onere dell'amministrazione completare l'istruttoria richiedendo all'interessato quanto necessario a tal fine» (T.A.R. Puglia, Lecce II, n. 7104/2002; conf. Cons. St. VI, n. 1680/2002; Cons. St. IV, n. 1815/1998).

Naturalmente il responsabile del procedimento, come anticipato, è soggetto al principio di coerenza delle richieste istruttorie con l'oggetto del procedimento ed all'obbligo di non aggravio del procedimento di cui all'art. 1, comma 2, l. n. 241/1990 (Cons. St. VI, n. 3097/2009): ne consegue che non possono essere richiesti dal responsabile certificazioni e documenti che possano essere sostituiti dalle autodichiarazioni del privato, exd.P.R. 445/2000 (Franchini, Lucca, Tessaro, 433).

Inoltre, la giurisprudenza ha precisato che è consentito al responsabile acquisire e valutare ex officio i certificati in suo possesso in relazione alle domande avanzate dal privato (Cons. St. VI, n. 1037/2003; Cons. St. VI, n. 920/1999).

In ogni caso il responsabile può, secondo il modello inquisitorio, invitare la parte privata a rettificare dichiarazioni e istanze erronee, chiedendo altresì il rilascio delle dichiarazioni richieste per legge ed omesse dal privato, in modo da rimuovere l'effetto preclusivo della prosecuzione del procedimento, attribuito alla dichiarazione erronea od incompleta dell'istante.

Si tratta, in ogni caso, di una mera facoltà in capo al responsabile: ne consegue che non può desumersi l'esistenza di un principio generale dell'ordinamento in ordine ad un obbligo dell'amministrazione di consentire l'integrazione di una documentazione carente; «per altro verso, quanto previsto dall'art. 6 comma 1 lett. b) l. 7 agosto 1990 n. 241, va interpretato nel senso di una mera facoltà dei pubblici poteri in proposito e non certo di un dovere da parte dell'amministrazione» (Cons. St. VI, n. 5609/2006; Cons. St. V, n. 6565/2004).

Il potere istruttorio integrativo di cui è titolare il responsabile del procedimento è espressione delprincipio di buon andamento, radicato nell'art. 97 Cost. (T.A.R. Campania, Napoli II, n. 1057/2009), e desumibile da diverse norme di rango ordinario, secondo cui coloro che partecipano ad una procedura concorsuale e che vi abbiano prodotto una documentazione incompleta debbono essere invitati a completarla o a fornire chiarimenti T.A.R. Sicilia, Catania III, n. 1431/2005; T.A.R. Lazio, Roma II, n. 7446/2003). Tale compito, inoltre, risponde ad un dovere di collaborazione che grava sul responsabile, nonché ad un'esigenza di tutela della buona fede e dell'affidamento dei soggetti direttamente coinvolti nell'esercizio dell'attività amministrativa (T.A.R. Puglia, Bari, n. 2090/2010).

Lett. c): la conferenza di servizi.

A mente della lett. c) dell'art. 6, il responsabile propone l'indizione o indìce la conferenza di servizi, ex art. 14, l. n. 241/1990.

Com'è noto, con la conferenza di servizi si consente l'intervento, in un unico contesto temporale, di più amministrazioni, ogniqualvolta l'intervento di queste è necessario ai fini dell'adozione del provvedimento finale. La differente capacità esistente in capo al responsabile discende dalla valenza che assume oggi la conferenza di servizi ai fini dell'adozione dell'atto finale e dalla possibilità che la figura del responsabile del procedimento non coincida con la figura del responsabile del provvedimento. Da ciò consegue che solo quest'ultimo ha la competenza ad indire direttamente la conferenza di servizi perlomeno quando si tratti di conferenza decisoria, residuando in capo al responsabile del procedimento (qualora lo stesso non sia anche competente all'adozione dell'atto finale) la facoltà di proporre l'indizione della conferenza ed al più di indire direttamente la conferenza di servizi c.d. istruttoria (Caringella, 1136).

Ove il responsabile non sia competente all'adozione del provvedimento finale, gode pertanto di un mero potere di preiniziativa, potendo proporne l'indizione alla autorità competente, posto che la conferenza di servizi ha natura decisionale e pertanto può essere convocata solo da chi detiene il potere di emanare l'atto conclusivo.

Per un esame più approfondito dell'istituto della conferenza di servizi, si rinvia al commento subartt. 14 e ss. l. n. 241/1990.

Lett. d): notificazioni e comunicazioni.

Il responsabile del procedimento cura le comunicazioni e le notificazioni previste dalla legge e dai regolamenti, ponendo in essere tutti gli adempimenti relativi.

Nello specifico, gravano in capo al responsabile del procedimento tutte le comunicazioni e notificazioni, indipendentemente dal loro carattere facoltativo. È compito del responsabile del procedimento, infatti, curare le comunicazioni obbligatorie, di cui all'art. 5, comma 3, l. n. 241/1990 (ovvero dell'unità organizzativa competente e del nominativo del responsabile del procedimento), le quali non ammettono deroghe, salvo casi eccezionali connessi a particolari esigenze di celerità procedimentale.

Il responsabile del procedimento, poi, dispone anche le comunicazioni facoltative, che egli stesso può effettuare nel corso del procedimento al fine di favorire interventi, conoscenze di documenti, depositi di memorie, in tutti quei casi in cui, non essendo chiaramente individuata la qualità di interessati di certi soggetti, si ravvisi l'opportunità di effettuare la comunicazione di avvio del procedimento per favorire il chiarimento della posizione di detti soggetti.

Lett. e): potere predecisionale e adozione del provvedimento finale.

La lett. e) dell'art. 6 stabilisce che: «il responsabile del procedimento adotta, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale, ovvero trasmette gli atti all'organo competente per l'adozione».

La prima ipotesi si verifica ogniqualvolta il funzionario responsabile rivesta la qualifica dirigenziale e, pertanto, sia munito del potere di esternare la volontà dell'amministrazione.

Si tratta, invero, di una ipotesi di sempre più probabile verificazione, sia alla luce dell'esclusione del potere gestionale dei Ministri, con attribuzione dello stesso, pressoché in via esclusiva, al personale dirigenziale, sia in forza della l. n. 127/1997, che ha attribuito ai dirigenti degli enti locali il monopolio gestionale nell'adozione dei provvedimenti, anche di carattere discrezionale.

In tal caso si determina realmente la concentrazione in capo ad un unico soggetto del compito di gestire in via integrale l'iter procedimentale, dalla fase della valutazione di ammissibilità della domanda a quella dell'emanazione del provvedimento finale.

Ove, invece, il responsabile del procedimento non abbia tale competenza, egli deve trasmettere gli atti all'organo competente all'adozione, il quale, laddove reputi esauriente l'attività del primo, deciderà sulla base degli elementi e degli interessi rilevati nel corso dell'istruttoria. Tuttavia, l'organo competente all'adozione dell'atto ben potrà valutare non completa l'istruttoria e reinvestire il responsabile del procedimento della competenza necessaria a perfezionare la stessa, il tutto tenendo sempre presente l'obiettivo di celerità dell'azione amministrativa (Caringella, 1138).

Dalla lettera della norma, pertanto, emerge chiaramente come non sempre al responsabile del procedimento spetti la titolarità della competenza provvedimentale esterna. I compiti di decisione assumono pertanto una connotazione meramente eventuale, ben potendo l'intero percorso procedimentale concentrarsi in capo alla medesima persona, ovvero con la gestione in capo al responsabile della sola scansione procedimentale, con un conseguente potere-dovere di impulso che si concretizza al momento della trasmissione degli atti all'organo effettivamente competente alla adozione del provvedimento finale (Fonderico, 730) (Cons. St. VI, n. 4589/2008).

L'art. 4 della legge 11 febbraio 2005, n. 15 ha, inoltre, introdotto, alla fine dell'art. 6 della legge n. 241/1990, la previsione che l'organo competente per l'adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non possa discostarsi dalle risultanze dell'istruttoria condotta dal responsabile del procedimento, se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale.

La novella del 2005, dunque, ha potenziato il ruolo del responsabile del procedimento in relazione al provvedimento finale, attribuendovi specifici poteri predecisionali.

L'ambito di applicazione della norma è chiaramente ristretto al caso in cui la responsabilità dell'istruttoria sia assegnata a persona diversa da quella competente ad adottare il provvedimento finale.

La norma assume il suo pieno significato in occasione dei momenti discrezionali dell'azione amministrativa, nei quali la valutazione degli esiti dell'istruttoria costituisce un'attività che può portare a risultati diversi. Negli atti vincolati il provvedimento non può sicuramente discostarsi dai risultati dell'istruttoria e, quindi, non è pensabile che l'autorità decidente possa liberarsi dal vincolo motivando.

Negli atti discrezionali, invece, tale possibilità sussiste ed oggi dovrà confrontarsi con l'onere motivazionale introdotto dall'art. 6 della l. n. 15/2005, che ha innestato nell'originario tessuto normativo della l. n. 241/990 l'art. 10-bis, introducendo uno stadio predecisorio per i procedimenti ad istanza di parte che debbono concludersi con un provvedimento negativo, nel quale si svolge un'ulteriore fase partecipativa.

La disposizione da ultimo richiamata, quindi, è importante anche in quanto viene a sancire la distinzione tra fase istruttoria e decisoria del procedimento. Oggi, infatti, l'art. 6 della legge 11 febbraio 2005, n. 15 obbliga a formalizzare la chiusura dell'istruttoria, creando un atto che contenga le risultanze dell'istruttoria condotta dal responsabile del procedimento e, nella sostanza, concretizzi una quasi proposta di provvedimento.

Si tratta del naturale completamento della distinzione tra politica ed amministrazione realizzata con la riforma del pubblico impego intrapresa a partire dal d.lgs. n. 29/1993.

L'anticipazione della decisione alla fase istruttoria è stata recepita dalla legge 4 dicembre 1993, n. 493, in materia di rilascio della concessione edilizia, secondo la quale, entro dieci giorni dalla scadenza del termine, il responsabile del procedimento formula una motivata proposta all'autorità competente ad emanare il provvedimento ed oggi è prevista dall'art. 20, comma 3 del d.P.R. n. 380/2001 (T.U. Edilizia).

La proposta prevista da queste norme integra in sé già la decisione, è uno schema di provvedimento, mentre il provvedimento finale si limita ad attribuire alla decisione gli effetti giuridici esterni. Sul punto, la giurisprudenza ha chiarito che è illegittimo il provvedimento con il quale il sindaco conclude il procedimento di rilascio della concessione edilizia, senza che sia stata preventivamente formulata la relativa proposta (di provvedimento) da parte del responsabile del procedimento, secondo il disposto generale dell'art. 4 legge 7 agosto 1990 n. 241 (Cons. St. II , 8 marzo 1995 parere n. 2532/95).

L'art. 6 della legge n. 241/1990 novellato, invece, si limita ad accogliere la distinzione tra le due fasi del procedimento senza giungere ad imporre una scissione tra decisione e provvedimento.

La legge, infatti, non parla di proposta di provvedimento ma di «risultanze dell'istruttoria» e prevede espressamente la possibilità di una decisione (motivatamente) diversa che appartiene alla fase decisoria. A tale fase, quindi, non può essere assegnata una mera funzione di controllo o di formalizzazione della proposta, ma costituisce il luogo di sintesi dei vari interessi sottesi all'azione amministrativa Quest'ultimi hanno instaurato un rapporto dialettico nella fase istruttoria, nella quale magari hanno trovato anche una sintesi, ma sono soggetti ad una valutazione finale nel provvedimento, che non potrà non tenere conto di quanto realizzato fino a quel momento.

D'altro canto, non può, invece, ritenersi che il responsabile del procedimento possa semplicemente trasmettere il fascicolo al responsabile del provvedimento, in quanto l'onere motivazionale di cui quest'ultimo è gravato non avrebbe senso perché comunque egli deve rispettare le risultanze dell'istruttoria. La norma, quindi, impone un quid pluris che consiste nella conclusione dell'istruttoria con una relazione scritta diretta al responsabile del provvedimento.

Il suo contenuto sarà influenzato dal tipo di atto che l'amministrazione deve emanare e dalle scelte che l'amministrazione intenderà effettuare nell'ambito della propria potestà regolamentare. Così, se si tratta di una proposta di provvedimento vincolato, la relazione istruttoria dovrà contenere lo schema di provvedimento, in quanto esso costituisce il mero accertamento delle risultanze istruttorie. Ugualmente, se si tratta di un atto di organo collegiale dev'essere presentato all'organo decidente uno schema di provvedimento che formi oggetto della discussione. Nel caso si tratti di un atto discrezionale bisognerà distinguere il tipo di discrezionalità che si estrinseca nell'atto. Nel caso si tratti di atto espressione di discrezionalità tecnica e l'organo che possiede le conoscenze tecniche per effettuare le valutazioni più appropriate sia il responsabile del procedimento, egli dovrà proporre uno schema di provvedimento nel quale si indichi anche ciò che, in ordine al contenuto, è reputato più opportuno. Nel caso di discrezionalità molto ampia (es. atti di alta amministrazione, scelte fiduciarie, nomine), invece, la scelta tra più opzione appartiene alla fase decisoria e quindi sarà rimessa all'organo competente a decidere.

Molto dipende, quindi, dal tipo di procedimento e dalle scelte che le amministrazioni faranno con i regolamenti sul procedimento amministrativo, nel quale potranno dettare le norme organizzative ritenute più opportune.

Il rapporto tra responsabile del procedimento e dirigente.

Con riferimento al rapporto tra il responsabile del procedimento ed il dirigente, il primo assurge a quasi responsabile del provvedimento, assumendo un ruolo primario, prima non esplicitato, nell'elaborazione costitutiva del contenuto della determinazione provvedimentale. Donde un vincolo più intenso al potere del dirigente.

Questa dequotazione del ruolo dirigenziale non è però estremizzata dalla legge, che non eleva ad atto dovuto la formalizzazione della proposta di provvedimento o la relazione istruttoria da parte del dirigente competente ad adottare il provvedimento. La legge gli impone solo di motivare un provvedimento diverso.

Quindi, nel caso in cui lo sviluppo del procedimento conduca a prospettare una serie di possibili decisioni ed il responsabile del procedimento, incaricato di materializzare la decisione in uno schema di provvedimento abbia effettuato una propria scelta, non è precluso al dirigente competente ad adottare il provvedimento finale di effettuare una scelta diversa tra quelle emerse all'esito della fase procedimentale o istruttoria qualora la ritenga più conforme all'interesse pubblico. Ciò in quanto ai dirigenti compete l'attuazione dell'indirizzo politico degli organi politici, concretizzatosi in atti di indirizzo, ed in quanto sono essi che rispondono della loro attuazione di fronte ai medesimi. Non è quindi pensabile che l'attuazione degli indirizzi politici sia rimessa alle decisioni di persone, quali i funzionari che non hanno una responsabilità diretta di risultato.

Anche nel caso in cui la relazione del responsabile palesi illegittimità istruttorie, il soggetto competente ad emettere l'atto finale deve decidere di discostarsi dalla relazione del responsabile del procedimento, in quanto egli deve comunque rispettare il principio di legalità.

Oltre a respingere lo schema di provvedimento per ragioni di opportunità o di legittimità, il dirigente competente ad adottare il provvedimento finale può scegliere di farlo proprio ed adottare una decisione conforme, oppure disporre un supplemento di istruttoria (purché i termini del procedimento glielo consentano). Quest'ultimo potere trova riconoscimento negli artt. 16 e 17 della l. n. 241/1990, che prevedono, il primo la facoltà dell'amministrazione di procedere indipendentemente dall'acquisizione del parere, il secondo l'obbligo del responsabile del procedimento di chiedere le valutazioni tecniche mancanti ad altri organi dell'amministrazione pubblica o ad enti pubblici.

Più difficile, invece, è la possibilità che egli sottragga l'istruttoria al responsabile. Ciò sarà possibile nel caso di comportamento omissivo del responsabile, in quanto, ai sensi dell'art. 17 del d.lgs. n. 165/2001, i dirigenti «dirigono, coordinano e controllano l'attività... dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con poteri sostitutivi in caso di inerzia».

Non pare, invece, possibile un'avocazione della competenza da parte del dirigente, in quanto tale potere non è previsto dalla norma e l'atto potrebbe essere facilmente interpretato come un tentativo di elusione del vincolo procedimentale. Resta aperta, invece, la possibilità di assegnare l'istruttoria ad altro funzionario, motivando in merito.

La normativa in esame sancisce, dunque, il potenziamento del ruolo del responsabile, chiamato all'adozione di un atto interno predecisorio; e tanto in linea con il successivo art. 10 -bis della legge n. 241, che coerentemente attribuisce al responsabile, per i procedimenti ad istanza di parte che debbono concludersi con un provvedimento negativo, il compito di comunicare al privato istante i motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza per consentire un contraddittorio anticipato rispetto all'adozione della statuizione lesiva (Caringella, 1156).

La norma richiamata introduce, dunque, una fase partecipativa nei casi in cui l'amministrazione, una volta esaminata l'istanza di parte e conclusa su di essa la fase istruttoria, perviene alla determinazione di non accogliere l'istanza stessa.

In tal caso il RUP o l'Autorità competente devono dare comunicazione dei motivi che ostano all'accoglimento dell'istanza prima di emanare il provvedimento negativo (c.d. preavviso di diniego).

Sulla base di tale comunicazione, si apre una nuova istruttoria cui partecipano gli istanti, con diritto a rappresentare osservazioni e a depositare documenti con riferimento alla motivazioni negative dell'amministrazione; di queste osservazioni, inoltre, ove l'amministrazione resti ferma nella sua determinazione di non accogliere l'istanza, deve darsi conto nella motivazione del provvedimento negativo finale.

La relazione istruttoria redatta dal responsabile è un atto interno del procedimento e, quindi, non è immediatamente lesiva. Assume rilevanza esterna nei procedimenti ad istanza di parte, che si possano concludere con provvedimento negativo in quanto deve essere comunicato agli istanti, ai sensi dell'art. 10-bis l. n. 241/1990 sopra citato.

Per quanto riguarda l'analisi degli effetti, invalidanti o meno, che avrà la violazione dell'obbligo di motivazione rafforzata, è sufficiente rimarcare in questa sede che, ai sensi dell'innovativa regola dettata dall'art. 21-octies della l. n. 241, il provvedimento non sarà annullabile ove la determinazione, ancorché non motivata, sia dovuta ai sensi del comma 1 dell'articolo in esame, così come, se si ammette la motivazione postuma, nel caso in cui la motivazione sia integrata in giudizio (Caringella, 1313).

Ci si chiede, da ultimo, se sia profilabile una responsabilità del soggetto responsabile del procedimento nel caso in cui l'organo decisorio non emani il provvedimento finale conformandosi ad un erronea istruzione da parte del responsabile del procedimento. Si ritiene per lo più che (Franchini, Lucca, Tessaro, 458) nulla possa imputarsi al responsabile, ove questi dimostri di aver svolto con la normale diligenza le attività inerenti al proprio ufficio.

L'organo decisorio, in ogni caso, potrà discostarsi dalle risultanze dell'istruttoria argomentando i motivi di questo scostamento per consentire la verifica del percorso logico – formativo che ha condotto l'organo ad emanare l'atto non conforme all'istruttoria.

Infine, una volta emanato il provvedimento finale, è compito del responsabile attivarsi per la fase della integrazione dell'efficacia, mediante il compimento di tutti gli incombenti relativi alla pubblicazione od alla comunicazione personale dell'atto, ove necessario.

Il riparto di competenze fra i due organi amministrativi deputati a provvedere al c.d. «preavviso di diniego»

Tuttora irrisolta è la diatriba relativa al riparto di competenze fra i due organi amministrativi deputati a provvedere al c.d. «preavviso di diniego»: il RUP e l'Autorità competente.

È evidente che la l. n. 15/2005 ha inteso rafforzare ulteriormente la posizione del responsabile del procedimento che, come evidenziato, riveste un ruolo chiave nell'espletamento dell'iter procedimentale e che, conseguentemente, appare il soggetto più idoneo a comunicare il c.d. preavviso di diniego.

Parte della dottrina ha rilevato come l'art. 10-bis avrebbe semplicemente esteso detto ruolo di protagonista, senza provare ad individuare l'ulteriore Autorità competente a comunicare il c.d. preavviso di diniego.

Diversamente, altri autori ritengono che detta norma vada a restringere le competenze riconosciute al RUP, dando risalto al soggetto competente ad assumere il provvedimento finale: l'Autorità e il dirigente dell'ufficio incaricato dell'adozione dell'atto conclusivo del procedimento.

Siffatta dottrina, dunque, aderisce ad una interpretazione del dettato legislativo che sembra mal conciliarsi con altre disposizioni che disciplinano le funzioni del RUP in un'ottica di accentramento di funzioni e responsabilità.

In ordine alla redazione del provvedimento di pre-diniego, non mancano, tuttavia, orientamenti volti a configurare una competenza concorrenziale tra i due soggetti previsti dal citato art. 10-bis, ovvero una competenza esclusiva e residuale in tutte quelle ipotesi nelle quali non sia individuabile e/o configurabile il RUP (Pinto, Angelucci, 12-14).

Questioni applicative

1) Quali sono i rapporti tra responsabile del procedimento e altri dipendenti?

Per quanto attiene, invece, ai rapporti tra il responsabile del procedimento e gli altri dipendenti coinvolti nello stesso, è fuori di dubbio che il primo, in quanto tale, non riveste una posizione sovraordinata. È, peraltro, innegabile che, a seguito dell'assunzione dell'incarico di responsabile, il funzionario avrà diritto di sollecitare gli altri addetti riguardo all'adozione dei comportamenti dovuti, oltre che di denunciare le omissioni o inadempienze dei collaboratori.

Per la giurisprudenza amministrativa non tutte le attività procedimentali sono sottoposte all'obbligo di designazione del responsabile del procedimento: ne sarebbero escluse quelle a carattere vincolato e quelle a carattere collegiale.

2) Quali sono i problemi applicativi in caso di procedimenti complessi?

Un serrato dibattito si è, poi, registrato al fine di stabilire le modalità applicative della disciplina de qua nel caso di procedimenti complessi, articolati in una serie di fasi implicanti l'intervento di uffici diversi della stessa Amministrazione o ente ovvero di molteplici Amministrazioni o enti diversi. A una generale interpretazione nel senso dell'unicità del responsabile osta il dato normativo, che fa chiaramente riferimento alla necessità dell'individuazione di un responsabile per ogni Amministrazione. Alla luce di un simile dato letterale, si deve ritenere che nei procedimenti caratterizzati dall'intervento di distinte Amministrazioni, ognuna di queste dovrà provvedere alla nomina di un proprio responsabile. Nel caso, invece, di procedimenti facenti capo a diversi uffici della stessa Amministrazione, vi dovrà essere un solo responsabile.

In base al comma 3 dell'art. 5, modificato dal d.l. n. 76/2020, l'unità organizzativa il nome del responsabile e il domicilio digitale sono comunicati ai soggetti di cui all'articolo 7 e, a richiesta, a chiunque vi abbia interesse.

Bibliografia

V. subart. 5 l. n. 241/1990.

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