Legge - 7/08/1990 - n. 241 art. 14 quater - Decisione della conferenza di servizi 1

Maurizio Francola

Decisione della conferenza di servizi  1

 

1. La determinazione motivata di conclusione della conferenza, adottata dall'amministrazione procedente all'esito della stessa, sostituisce a ogni effetto tutti gli atti di assenso, comunque denominati, di competenza delle amministrazioni e dei gestori di beni o servizi pubblici interessati.

2. Le amministrazioni i cui atti sono sostituiti dalla determinazione motivata di conclusione della conferenza possono sollecitare con congrua motivazione l'amministrazione procedente ad assumere, previa indizione di una nuova conferenza, determinazioni in via di autotutela ai sensi dell'articolo 21-nonies. Possono altresì sollecitarla, purché abbiano partecipato, anche per il tramite del rappresentante di cui ai commi 4 e 5 dell'articolo 14-ter, alla conferenza di servizi o si siano espresse nei termini, ad assumere determinazioni in via di autotutela ai sensi dell'articolo 21-quinquies.

3. In caso di approvazione unanime, la determinazione di cui al comma 1 è immediatamente efficace. In caso di approvazione sulla base delle posizioni prevalenti, l'efficacia della determinazione è sospesa ove siano stati espressi dissensi qualificati ai sensi dell'articolo 14-quinquies e per il periodo utile all'esperimento dei rimedi ivi previsti2.

4. I termini di efficacia di tutti i pareri, autorizzazioni, concessioni, nulla osta o atti di assenso comunque denominati acquisiti nell'ambito della conferenza di servizi decorrono dalla data della comunicazione della determinazione motivata di conclusione della conferenza.

Inquadramento

L'art. 14-quater statuisce che la determinazione motivata di conclusione della conferenza adottata dall'Amministrazione procedente sostituisce a ogni effetto tutti gli atti di assenso, comunque denominati, prevedendo, poi, al comma 2 un peculiare regime per gli atti di autotutela, distinto, secondo che il potere da esercitare sia quello dell'annullamento d'ufficio o della revoca.

L'art. 14-quater comma 2, infatti, prevede che l'Amministrazione procedente possa essere sollecitata ad assumere determinazioni, previa indizione di una nuova conferenza:

1) ai sensi dell'art. 21-nonies dalle amministrazioni, i cui atti sono sostituiti dalla determinazione motivata di conclusione della conferenza, previa richiesta congruamente motivata;

2) ai sensi dell'art. 21-quinquies soltanto dalle amministrazioni che abbiano effettivamente partecipato alla conferenza di servizi (anche per il tramite del rappresentante unico di cui ai commi 4 e 5 dell'articolo 14-ter) o si siano espresse nei termini ivi previsti, sempre previa richiesta congruamente motivata.

La determinazione conclusiva è immediatamente efficace in caso di:

a) approvazione unanime; b) approvazione sulla base delle posizioni prevalenti qualora non siano stati espressi dissensi qualificati ai sensi dell'art. 14-quinquies, ossia dalle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute e della pubblica incolumità dei cittadini.

Qualora, infatti, sia stata disposta l'approvazione sulla base delle posizioni prevalenti in presenza dei predetti dissensi qualificati, l'efficacia della determinazione conclusiva resta sospesa per il periodo utile all'esperimento della procedura di opposizione prevista dall'art. 14-quinquies.

Natura giuridica della determinazione dei lavori.

La giurisprudenza, ormai da tempo, afferma che la l. n. 241/1990, agli art. 14-bis, 14-ter e 14-quater, prevede una determinazione motivata di conclusione della conferenza, adottata dall'amministrazione procedente all'esito della stessa, che sostituisce a ogni effetto tutti gli atti di assenso, comunque denominati, di competenza delle amministrazioni e dei gestori di beni o servizi pubblici interessati. La conseguenza di tali previsioni è che l'atto conclusivo dei lavori della conferenza si concreta in un atto istruttorio endoprocedimentale a contenuto consultivo, perché l'atto conclusivo del procedimento è il provvedimento finale a rilevanza esterna con cui l'Amministrazione c.d. “procedente” decide a seguito di una valutazione complessiva, ed è contro di esso, in quanto atto direttamente e immediatamente lesivo, che deve dirigersi l'impugnazione, e ciò perché gli altri atti o hanno carattere meramente endoprocedimentale o non risultano impugnabili, se non unitamente al provvedimento conclusivo, in quanto non immediatamente lesivi (T.A.R. Umbria, n. 669/2017; T.A.R. Sicilia, Catania I n. 452/2017; Cons. St. VI, n. 1718/2014; Cons. St. VI, n. 2417/2013).

Il dissenso: gli interessi sensibili.

La l. n. 15/2005 ha ampliato la sfera degli interessi «sensibili», ossia quelli che, in caso di dissenso espresso in sede di conferenza di servizi dall'amministrazione preposta alla loro tutela, appaiono dotati di una protezione più elevata rispetto ad altri.

Infatti, al novero classico degli interessi ambientali, paesaggistico-territoriali, storico-artistici e afferenti la tutela della salute, la legge citata ha aggiunto anche l'interesse alla «pubblica incolumità», di contenuto assai ampio, che coinvolge tutte le situazioni di pericolo in cui le persone possono trovarsi, da quelle concernenti fatti di ordine e sicurezza pubblica a quelle concernenti calamità naturali, o incidenti prodotti dall'uomo, o da opere dell'uomo, incendi, crolli di edifici e così via. Ne consegue un significativo aumento del novero delle pubbliche amministrazioni legittimate ad avvalersi del dissenso qualificato, come, ad esempio, le Forze dell'ordine, i Vigili del fuoco, il Corpo forestale dello Stato, gli uffici della protezione civile e così via (Cerulli Irelli, 5).

L'ampliamento è giustificato dalla particolare natura degli interessi super-primari coinvolti nel procedimento.

a ) Il metodo della concertazione. Il dissenso di una delle amministrazioni preposte alla tutela di uno degli interessi sensibili citati legittima la proposizione di un'opposizione al Presidente del Consiglio dei ministri propedeutica alla composizione del conflitto.

Si è, dunque, inteso utilizzare un metodo basato sulla mediazione e sulla concertazione, finalizzato alla ricerca e al raggiungimento del consenso tra i soggetti pubblici partecipanti alla conferenza di servizi (Tuberini, 67).

Sennonché, già in passato una parte della dottrina aveva manifestato, sulla base della previgente disciplina, qualche perplessità sulla legittimità del rimedio prescelto, considerato che la decisione finale adottata dal Consiglio dei Ministri (o all'epoca anche dalla Conferenza Stato-Regioni) si sostanzia in una decisione politica nata in un contesto di concertazione, quando, in realtà, il dissenso è di norma fondato su determinazioni ed osservazioni tecniche, che, per loro natura, non dovrebbero recedere dinnanzi a valutazioni politiche (Casetta, 480).

b ) L'onere di dissentire. La giurisprudenza ha chiarito che le amministrazioni convocate hanno in sede di Conferenza di servizi l'onere di esprimere il proprio motivato dissenso rispetto all'oggetto dell'iniziativa procedimentale, precisandosi, poi, che se il dissenso è espresso – tra l'altro – da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico (da convocare a pena di invalidità del procedimento, ove si faccia comunque questione di interessi da loro istituzionalmente curati, e in modo tale da consentirne l'effettiva partecipazione per rispetto del principio generale di leale collaborazione), l'eventuale superamento del dissenso deve seguire le specifiche norme procedimentali appositamente stabilite dallo stesso art. 14-quater (oggi art. 14-quinquies) (Cons. St. V, n. 2790/2018).

c ) Il dissenso costruttivo. Il dissenso espresso da una amministrazione in sede di conferenza di servizi ex art. 14-quater della l. n. 241/1990, deve rispondere ai principi di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa, predicati dall'articolo 97 della Costituzione, non potendo limitarsi ad una mera sterile opposizione al progetto in esame, ma dovendo essere “costruttivo”. Il dissenso, infatti, deve essere congruamente motivato e deve indicare anche le eventuali modifiche progettuali necessarie ai fini dell'assenso, non potendosi, peraltro, riferire a questioni connesse che non costituiscono oggetto della conferenza di servizi (Cons. St. V, n. 3099/2011; Cons. St. V, n. 434/2013; Cons. St. IV, n. 2836/2013; Cons. St. III, n. 350/2014; Cons. St. V, n. 1180/2014; Cons. St. IV, n. 3252/2015; Cons. St. II, par. n. 2363/2016).

d ) Le conseguenze del dissenso su interessi sensibili. Il dissenso motivato espresso, in sede di conferenza di servizi, da un'amministrazione preposta alla tutela di un interesse sensibile (ad esempio paesaggistico) determina, ai fini dell'esercizio del potere provvedimentale, un difetto assoluto di attribuzione alla P.A. procedente la quale, ove intenda comunque insistere, deve necessariamente rimettere la decisione al Consiglio dei Ministri, cui spetta la competenza a decidere, indipendentemente da qualsivoglia riserva espressa dalla Conferenza in ordine a tale rimessione o dalla valutazione degli interessi coinvolti (Cass. S.U., n. 9338/2018).

Pertanto, nell'ipotesi in cui un'Amministrazione titolare della tutela di interessi qualificati esprima il proprio dissenso in linea con un orientamento prevalente dello stesso tenore (cioè negativo), la conferenza si conclude con l'adozione da parte dell'autorità procedente della determinazione motivata di conclusione del procedimento, senza attivare la rimessione al Consiglio dei Ministri. La ratio della norma speciale posta è, in altri termini, di rimettere la questione al Consiglio dei Ministri al fine di evitare che la conferenza di servizi, in presenza di interessi particolarmente rilevanti, si concluda in base al criterio della prevalenza, con possibile pregiudizio di valori quali l'ambiente, il paesaggio, il patrimonio storico-artistico, la salute e la pubblica incolumità (T.A.R. Molise I, n. 316/2019).

e ) Le autorità legittimate a proporre opposizione ai sensi dell'art. 14 -quinquies. Le amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute e della pubblica incolumità dei cittadini cui è riservata l'opposizione in sede di Consiglio dei ministri ai sensi dell'art. 14-quinquies della l. n. 241/1990, devono identificarsi in quelle amministrazioni alle quali norme speciali attribuiscono una competenza diretta, prevalentemente di natura tecnico-scientifica, e ordinaria ad esprimersi attraverso pareri o atti di assenso comunque denominati a tutela dei suddetti interessi così detti “sensibili”. Tale attribuzione non si rinviene, di regola e in linea generale, nelle competenze comunali di cui all'art. 13 del d.lgs. n. 267 del 2000, né tra le competenze in campo sanitario demandate al Sindaco e al Comune dal testo unico delle leggi sanitarie di cui al r.d. n. 1265 del 1934, né tra le altre funzioni fondamentali (proprie o storiche) dei Comuni, fatta salva, comunque, la necessità di una verifica puntuale, da condursi caso per caso, della insussistenza di norme speciali, statali o regionali che, anche in via di delega, attribuiscano siffatte funzioni all'ente comunale (Cons. St. III, n. 2534/2019).

Pertanto, i comuni che hanno espresso dissenso in conferenza di servizi non possono proporre opposizione al Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell'art. 14-quinquies della l. n. 241/1990 a tutela degli interessi ambientali, paesaggistico-territoriali, dei beni culturali o della salute pubblica, salvo che la legislazione statale o regionale abbia delegato loro specifiche attribuzioni relative agli interessi summenzionati.

Da ultimo, il principio è stato ribadito dal Consiglio di Stato nell'ambito di una valutazione complessiva dell'istituto in esame. Secondo quanto, infatti, affermato dal supremo consesso della giustizia amministrativa, la conferenza di servizi è la sede istituzionalmente preordinata ad assicurare il confronto degli interessi potenzialmente confliggenti, con assegnazione all'autorità competente del compito di adottare la determinazione finale che di quel confronto è espressione. Prima di tale determinazione, le posizioni espresse dalle amministrazioni partecipanti non sono autonomamente impugnabili (Cons. St. V, n. 5254/2013; Cons. St. IV, n. 5084/2013). In base all'attuale disciplina della conferenza di servizi, una posizione qualificata è riconosciuta alle sole amministrazioni preposte alla “tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute e della pubblica incolumità” (art. 14-quinquies, comma 1, l. n. 241/1990), con possibile devoluzione del caso alla Presidenza del Consiglio (Cons. St. IV, n. 2733/2020). La giurisprudenza ha assegnato tale qualificazione alle sole amministrazioni statali (Cons. St. IV, n. 4568/2003; Cons. St. IV, n. 4333/2008; Cons. St. sez. V, n. 199/2011). Per quanto concerne i Comuni, non appariva infatti sufficiente il mero richiamo all'art. 13, d.lgs. n. 267/2000, secondo cui “spettano al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell'assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”. In disparte il fatto che la stessa previsione del TUEL fa salve le attribuzioni delle amministrazioni statali e regionali nelle stesse materie, a ben vedere è proprio la natura, ad un tempo generale, ma territorialmente delimitata, delle competenze comunali, ad escludere che tale ente possa essere tout court annoverato tra le amministrazioni specificamente preposte alla tutela di interessi sensibili, nel senso fatto proprio dalle norme sulla conferenza di servizi. È poi evidente che, diversamente opinando, si conferirebbe al Comune, in ogni procedimento in cui venga in rilievo uno dei variegati interessi rimessi, in sede locale, alle sue cure (anche considerando che, ai sensi dell'art. 118, comma 1, Cost., è proprio ai Comuni che è attribuita la generalità delle funzioni amministrative, salvo diversa allocazione “sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza”), una sorta di potere di veto, laddove invece, nell'ambito della conferenza di servizi, sia nel previgente che nell'attuale modello, lo scopo del legislatore è stato quello di semplificare il processo decisionale (cfr. la sentenza n. 5985/2015 cit.). In tal senso è significativo che anche il dissenso dell'amministrazione preposta alla tutela dell'interesse sensibile deve essere “motivato” (art. 14-quinquies, comma 1, l. n. 241/1990); come pure devono essere “congruamente motivate” le determinazioni delle amministrazioni partecipanti alle conferenze le quali sono tenute altresì ad indicare “ove possibile, le modifiche eventualmente necessarie ai fini dell'assenso [...]” (Cons. St. IV, n. 3931/2020).

Autotutela.

In passato era assai discusso se, a fronte del silenzio della legge, fosse ammissibile o meno l'annullamento d'ufficio o la revoca di una decisione su iniziativa unilaterale della medesima amministrazione che l'aveva espressa in sede di conferenza di servizi.

Al riguardo, si era soliti ritenere che la soluzione dipendesse dalla natura della conferenza, considerato, infatti, che qualora fosse stata condivisa la tesi del modulo procedimentale la risposta sarebbe stata positiva, in ossequio al generale potere della p.a. di incidere sui propri atti, rimasto inalterato dalla modalità di svolgimento dell'iter procedimentale; mentre, a differente conclusione doveva pervenirsi qualora la conferenza di servizi fosse stata considerata alla stregua di un organo distinto ed autonomo rispetto alle amministrazioni partecipanti, non potendo queste ultime incidere su un atto adottato da un altro autonomo e distinto soggetto.

Vi era, peraltro, chi sosteneva che l'ammissibilità di un'autotutela decisoria era, comunque, da escludere qualora la determinazione conclusiva della conferenza di servizi fosse qualificabile alla stregua di un accordo (Scoca, 279).

La giurisprudenza prevalente riteneva ammissibile l'autotutela soltanto in ossequio al principio del contrarius actus, dovendo seguire il medesimo procedimento d'emanazione degli atti che intende rimuovere o modificare (Cons. St. V, 2 ottobre 2000, n. 5210; in termini Cons. St. VI, 3 marzo 2006, n. 1023).

Pertanto, le amministrazioni che hanno adottato atti endoprocedimentali in seno alla conferenza non possono operare in autotutela per far venire meno l'assenso espresso, in quanto la conferenza di servizi rappresenta un modulo procedimentale che conduce all'adozione di un provvedimento che assorbe gli atti riconducibili alle amministrazioni che hanno partecipato alla conferenza o che, regolarmente invitate, avrebbero dovuto prendervi parte. Diversamente opinando del resto si porrebbe nel nulla la disciplina dettata in tema di dissenso o di mancata partecipazione all'interno della conferenza di servizi (Cons. St. IV, n. 4503/2011; Cons. St. VI, n. 1023/2006).

Pertanto, se un provvedimento viene emanato a seguito di conferenza di servizi, l'eventuale esercizio del potere di riesame in autotutela deve seguire il medesimo procedimento di emanazione degli atti che si intende rimuovere o modificare, dovendosi, quindi, convocare nuovamente la conferenza, alla quale dovranno partecipare tutte le amministrazioni precedentemente intervenute, in base al principio del contrarius actus (T.A.R. Campania, Salerno II, n. 84/2020).

Il principio è stato, da ultimo, recepito dal legislatore, al punto da modificare, con il d.lgs. n. 127/2016 la disciplina dell'art. 14-quater, subordinando l'esercizio dei poteri di annullamento d'ufficio e di revoca alla previa indizione di una nuova conferenza di servizi.

Tuttavia, l'istanza di una delle amministrazioni procedenti non obbliga l'amministrazione procedente ad indire una nuova conferenza di servizi per l'esercizio dei poteri di autotutela, operando, anche in questa sede, la regola generale secondo cui è sempre rimessa alla discrezionalità dell'Autorità amministrativa preposta all'adozione dell'atto la decisione in ordine all'opportunità di un riesame del provvedimento già adottato.

Spetta, quindi, all'amministrazione procedente valutare se indire una nuova conferenza di servizi avente ad oggetto il riesame dell'atto adottato secondo le modalità già seguite in occasione dell'adozione del provvedimento di primo grado (Cons. St. V, n. 4374/2014).

Secondo un certo orientamento giurisprudenziale, tuttavia, la preclusione all'esercizio in forma individuale del potere di autotutela sussisterebbe soltanto quando sia stato adottato il provvedimento conclusivo, sulla scorta delle risultanze della conferenza di servizi, quando cioè l'amministrazione procedente abbia adottato la determinazione motivata di conclusione del procedimento che sostituisce a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla predetta conferenza (T.A.R. Campania, Salerno I, n. 1499/2015).

Legittimazione ad impugnare delle P.A. partecipanti alla conferenza di servizi.

La giurisprudenza da tempo ha chiarito che dalla previsione della partecipazione di un ente ad un procedimento amministrativo si deve evincere la sua legittimazione ad impugnare il provvedimento conclusivo ritenuto lesivo; non invece il contrario (Cons. St. IV, n. 2170/2012; Cons. St. V, n. 217/1999; Cons. St. IV, n. 1001/1992; Cons. St. IV, n. 5296/2001).

La legittimazione a ricorrere spetta, dunque, a tutte le amministrazioni che abbiano partecipato alla conferenza di servizi e vi abbiano espresso parere contrario.

Ci si chiede, tuttavia, se siffatta legittimazione sussista anche qualora l'Amministrazione partecipante abbia espresso il proprio consenso, financo in forma tacita tramite la regola del silenzio assenso.

Sul punto la giurisprudenza ha ritenuto, in un peculiare caso, che per regola generale, ad esempio, il comune, quale ente esponenziale della collettività stanziata sul proprio territorio e portatore in via continuativa degli interessi diffusi radicati sul medesimo, abbia legittimazione a impugnare atti che ivi autorizzano lo svolgimento di attività; tale legittimazione postula la titolarità di una situazione giuridica qualificata, attuale (al momento della proposizione del ricorso e della decisione) e differenziata; questi requisiti chiaramente sussistono, salvo che si voglia sostenere che, essendo stata l'autorizzazione preceduta da una conferenza di servizi cui ha preso parte il comune, la situazione legittimante qualificata e differenziata sia venuta meno a causa della mancata opposizione dello stesso alle determinazioni della conferenza. Nessuna disposizione però prevede una così incisiva deroga ai principi generali e le norme degli articoli 14-ter e 14-quater, comma 1, citate, nell'imporre che il dissenso sia manifestato a pena di inammissibilità nella conferenza e che il mancato motivato dissenso equivalga ad implicito assenso, escludono la legittimità di pareri postumi ma non privano l'ente che non abbia manifestato il dissenso della legittimazione al ricorso.

Va aggiunto che nemmeno potrebbe ipotizzarsi una eventuale acquiescenza (anche se va ammesso che si è al limite della ricorrenza di tale fattispecie) dato che l'acquiescenza – cioè l'accettazione espressa o tacita del provvedimento che ne rende inammissibile l'impugnazione – richiede che il comportamento che vi dà luogo sia contestuale o successivo al provvedimento che definisce il procedimento (T.A.R. Lazio, Latina, I, n. 633/2017).

Il sindacato giurisdizionale.

È evidente che le decisioni assunte nell'ambito della conferenza di servizi involgano valutazioni discrezionali e o tecnico-discrezionali che si riflettono sul sindacato giurisdizionale della decisione assunta all'esito dei lavori.

Al riguardo occorre precisare che costituisce insegnamento giurisprudenziale consolidato e posto a presidio della separazione dei poteri, quello che vuole il vaglio giudiziale sulle valutazioni tecnico-discrezionali confinato entro i noti limiti del sindacato estrinseco, volto al rilievo di vizi procedimentali o dell'eccesso di potere sotto i profili dell'errore di fatto, del difetto di istruttoria, della manifesta illogicità o incongruità della scelta, o del difetto di motivazione, diversamente ricadendosi in un inammissibile riesame nel merito con sostituzione della valutazione giudiziale a quella affidata dal legislatore all'amministrazione. Non è sufficiente, pertanto, una contestazione di mera non condivisibilità del giudizio tecnico-discrezionale espresso dall'amministrazione, essendo, invece, necessario, per il superamento del sindacato giudiziale, dimostrarne la palese inattendibilità e l'evidente insostenibilità (Cons. St. VI, n. 6753/2019).

I limiti, dunque, al sindacato del giudice amministrativo sono tanti più ampi, quanto più elevato è il tasso di discrezionalità caratterizzante le valutazioni delle pubbliche amministrazioni interessate, come, ad esempio, nel caso dei pareri espressi dalle Autorità deputate alla cura di interessi sensibili.

Al riguardo, infatti, occorre rammentare che l'apprezzamento, ad esempio, compiuto dall'Amministrazione preposta alla tutela ambientale, storico artistica e paesaggistica è sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l'aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, sicché, in sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell'ambito di opinabilità, affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello dell'Amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione alternativa, parimenti opinabile (Cons. St. VI, n. 5327/2015; Cons. St. VI, n. 856/2017).

Bibliografia

Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2007; Cerulli Irelli, Osservazioni generali sulla legge di modifica della l. n. 241/1990, in giustamm.it, Parte III, 2005, 5; Scoca, Analisi giuridica della conferenza di servizi, in Dir. amm., 1999; Tuberini, La conferenza di servizi di fronte alla riforma del Titolo V della Costituzione, in Dal procedimento amministrativo all'azione amministrativa, Bologna, 2004.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario