Legge - 7/08/1990 - n. 241 art. 14 quinquies - Rimedi per le amministrazioni dissenzienti) 1

Maurizio Francola

Rimedi per le amministrazioni dissenzienti)  1

 

1. Avverso la determinazione motivata di conclusione della conferenza, entro 10 giorni dalla sua comunicazione, le amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute e della pubblica incolumità dei cittadini possono proporre opposizione al Presidente del Consiglio dei ministri a condizione che abbiano espresso in modo inequivoco il proprio motivato dissenso prima della conclusione dei lavori della conferenza. Per le amministrazioni statali l'opposizione è proposta dal Ministro competente.

2. Possono altresì proporre opposizione le amministrazioni delle regioni o delle province autonome di Trento e di Bolzano, il cui rappresentante, intervenendo in una materia spettante alla rispettiva competenza, abbia manifestato un dissenso motivato in seno alla conferenza.

3. La proposizione dell'opposizione sospende l'efficacia della determinazione motivata di conclusione della conferenza.

4. La Presidenza del Consiglio dei ministri indice, per una data non posteriore al quindicesimo giorno successivo alla ricezione dell'opposizione, una riunione con la partecipazione delle amministrazioni che hanno espresso il dissenso e delle altre amministrazioni che hanno partecipato alla conferenza. In tale riunione i partecipanti formulano proposte, in attuazione del principio di leale collaborazione, per l'individuazione di una soluzione condivisa, che sostituisca la determinazione motivata di conclusione della conferenza con i medesimi effetti.

5. Qualora alla conferenza di servizi abbiano partecipato amministrazioni delle regioni o delle province autonome di Trento e di Bolzano, e l'intesa non venga raggiunta nella riunione di cui al comma 4, può essere indetta, entro i successivi quindici giorni, una seconda riunione, che si svolge con le medesime modalità e allo stesso fine.

6. Qualora all'esito delle riunioni di cui ai commi 4 e 5 sia raggiunta un'intesa tra le amministrazioni partecipanti, l'amministrazione procedente adotta una nuova determinazione motivata di conclusione della conferenza. Qualora all'esito delle suddette riunioni, e comunque non oltre quindici giorni dallo svolgimento della riunione, l'intesa non sia raggiunta, la questione è rimessa al Consiglio dei ministri. La questione è posta, di norma, all'ordine del giorno della prima riunione del Consiglio dei ministri successiva alla scadenza del termine per raggiungere l'intesa. Alla riunione del Consiglio dei ministri possono partecipare i Presidenti delle regioni o delle province autonome interessate. Qualora il Consiglio dei ministri non accolga l'opposizione, la determinazione motivata di conclusione della conferenza acquisisce definitivamente efficacia. Il Consiglio dei ministri può accogliere parzialmente l'opposizione, modificando di conseguenza il contenuto della determinazione di conclusione della conferenza, anche in considerazione degli esiti delle riunioni di cui ai commi 4 e 5.

7. Restano ferme le attribuzioni e le prerogative riconosciute alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e Bolzano dagli statuti speciali di autonomia e dalle relative norme di attuazione.

[1] Articolo inserito dall'articolo 12, comma 1, della legge 11 febbraio 2005, n. 15 e successivamente sostituito dall'articolo 1, comma 1,del D.Lgs. 30 giugno 2016, n. 127; per l'applicazione vedi quanto disposto dall'articolo 7, comma 1, del medesimo decreto.

Inquadramento

Il procedimento di opposizione previsto in favore delle Amministrazioni con posizione «qualificata», che abbiano espresso un dissenso motivato in seno alla riunione della conferenza di servizi è stato modificato dal d.lgs. n. 127/2016.

Al comma 1 dell'art. 14-quinquies si prevede che entro dieci giorni dall'adozione della determinazione motivata di conclusione della conferenza, le Amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute e della pubblica incolumità dei cittadini possano proporre opposizione al Presidente del Consiglio dei ministri, a condizione che abbiano espresso in modo inequivoco il proprio motivato dissenso prima della conclusione dei lavori della conferenza.

Sulle caratteristiche del dissenso motivato, la giurisprudenza ha chiarito che il dissenso di una P.A. partecipante alla conferenza di servizi deve rispondere ai principi di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa, predicato dall'art. 97 Cost., non potendo limitarsi ad una mera opposizione al progetto in esame, e deve essere costruttivo e motivato (Cons. St. V, n. 424/2013).

Nel caso in cui un'Amministrazione invitata a partecipare dall'ente procedente non intenda prestare il proprio assenso al progetto esaminato deve esprimere il proprio dissenso motivandolo puntualmente (c.d. dissenso motivato). Il dissenso deve essere espresso entro il termine di chiusura dei lavori della conferenza (c.d. dissenso tempestivo) e deve prendere posizione in ordine alle sole questioni oggetto della conferenza (c.d. dissenso qualificato), recando altresì le puntuali indicazioni delle possibili modifiche al progetto che, se attuate, potranno trasformare il dissenso in una valutazione favorevole al medesimo progetto (c.d. dissenso costruttivo) (T.A.R. Lazio, Roma, II-quater, n. 2338/2015).

Alla luce della nuova norma, dunque, il dissenso dell'amministrazione non può essere pretestuoso e finalizzato ad un mero ostruzionismo, ma, al contrario deve essere congruamente motivato, in coerenza con l'art. 3 della l. n. 241/1990, e non può riferirsi a questioni connesse che non costituiscono oggetto della conferenza, cioè deve essere pertinente all'oggetto delle attività conferenziali (limiti intrinseci del dissenso). Inoltre, sempre nell'ottica dell'esigenza di conseguire un risultato positivo e utile in seno alla conferenza di servizi, esso deve recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell'assenso, ossia deve avere un contenuto propositivo (c.d. dissenso propositivo).

L'opposizione è contraddistinta da due distinte fasi: la prima, in seno alla Presidenza del Consiglio dei ministri e la seconda di competenza del Consiglio dei ministri.

Nella prima fase, la Presidenza del Consiglio dei ministri indice, entro quindici giorni dalla ricezione dell'opposizione, una riunione con la partecipazione delle amministrazioni che hanno espresso il dissenso e delle altre amministrazioni che hanno partecipato alla conferenza. In tale riunione, i partecipanti formulano proposte, in attuazione del principio di leale collaborazione, per l'individuazione di una soluzione condivisa e, qualora alla conferenza di servizi abbiano partecipato amministrazioni territoriali e l'intesa non venga raggiunta nella predetta riunione, si prevede la possibilità di indire, entro i successivi quindici giorni, una seconda riunione.

Qualora all'esito delle riunioni predette si pervenga ad un'intesa tra le amministrazioni partecipanti, l'amministrazione procedente potrà adottare una nuova determinazione motivata di conclusione della conferenza.

Diversamente, non oltre quindici giorni dallo svolgimento della riunione, la questione è rimessa al Consiglio dei ministri, che adotterà la decisione. Alla riunione del Consiglio dei ministri possono partecipare i Presidenti delle regioni o delle province autonome interessate.

Qualora il Consiglio dei ministri non accolga l'opposizione, la determinazione motivata di conclusione della conferenza acquisisce definitivamente efficacia, essendone rimasti sospesi durante il procedimento in questione. Diversamente, il Consiglio dei ministri, accoglimento anche soltanto parziale dell'opposizione, modifica il contenuto della determinazione di conclusione della conferenza, anche in considerazione degli esiti delle riunioni di cui alla prima fase.

Nel confronto con la previgente disciplina di cui all'art. 14-quater comma 3, si rinviene, in primo luogo, un'accellerazione dei tempi di svolgimento del procedimento e, in seconda battuta, anche un rafforzato meccanismo di partecipazione delle Amministrazioni dissenzienti, nonché di quelle che, in ogni caso, hanno partecipato alla conferenza, privilegiando, così, il principio di leale collaborazione (Caringella, 1135).

L'opposizione.

Il dissenso motivatamente espresso da un ente preposto alla tutela di un interesse sensibile non può essere superato nella stessa sede conferenziale come avviene, ai sensi dell'art. 14-ter, per altri interessi non sensibili che dovessero risultare antagonisti, avuto riguardo, nella determinazione conclusiva, alle posizioni prevalenti espresse in conferenza di servizi.

In tal modo la decisione è devoluta ad un altro e superiore livello di governo e con altre modalità procedimentali.

L'effetto di un tale dissenso qualificato espresso a tutela di un interesse sensibile (cioè di particolare eco generale, di incidenza non riparabile o non facilmente riparabile, e per di più riferito a un valore costituzionale primario) è dunque quello di spogliare in toto la conferenza di servizi della capacità di ulteriormente procedere – o meglio, di spogliare in termini assoluti l'amministrazione procedente della sua competenza a procedere e sulla base del modulo della conferenza di servizi – e di rendere senz'altro dovuta la rimessione degli atti a diversa autorità, vale a dire al più alto livello dell'amministrazione centrale.

In questi casi, dunque, la manifestazione del dissenso qualificato in conferenza di servizi provoca senz'altro la sostituzione della formula e del livello del confronto degli interessi e fa cessare il titolo dell'amministrazione procedente a trattare nella sostanza il procedimento, dovendo la questione, in attuazione e nel rispetto del principio di leale collaborazione e dell'articolo 120 della Costituzione, essere rimessa dall'amministrazione procedente alla deliberazione del Consiglio dei Ministri (Cons. St. VI, n. 4545/2015).

In questo quadro, nel rispetto della competenza propria dell'amministrazione dissenziente, nessun potere ha l'amministrazione procedente circa il vaglio di quel dissenso qualificato, se non quello formale di presa d'atto ai fini della devoluzione della decisione al suddetto superiore livello.

Natura giuridica della decisione del Consiglio dei ministri.

La qualificazione della deliberazione del Consiglio dei ministri quale atto di alta amministrazione era espressamente contemplata nell'art. 14-quater nel testo modificato dall'art. 25 l. n. 164/2014.

Ma pur non essendo stata riprodotta nell'attuale testo, non può essere revocata in dubbio la natura giuridica di siffatta deliberazione.

La giurisprudenza, infatti, sin da tempi non sospetti, si era espressa in tal senso.

Ed invero, le Sezioni Unite (cfr. Cass. S.U., n. 21581/2011; n. 10416/2014; n. 10319/2016; n. 3146/2018) hanno posto in rilievo, in consonanza con l'orientamento della Corte Costituzionale (Corte cost. n. 81/2012; n. 339/2007), che l'esistenza di aree sottratte al sindacato giurisdizionale va confinata entro limiti rigorosi. Ed, infatti, per ravvisare il carattere politico di un atto, al fine di sottrarlo al sindacato del giudice, occorre che sia impossibile individuare un parametro giuridico (sia norme di legge, sia principi dell'ordinamento) sulla base del quale svolgere il sindacato giurisdizionale: quando il legislatore predetermina canoni di legalità, ad essi la politica deve, appunto, attenersi, in ossequio ai principi fondamentali dello Stato di diritto. In concreto, quando l'ambito di estensione del potere discrezionale, quale che esso sia, sia circoscritto da vincoli posti da norme giuridiche che ne segnano i confini o ne indirizzano l'esercizio, il rispetto di tali vincoli costituisce un requisito di legittimità e di validità dell'atto, sindacabile, appunto, nei modi e nelle sedi appropriate. Alla luce di tali principi, le Sezioni Unite ritengono che la deliberazione del Consiglio dei Ministri, emessa in esito allo specifico procedimento indicato dalla l. n. 241/1990, non abbia i requisiti per esser considerata atto politico, essendo, al contrario, la stessa espressamente qualificata come un atto di alta amministrazione (Cass. S.U., n. 18829/2019).

In tal senso si è espressa anche la giurisprudenza amministrativa, affermando che la decisione governativa assunta ai sensi dell'art. 14-quinquies assume, in ragione della sua natura di atto di alta amministrazione, connotati di lata discrezionalità, spettando la decisione alla responsabilità propria del Governo ed esprimendo, in concreto, un raccordo tra attività amministrativa e attività politica (Cons. St. VI, n. 220/2013; Cons. St. VI, n. 4545/2015).

Motivazione della deliberazione.

Con riguardo alla motivazione, la giurisprudenza afferma che ove la deliberazione del Consiglio dei Ministri contrasti, anche in parte, con l'atto di dissenso qualificato, deve fondarsi su una motivazione evidentemente divergente e deve esplicitare in modo adeguato e congruo le ragioni specifiche per cui gli elementi del giudizio di compatibilità assunti dall'amministrazione dissenziente vanno, in quel concreto caso, diversamente valutati. Si tratta di una valutazione che non può disapplicare i parametri del giudizio tecnico (ad es. il vincolo, che non può per l'occasione essere messo nel nulla) e che perciò non può prescindere dalla medesima natura tecnica di quella di base confutata. Ma la valutazione non può nemmeno esaurirsi in un giudizio tecnico com'è per l'atto di base, perché comporta – in ragione dell'organo costituzionale chiamato alla decisione e della sua funzione di massima sintesi amministrativa – l'adozione, in deroga a quel dissenso, di un apprezzamento che è di alta amministrazione. La deliberazione sulla “questione” da parte del Consiglio dei Ministri sintetizza cioè non un procedimento di riesame del dissenso qualificato, che resta comunque legittimamente espresso, ma un'eventuale e dominante riconsiderazione dei suoi effetti, che possono essere così impediti. In questo si realizza una manifestazione di potere governativo riferibile, se del caso, a quello sostitutivo ordinario di cui all'art. 120 Cost. (Cons. St. VI, n. 220/2013).

Ove invece la deliberazione del Consiglio dei Ministri non contrasti con l'atto di dissenso qualificato, non occorre una particolare esternazione di ragioni ulteriori di una decisione che, a sufficienza, intenda essere conforme a quel dissenso legittimamente espresso e che voglia lasciar permanere intatto negli effetti (Cons. St. VI, n. 220/2013).

Impugnabilità della decisione del Consiglio dei ministri.

La Corte di Cassazione ha chiarito che la deliberazione del Consiglio dei Ministri, non costituendo un atto politico ma un atto di alta amministrazione, è assoggettata al sindacato di legittimità del Consiglio di Stato nei limiti del controllo del vizio dell'eccesso di potere (Cass. S.U., n. 18829/2019).

In tal senso si è pronunciata anche la giurisprudenza amministrativa, affermando che la deliberazione, che costituisce espressione del potere amministrativo espresso del Consiglio dei Ministri in sede di conferenza di servizi, è, dunque, soggetta al sindacato giurisdizionale (Cons. St. VI, n. 220/2013).

Il sindacato giurisdizionale.

In relazione agli atti di alta amministrazione, le Sezioni Unite hanno affermato (Cass. S.U., n. 9687/2013) che il sindacato giurisdizionale di legittimità del Consiglio di Stato ha natura estrinseca e formale, esso si esaurisce nel controllo del vizio di eccesso di potere nelle particolari figure sintomatiche dell'inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o mancanza di motivazione, e non si estende all'esame diretto e all'autonoma valutazione del materiale tendente a dimostrare la sussistenza dei relativi presupposti. Pertanto, le decisioni del giudice amministrativo sono viziate da eccesso di potere giurisdizionale e, quindi, sindacabili per motivi inerenti alla giurisdizione, quando tale giudice, eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato e sconfinando nella sfera del merito, istituzionalmente riservato alla pubblica amministrazione, compia una diretta e concreta valutazione dell'opportunità e convenienza dell'atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell'annullamento, esprima la volontà dell'organo giudicante di sostituirsi a quella dell'Amministrazione, così esercitando una giurisdizione di merito in situazioni che avrebbero potuto dare ingresso soltanto a una giurisdizione di legittimità (dunque, all'esercizio di poteri cognitivi e non anche esecutivi) o esclusiva o che comunque ad essa non avrebbero potuto dare ingresso (Cass. S.U., n. 23302/2011; n. 11380/2016; n. 26183/2016; n. 4395/2017; n. 11986/2017; n. 32175/2018). In altri termini, l'eventuale sostituzione, da parte del giudice amministrativo, della propria valutazione a quella riservata alla discrezionalità della amministrazione costituisce un'ipotesi d'indebito sconfinamento della giurisdizione di legittimità nella sfera riservata alla pubblica amministrazione, quand'anche l'eccesso in questione sia compiuto tramite una pronunzia il cui contenuto dispositivo si mantenga nell'area dell'annullamento dell'atto (Cass. S.U., n. 8823/2018; Cass. S.U., n. 18829/2019).

Questioni applicative.

1) Come funziona il meccanismo dell'autotutela sull'esito della conferenza?

Una delle maggiori innovazioni introdotte dal d.lgs. n. 127/2016, in materia di conferenza di servizi, è contenuta nel comma 2 del nuovo art. 14-quater. Colmando la lacuna della legislazione precedente, la norma prevede la possibilità, per le amministrazioni coinvolte, di sollecitare l'amministrazione procedente ad assumere determinazioni in via di autotutela.

Occorre rilevare che la precedente disciplina non faceva alcun riferimento all'eventuale esercizio di tale potere in ordine ai provvedimenti conformi alla determinazione motivata.

A tale proposito, già nel quadro precedente, la giurisprudenza del Consiglio di Stato, a partire dal VI sez. 1023/2006, ha escluso che un'amministrazione che ha espresso l'assenso in sede di conferenza di servizi, possa annullare il proprio atto con effetto caducante sull'esito della conferenza o pretendere l'attivazione di un procedimento in autotutela in caso di dedotta illegittimità dell'atto finale. L'unico rimedio esperibile, per la P.A che intenda rivedere la posizione assunta durante la conferenza, era quello di sollecitare l'indizione di una nuova conferenza.

L'amministrazione procedente, in applicazione delle regole sull'autotutela exarticolo 21-nonies della l. n. 241/1990, non è quindi obbligata a riconvocare la conferenza, ma dovrà valutare se ricorrano i presupposti per proporre alla conferenza l'esercizio di poteri di autotutela. A sostegno dell'assunto, il Consiglio Stato rileva che:

a) il dissenso postumo di una amministrazione che ha partecipato alla conferenza di servizi, esprimendo parere favorevole, non può riaprire necessariamente la questione con obbligatorietà di una riconvocazione della conferenza, riaprendo anche in sede giurisdizionale una vicenda da ritenersi chiusa in assenza di tempestive impugnazioni;

b) riconoscere un tale effetto al dissenso sopravvenuto (anche se fondato su una asserita illegittimità dell'atto) significherebbe attribuire a tale elemento una rilevanza addirittura maggiore del dissenso eventualmente espresso nel procedimento originario, che avrebbe comunque potuto essere superato sulla base della posizione prevalente;

c) la legge ha, d'altronde, potenziato il ruolo (e le responsabilità) dell'amministrazione procedente cui è rimessa la determinazione finale, previa valutazione delle specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede.

Il Legislatore, nel 2016, ha inteso mettere mano a un'opera di chiarificazione sul punto, prevedendo, in linea di continuità con tale insegnamento pretorio, la possibilità, per le amministrazioni coinvolte, di sollecitare l'intervento in autotutela dell'amministrazione procedente.

Occorre, però, distinguere il tipo di intervento in autotutela che si intende ottenere. Ove si intende sollecitare, da parte della PA procedente, il potere di annullamento in autotutela, id est art. 21-nonies, tale facoltà, vista la superiore rilevanza dell'interesse alla legalità, può esser esercitata da una delle amministrazioni i cui atti sono stati sostituiti dalla determinazione finale di conclusione del provvedimento, che vi provvederà con congrua motivazione. Il potere di annullamento può essere esercitato in un termine ragionevole che, in ogni caso, non può superare i 12 mesi (d.l. n. 77/2021 convertito con modificazioni dalla l. 108/2021).

Invece, l'esercizio del potere di revoca, disciplinato dall'art. 21-quinquies può esser sollecitato esclusivamente dal quelle amministrazioni che hanno preso parte alla conferenza di servizi, anche per il tramite del rappresentante unico di cui all'art. 14-ter, commi 4 e 5. La ragione di questa limitazione soggettiva, che differenzia la fattispecie della revoca rispetto all'annullamento, è chiara: il disinteresse mostrato durante la procedura non consente, infatti, da dare rilevanza a uno ius poenitendi sganciato da profili di legalità e di doverosità.

Per l'adozione del provvedimento in autotutela, che incide sulla determinazione motivata conclusiva della conferenza, l'amministrazione procedente deve indire una nuova conferenza di servizi. Il suddetto provvedimento, adottato in autotutela, è, infatti, un contrarius actus da adottare seguendo un procedimento simmetrico rispetto a quello in cui è stato adottato l'atto che si intende sostituire in autotutela. Solo in tal modo è possibile garantire un'adeguata ponderazione degli interessi coinvolti.

2) Quale meccanismo deve essere attivato per superare i dissensi nei settori sensibili?

La nuova disciplina introdotta attraverso l'art. 14-quinquies l. n. 241/1990 contiene gli strumenti esperibili, da parte delle amministrazioni dissenzienti, che intendono opporsi a una determinazione motivata di conclusione della conferenza. Tale strumento ha la finalità precipua di ottenere il superamento del dissenso. Esso si inserisce tra le novità di maggior rilievo, previste dal d.lgs. n. 127/2016, in tema di conferenza di servizi.

L'articolo in esame, in primis, chiarisce che sono legittimate a esperire il nuovo rimedio le amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali, della salute e della incolumità pubblica. Per tale ragione può esser definita anche come opposizione qualificata, inquadrabile nello strumento del ricorso gerarchico improprio (non si tratta, infatti, di ricorso in opposizione, perché decide un'amministrazione diversa da quella dissenziente; e neanche di ricorso gerarchico proprio, in quanto non v'è relazione gerarchica tra amministrazione dissenziente e amministrazione che risolve il conflitto).

Ulteriore condizione, per poter proporre opposizione, è la manifestazione in maniera inequivoca, da parte delle suddette amministrazioni, del proprio motivato dissenso prima della chiusura dei lavori della conferenza stessa.

Per quanto concerne l' iter procedimentale, l'opposizione qualificata può essere esperita entro 10 giorni a decorrere dalla data di comunicazione della determinazione motivata di conclusione della conferenza di servizi. L'opposizione, che ne sospende l'efficacia, deve esser proposta al Presidente del Consiglio dei Ministri.

Quanto ai possibili esiti della conferenza, può accadere che, all'esito della riunione, le amministrazioni partecipanti raggiungano l'intesa; quest'ultima si sostituisce alla determinazione motivata di conclusione della conferenza.

In caso di esito negativo, invece, entro 15 giorni dallo svolgimento della riunione, la questione è rimessa al Consiglio dei Ministri.

Tale organo, a sua volta, potrà respingere l'opposizione con la conseguenza che la determinazione motivata di conclusione della conferenza acquisisce efficacia definitiva. In caso di accoglimento parziale dell'opposizione, lo stesso modifica il contenuto della determinazione motivata.

Bibliografia

Caringella, Manuale di Diritto Amministrativo, Roma, 2020.

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