Legge - 7/08/1990 - n. 241 art. 16 - Attività consultiva 12
1. Gli organi consultivi delle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, sono tenuti a rendere i pareri ad essi obbligatoriamente richiesti entro venti giorni dal ricevimento della richiesta. Qualora siano richiesti di pareri facoltativi, sono tenuti a dare immediata comunicazione alle amministrazioni richiedenti del termine entro il quale il parere sarà reso, che comunque non può superare i venti giorni dal ricevimento della richiesta 3. 2. [In caso di decorrenza del termine senza che sia stato comunicato il parere obbligatorio o senza che l'organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie, è in facoltà dell'amministrazione richiedente di procedere indipendentemente dall'espressione del parere.] In caso di decorrenza del termine senza che sia stato comunicato il parere [facoltativo] o senza che l'organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie, l'amministrazione richiedente procede indipendentemente dall'espressione del parere. Salvo il caso di omessa richiesta del parere, il responsabile del procedimento non può essere chiamato a rispondere degli eventuali danni derivanti dalla mancata espressione dei pareri di cui al presente comma 4. 3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano in caso di pareri che debbano essere rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini5. 4. Nel caso in cui l'organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie, i termini di cui al comma 1 possono essere interrotti per una sola volta e il parere deve essere reso definitivamente entro quindici giorni dalla ricezione degli elementi istruttori da parte delle amministrazioni interessate 6. 5. I pareri di cui al comma 1 sono trasmessi con mezzi telematici 7. 6. Gli organi consultivi dello Stato predispongono procedure di particolare urgenza per l'adozione dei pareri loro richiesti. 6-bis. Resta fermo quanto previsto dall' articolo 127 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 , e successive modificazioni8. [1] Rubrica inserita dall’articolo 21, comma 1, lettera u), della legge 11 febbraio 2005, n. 15. [2] A norma dell'articolo 2, comma 5, del O.P.C.M. 8 luglio 2004, n. 3361, in deroga a quanto disposto dal presente articolo, i pareri, i visti e i nulla-osta relativi agli interventi previsti nel progetto che si dovessero rendere necessari anche successivamente alla conferenza dei servizi si intendono inderogabilmente acquisiti con esito positivo trascorsi 10 giorni dalla richiesta effettuata dal legale rappresentante dell'Ente attuatore. [3] Comma sostituito dall’articolo 17, comma 24, della legge 15 maggio 1997, n. 127 e successivamente modificato dall'articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 18 giugno 2009, n. 69. [4] Comma sostituito dall’articolo 17, comma 24, della legge 15 maggio 1997, n. 127, successivamente dall'articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 18 giugno 2009, n. 69, e, da ultimo, modificato dall'articolo 12, comma 1, lettera f), del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 settembre 2020, n. 120. [5] Comma sostituito dall’articolo 17, comma 24, della legge 15 maggio 1997, n. 127. [6] Comma sostituito dall’articolo 17, comma 24, della legge 15 maggio 1997, n. 127 e successivamente modificato dall'articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 18 giugno 2009, n. 69. [7] Comma sostituito dall'articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 18 giugno 2009, n. 69. [8] Comma aggiunto dall'articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 18 giugno 2009, n. 69. InquadramentoAll'interno del procedimento amministrativo assumono particolare rilevanza i pareri che la pubblica amministrazione procedente deve (o può) acquisire, da altri organi (differenti cioè da quello titolare del procedimento) o da altre amministrazioni, ogniqualvolta l'incidenza degli effetti del provvedimento ad adottare su taluni interessi specifici coinvolti nel procedimento amministrativo richieda e necessiti di una specifica e peculiare ponderazione. Ed invero, i pareri sono atti strumentali procedimentali consistenti in dichiarazioni di giudizio o di opinione delle quali l'Amministrazione che adotta il provvedimento finale si avvale per raggiungere una decisione che tenga adeguatamente conto dei diversi interessi pubblici e privati a vario titolo coinvolti nel procedimento amministrativo. I pareri possono essere facoltativi od obbligatori: sono facoltativi quando la loro richiesta non è imposta dalla legge, mentre sono obbligatori quando la richiesta è invece prescritta ex lege. Bisogna, comunque, precisare che la facoltatività attiene alla richiesta, non al parere che, indipendentemente dal suo contenuto, dovrà, infatti, essere emanato. È, invece, vincolante il parere il cui contenuto non può essere disatteso dall'autorità richiedente. Quando si richiede un parere, l'istruttoria procedimentale risulta particolarmente complessa e poiché l'inerzia dell'organo deputato ad esprimere il parere non può trasformarsi in pregiudizio per il cittadino (Cass. sez. lav., n. 8304/2007; Cons. St. V, n. 1386/2006), il legislatore ha avvertito l'esigenza, in ossequio ai principi di economicità e di semplificazione, enunciati in via generale dalla l. n. 241/1990 (Cons. St. IV, n. 7356/2005), di prevedere per tali ipotesi una disciplina specifica e generale nell'art. 16 della l. n. 241/1990. Ed invero, al fine di contemperare l'interesse all'acquisizione del parere con il rispetto del termine di conclusione del procedimento di cui all'art. 2 l. n. 241/1990, l'art. 16 impone un termine certo (individuato dalla l. n. 69/2009, in venti giorni, in luogo dei quarantacinque originariamente previsti dalla precedente formulazione dell'art. 16), entro il quale gli organi consultivi pronunciarsi. Inoltre, l'art. 16 (così come modificato dall'articolo 12, comma 1, lettera f, del d.l. n. 76/2020, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 120/2020) dispone che, in tutti i casi in cui sia chiesto un parere (facoltativo od obbligatorio) ad un organo consultivo e questo non si sia espresso o non abbia rappresentato esigenze istruttorie nei termini fissati dalla legge o, in mancanza, nei venti giorni dalla richiesta, l'amministrazione deve prescinderne, dovendo concludere il procedimento. La disciplina in esame, tuttavia, non opera ove i pareri debbano essere rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e della salute dei cittadini: si tratta di ipotesi per le quali la particolare natura degli interessi coinvolti nel procedimento rende imprescindibile la ponderazione e l'esatta valutazione in sede consultiva dell'incidenza che sugli stessi ha l'azione amministrativa (T.A.R. Lazio, Roma II, n. 6076/2002). Il termine previsto per l'emanazione dell'atto consultivo può essere interrotto per una sola volta, nel caso in cui esigenze istruttorie dell'organo adito lo richiedano; in ogni caso, il parere deve comunque essere reso definitivamente entro quindici giorni dalla ricezione degli elementi istruttori da parte dell'amministrazione procedente. Natura giuridica dei pareri, effetti, motivazione del provvedimento finale.I pareri, anche se obbligatori, sono atti consultivi e non di amministrazione attiva (Cass. civ. n. 13749/2005). Quanto agli effetti, i pareri tecnici (siano essi facoltativi o obbligatori) non vincolanti, una volta emanati dovranno essere tenuti di conto dall'Amministrazione richiedente in sede decisoria: essa potrà discostarsi dal parere, ma dovrà adeguatamente motivare per non incorrere in eccesso di potere. Configura invece un'ipotesi di illegittimità dell'atto per violazione di legge il discostamento da parte dell'Amministrazione procedente rispetto ad un parere parzialmente vincolante con modalità diverse da quelle normativamente prescritte. Appare chiaro che parere e provvedimento finale costituiscono pur sempre due atti distinti, giacché l'eventuale laconicità dei pareri obbligatori non rifluisce nell'illegittimità del provvedimento finale a meno che lo stesso non possa dirsi autonomamente inficiato da un difetto di motivazione; pertanto, ove i pareri siano stati espressi secondo modalità ovvero in forma superficiale, il provvedimento finale ben può autonomamente reggersi ove la motivazione adottata sia comunque congrua e idonea a superare gli eventuali deficit motivazionali degli atti endoprocedimentali (T.A.R. Abruzzo, L'Aquila, I, 2008). Con riguardo ai pareri non vincolanti è, quindi, pacifico che la pubblica amministrazione procedente abbia la facoltà di discostarsi, purché la sua decisione sia supportata da un congruo impianto motivazionale (T.A.R. Marche, Ancona, I, n. 1778/2007). Parere e competenza.Come chiarito dalla giurisprudenza, la richiesta di parere, pur se effettuata da un organo diverso da quello competente, è idonea ad investire efficacemente gli organi interpellati della funzione di loro competenza, trattandosi di un procedimento che, pur svolgendosi con l'intervento di diverse autorità pubbliche, ha carattere unitario e la normativa che lo regola deve essere interpretata alla stregua dei principi di economicità e di semplificazione enunciata in via generale della l. n. 241/1990 (Cons. St. IV, n. 7536/2005). Pareri ed interessi sensibili.L'articolo 16 prevede, infine, che le forme di semplificazione previste dai commi 1 e 2 del medesimo articolo non trovino applicazione in caso di pareri rilasciati dalle Amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini. Si tratta di una doverosa eccezione, derivante dalla particolare natura degli interessi pubblici coinvolti, definiti dalla dottrina come interessi «sensibili» o «costituzionalmente rilevanti». Delicata rimane la questione relativa all'armonizzazione di tali disposizioni con le previsioni del titolo V della Costituzione, in cui protezione dell'ambiente, del paesaggio e del territorio sono ripartite tra Stato e Regioni in modo poco lineare. Come è noto, infatti, mentre alla potestà legislativa esclusiva statale è demandata la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, alla potestà legislativa concorrente Stato-Regioni è attribuita la tutela della salute e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali. Determinante è, quindi, la funzione ermeneutica della Corte Costituzionale, che si è ripetutamente pronunciata sul controverso riparto di competenze (Cerulli, Irelli, Pinelli, 67). Sicché, non applicandosi i primi due commi dell'art. 16, i pareri in materia ambientale, paesaggistica, e territoriale restano disciplinati dalla normativa di settore, che potrà continuare a prevedere un termine superiore a quello indicato dalla legge. In mancanza di normativa di settore, occorrerà, quindi, attendere l'emanazione dell'atto consultivo. L'art. 16 sembra, però, non coordinato con altre previsioni della l. n. 241/1990 in tema proprio di disciplina degli interessi sensibili: basti pensare al caso della conferenza di servizi semplificata di cui al nuovo art. 14-bis della l. n. 241/1990, nella quale la determinazione delle amministrazioni preposte alla cura di interessi sensibili si intende reso nel senso dell'assenso decorsi novanta giorni dalla richiesta; o ancora all'ipotesi di silenzio-assenso tra Amministrazioni di cui all'art. 17-bis della medesima l. n. 241/1990. Appare, infatti, contraddittorio che per i pareri richiesti ai sensi dell'art. 16 l'Amministrazione procedente sia tenuta ad attendere la pronuncia dell'organo o dell'ente interpellato in funzione consultiva, mentre nell'ambito della conferenza di servizi e nei casi di cui all'art. 17-bis operi la regola del silenzio assenso. Pareri su interessi sensibili, silenzio e conferenza di servizi. Ne consegue (v. supra) che se il procedimento principale debba essere concluso entro 90 giorni (art. 2 comma 3) e si debbano acquisire pareri di altri Enti, qualora questi ultimi siano resi in 20 giorni, allora la scelta di procedersi ai sensi dell'art. 16 l. n. 241/1990 sarà stata corretta da parte dell'Amministrazione procedente. Ma qualora non sia indetta una conferenza di servizi, preferendosi, quindi, la richiesta dei singoli pareri alle Autorità preposte alla tutela di interessi sensibili ai sensi dell'art. 16, senza però poi ottenere i pareri richiesti per inerzia delle Autorità interpellate, l'Ente procedente sarà tenuto ad attendere i pareri delle Autorità deputate alla tutela degli interessi sensibili, non operando la regola di cui all'art. 16 comma 2 per espressa esclusione ad opera del comma 3. Di conseguenza, l'Ente procedente sarà responsabile della tardiva conclusione del procedimento, poiché, non operando la regola del silenzio assenso (in ragione dell'espressa esclusione prevista dall'art. 20 comma 4), si realizzerà un silenzio inadempimento, che non potrà essere giustificato dall'attesa dei pareri chiesti e mai pervenuti, tenuto conto che il ritardo poteva essere evitato qualora fosse stata indetta sin da subito un'apposita conferenza di servizi istruttoria (artt. 14 e 14-bis). Si configura, pertanto, una responsabilità della pubblica amministrazione procedente nei confronti del privato istante per danno da ritardo. Modalità telematica di trasmissione del parere.Al fine di accelerare ulteriormente l'istruttoria procedimentale e di garantire il rispetto dei termini di conclusione del procedimento, la legge impone la trasmissione del parere con mezzi telematici, in armonia con il dettato di cui all'art. 3-bis, che dispone in via generale l'uso degli strumenti telematici da parte della p.a. L'art. 16 non contiene alcun richiamo né al d.P.R. n. 445/2000 (testo unico sul documento informatico), né al d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell'amministrazione digitale); cionondimeno non si pone in deroga con dette normative e neanche impedisce di assegnare ai pareri teletrasmessi il carattere proprio del documento amministrativo informatico. Si può, dunque, ritenere che, in riferimento alla fase istruttoria, l'art. 16 costituisca un elemento di correlazione tra la l. n. 241/1990 e l'insieme di regole attinenti all'uso degli strumenti informatici e telematici nella pubblica amministrazione. Conclusione procedimento e ritardo per pareri.Come noto, l'art. 2 della l. n. 241/1990 impone alle pubbliche amministrazioni di concludere i procedimenti amministrativi di loro competenza con un provvedimento espresso, che deve intervenire (per le Amministrazioni dello stato o per gli enti pubblici nazionali) entro trenta giorni dalla data di inizio del procedimento ovvero nel diverso termine stabilito con legge o con regolamento adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. La legge fondamentale sul procedimento amministrativo assoggetta ad un regime rigorosamente legale ogni possibile deroga all'obbligo della P.A. di rispettare i termini per provvedere. Essa stabilisce, con portata tassativa, i casi in cui è ammesso il superamento dei termini, sottraendo totalmente al potere discrezionale della P.A. e ad ogni facoltà dispositiva dei privati coinvolti nel procedimento anche la possibilità di incidere sulla durata dello “slittamento” in avanti del procedimento quando la legge stessa tale slittamento permette. Le deroghe legali al dovere di concludere i procedimenti nei termini prefissati coincidono con i casi in cui la citata legge stabilisce che i termini restino sospesi per un certo tempo. Ciò può accadere (solo) quando la P.A. necessita di acquisire informazioni o certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in suo possesso o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni (art. 2, comma 7), quando la P.A. deve acquisire il parere facoltativo o obbligatorio di organi consultivi ovvero le valutazioni di organi tecnici (artt. 16 e 17). Tuttavia, la giurisprudenza è ferma nell'escludere l'illegittimità-invalidità del provvedimento emesso oltre il termine di conclusione del procedimento (T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna II, n. 116/2017). Ciò, sull'assunto che i termini di conclusione del procedimento hanno natura ordinatoria e non perentoria, dal momento che nessuna norma sancisce la decadenza del potere della P.A. di emettere la determinazione conclusiva del procedimento dopo lo spirare dei termini per emetterla. Non decadendo il potere della P.A. di provvedere dopo lo scadere dei termini, il provvedimento tardivo promana da un potere esistente e non può considerarsi viziato solo perché intervenuto “ultra termines” (Cons. St. VI, n. 3215/2008; n. 140/2009; n. 2110/2009). La responsabilità del responsabile del procedimento.La legge di riforma del 2009 ha introdotto un nuovo periodo al comma 2 dell'art. 16, secondo cui, salvo il caso di omessa richiesta del parere, il responsabile del procedimento non può essere chiamato a rispondere degli eventuali danni derivanti dalla mancata espressione dei pareri. La richiamata disposizione normativa, dunque, afferma, a contrario, la responsabilità del responsabile del procedimento che non abbia chiesto il parere obbligatorio ex lege, escludendola, invece, nel caso in cui il responsabile del procedimento si sia attivato per la sua richiesta, considerato che, una volta domandata l'emissione del parere, il responsabile del procedimento ha consumato il proprio potere di iniziativa ed impulso, con la conseguente non imputabilità a lui dei danni derivanti dalla mancata espressione dei pareri richiesti. Come noto, la responsabilità civile dei funzionari e dipendenti dello Stato e degli enti pubblici è sancita e prevista dall'art. 28 Cost. e si configura nei confronti degli utenti come responsabilità solidale a quella della pubblica amministrazione. L'art. 16 comma 2 l. n. 241/1990, individua, dunque, una peculiare ipotesi di responsabilità civile del funzionario o del dipendente pubblico, configurabile in capo al responsabile del procedimento in caso di inosservanza del vincolo normativo preordinato ad imporre la richiesta di un parere obbligatorio (pur essendo, tale disposizione, riferita tanto ai pareri obbligatori quanto a quelli facoltativi) e, dunque, da una violazione di legge, a meno di voler ritenere che costituisca evento dannoso l'omessa richiesta di un parere facoltativo che sarebbe stato opportuno richiedere. Si tratta, in ogni caso, della prima tipizzazione di un'ipotesi di responsabilità civile all'interno della legge sul procedimento, integrante un'eccezione rispetto ai casi di indennizzo ivi contemplati. Inoltre, poiché la norma in questione considera potenzialmente foriera di danno ingiusto la condotta dell'autorità amministrativa procedente che, tramite il suo responsabile del procedimento, non abbia chiesto il parere da acquisire, la fattispecie illecita configurabile appare riconducibile nell'ambito del c.d. danno da ritardo, con riferimento al quale emergono le problematiche del tempo come bene della vita da salvaguardare nel procedimento amministrativo, della lesività del silenzio e della meritevolezza di tutela risarcitoria delle posizioni vantate da privati in ambito procedimentale. Può, dunque, ritenersi che il legislatore abbia introdotto nella disciplina del procedimento amministrativo un'enunciazione espressa della responsabilità patrimoniale del responsabile del procedimento ed una definizione testuale di un'ipotesi di possibile danno da ritardo. L'impugnazione dei pareri.In generale, i pareri, in quanto atti endoprocedimentali, non sono autonomamente impugnabili, potendo essere impugnati soltanto congiuntamente al provvedimento conclusivo adottato dall'Amministrazione procedente. Pertanto, in linea di principio, i pareri possono essere immediatamente impugnabili soltanto in casi eccezionali in cui i loro effetti siano tali da incidere direttamente nella sfera giuridica dell'interessato. La giurisprudenza ha, peraltro, ritenuto i pareri siano suscettibili di autonoma impugnazione nei casi in cui l'amministrazione attiva decida di fare proprie integralmente le conclusioni in esso rassegnate. Così, il Consiglio di Stato ha ritenuto immediatamente impugnabile il parere allorquando, nel caso di rilascio di titoli edilizi, il Sindaco, ne abbia implicitamente fatto proprio il contenuto (Cons. St. V, n. 881/2008). Al riguardo è stato, infatti, osservato che il parere della Commissione edilizia comunale è privo di propria autonomia funzionale e strutturale (Cons. St. V, n. 881/2008; Cons. St. V I, n. 489/2002) e non ha né formalmente, né sostanzialmente, valore provvedimentale di atto di assentimento o diniego della concessione edilizia richiesta (Cons. St. V, n. 4325/2003), pur quando ne sia ravvisata obbligatoria l'acquisizione per il rilascio o diniego del provvedimento di concessione (Cons. St. VI, n. 489/2002). Esso è immediatamente impugnabile solo quando il sindaco, con la notifica del parere medesimo, lo abbia implicitamente fatto proprio e vi abbia impresso, come autorità competente al rilascio dei titoli edilizi, la configurazione di una definitiva determinazione dell'Amministrazione sull'istanza di concessione edilizia (Cons. St. V, n. 4532/2013; Cons. St. V, n. 1702/2001; T.A.R. Catania, I, n. 156/2018). Autonoma impugnabilità è stata riconosciuta, invece, al parere reso dall'ANAC ai sensi dell'art. 211 del d.lgs. n. 50/2016. Secondo, infatti, la giurisprudenza, l'impugnabilità del suddetto parere è conseguenza naturale, sul piano costituzionale (art. 113 Cost.), del carattere decisorio e autoritativo della determinazione dell'Autorità, trattandosi di un atto che, per quanto a conseguenze sostanziali preaccettate dagli interessati, incide comunque su posizioni di interesse legittimo (Cons. St. V, n. 4529/2018). BibliografiaV. Cerulli, Irelli, Pinelli, Normazione ed amministrazione nel nuovo assetto costituzionale dei poteri pubblici, in Verso il federalismo, Bologna, 2004. |