Legge - 7/08/1990 - n. 241 art. 19 - Segnalazione certificata di inizio attivita' - Scia 1 2 .

Maurizio Francola
aggiornato da Francesco Caringella

Segnalazione certificata di inizio attività - Scia12.

 

1. Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell'interessato, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza, all'amministrazione della giustizia, all'amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti dalla normativa comunitaria. La segnalazione è corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell'atto di notorietà per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali e i fatti previsti negli articoli 46 e 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 , nonché, ove espressamente previsto dalla normativa vigente, dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati, ovvero dalle dichiarazioni di conformità da parte dell'Agenzia delle imprese di cui all' articolo 38, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 , convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 , relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti di cui al primo periodo; tali attestazioni e asseverazioni sono corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di competenza dell'amministrazione. Nei casi in cui la normativa vigente prevede l'acquisizione di atti o pareri di organi o enti appositi, ovvero l'esecuzione di verifiche preventive, essi sono comunque sostituiti dalle autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni di cui al presente comma, salve le verifiche successive degli organi e delle amministrazioni competenti. La segnalazione, corredata delle dichiarazioni, attestazioni e asseverazioni nonché dei relativi elaborati tecnici, può essere presentata mediante posta raccomandata con avviso di ricevimento , ad eccezione dei procedimenti per cui è previsto l'utilizzo esclusivo della modalità telematica; in tal caso la segnalazione si considera presentata al momento della ricezione da parte dell'amministrazione3.

2. L'attività oggetto della segnalazione può essere iniziata, anche nei casi di cui all'articolo 19-bis, comma 2, dalla data della presentazione della segnalazione all'amministrazione competente  4.

3. L'amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa. Qualora sia possibile conformare l'attività intrapresa e i suoi effetti alla normativa vigente, l'amministrazione competente, con atto motivato, invita il privato a provvedere, [disponendo la sospensione dell'attività intrapresa e] prescrivendo le misure necessarie con la fissazione di un termine non inferiore a trenta giorni per l'adozione di queste ultime. In difetto di adozione delle misure da parte del privato, decorso il suddetto termine, l'attività si intende vietata. Con lo stesso atto motivato, in presenza di attestazioni non veritiere o di pericolo per la tutela dell'interesse pubblico in materia di ambiente, paesaggio, beni culturali, salute, sicurezza pubblica o difesa nazionale, l'amministrazione dispone la sospensione dell'attività intrapresa. L'atto motivato interrompe il termine di cui al primo periodo, che ricomincia a decorrere dalla data in cui il privato comunica l'adozione delle suddette misure. In assenza di ulteriori provvedimenti, decorso lo stesso termine, cessano gli effetti della sospensione eventualmente adottata  5 6.

4. Decorso il termine per l'adozione dei provvedimenti di cui al comma 3, primo periodo, ovvero di cui al comma 6-bis, l'amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall'articolo 21-nonies  7.

4-bis. Il presente articolo non si applica alle attività economiche a prevalente carattere finanziario, ivi comprese quelle regolate dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 , e dal testo unico in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58  8

[5. Il presente articolo non si applica alle attività economiche a prevalente carattere finanziario, ivi comprese quelle regolate dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 , e dal testo unico in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 . Ogni controversia relativa all'applicazione del presente articolo è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il relativo ricorso giurisdizionale, esperibile da qualunque interessato nei termini di legge, può riguardare anche gli atti di assenso formati in virtù delle norme sul silenzio assenso previste dall'articolo 20.] 9

6. Ove il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano la segnalazione di inizio attività, dichiara o attesta falsamente l'esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al comma 1 è punito con la reclusione da uno a tre anni.

6-bis. Nei casi di Scia in materia edilizia, il termine di sessanta giorni di cui al primo periodo del comma 3 è ridotto a trenta giorni. Fatta salva l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 4 e al comma 6, restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n.380 , e dalle leggi regionali  10.

6-ter. La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all' art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 11.

 

[2] Per l’interpretazione delle disposizioni di cui al presente articolo, vedi l’articolo 5, comma 2, lettera c), del D.L. 13 maggio 2011, n. 70.

[5] A norma dell' articolo 1, comma 9, dell'O.P.C.M. 26 febbraio 2011, n. 3926, il termine di 60 giorni di cui al presente comma , primo periodo è ridotto a 15 giorni.

[9] Comma abrogato, a decorrere dal 16 settembre 2010, dall’articolo 4, comma 1, numero 14), dell’Allegato 4 al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104.

Inquadramento

La segnalazione certificata di inizio attività (breviter, Scia) rappresenta un altro fondamentale strumento di semplificazione amministrativa, con il quale si concretizza l'opera di riduzione degli oneri burocratici gravanti sullo svolgimento delle attività dei privati, perseguendo il dichiarato fine di eliminare taluni atti e procedimenti amministrativi di tipo autorizzatorio e di addivenire, conseguentemente, alla liberalizzazione delle attività stesse (Caringella, 2018).

Più precisamente, si è soliti ritenere che la denuncia/segnalazione di inizio attività, prevista dall'articolo 19 della l. n. 241/1990 e potenziato dai due decreti legislativi (nn. 216 e 222/2016), di attuazione della legge Madia n. 124/2015, sia il principale strumento di liberalizzazione amministrativa. Essa rappresenta il paradigma generale dell'azione amministrativa e di controllo sull'iniziativa economica, operante, in via generale, per le attività vincolate (Caringella, Manuale ragionato di diritto amministrativo, Roma, 2021, 851).

In tal senso si è espresso anche il Consiglio di Stato (Cons. St. VI, n. 717/2009 ), ritenendo che la denuncia di inizio attività configurerebbe un istituto strumentale alla liberalizzazione delle attività economiche. L'art. 19, infatti, dispone che ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell'interessato, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza, all'amministrazione della giustizia, all'amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti dalla normativa comunitaria.

La legittimazione del privato all'esercizio dell'attività, quindi, non è più fondata sull'atto di assenso della P.A., secondo lo schema «norma-potere-effetto», bensì sarebbe una legittimazione ex lege, secondo lo schema «norma-fatto-effetto», in forza del quale il soggetto è abilitato allo svolgimento dell'attività direttamente dalla legge, la quale disciplina l'esercizio del diritto eliminando l'intermediazione del potere autorizzatorio della P.A. (Caringella, Tarantino, 546).

Con la D.I.A., quindi, si è introdotto un principio di autoresponsabilità del privato, il quale diventa soggetto principale dell'iter procedimentale, posto che l'inizio dell'attività è subordinato all'attestazione da parte dell'istante del possesso dei requisiti richiesti ex lege per lo svolgimento della stessa. La p.a., pertanto, non svolge un ruolo di amministrazione attiva e preventiva nel riconoscimento al privato dell'autorizzazione a svolgere l'attività oggetto dell'istanza, dovendo esercitare un mero potere di verifica ex post dell'effettiva sussistenza dei requisiti dichiarati (Caringella, Tarantino, 546).

Evoluzione storica dell'istituto.

L'istituto è stato introdotto nel 1990 ed è stato più volte modificato dal legislatore nel corso del tempo.

Appare, pertanto, opportuno ripercorrere le principali tappe evolutive che ne hanno contraddistinto la disciplina.

Fase I: la legge n. 241/1990

L'art. 19, nella sua formulazione originaria, demandava ad un regolamento governativo delegato ex art. 17 comma 2 l. n. 400/1988 l'individuazione dei casi in cui era consentito l'esercizio di un'attività privata, subordinata ad autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla osta, permesso o altro atto di consenso, su denuncia di inizio attività da parte dell'interessato.

Il regolamento delegato avrebbe dovuto individuare i casi di D.I.A. a legittimazione immediata (in cui, cioè, l'attività si poteva intraprendere sin dalla presentazione della denuncia), dai casi di D.I.A. a legittimazione differita (in cui, invece, l'attività si poteva intraprendere dopo il decorso di un termine dalla denuncia).

L'Amministrazione era titolare: 1) di un potere inibitorio dell'attività; 2) di un potere conformativo, che si traduceva nell'intimazione di talune prescrizioni che l'interessato avrebbe dovuto rispettare per continuare l'esercizio dell'attività intrapresa; 3) di un potere cautelare implicitamente sospensivo (in quanto non espressamente previsto ma in linea di massima ammesso); 4) di un potere di autotutela (sebbene non unanimemente ammesso, ma dai più ritenuto esperibile in linea di principio); 5) di un potere sanzionatorio, espressamente previsto dall'art. 21 l. n. 241/1990.

La denunzia, inoltre, era aprioristicamente esclusa:

– nel caso in cui il rilascio del provvedimento richiedesse l'esperimento di prove (ossia accertamenti volti a verificare l'idoneità del soggetto all'esercizio dell'attività in parola, ovvero esperimenti tesi ad accertare la qualità di cose);

– quando fosse previsto un limite o un contingente complessivo per il rilascio dell'atto, in considerazione del margine di discrezionalità indefettibilmente sotteso alla fissazione dei limiti «quantitativi»;

– laddove dallo svolgimento dell'attività de qua potesse derivare pregiudizio alla tutela dei valori storico artistici ed ambientali, nonché alla tutela dei lavoratori sui luoghi di lavoro.

Fase II: l. n. 537/1993

La l. n. 537/1993 ha introdotto i seguenti elementi di novità:

1) modifica integralmente l'art. 19 l. n. 241/1990generalizzando l'istituto della D.I.A. che, infatti, passa, da istituto tipico (ossia ammesso soltanto nelle ipotesi previste dalla legge) ad istituto generale, ammissibile ogniqualvolta il rilascio di autorizzazioni, licenze, abilitazioni, nulla-osta, permesso o altro atto di consenso, ad esclusioni delle conclusioni edilizie e delle autorizzazioni rilasciate ai sensi delle leggi n. 1089/1939, n. 1497/1939 e del d.l. n. 312/1985, convertito con modificazioni dalla l. n. 431/1985, dipenda esclusivamente dall'accertamento dei presupposti e dei requisiti di legge, senza l'esperimento di prove a ciò destinate che comportino valutazioni tecniche discrezionali e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo per il rilascio degli atti stessi.

L'istituto in esame, dunque, trovava applicazione esclusivamente nel campo dell'attività amministrativa vincolata, con riferimento soltanto a quegli atti amministrativi il cui rilascio fosse dipeso «esclusivamente» dall'accertamento, di per sé privo di margini di discrezionalità, in ordine alla presenza dei presupposti e dei requisiti prescritti dalla legge ovvero dal mero accertamento di presupposti di carattere tecnico. Erano, viceversa, sottratte al regime di liberalizzazione di cui all'art. 19, le ipotesi in cui il rilascio dell'autorizzazione fosse frutto di discrezionalità amministrativa vera e propria, nonché le fattispecie in cui il rilascio del titolo abilitativo fosse subordinato a valutazioni tecnico-discrezionali (Caringella, Tarantino, 546);

2) si precisa che l'iniziativa economica privata è idonea ad un'immediata attuazione nelle materie previamente soggette a provvedimento autorizzativi vincolati;

3) si ammette la possibilità che la denuncia sia accompagnata da un'autocertificazione attestante la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge;

4) il termine entro il quale la P.A. può esercitare i suoi poteri inibitori e conformativi è di 60 giorni.

Fase III: d.l. n. 35/2005 convertito nella l. n. 15/2005

La Legge 15/2005 inserisce soltanto la rubrica «denuncia di inizio attività» senza modificare il testo dell'articolo 19.

Il d.l. n. 35/2005 convertito in l. n. 15/2005, invece, introduceva i seguenti elementi di novità:

1) scompare il riferimento alla discrezionalità tecnica tra i limiti della D.I.A. e si ammette la possibilità che il termine per l'esercizio dei poteri inibitori e conformativi resti sospeso per il tempo necessario ad acquisire i pareri di organi ed enti, donde l'idea che l'istituto si estenda anche ai settori che implichino valutazioni discrezionali, essendo in tal senso indicativo il richiamo al parere;

2) si esclude l'operatività della D.I.A. nei settori degli interessi sensibili, strategici e comunitari, quali quelli della difesa nazionale, della pubblica sicurezza, dell'immigrazione, dell'amministrazione della giustizia, della amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, della tutela della salute e della pubblica incolumità, del patrimonio culturale e paesaggistico e dell'ambiente, nonché degli atti imposti dalla normativa comunitaria;

3) si generalizza la D.I.A. a legittimazione differita, potendo l'attività essere esercitata entro 30 giorni dalla dichiarazione, con obbligo di una seconda dichiarazione quando si intraprende l'attività;

4) il termine per l'esercizio dei poteri inibitori e conformativi non può essere inferiore a 30 giorni;

5) compare per la prima volta il riferimento all'autotutela di cui agli artt. 21-quinquies e art. 21-nonies l. n. 241/1990;

6) si ammette la possibilità che in certi settori il legislatore preveda termini diversi;

7) si introduce la giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo su tutte le controversie, ivi incluse quelle inerenti all'esercizio dei poteri inibitori e dei poteri di autotutela.

Fase IV: l. n. 69/2009

La l. n. 69/2009 introduce i seguenti elementi di novità:

a) aumenta il novero degli interessi sensibili in relazione ai quali la D.I.A. è esclusa, inserendo espressamente il settore dell'asilo e della cittadinanza;

b) si prevede, poi, oltre ad una D.I.A. differita (la regola) anche una D.I.A. immediata: infatti, nel caso in cui la dichiarazione di inizio attività abbia ad oggetto l'esercizio di attività di impianti produttivi di beni e di servizi e di prestazione di servizi di cui alla direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, compresi gli atti che dispongono l'iscrizione in albi o ruoli o registri ad efficacia abilitante o comunque a tale fine eventualmente richiesta, l'attività può essere iniziata dalla data della presentazione della dichiarazione all'amministrazione competente;

c) si conferma la giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo, precisandosi che il ricorso giurisdizionale, esperibile da qualunque interessato nei termini di legge, può riguardare anche gli atti di assenso formati in virtù delle norme sul silenzio assenso previste dall'articolo 20.

d) si prevede che la disciplina della D.I.A. concerne i livelli essenziali delle prestazioni di cui all'art. 117 comma 2 lett.m) Cost. costituendo, dunque, oggetto di potestà legislativa esclusiva dello Stato.

Fase V: d.l. n. 78/2010

Con il d.l. 78/2010 si introduce la S.C.I.A., un istituto in parte diverso dalla D.I.A. perché contraddistinto dalle seguenti caratteristiche:

1) La segnalazione è corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell'atto di notorietà per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali e i fatti previsti negli articoli 46 e 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, nonché dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati, ovvero dalle dichiarazioni di conformità da parte dell'Agenzia delle imprese di cui all'articolo 38, comma 4, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti di cui al primo periodo; tali attestazioni e asseverazioni sono corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di competenza dell'amministrazione;

2) è a legittimazione diretta, poiché i lavori possono intraprendersi subito, ossia il giorno stesso della segnalazione;

3) i poteri inibitori e conformativi possono essere esercitati entro 60 giorni dalla segnalazione. In caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci, l'amministrazione, ferma restando l'applicazione delle sanzioni penali di cui al comma 6, nonché di quelle di cui al capo VI del testo unico di cui al d.P.R. n. 445/2000, può sempre e in ogni tempo adottare i provvedimenti di cui al primo periodo, cioè quelli inibitori;

4) decorso il termine per l'adozione dei provvedimenti inibitori e conformativi di cui al primo periodo del comma 3, all'amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell'impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell'attività dei privati alla normativa vigente. Si tratta di un limite all'esercizio dei poteri di autotutela

;

5) si ribadisce la giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo;

6) si esclude l'applicazione dell'art. 19 con riguardo alle attività economiche a prevalente carattere finanziario, ivi comprese quelle regolate dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, e dal testo unico in materia di intermediazione finanziaria di cui al d.lgs. n. 58/1998

;

7) si introduce un'apposita fattispecie penale incriminatrice: «Ove il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano la segnalazione di inizio attività, dichiara o attesta falsamente l'esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al comma 1 è punito con la reclusione da uno a tre anni».

Fase VI: d.l. 70/2011 (edilizia)

Il d.l. 70/2011 introduce, con il comma 6-bis dell'art. 19, i seguenti elementi di novità:

a) si prevede che in tema di edilizia la P.A. possa esercitare i suoi poteri inibitori entro 30 giorni, anziché 60 dalla segnalazione;

b) fatta salva l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 6, (cioè la configurabilità del reato di cui sopra), restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regionali.

Fase VII: l'art. 6, comma 1, lett. c), d.l. n. 138/2011, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 148/2011

L'art. 6, comma 1, lett. c), d.l. n. 138/2011, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 148/2011, introducendo il comma 6-ter nell'art. 19, chiarisce la natura giuridica della S.C.I.A., statuendo che la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività si riferiscono ad attività liberalizzate e non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire l'azione di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del d.lgs. n. 104/2010.

Fase VIII: d.l. n. 91/2014 (convertito con modificazioni dalla l. n. 116/2014)

Il d.l. n. 91/2014 (convertito con modificazioni dalla l. n. 116/2014) ha modificato il comma 4 dell'art. 19, statuendo che, decorso il termine previsto per l'adozione dei provvedimenti inibitori e ripristinatori di cui al comma 3 o al comma 6-bis (SCIA edilizia), ovvero nel caso di segnalazione corredata della dichiarazione di conformità di cui all'articolo 2, comma 3, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 luglio 2010, n. 159 (attività d'impresa), all'amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell'impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell'attività dei privati alla normativa vigente.

Fase IX: l. n. 124/2015

La l. n. 124/2015 introduce i seguenti elementi di novità:

a) si modifica la disciplina dell'esercizio dei poteri inibitori, prevedendo che l'amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa. Qualora sia possibile conformare l'attività intrapresa e i suoi effetti alla normativa vigente, l'amministrazione competente, con atto motivato, invita il privato a provvedere, disponendo la sospensione dell'attività intrapresa e prescrivendo le misure necessarie con la fissazione di un termine non inferiore a trenta giorni per l'adozione di queste ultime. In difetto di adozione delle misure stesse, decorso il suddetto termine, l'attività si intende vietata.

b) si elimina il riferimento all'art. 21 -quinquies, rimanendo soltanto quello all'art. 21 -nonies, con la precisazione che i poteri esperibili dopo i 60 giorni sono sempre quelli del comma 3 (cioè inibitori, repressivi e conformativi) purché al ricorrere dei presupposti di cui all'art. 21-nonies l. n. 241/1990.

c) si introduce il comma 4-bis, ribadendo quanto già previsto dal comma 5 (abrogato a decorrere dal 16 settembre 2010, dall'articolo 4, comma 1, numero 14, dell'Allegato 4 al d.lgs. n. 104/2010) e, quindi, escludendo dall'ambito di applicazione dell'art. 19 le attività economiche a prevalente carattere finanziario, ivi comprese quelle regolate dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, e dal testo unico in materia di intermediazione finanziaria di cui al d.lgs. n. 58/1998.

d) si modifica il comma 4, eliminando le limitazioni introdotte dal d.l. n. 91/2014 (convertito con modificazioni dalla l. n. 116/2014) statuenti l'impossibilità di esercitare i poteri inibitori e ripristinatori di cui al comma 3 o al comma 6-bis (SCIA edilizia), ovvero nel caso di segnalazione corredata della dichiarazione di conformità di cui all'articolo 2, comma 3, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 luglio 2010, n. 159 (attività d'impresa), una volta decorsi i termini di 60 o 30 giorni previsti per il loro esercizio, ammettendosene l'esperibilità soltanto in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell'impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell'attività dei privati alla normativa vigente. Il comma 4, infatti, non prevede più alcun limite.

Fase X: d.lgs. n. 126/2016 (S.C.I.A. 1) e d.lgs. n. 222/2016 (S.C.I.A. 2)

In attuazione della Legge delega n. 124/2015 sono stati emanati due decreti legislativi, statuenti la disciplina della S.C.I.A., allo stato, definitiva: il d.lgs. n. 126/2016 (c.d. S.C.I.A. 1) ed il d.lgs. n. 222/2016 (S.C.I.A. 2).

Il d.lgs. n. 126/2016, in attuazione dell'articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124, reca la disciplina generale applicabile ai procedimenti relativi alle attività private non soggette ad autorizzazione espressa e soggette a segnalazione certificata di inizio di attività, ivi incluse le modalità di presentazione delle segnalazioni o istanze alle pubbliche amministrazioni, restando ferma la disciplina delle altre attività private non soggette ad autorizzazione espressa.

Più precisamente, si demanda a successivi decreti legislativi l'individuazione delle attività oggetto di procedimento di mera comunicazione o segnalazione certificata di inizio di attività od oggetto di silenzio assenso, nonché quelle per le quali è necessario il titolo espresso, prevedendosi, allo scopo di garantire certezza sui regimi applicabili alle attività private e di salvaguardare la libertà di iniziativa economica, che le attività private non espressamente individuate ai sensi dei medesimi decreti o specificamente oggetto di disciplina da parte della normativa europea, statale e regionale, sono libere.

L'art. 3 comma 1 lett. b) del d.lgs. n. 126/2016 ha modificato l'art. 19 comma 3 l. n. 241/1990 in relazione ai poteri inibitori, prevedendo che, qualora sia possibile conformare l'attività intrapresa ed i suoi effetti alla normativa vigente, l'amministrazione competente, con atto motivato, prescrive le misure necessarie, senza sospendere l'attività intrapresa a meno che non si sia in presenza di attestazioni non veritiere o di pericolo per la tutela dell'interesse pubblico in materia di ambiente, paesaggio, beni culturali, salute, sicurezza pubblica o difesa nazionale. Soltanto in quest'ultimo caso, infatti, con l'atto motivato contemplante l'indicazione delle misure da adottare per la conformazione a legge, l'Amministrazione deve (e non «può») sospendere dell'attività intrapresa.

Il d.lgs. n. 222/2016, invece, elenca le attività per le quali è necessaria la comunicazione o la S.C.I.A. o l'autorizzazione con o senza silenzio assenso.

Con l'art. 2 comma 4 si precisa, poi, che nei casi rientranti nel regime amministrativo della Scia, il termine di diciotto mesi di cui all'articolo 21-nonies, comma 1, della l. n. 241/1990, decorre dalla data di scadenza del termine previsto dalla legge per l'esercizio del potere ordinario di verifica da parte dell'amministrazione competente, fermo restando quanto stabilito dall'articolo 21, comma 1, della l. n. 241/1990 ed ossia la configurabilità del reato previsto dall'articolo 483 del codice penale o di altro reato, se più grave, in caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni, con conseguente preclusione di qualsivoglia possibilità di conformazione dell'attività e dei suoi effetti a legge o di eventuale sanatoria.

La disciplina attuale della S.C.I.A.

La S.C.I.A. è un istituto di liberalizzazione delle attività private, a differenza dell'art. 20, ossia del silenzio-assenso, che è un istituto di semplificazione amministrativa poiché la funzione rimane amministrativa sia dal punto di vista sostanziale (stante la possibilità per la P.A. di concludere entro i termini di legge il procedimento con un provvedimento espresso), sia dal punto di vista procedimentale (considerato che nei casi di silenzio assenso si applicano gli artt. 2 comma 7 e 10-bis l. n. 241/1990).

Nella S.C.I.A., infatti, non interviene con alcuna manifestazione di volontà provvedimentale di assenso o dissenso in ordine allo svolgimento dell'attività del privato, avendo la P.A. soltanto il potere di verifica dei presupposti ed eventualmente poteri inibitori e conformativi di un'attività già esercitata.

La P.A., cioè, non ha un potere di accoglimento della S.C.I.A., poiché il modello procedimentale dell'art. 19 l. n. 241/1990 non lo prevede. Per questo si parla di liberalizzazione delle attività privata.

L'attività del privato, infatti, inizia con una segnalazione, accompagnata da un determinato tipo di documentazione.

La S.C.I.A. si applica alle attività il cui esercizio sia subordinato al mero accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da normative settoriali e purché in merito a queste attività non sussistano, da un lato, esigenze di programmazione e, dall'altro, contingenti limiti o contingenti complessivi.

L'accertamento dei presupposti è ormai un profilo della S.C.I.A. che oggi non ha più importanza, poiché il d.lgs. n. 222/2016 ha specificato tutti i casi in cui si applica l'istituto della S.C.I.A. Quindi, l'art. 19 l. n. 241/1990 rimane un valido referente normativo quanto a presupposti sostanziali, ma sotto il profilo applicativo, molte delle controversie e delle problematiche che vi erano prima sono state risolte dalla casistica individuata dal d.lgs. n. 222/2016 (S.C.I.A. 2).

La S.C.I.A., dunque, è un atto del privato che, in presenza dei presupposti di legge e della documentazione prevista dalla legge, consente al privato di iniziare l'attività nello stesso momento in cui ne segnala l'inizio all'Autorità competente all'esercizio dei controlli.

L'efficacia della Segnalazione Certificata di Inizio Attività è, quindi, subordinata alla presentazione dei documenti indicati dall'art. 19 comma 1 l. n. 241/1990.

L'art. 2 comma 1 d.lgs. n. 126/2016 (S.C.I.A. 1), nell'ottica della semplificazione procedimentale della trasparenza, ha previsto l'obbligo per le P.A. di ricorrere ad una modulistica semplificata ed omogenea.

La Conferenza Stato-Regione del 5 maggio 2017 ha emanato la modulistica in tema di attività commerciali ed assimilate ed in tema di edilizia.

Si tratta di una modulistica unificata in tutto il territorio nazionale.

Insieme a questa modulistica è stata prevista dalla Conferenza Stato-Regione del 5 maggio 2017 anche la documentazione da allegare alle istanze ed anche alle S.C.I.A.

L'art. 2 comma 2 d.lgs. n. 126/2016 impone che questa modulistica sia pubblicata sul sito internet delle P.A., prevedendosi, al comma 4, la possibilità per le P.A. di richiedere integrazioni istruttorie soltanto qualora la documentazione presentata dall'interessato non sia conforme alla modulistica pubblicata, essendo espressamente vietata ogni richiesta di informazioni o documenti ulteriori rispetto a quelli indicati ai sensi del comma 2, nonché di documenti in possesso di una pubblica amministrazione.

Quindi, le P.A. non hanno più il potere di richiedere atti a loro piacimento: è questo il senso della norma.

Natura giuridica della D.I.A./S.C.I.A.

Sulla natura giuridica della D.I.A./S.C.I.A. si sono confrontate, in passato, ben 3 tesi diverse.

D.I.A. come provvedimento tacito della P.A. di autorizzazione dell'attività esercitata dal privato.

In forza di una prima tesi, a lungo prevalente (Cons. St. IV, n. 5811/2008; T.A.R. Umbria, n. 549/2008; Cons. St. IV, n. 3742/2008; T.A.R. Campania, Napoli II, n. 2093/2008; T.A.R. Liguria, Genova I, n. 418/2008; T.A.R. Emilia Romagna, Bologna I, n. 2253/2007; Cons. St. VI, n. 1550/2007), la fattispecie, in esame, aveva natura provvedimentale. Più precisamente, l'art. 19 l. n. 241/1990 descriverebbe un meccanismo in forza del quale, a seguito della presentazione della dichiarazione e con il decorso del termine di 60 o 30 giorni previsto per l'esercizio dei poteri inibitori, si formerebbe un provvedimento tacito di autorizzazione.

L'effetto abilitante, infatti, non deriverebbe direttamente dalla legge, bensì dall'esercizio, seppure in forma semplificata, del potere autorizzatorio ab initio attribuito all'amministrazione.

Detto altrimenti, il meccanismo di produzione dell'effetto giuridico non sarebbe norma - fatto - effetto, bensì norma - potere - effetto.

Da tale interpretazione deriverebbe, come è ovvio, un'identità di natura tra il silenzio assenso e la dichiarazione di inizio di attività. I due istituti si distinguerebbero, quindi, non tanto per il meccanismo quanto, piuttosto, per il procedimento di produzione dell'effetto giuridico (Caringella, Tarantino, pag.550).

I fautori di questa tesi rinvenivano il fondamento normativo della natura provvedimentale della S.C.I.A. nell'art. 19 l. n. 241/1990 nella parte in cui ammetteva l'esercizio di poteri di autotutela della P.A. richiamando espressamente gli artt. 21-quinquies e 21-nonies (Graziano).

Si argomentava, inoltre, che, così opinando, le esigenze di tutela del terzo sarebbero state soddisfatte, potendo costui avere un provvedimento da impugnare.

Altro riferimento normativo di questa tesi era costituito dall'art. 22 d.P.R. n. 380/2001 che consente alle Regioni il potere di disciplinare casi in cui la D.I.A. può sostituire il permesso di costruire. Si argomentava, infatti, per principi di coerenza logica, che se la D.I.A. non fosse un provvedimento amministrativo al pari del permesso di costruire, sarebbe stato irragionevole rimettere la tutela dei terzi ad una scelta discrezionale delle Regioni, considerato che, nei casi in cui si manteneva il permesso di costruire, il terzo aveva un provvedimento da impugnare, mentre, qualora, fosse stata prevista la D.I.A., ed alla medesima non si fosse riconosciuta natura giuridica provvedimentale, il terzo non avrebbe avuto alcun provvedimento amministrativo da impugnare, con conseguente irragionevolezza del pregiudizio patito dall'interessato, se si pensa che nelle medesime in ipotesi, altre Regioni potevano anche aver lasciato il permesso di costruire.

Questa tesi è stata superata dalla giurisprudenza, prima, ed, oggi, anche dal dettato normativo.

Tesi dell'effetto costitutivo.

Secondo altra tesi, dalla D.I.A. scaturirebbe un effetto costitutivo derivante dalla combinazione, in successione: a) dalla presentazione della segnalazione; b) dalla presentazione della documentazione; c) dal decorso del termine per l'esercizio del potere inibitorio; d) l'omesso esercizio del potere inibitorio nel predetto termine.

Questa tesi, cioè, ritiene che per la formazione del titolo abilitativo all'esercizio dell'attività sono necessari i suddetti elementi.

Tuttavia, non si tiene conto della realtà fattuale della S.C.I.A. o della D.I.A. immediata (quando vi era) che, infatti, prevede l'inizio dell'attività contestualmente alla segnalazione e, quindi, prima della formazione del titolo.

Inoltre, questa tesi, come anche quella precedente, è poco coerente con la ratio liberalizzatrice dell'istituto.

Tesi privatistica.

Secondo altra tesi la D.I.A. costituirebbe espressione della liberalizzazione dell'attività privata (Crepaldi, in Liberati, 428), essendone ammesso l'esercizio di talune attività senza la necessità del previo conseguimento di un provvedimento autorizzatorio da parte della pubblica amministrazione.

In particolare, l'effetto legittimante lo svolgimento dell'attività si produrrebbe non in forza di un provvedimento (espresso o tacito) dell'amministrazione, esercizio del potere autorizzatorio, ma direttamente ex lege a seguito della presentazione della dichiarazione di inizio attività e del rispetto del meccanismo di cui all'art. 19 l. n. 241/1990(T.A.R. Campania, Napoli II, n. 8707/2005).

In capo all'amministrazione, residuerebbe esclusivamente un potere successivo di controllo e di inibizione dell'attività non conforme a legge, in alcun modo assimilabile al preventivo potere autorizzatorio (Caringella, Tarantino, 550).

La tesi dell'atto di natura privatistica tiene conto della differenza sussistente tra l'art. 19 e l'art. 20 l. n. 241/1990.

La S.C.I.A. così concepita è coerente: a) con la finalità di liberalizzazione delle attività perseguita dall'istituto; b) con il principio di autoresponsabilità del privato che inizia l'attività sulla base della S.C.I.A. c) con il principio di inizio immediato dell'attività.

L'Adunanza Plenaria n. 15/2011

L'Ad. plen. n. 15/2011 afferma la tesi privatistica della D.I.A., in quanto:

1) La tesi del silenzio significativo con effetto autorizzatorio elimina ogni differenza sostanziale tra gli istituti della d.i.a. e del silenzio-assenso e, quindi, si pone in distonia rispetto al dato normativo che considera dette fattispecie diverse con riguardo sia all'ambito di applicazione che al meccanismo di perfezionamento. Infatti, la l. n. 241/1990, agli articoli 19 e 20, manifesta il chiaro intento di tenere distinte le due fattispecie, considerando la d.i.a. come modulo di liberalizzazione dell'attività privata non più soggetta ad autorizzazione ed il silenzio assenso quale modello procedimentale semplificato finalizzato al rilascio di un pur sempre indefettibile titolo autorizzatorio.

2) la formulazione letterale del primo comma dell'art. 19 della l. n. 241/1990, seguendo un disegno che contrappone la d.i.a. al provvedimento amministrativo di stampo autorizzatorio, sostituisce, in una logica di eterogeneità, ogni autorizzazione comunque denominata (quando il rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento dei requisiti o presupposti di legge o di atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio) con una dichiarazione del privato ad efficacia legittimante. L'attività dichiarata può, quindi, essere intrapresa senza il bisogno di un consenso dell'amministrazione, surrogato dall'assunzione di autoresponsabilità del privato, insito nella denuncia di inizio attività, costituente, a sua volta, atto soggettivamente ed oggettivamente privato.

3) Non c'è quindi spazio, sul piano concettuale e strutturale, per alcun potere preventivo di tipo ampliativo (autorizzatorio, concessorio e, in senso lato, di assenso), sostituito dall'attribuzione di un potere successivo di verifica della conformità a legge dell'attività denunciata mediante l'uso degli strumenti inibitori e repressivi. Il denunciante è, infatti, titolare di una posizione soggettiva originaria, che rinviene il suo fondamento diretto ed immediato nella legge, sempre che ricorrano i presupposti normativi per l'esercizio dell'attività e purché la mancanza di tali presupposti non venga stigmatizzata dall'amministrazione con il potere di divieto da esercitare nel termine di legge, decorso il quale si consuma, in ragione dell'esigenza di certezza dei rapporti giuridici, il potere vincolato di controllo con esito inibitorio e viene in rilievo il discrezionale potere di autotutela.

4) La lettura dell'istituto in termini di provvedimento tacito di assenso non è giustificata neanche dal richiamo legislativo all'esercizio dei poteri di autotutela di cui agli artt. 21-quinquies e 21-nonies della l. n. 241/1990, poiché con tale prescrizione il legislatore, lungi dal prendere posizione sulla natura giuridica dell'istituto a favore della tesi del silenzio assenso, ha voluto solo chiarire che il termine per l'esercizio del potere inibitorio doveroso è perentorio e che, comunque, anche dopo il decorso di tale spazio temporale, la p.a. conserva un potere residuale di autotutela. Detto potere, con cui l'amministrazione è chiamata a porre rimedio al mancato esercizio del doveroso potere inibitorio, condivide i principi regolatori sanciti, in materia di autotutela, dalle norme citate, con particolare riguardo alla necessità dell'avvio di un apposito procedimento in contraddittorio, al rispetto del limite del termine ragionevole, e soprattutto, alla necessità di una valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli interessi in rilievo, idonea a giustificare la frustrazione dell'affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante a seguito del decorso del tempo e della conseguente consumazione del potere inibitorio.

5) L'iscrizione dell'art. 19 della l. n. 241/1990 in una logica di liberalizzazione impedisce anche di dare ingresso alla tesi secondo cui, pur dovendosi escludere che per effetto del silenzio dell'amministrazione si formi uno specifico ed autonomo provvedimento di assenso, sarebbe la denuncia stessa a trasformarsi da atto privato in titolo idoneo ad abilitare sul piano formale lo svolgimento dell'attività. Secondo questo approccio ricostruttivo, cioè, la norma prefigurerebbe una fattispecie a formazione progressiva per effetto della quale, in presenza di tutti gli elementi costitutivi, verrebbe a formarsi un titolo costitutivo che non proviene dall'amministrazione ma trae origine direttamente dalla legge. Tali elementi sarebbero la denuncia presentata dal privato, accompagnata dalla prescritta documentazione, il decorso del termine fissato dalla legge per l'esercizio del potere inibitorio ed il silenzio mantenuto dall'amministrazione in tale periodo di tempo. Nella concomitanza di questi tre elementi, sarebbe, dunque, la legge stessa a conferire alla denuncia del privato la natura di “titolo” abilitante all'avvio delle attività in essa contemplate, senza bisogno di ulteriori intermediazioni provvedimentali, esplicite od implicite, dell'amministrazione. L'Ad. plen. ritiene che anche tale tesi sia incompatibile con l'assetto legislativo che rinviene il fondamento giuridico diretto dell'attività privata nella legge e non in un apposito titolo costitutivo, sia esso rappresentato dall'intervento dell'amministrazione o dalla denuncia stessa come atto di autoamministrazione integrante esercizio privato di pubbliche funzioni (cd. “d.i.a. vestita in forma amministrativa”). Del resto, si osserva che la sussistenza di un potere inibitorio, qualitativamente diverso e cronologicamente anteriore al potere di autotutela, è incompatibile con ogni valenza provvedimentale della d.i.a. in quanto detto potere non potrebbe certo essere esercitato in presenza di un atto amministrativo se non previa la sua rimozione. Il riconoscimento di un potere amministrativo di divieto, da esercitare a valle della presentazione della d.i.a. e senza necessità della rimozione di quest'ultima secondo la logica del contrarius actus, dimostra, in definitiva, l'insussistenza di un atto di esercizio privato del potere amministrativo e l'adesione ad un modello di liberalizzazione temperata che sostituisce l'assenso preventivo con il controllo successivo.

L'Ad. plen. n. 15/2011, pertanto, conclude affermando che la denuncia di inizio attività non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge.

La riforma del 2011

L'art. 6, comma 1, lett. c), d.l. n. 138/2011, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 148/2011, introducendo il comma 6-ter nell'art. 19, recepisce l'indirizzo dell'Ad. plen. n. 15/2011, statuendo che la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività si riferiscono ad attività liberalizzate e non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili.

La tutela del terzo.

Problema connesso a quello della S.C.I.A. è la tutela del terzo che si ritenga leso dallo svolgimento dell'attività dichiarata e dal mancato esercizio del potere inibitorio.

Tesi favorevole al ricorso per silenzio rifiuto.

Secondo una tesi in passato maggioritaria il terzo poteva invocare la tutela dell'interesse legittimo pretensivo di cui è titolare con l'esercizio dell'azione nei confronti del silenzio-rifiuto (o inadempimento), disciplinata dagli artt. 31 e 117 del codice del processo amministrativo (così, ex multis, Cons. St. V, n. 948/2007; Cons. St. IV, n. 4453/2002). Secondo, infatti, una certa linea di pensiero, il silenzio-rifiuto (o inadempimento) sarebbe stato configurabile con riferimento all'esercizio del doveroso potere inibitorio. Ad avviso di un'altra lettura, invece, il terzo, decorso senza esito il termine per l'esercizio del potere inibitorio, sarebbe stato legittimato a richiedere all'Amministrazione l'adozione dei provvedimenti di “autotutela”, attivando, in caso di inerzia, il rimedio di cui agli artt. 31 e 117 del codice del processo amministrativo. Non mancava, infine, chi si riferiva al silenzio-rifiuto maturato in ordine all'esplicazione del potere sanzionatorio di cui all'art. 21 della l. n. 241/1990.

Nessuna delle esposte ricostruzioni era dogmaticamente ineccepibile e, soprattutto, idonea a garantire al terzo, titolare di una situazione giuridica differenziata e qualificata, una tutela piena, immediata ed efficace.

L'applicazione del rito del silenzio all'omesso esercizio del potere inibitorio doveroso, infatti, era resa problematica dalla circostanza che il silenzio-rifiuto postula, sul piano strutturale, la sopravvivenza del potere al decorso del tempo fissato per la definizione del procedimento amministrativo, mentre, nella specie, lo spirare del termine perentorio di legge implica la definitiva consumazione del potere in esame. In altre parole, nel silenzio-inadempimento lo spirare del termine di legge non conclude il procedimento ma accentua il dovere della p.a. di porre fine all'illecito comportamentale permanente, al contrario di quanto accade nel caso di specie dove l'inerzia dell'amministrazione che si protragga oltre i confini di cui all'art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990, conclude il procedimento estinguendo il potere amministrativo di divieto. Ne conseguiva che, anche a voler ritenere che l'azione nei confronti del silenzio-rifiuto fosse proponibile, in conformità all'ampio tenore letterale dell'art. 31, comma 1, del codice del processo amministrativo, con riguardo ad un potere ufficioso, il decorso del tempo non avrebbe implicato una mera inerzia nell'esercizio di un potere ancora esistente – ossia una violazione del permanente obbligo di definizione della procedura, stigmatizzabile con un ricorso, proposto nel termine annuale di cui all'art. 31, comma 2, del codice del processo amministrativo, al fine di sollecitare una risposta esplicita dell'amministrazione ancora titolare del potere –, producendo un esito negativo della procedura, sotto il profilo della definitiva preclusione dell'esercizio del potere inibitorio.

La protrazione del silenzio amministrativo, sosteneva l'Ad. plen. n. 15/2011, avrebbe dato luogo, quindi, ad un esito negativo del procedimento che produce la lesione dell'interesse pretensivo del terzo al conseguimento della misura inibitoria (con correlato consolidamento della legittimazione del denunciante a porre in essere l'attività), non tutelabile con il rimedio congegnato dal legislatore con riguardo al silenzio-inadempimento.

L'Ad. plen. n. 15/2011 non riteneva persuasiva neanche la ricostruzione che, proprio prendendo le mosse da tali considerazioni, reputava praticabile il rimedio avverso il silenzio non significativo mantenuto dall'amministrazione a fronte dell'istanza proposta dal terzo al fine di eccitare l'esercizio del potere di autotutela.

Anche questa soluzione non era idonea a tutelare in modo efficace la sfera giuridica del terzo, poiché, anzitutto, questi avrebbe l'onere, prima di agire in giudizio, di presentare apposita istanza sollecitatoria alla P.A., così subendo una procrastinazione del momento dell'accesso alla tutela giurisdizionale, e, quindi, un'incisiva limitazione dell'effettività della tutela giurisdizionale in spregio ai principi di cui agli artt. 24,103 e 113 Cost.

Inoltre, e soprattutto, l'istanza sarebbe stata diretta ad eccitare non il potere inibitorio di natura vincolata (che si estingue decorso il termine perentorio di legge), ma il c.d. potere di autotutela evocato dall'art. 19 della l. n. 241/1990 tramite il richiamo ai principi sottesi agli artt. 21-quinquies e 21-nonies. Tale potere, tuttavia, è ampiamente discrezionale in quanto postula la rammentata ponderazione comparativa, da parte dell'amministrazione, degli interessi in conflitto, con precipuo riferimento al riscontro di un interesse pubblico concreto e attuale che non coincide con il mero ripristino della legalità violata. Nell'eventuale giudizio avverso il silenzio-rifiuto, quindi, il giudice amministrativo non avrebbe potuto che limitarsi ad una mera declaratoria dell'obbligo di provvedere, senza poter predeterminare il contenuto del provvedimento da adottare. Era, quindi, evidente per l'Ad. plen. n. 15/2011 la compressione dell'interesse del terzo ad ottenere una pronuncia che impedisca lo svolgimento di un'attività illegittima mediante un precetto giudiziario puntuale e vincolante che non subisca l'intermediazione aleatoria dell'esercizio di un potere discrezionale.

Non era, peraltro, immune da censure neanche la tesi che postula l'attivazione del rito del silenzio rifiuto al fine di contrastare l'omessa adozione dei provvedimenti sanzionatori, posto che, secondo l'Ad. plen. n. 15/2011, il potere richiamato dall'articolo 21 della l. n. 241/1990 è soggetto a stringenti limiti che lo rendono inidoneo a soddisfare, in modo effettivo e pieno, la posizione del terzo. Sul punto basti pensare che la legislazione di settore consente all'amministrazione l'adozione di sanzioni pecuniarie che, per loro natura, sono inidonee a soddisfare l'interesse del terzo ad ottenere una misura che impedisca l'attività denunciata e neutralizzi gli effetti dalla stessa già prodotti.

La soluzione dell'Ad. plen. n. 15/2011: azione di accertamento ed azione di annullamento.

L'Ad. plen. n. 15/2011 ritiene che la sincronizzazione del meccanismo di tutela con i connotati della posizione soggettiva lesa, ossia l'interesse pretensivo ad ottenere una concreta misura interdittiva, esigeva, in un'ottica costituzionalmente orientata, di accedere ad una lettura del sistema delle tutele che consentisse al terzo di esperire un'azione idonea ad ottenere il risultato della cessazione dell'attività lesiva non ammessa dalla legge mediante il doveroso intervento dell'amministrazione titolare del potere di inibizione.

Pertanto, l'Ad. plen. n. 15/2011 afferma che:

a) la scadenza dei termini di cui all'art. 19, commi 3 e 6-bis, senza che l'amministrazione abbia esercitato i poteri inibitori ivi previsti, dà luogo alla formazione di una determinazione tacita di conclusione negativa del procedimento di accertamento di eventuali vizi della segnalazione nonché di diniego di esercizio di quei poteri, con conseguente onere per il terzo controinteressato di proporre avverso tale provvedimento tacito l'azione di annullamento entro l'ordinario termine decadenziale decorrente dalla data di acquisita conoscenza dell'iniziativa pregiudizievole;

b) il controinteressato che abbia impugnato il silenzio negativo, benché siano scaduti i termini per l'adozione dei provvedimenti inibitori, ha comunque diritto “ad ottenere una pronuncia che impedisca lo svolgimento di un'attività illegittima mediante un precetto giudiziario puntuale e vincolante che non subisca l'intermediazione aleatoria dell'esercizio di un potere discrezionale”; perciò esso può sempre proporre, congiuntamente all'azione di annullamento del diniego tacito, la cosiddetta azione di adempimento, tesa ad ottenere una pronuncia che imponga all'amministrazione l'adozione del negato provvedimento inibitorio, ove non vi siano spazi per la regolarizzazione della SCIA ai sensi del comma 3 dell'art. 19 della l. n. 241/1990 (art. 34 comma 1 lett. c) c.p.a.);

c) nelle more della formazione del titolo tacito, il terzo che abbia avuto conoscenza dell'iniziativa segnalata può proporre un'azione di accertamento autonoma in ordine alla legittimità o meno della SCIA (azione suscettibile di conversione automatica nel mezzo impugnatorio in caso di sopravvenuta emanazione dell'atto conclusivo del procedimento di verifica), nonché, congiuntamente a tale azione, chiedere la tutela interinale di cui agli artt. 55 e 61 del c.p.a.

d) l'azione di accertamento, una volta maturato il termine per la definizione del procedimento amministrativo, si converte automaticamente in domanda di impugnazione del provvedimento sopravvenuto in quanto la portata sostanziale del ricorso iniziale finisce per investire in pieno, sul piano del petitum sostanziale e della causa petendi, la decisione della pubblica amministrazione di non adottare il provvedimento inibitorio

La soluzione del legislatore del 2011

Il legislatore ha, invece, seguito un altro indirizzo, decidendo per il rito del silenzio, subito dopo la pubblicazione della decisione dell'Ad. plen.

Infatti, le conclusioni dell'Ad. plen. adottate con la richiamata decisione n. 15/2011 sono state rese note con il deposito del 29 luglio 2011, mentre con l'art. 6, comma 1, lett. c), d.l.13 agosto 2011 n. 138, convertito, con modificazioni, dalla l. 14 settembre 2011 n. 148, è stato introdotto nell'art. 19 il comma 6-ter, che, dopo avere chiarito la natura giuridica non provvedimentale della S.C.I.A., riconosce ai terzi interessati la possibilità di sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, di esperire l'azione di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del d.lgs. n. 104/2010.

I dubbi interpretativi e la questione di legittimità costituzionale dell'art. 19 comma 6-ter l. n. 241/1990

L'intervento del legislatore del 2011 era stato tutt'altro che chiarificatore, avendo destato più di qualche perplessità nella giurisprudenza in ordine proprio alle concrete modalità di esperimento della tecnica di tutela prescelta per il terzo.

Il T.A.R. Toscana, in particolare, aveva osservato che il meccanismo di tutela del terzo congegnato dall'art. 19, comma 6-ter, della l. n. 241/1990 richiederebbe, per la sua concreta operatività, l'individuazione di tre distinti termini:

A) il primo è quello entro il quale il terzo deve sollecitare le verifiche spettanti all'amministrazione;

B) il secondo è quello entro cui l'amministrazione si deve pronunciare su tale istanza e decorso il quale essa deve considerarsi inerte;

C) l'ultimo è quello entro il quale il terzo deve esperire l'azione avverso il silenzio mantenuto dall'amministrazione.

Il secondo e il terzo termine sarebbero agevolmente rinvenibili: quello concesso all'amministrazione per pronunciarsi sull'istanza sollecitatoria del privato si ricaverebbe dalla disciplina generale dettata dall'art. 2 della l. n. 241/1990, secondo cui, in mancanza di una diversa previsione normativa, i procedimenti amministrativi ad istanza di parte devono concludersi entro trenta giorni dal ricevimento della domanda; il termine per la proposizione dell'azione sul silenzio è invece fissato espressamente dall'art. 31, comma 2, cod. proc. amm., secondo cui essa può essere intentata fintanto che perdura l'inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento.

Non sarebbe invece fissato dalla norma, né sarebbe ricavabile dal sistema, il termine entro il quale il terzo deve presentare l'istanza di sollecitazione delle verifiche amministrative, donde la prospettata «possibilità interpretativa in base alla quale il terzo resterebbe sempre libero di presentare l'istanza sollecitatoria dei poteri amministrativi inibitori nonché di agire ex art. 31 c.p.a avverso il silenzio eventualmente serbato dall'Amministrazione».

Pertanto, il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sezione terza, con l'ordinanza 11 maggio 2017 n. 129, sollevava la questione di legittimità costituzionale dell'art. 19 comma 6-ter della l. n. 241/1990nella parte in cui non prevede un termine finale per la sollecitazione, da parte del terzo, dei poteri di verifica sulla segnalazione certificata d'inizio attività (SCIA) spettanti alla pubblica amministrazione.

Secondo il rimettente la disposizione censurata, infatti, violerebbe:

1) in primo luogo, gli artt. 3, 11 e 117, primo comma – quest'ultimo in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con l. 4 agosto 1955, n. 848, e all'art. 6, paragrafo 3, del Trattato sull'Unione europea (TUE), firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, entrato in vigore il 1 novembre 1993 − e secondo comma, lettera m), della Costituzione, perché non tutela l'affidamento del segnalante (cioè di colui il quale costruisce sulla base della segnalazione certificata di inizio attività), che sarebbe esposto sine die al rischio di inibizione dell'attività oggetto di SCIA;

2) sotto altro profilo, l'art. 3 Cost., perché, con specifico riferimento all'attività edilizia, darebbe luogo ad una irragionevole disparità di trattamento tra il segnalante e coloro che realizzino interventi assoggettati a permesso di costruire, esposti alla reazione del terzo per il solo termine di sessanta giorni previsto, a pena di decadenza, per l'impugnazione del titolo edilizio espresso.

3) i principi di ragionevolezza e buon andamento della pubblica amministrazione di cui agli artt. 3 e 97 Cost., poiché: a) l'amministrazione sarebbe costretta a verificare i presupposti dell'attività segnalata anche qualora sia trascorso un notevole lasso di tempo dal deposito della SCIA e nonostante abbia già esercitato il controllo d'ufficio, così aggravandosi l'attività amministrativa; b) perché la possibilità incondizionata di rivalutare, anche a notevole distanza di tempo, l'assetto di interessi già definito aumenterebbe il rischio di decisioni amministrative contraddittorie; e perché l'incertezza normativa sull'esistenza di un termine e sul dies a quo della sua decorrenza − e quindi sull'obbligo dell'amministrazione di attivarsi a fronte dell'istanza del terzo − inciderebbe sull'efficienza dell'attività amministrativa.

4) il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., infine, anche “in relazione” all'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., perché: a) la mancata previsione del termine si tradurrebbe in una violazione degli standard minimi, che il legislatore statale deve assicurare nella normazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; b) perché darebbe luogo a una disciplina contraddittoria che, da un lato, incentiva la semplificazione e la liberalizzazione delle attività amministrative e, dall'altro, espone chi si avvale della SCIA al rischio permanente di vedere travolta, su iniziativa del terzo, l'attività segnalata; c) e perché tradirebbe “l'esigenza di uniformità normativa che caratterizza l'istituto”, aprendo “la strada a discipline territoriali eterogenee ... con conseguente disomogeneità degli standards di tutela”.

La decisione della Corte Costituzionale.

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 45/2019, ha risolto la questione, anzitutto, precisando che certamente non sbaglia il T.A.R. Toscana a ritenere che la previsione di un termine costituisca, nel contesto normativo in questione, un requisito essenziale dei poteri di verifica sulla SCIA a tutela dell'affidamento del segnalante (sentenza n. 49/2016). Tuttavia, la soluzione implica un esame concreto dei poteri richiamati dalla norma.

Il comma 3 dell'art. 19 attribuisce, infatti, alla PA un triplice ordine di poteri (inibitori, repressivi e conformativi), esercitabili entro il termine ordinario di sessanta giorni dalla presentazione della SCIA, dando la preferenza a quelli conformativi, «[q]ualora sia possibile»; mentre il successivo comma 4 prevede che, decorso tale termine, quei poteri sono ancora esercitabili «in presenza delle condizioni» previste dall'art. 21-novies della stessa l. n. 241/1990.

Quest'ultimo, a sua volta, disciplina l'annullamento in autotutela degli atti illegittimi, stabilendo che debba sussistere un interesse pubblico ulteriore rispetto al ripristino della legalità, che si operi un bilanciamento fra gli interessi coinvolti e che, per i provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati, il potere debba essere esercitato entro il termine massimo di diciotto mesi.

Il comma 6-bis dell'art. 19 applica questa disciplina anche alla SCIA edilizia, riducendo il termine di cui al comma 3 da sessanta a trenta giorni e prevedendo, inoltre, che, «restano [...] ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regionali».

Ebbene, contrariamente a quanto ritenuto dal rimettente, è a questi poteri che deve ritenersi faccia riferimento il comma 6-ter, poiché quest'ultimo è stato introdotto dall'art. 6, comma 1, del d.l. n. 138/2011 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, nella l. n. 148/2011, in aperta dialettica con la sentenza n. 15/2011 dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, al fine di escludere l'esistenza di atti amministrativi impugnabili (il cosiddetto silenzio-diniego) e quindi di limitare le possibilità di tutela del terzo all'azione contro il silenzio, inteso in modo tradizionale come inadempimento. Il riferimento alle «verifiche spettanti all'amministrazione», dunque, non è finalizzato ad introdurre nuovi poteri, ma è funzionale alla sollecitazione da parte del terzo.

Le verifiche cui è chiamata l'amministrazione ai sensi del comma 6-ter sono, dunque, quelle già puntualmente disciplinate dall'art. 19, da esercitarsi entro i sessanta o trenta giorni dalla presentazione della SCIA (commi 3 e 6-bis), e poi entro i successivi diciotto mesi (comma 4, che rinvia all'art. 21-novies), con la conseguenza che, decorsi questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida definitivamente nei confronti dell'amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo. Questi, infatti, è titolare di un interesse legittimo pretensivo all'esercizio del controllo amministrativo, e quindi, venuta meno la possibilità di dialogo con il corrispondente potere, anche l'interesse si estingue.

La Corte costituzionale, quindi, precisa che siffatto limite temporale non pregiudica il diritto di difesa del terzo, poiché, nella prospettiva dell'interesse legittimo, il terzo potrà attivare, oltre agli strumenti di tutela già richiamati, i poteri di verifica dell'amministrazione in caso di dichiarazioni mendaci o false attestazioni, ai sensi dell'art. 21, comma 1, della l. n. 241/1990 (in questo caso «non è ammessa la conformazione dell'attività e dei suoi effetti a legge»); potrà sollecitare i poteri di vigilanza e repressivi di settore, spettanti all'amministrazione, ai sensi dell'art. 21, comma 2-bis, della l. n. 241/1990, come, ad esempio, quelli in materia di edilizia, regolati dagli artt. 27 e seguenti del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ed espressamente richiamati anche dall'art. 19, comma 6-bis. Esso avrà, inoltre, la possibilità di agire in sede risarcitoria nei confronti della PA in caso di mancato esercizio del doveroso potere di verifica (l'art. 21, comma 2-ter, della l. n. 241/1990 fa espressamente salva la connessa responsabilità del dipendente che non abbia agito tempestivamente, ove la segnalazione certificata non fosse conforme alle norme vigenti).

Peraltro, rimane pur sempre possibile la tutela civilistica del risarcimento del danno, anche eventualmente in forma specifica.

La Corte Costituzionale, pertanto, dichiara non fondate le questioni di legittimità sollevate dal T.A.R. Toscana, sebbene ritenga opportuno un intervento normativo sull'art. 19, quantomeno ai fini, da una parte, di rendere possibile al terzo interessato una più immediata conoscenza dell'attività segnalata e, dall'altra, di impedire il decorso dei relativi termini in presenza di una sua sollecitazione, in modo da sottrarlo al rischio del ritardo nell'esercizio del potere da parte dell'amministrazione e al conseguente effetto estintivo di tale potere.

La giurisprudenza recente sulla tutela del terzo.

La giurisprudenza ritiene il ricorso avverso il silenzio il principale strumento di tutela esperibile per il terzo che si ritenga leso dall'attività da altri intrapresa sulla base di una S.C.I.A.

In tal senso, infatti, è stato affermato che l'art. 19 commi 3 e 6-bis circoscrive il potere dell'Amministrazione di verificare la carenza dei requisiti e dei presupposti per l'applicazione del regime della s.c.i.a. entro un termine precipuo e perentorio, con la precisazione che soltanto se e in quanto la sollecitazione di cui al comma 6-ter intervenga prima della scadenza di quel termine essa può considerarsi idonea a fondare il riconoscimento dell'obbligo di provvedere con l'ampiezza di contenuti ed effetti che si è indicata, e quindi l'obbligo ad un dispiegamento senza limiti dei poteri repressivi sugli effetti dell'attività. Qualora, invece, la sollecitazione – che deve essere comunque assistita da elementi minimali di identificazione e qualificazione dell'attività della quale si chiede la verifica, in assenza dei quali l'Amministrazione non soltanto non è obbligata ma non dispone neppure degli elementi conoscitivi essenziali per svolgere le proprie verifiche e emanare un provvedimento (cfr. Cons. St. IV, n. 625/2017) – sia proposta oltre il suddetto termine (e quindi, a seconda dei casi, oltre il termine di sessanta o di trenta giorni dal ricevimento della s.c.i.a. da parte dell'Amministrazione), essa non può valere ad attribuire un potere che, con quei contenuti e effetti, si è ormai consumato. Cionondimeno, poiché il comma 6-ter si riferisce in via generale alle verifiche spettanti all'amministrazione, e quindi anche a quelle che sono previste dal precedente comma 4, e fa in ogni caso espresso riferimento all'adozione dei provvedimenti previsti dal medesimo comma 3, l'istanza proposta oltre il termine comunque è idonea a porre in capo alla medesima l'obbligo di procedere e emanare un provvedimento espresso, il cui contenuto, tuttavia non è vincolato bensì condizionato dall'accertamento e valutazione della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 21-nonies. Deve, quindi, escludersi che l'attività che si chiede all'Amministrazione di esercitare possa qualificarsi come “vincolata” nel suo contenuto sostanziale ai sensi dell'art. 31, comma 3, c.p.a. e che il giudice possa pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa. Nondimeno si è in presenza di un'istanza tesa a determinare un potere di autotutela avente peculiari caratteristiche, essendo preordinato anche alla tutela del terzo interessato, sicché pur essendo discrezionale il contenuto del provvedimento da adottare, in questo caso l'Amministrazione ha comunque uno specifico obbligo quanto meno di provvedere sull'istanza, dando conto con provvedimento espresso della sussistenza o meno di tutti i presupposti (anche temporali) previsti dall'articolo 21-nonies per l'intervento in autotutela (Cons. St. IV, n. 3 124/2019).

Questioni applicative

1) Il terzo dispone di una tutela effettiva a fronte della consumazione del potere inibitorio da parte della p.a.?

Si è osservato che sulla scia le sentenze Corte cost. n. 45/2019 e 153/2020 della Consulta lasciano aperto il tema della legittimità costituzionale di un sistema che, a causa dell'avverbio «esclusivamente» presente nell'articolo 19, comma 6-ter, della l. n. 241, impedisce al terzo incolpevole una tutela necessaria per far fronte ai pregiudizi patiti prima della formazione del silenzio rifiuto e in caso di impossibilità di contestazione del silenzio stesso.

La circostanza che l'istanza del terzo non inneschi un potere autonomo (che sarebbe inammissibilmente in bianco, atipico e indeterminato), ma ecciti solo il potere d'ufficio sottoposto a termine perentorio, implica il rischio che la consumazione sine culpa del potere pubblico produca l'estinzione sostanziale dell'interesse legittimo; in questo modo tuttavia l'interesse legittimo non è più interesse autonomo e sostanziale, ma torna a essere riflesso del potere, cioè interesse occasionalmente protetto, tutelato nella misura in cui permanga il potere pubblico (potere inibitorio) o vi sia l'interesse pubblico ad esercitarlo (autotutela); l'interesse legittimo – la cui tutela è legata a doppio filo dal potere amministrativo – finisce per essere plasmato dal potere con contenuto variabile per godere di una tutela basculante in funzione del modulo procedimentale di esercizio del potere, in violazione dell'articolo 24 Cost; il terzo è addirittura trasformato in collaboratore dell'amministrazione, con onere di sollecitazione per far emergere il potere ufficioso e legittimarsi alla contestazione del silenzio rifiuto («avendo il legislatore configurato in questi termini la posizione sostanziale del terzo, l'onere di sollecitazione risponde all'apprezzabile ratio di fare emergere, a fronte del potere di controllo officioso dell'amministrazione, la sua concorrente posizione legittimante»); l'interesse del terzo può essere inciso da una diversa configurazione sostanziale del potere, non da un mero diverso modello procedimentale che inneschi incongrui effetti discriminatori e distorsivi; neanche può essere utile l'articolo 2058 che non può incidere sull'assetto scelto dalla legge; o implicare una rimessione in termini del terzo, visto il carattere perentorio e non derogabile del termine decadenziale;

Si deve allora paventare in chiave ermeneutica un'innovativa soluzione, conforme all'assetto costituzionale, secondo cui la consumazione del potere non può che riguardare il rapporto bilaterale segnalante-amministrazione, mentre, stante la scissione dei rapporti, il terzo che non abbia incolpevolmente formulato istanza di inibizione sarebbe legittimato ad agire con azioni atipiche (Ad. Plenaria 15/2011), essendo inaccettabile il premio all'interesse illegittimo pretensivo ai danni dell'interesse legittimo oppositivo; si aggiunge che l'istanza proposta entro i 60 giorni cristallizzerebbe il potere di verifica alla luce dell'effetto retroattivo della sentenza sul silenzio e che, configurandosi uno degli «altri casi previsti dalla legge», il terzo possa agire prima della scadenza del termine almeno per ottenere una misura cautelare impeditiva di un'attività gravemente e immediatamente pregiudizievole (grazie al riferimento agli altri casi di legge exarticolo 31 c.p.a. il terzo può chiedere l'accertamento dell'obbligo come se la sollecitazione fosse un atto di iniziativa procedimentale: non lo è ma è come se lo fosse ai limitati fini della formazione del silenzio e dei rimedi in base al combinato disposto con l'articolo 19, comma 6-ter); quanto all'autotutela, è ormai pacifico in giurisprudenza e in dottrina che il terzo, dopo avere sollecitato la verifica alle condizioni previste per l'autotutela, ha la possibilità di agire con l'azione avverso il silenzio, che presuppone l'obbligo di provvedere dell'amministrazione (anche se si condiziona la realizzazione dell'interesse alla intermediazione aleatoria dell'esercizio di un potere discrezionale, che poterebbe orientarsi nell'escludere l'autotutela nonostante l'illegittimità della scia); resta ferma in base alla doppia tutela la giurisdizione ordinaria per la lesione provocata dall'attività segnalata a diritti del terzo tutelati dal diritto comune (vicinato, distanze, altezze, salute, igiene).

Insomma quella offerta dalla Consulta è una sistemazione costituzionalmente non soddisfacente se non si ammette, con operazione ortopedica, una tutela atipica sia a monte, per evitare, con misure cautelari anche «ante causam», pregiudizi irreparabili prodotti dall'attività prima della scadenza del termine per l'esercizio del potere inibitorio; sia a valle, con tutela anche atipica o rimessione in termini, in caso di incolpevole inosservanza del termine per la contestazione del silenzio-rifiuto.

Più in generale la consumazione del potere è una soluzione paventabile solo nel caso di rapporto schiettamente bilaterale, basato sulla contrapposizione autorità-libertà, non per i frequenti rapporti multipolari che necessitano di una presa in carico dell'esigenza di tutela del terzo.

Va altresì rilevata la necessità di distinguere il caso in cui la consumazione del potere sia solo temporanea o endo-procedimentale, nel senso di consentire il riesercizio del potere attraverso l'attivazione di una nuova procedura (si pensi al caso del termine perentorio nell'espropriazione); dal caso di consumazione sostanziale (o definitiva o eso-procedimentale), ove il singolo procedimento sia l'unico luogo di esercizio di un potere originariamente circoscritto (come accade nel caso del procedimento disciplinare, sanzionatorio o nel potere inibitorio ex articolo 19 o nel silenzio con valore legale tipico ex comma 8-bis); nel caso del 10-bis è definitivamente consumato il potere per i motivi ricavabili dal procedimento svolto, mentre il potere è riesercitabile per motivi sopravvenuti e autonomi.

L'assetto è invece difeso da Aldo Travi: «Gli strumenti di tutela giurisdizionale sono strettamente legati alla configurazione degli interessi meritevoli», considerato che «le utilità conseguibili dal processo devono essere coerenti con il diritto sostanziale»; e che «il processo non può «inventare» figure o pretese giuridiche che non esistono nel diritto sostanziale. In altre parole, se il legislatore modifica il regime di un'attività sottraendola al provvedimento e la sottopone a Scia/Dia, liberalizzandola, ciò incide di riflesso anche sui contenuti della tutela giurisdizionale del terzo e il mutamento non può ritenersi lesivo per ciò stesso del diritto di azione. Il punto di partenza del ragionamento non deve essere una tutela del terzo in termini equivalenti a quelli configurabili nei confronti di un provvedimento amministrativo che non esiste più, ma deve essere semmai la disciplina sostanziale dell'istituto». Nello stesso senso, S. Tuccillo, La s.c.i.a. edilizia alla ricerca di un equilibrio tra il ruolo dell'amministrazione e le ragioni dei privati, in Riv. giur. ed., 1, 2016, 141, secondo cui: «Dall'esame della norma che disciplina il controllo successivo sulla segnalazione discende che il potere inibitorio – sia in forma piena (esercitabile nei 60 giorni successivi alla segnalazione) che attenuata (attingibile invece nel termine di 18 mesi) – ha una durata massima di esercizio pressoché definita. Decorso questo periodo (..) anche l'intervento del terzo dovrebbe considerarsi «fuori campo», se non per il limitato ambito di esplicazione dei poteri sanzionatori residui». Nello stesso senso A. Travi, La tutela del terzo nei confronti della d.i.a. (o della s.c.i.a.): il codice del processo amministrativo e la quadratura del cerchio, in Foro it., 2011.: «La d.i.a. (o la s.c.i.a.) è strumento di «liberalizzazione», in forza della quale la posizione giuridica del privato che avvia l'attività si qualifica essenzialmente come diritto soggettivo; nei confronti dell'esercizio di un tale diritto, la tutela del terzo presuppone fisiologicamente che egli assuma essere stato leso in un proprio diritto, e una tutela del genere, che inerisce a un rapporto fra privati, è demandata al giudice ordinario».

2) Il controllo tardivo sulla SCIA è doveroso?

Il Consiglio di Stato sposa la tesi virtuosa dell'interpretazione conforme (o adeguatrice) del sistema normativo sulla tutela del terzo nei rapporti multipolari.

Cons. St. VI, n. 5208/2021: «I poteri di controllo tardivo sulla SCIA, di cui all'art. 19, comma 4, l. n. 241/1990, sollecitati dal terzo, sono doverosi nell' an , ferma restando la discrezionalità nel quomodo»

È noto che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 45/2019, non ha accolto la tesi secondo cui la sollecitazione del ‘terzo' avrebbe ad oggetto solo poteri inibitori, anche se presentata dopo la scadenza del termine perentorio (di cui ai commi 3 o 6-bis dell'art. 19, l. n. 241/1990), reputando invece che dopo tale termine il terzo possa sollecitare solo i poteri di autotutela. Alla luce di tale pronuncia, i poteri di controllo sulla SCIA, se attivati tempestivamente (entro i sessanta o trenta giorni dalla segnalazione), sono vincolati, con la conseguenza che l'interessato potrebbe chiedere anche l'accertamento della fondatezza nel merito della pretesa; se attivati invece dopo il decorso del termine ordinario (ed entro i successivi diciotto mesi), sono invece subordinati alla sussistenza delle ‘condizioni' di cui all'art. 21-nonies, l. n. 241/1990. La Corte non ha tuttavia precisato se sussista, in capo all'Amministrazione, l'obbligo di avvio e conclusione del procedimento di controllo tardivo sollecitato dal terzo, ferma restando la piena discrezionalità nel quomodo.

Depongono nel senso della doverosità (in deroga al consolidato orientamento secondo cui l'istanza di autotutela non è coercibile), sia l'argomento letterale – segnatamente, la differente formulazione dell'art. 21-nonies rispetto all'art. 19, comma 4, l. n. 241/1990, il quale ultimo, a differenza del primo, dispone che l'amministrazione «adotta comunque» (e non già semplicemente «può adottare») i provvedimenti repressivi e conformativi (sempre che ricorrano le ‘condizioni' per l'autotutela) –, sia la lettura costituzionalmente orientata del disposto normativo.

Avendo il legislatore optato per silenzio-inadempimento quale unico mezzo di tutela (‘amministrativa') messo a disposizione del ‘terzo', ove non sussistesse neppure l'obbligo di iniziare e concludere il procedimento di controllo tardivo con un provvedimento espresso, si finirebbe per privare l'istante di ogni tutela effettiva davanti al giudice amministrativo, in contrasto con gli artt. 24 e 113 Cost. È necessario quindi riconoscere, rispetto alla sollecitazione dei poteri di controllo tardivo, quanto meno l'obbligo dell'amministrazione di fornire una risposta.

Insomma, il terzo non subisce, oltre al danno della consumazione del potere, la beffa dell'estinzione radicale dell'interesse legittimo.

L'obbligo di provvedere su istanze che impattano sulla posizione giuridica del terzo è stato, da ultimo, affermato con nettezza da T.A.R. Lazio, II, 4333/2020: «L'interpretazione costituzionalmente orientata, ai sensi degli artt. 24 e 113 Cost., dell'obbligo di provvedere sull'istanza dell'interessato «negli altri casi previsti dalla legge», sancito dall'art. 31, comma 1, c.p.a., porta ad affermare la sussistenza del dovere di provvedere in relazione alla posizione giuridica del terzo, titolare di un interesse legittimo oppositivo, i cui interessi materiali, oggetto di un rapporto negoziale posto a valle, siano pregiudicati, in via diretta o indiretta, da rapporto di diritto pubblico posto a monte».

Ha ricordato il T.A.R. centrale che da tempo la giurisprudenza ha interpretato in senso sostanziale la previsione dell'obbligo di provvedere posto a carico dall'amministrazione stabilendo che «sussiste l'obbligo giuridico di provvedere in tutte quelle fattispecie particolari» dove «ragioni di giustizia e di equità» impongano l'adozione di un provvedimento e quindi «tutte le volte in cui» in virtù del dovere di correttezza e di buona amministrazione «sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell'Amministrazione (Cons. St. V, n. 3487/2010; Cons. St. IV, n. 2468/2012).

Difatti, va evidenziato che, ove si limitasse l'obbligo di provvedere alle sole ipotesi in cui sia il diretto destinatario a lamentarsi della mancata conclusione del procedimento, molte posizioni giuridiche sostanziali verrebbero private di tutela o comunque le istanze ad esse collegate rimarrebbero prive di una adeguata risposta proveniente dai soggetti destinatari delle stesse.

Quest'ultima evenienza si verifica in relazione a tutte quelle posizioni giuridiche di cui sono titolari soggetti, terzi rispetto ad un determinato rapporto di diritto pubblico, i cui interessi materiali sono comunque coinvolti, in via diretta o indiretta, in quel rapporto e che pertanto subiscono pregiudizio, nella propria sfera giuridica, dalla mancata conclusione di un procedimento oppure dalla mancata adozione di un provvedimento inerente al rapporto di diritto pubblico posto a monte collegato al rapporto a valle di cui sono titolari.

In queste ipotesi, ove non si dovesse ravvisare a carico dell'amministrazione l'obbligo di provvedere su istanze che impattano sulla posizione giuridica del terzo, gli interessi materiali di questi, sottesi alla predetta posizione, non riceverebbero adeguata protezione dall'ordinamento e ciò si risolverebbe nella violazione dei principi costituzionali di tutela del diritto di azione e di difesa (art. 24 Cost.) nei confronti dell'attività dell'amministrazione (art. 113 Cost.).

Secondo un consolidato canone di interpretazione giuridica, tra le interpretazioni possibili di una disposizione occorre privilegiare quella che sia compatibile con le disposizioni costituzionali e ciò a maggior ragione laddove viene in rilievo non solo la tutela di posizioni giuridiche sostanziali (artt. 24 e 113 Cost.), ma altresì il perseguimento del buon andamento e dell'imparzialità amministrativa dell'azione amministrativa (art. 97 Cost.).

Più in generale, la giurisprudenza più recente tende poi a considerare sussistente un dovere di risposta ove l'istanza di autotutela sia presentata da soggetto portatore di un interesse qualificato e differenziato: in questo caso, infatti, non si tratterebbe di un esposto volto ad eccitare un potere d'ufficio ma di una vera istanza di un soggetto titolare di una posizione specifica di carattere pretensivo (Cons. St. VI, n. 5208/2021; T.A.R. Lazio, II-quater, 25 gennaio 2021, n. 911; 10702/2020).

Sull'argomento è intervenuta una recentissima pronuncia del Consiglio di Stato (Cons. St. IV, n. 1737/2022) con la quale è stato affermato il seguente principio di diritto: «In materia di rimedi a tutela della posizione di chi si assuma leso dall'attività edilizia posta in essere da altri sulla base di una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 45 del 13 marzo 2019 vanno privilegiate soluzioni interpretative che evitino un eccessivo sacrificio delle esigenze di tutela di tale soggetto; pertanto, sulla base dell'art. 19, l. 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i., è possibile individuare in capo alla p.a. un duplice ordine di poteri: gli ordinari poteri di vigilanza e inibitori sull'attività avviata dal segnalante, esercitabili nei termini perentori di cui ai commi 3 e 6-bis del predetto articolo, e il potere di autotutela di cui all'articolo 21-nonies, espressamente fatto salvo dal successivo comma 4 ed esercitabile anche dopo la scadenza dei detti termini; a norma del comma 6-ter, il privato interessato può invitare l'amministrazione a esercitare i poteri ordinari entro il termine, e in caso di inerzia attivare i rimedi processuali avverso il silenzio-inadempimento dell'amministrazione, ma ciò non esclude che egli possa, anche dopo la scadenza del termine, sollecitare l'esercizio del potere di autotutela ove ricorrano i presupposti di cui al citato art. 21-nonies».

I magistrati di Palazzo Spada rilevano, in definitiva, che l'autotutela in materia di attività edilizia svolta sulla base di una SCIA, di cui al comma 4 dell'art. 19, l. 7 agosto 1990, n. 241, presenta alcune peculiarità rispetto al generale potere di autotutela, in quanto, mentre di regola si assume che questo sia ampiamente discrezionale nell'apprezzamento dell'interesse pubblico che può imporne l'esercizio e non coercibile (al punto che la p.a. non ha neanche l'obbligo di rispondere a eventuali istanze con cui il privato ne solleciti l'esercizio), ciò non vale in questo caso laddove, anche per l'intima connessione di tale potere col più generale dovere di vigilanza che incombe al Comune sull'attività edilizia ai fini dell'ordinato assetto del territorio, a fronte di un'istanza di intervento ai sensi dell'art. 19, comma 4, l'Amministrazione ha il dovere di rispondere, essendo la sua discrezionalità limitata solo alla verifica della sussistenza o meno dei presupposti di cui all'art. 21-nonies (conf. Cons. St. VI, 5208/2021; nonché, sulla questione connessa della normale esclusione di controinteressati nei casi in cui si impugna un provvedimento che nega un “diniego di SCIA”, Cons. St. IV 1302/2022).

Questo orientamento è stato confermato dalla giurisprudenza di primo grado anche dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 45/2019 (cfr. T.A.R. Milano, II, 2 maggio 2020, n. 728; T.A.R. Salerno, II, 8 gennaio 2020, n. 18) e va confermato, a maggior ragione alla luce delle considerazioni svolte dalla sentenza della Corte costituzionale la quale – pur riconoscendo di non potere intervenire sui vuoti normativi esistenti nel sistema – ha messo in evidenza la questione di possibili lacune nella tutela del terzo confinante rispetto agli interventi realizzati sulla base della SCIA.

È evidente che l'autotutela, collocata all'interno del procedimento in esame, presenta due tratti peculiari in quanto: non incide su un precedente provvedimento amministrativo e dunque si caratterizza per essere un atto di “primo grado” che deve, però, possedere i requisiti legittimanti l'atto di “secondo grado”; l'amministrazione, a fronte di una denuncia da parte del terzo, ha l'obbligo di procedere all'accertamento dei requisiti che potrebbero giustificare un suo intervento repressivo e ciò diversamente da quanto accade in presenza di un “normale” potere di autotutela che si connota per la sussistenza di una discrezionalità che attiene non solo al contenuto dell'atto ma anche all'an del procedere.

Il Consiglio di Stato aderisce, allora, alla tesi secondo cui tale opzione interpretativa va sostenuta in quanto coniuga in modo più equilibrato le esigenze di liberalizzazione sottese alla SCIA con quelle di tutela del terzo (e, ora, viene incontro alle preoccupazioni manifestate dalla Corte costituzionale). Se il terzo «potesse sollecitare i poteri inibitori senza limiti temporali e di valutazione dell'incidenza sulle posizioni del privato che è ricorso a questo modulo di azione verrebbero frustrate le ragioni della liberalizzazione, in quanto l'interessato, anche molto tempo dopo lo spirare dei trenta (o sessanta) giorni previsti dalla legge per l'esercizio dei poteri in esame, potrebbe essere destinatario di atti amministrativi inibitori dell'intervento posto in essere. La qualificazione del potere come potere di autotutela costituisce invece, da un lato, maggiore garanzia per il privato che ha presentato la SCIA, in quanto l'amministrazione deve tenere conto dei presupposti che legittimano l'esercizio dei poteri di autotutela e, in particolare, dell'affidamento ingenerato nel destinatario dell'azione amministrativa, dall'altro, non vanifica le esigenze di tutela giurisdizionale del terzo che può comunque fare valere, pur con queste diverse modalità, le proprie pretese» (Cons. St. VI, n. 4610/2016).

Insomma l'autotutela sulla Scia si ammanta di profili di specialità che la rendono doverosa sul piano dell'an, con conseguente configurabilità del silenzio-rifiuto in caso di violazione del dovere di risposta.

3) Considerazioni sulla tutela del terzo pregiudicato dalla consumazione del potere amministrativo.

1) Va, in primo luogo, distinto il caso in cui la consumazione del potere sia solo temporanea o endo-procedimentale, nel senso di consentire il riesercizio del potere attraverso l'attivazione di una nuova procedura (si pensi al caso del termine perentorio nell'espropriazione che non impedisce l'avvio di un nuovo procedimento); da quello della consumazione sostanziale (o definitiva o eso-procedimentale), ove il singolo procedimento sia l'unico e infungibile luogo di esercizio di un potere originariamente circoscritto (come accade nel caso del procedimento disciplinare, sanzionatorio o nel potere inibitorio ex articolo 19 o nel silenzio con valore legale tipico ex comma 8 bis della legge 241); nel caso del 10 bis è definitivamente consumato il potere per i motivi ricavabili dal procedimento svolto, mentre il potere è riesercitabile per motivi sopravvenuti e autonomi;

2) il nuovo comma 8-bis dell'articolo 2 della legge n. 241/1990 ha incrementato le ipotesi di consumazione del potere tardivamente esercitato: il provvedimento tardivo dopo la formazione del silenzio significativo è inefficace in ragione della consumazione del potere di amministrazione attiva, salva l'autotutela (cd. “tempistica in una logica di preclusione”). Il provvedimento tardivo non è pertanto solo illegittimo, ma, a seconda delle tesi, inesistente per carenza in astratto di potere o nullo per difetto assoluto di attribuzione. In ogni caso l'atto è inefficace, con i riflessi conseguenti in tema di riparto di giurisdizione laddove l'atto incida su preesistenti posizioni di diritto soggettivo. Nei rapporti trilaterali incisi dai cd. “provvedimenti a doppio effetto”, la consumazione rischia di sortire ripercussioni negative per l'interesse legittimo oppositivo del terzo, che sarà costretto a impugnare il silenzio significativo ovvero a proporre istanza di autotutela, che, solo secondo la dottrina e la giurisprudenza più coraggiose, è idonea a innescare un dovere di risposta sanzionato dalla formazione del silenzio-rifiuto se l'impulso proviene da un soggetto titolare di un una situazione giuridica sostanziale e autonoma;

3) l'articolo 10-bis è stato introdotto per evitare una frammentazione del procedimento e del processo con tanti ricorsi quante sono le ragioni di diniego non comunicate insieme; si riconduce così a un'impugnazione unica una vicenda unica; la norma, da considerarsi alla stregua di disposizione eccezionale non analogicamente estensibile (per una prima applicazione, in tema di convalida, vedi Cons. St. VI, 3385/2021), ha trasformato il cd “one shot temperato” (Cons. St. VI, n. 1321/1219) in un “one shot procedimentale secco” (dal dovere di riesame al dovere di esame nella sua interezza dell'affare), imponendo alla pubblica amministrazione l'originaria esternazione di tutte le ragioni di diniego risultanti “ex actis”; le acquisizioni procedimentali diventano, quindi, un vincolo stringente: esse devono, infatti, essere dedotte immediatamente visto che la consumazione si produce all'esito del procedimento, non già del processo;

3.1) la soluzione, coniata dal legislatore per evitare la frammentazione del potere e del processo, apre la strada, secondo una prima tesi, in caso di provvedimento adottato con nuova motivazione dopo il giudicato di accoglimento, a un giudizio amministrativo di attribuzione, ma senza spettanza (assegnazione automatica del bene per via della combinazione dell'illegittimità del provvedimento e della consumazione del potere), con una discutibile iper-protezione dell'interesse legittimo; un giudizio non sul rapporto, ma avulso dal rapporto;

altra tesi, attenta al principio di legalità e alla necessità di un'interpretazione conforme, reputa, invece, che, in caso di nuovo atto dopo il giudicato, basato su una motivazione inammissibilmente nuova, si inaugurerà un giudizio di spettanza in seno al quale il giudice di ottemperanza sostituirà l'amministrazione nell'esercizio del potere amministrativamente (ma non giudizialmente) consumato ai fini della valutazione della fondatezza della pretesa;

3.2) Il nuovo 10-bis, in ogni caso, produce intuibili riflessi pregiudizievoli sulla protezione dei terzi controinteressati portatori di un interesse oppositivo; costoro potranno ottenere tutela solo con la tutela risarcitoria e il ricorso incidentale exarticolo 41 c.p.a. nei confronti del primo provvedimento, condizionatamente illegittimo nella parte in cui non valorizza illico et immediate tutte le ragioni di diniego risultanti dalle acquisizioni procedimentali; appare ancora, svilito il senso della comunicazione dei motivi ostativi e del corrispondente contraddittorio, visto che si consente alla p.a. di fare valere, dopo il giudicato, motivi nuovi, ma non motivi già emersi nel contraddittorio procedurale;

4) quanto alla scia, le sentenze 45/2019 e 153/2020 della Consulta lasciano aperto il tema della legittimità costituzionale di un sistema che, a causa dell'avverbio “esclusivamente” presente nell'articolo 19, comma 6-ter, della legge 241, impedisce al terzo incolpevole una tutela necessaria per far fronte ai pregiudizi patiti prima della formazione del silenzio rifiuto e in caso di impossibilità sollecitare le verifiche nei tempi di cui all'articolo 19, comma 6-ter, e di contestazione del silenzio stesso; la circostanza che l'istanza del terzo non inneschi un potere autonomo (che sarebbe inammissibilmente in bianco, atipico e indeterminato), ma ecciti solo il potere d'ufficio sottoposto a termine perentorio, implica il rischio che la consumazione “sine culpa” del potere pubblico produca l'estinzione sostanziale dell'interesse legittimo; in questo modo, tuttavia, l'interesse legittimo non è più interesse autonomo e sostanziale, ma torna a essere riflesso del potere, cioè interesse occasionalmente protetto, tutelato nella misura in cui permanga il potere pubblico (potere inibitorio) o vi sia l'interesse pubblico ad esercitarlo (autotutela); l'interesse legittimo – la cui tutela è legata a doppio filo dal potere amministrativo – finisce per essere plasmato dal potere con contenuto variabile per godere di una tutela basculante in funzione del modulo procedimentale di esercizio del potere, in violazione dell'articolo 24 Cost; il terzo è addirittura trasformato in collaboratore dell'amministrazione, con onere di sollecitazione per far emergere il potere ufficioso (radicando uno dei casi previsti dalla legge ex art. 31 c.p.a. in cui un generico dovere di procedere diventa specifico dovere di provvedere, cristallizzando il potere di controllo al momento della sollecitazione) e legittimarsi alla contestazione del silenzio rifiuto; neanche può essere utile l'articolo 2058 c.c. che non può incidere sull'assetto scelto dalla legge; o implicare una rimessione in termini del terzo, visto il carattere perentorio e non derogabile del termine decadenziale;

4.1) insomma, quella offerta dalla Consulta è una sistemazione costituzionalmente non soddisfacente se non si ammette, con operazione ortopedica, una tutela sia a monte, per evitare, con misure cautelari anche “ante causam”, pregiudizi irreparabili prodotti dall'attività prima della scadenza del termine per l'esercizio del potere inibitorio; sia a valle, in caso di incolpevole inosservanza del termine per la contestazione del silenzio-rifiuto;

4.2) dottrina coraggiosa paventa, allora, un'innovativa soluzione, conforme all'assetto costituzionale, secondo cui il terzo che non abbia incolpevolmente formulato istanza di inibizione sarebbe legittimato ad agire con azione di condanna pubblicistica (Ad. plen. n. 15/2011), essendo inaccettabile il premio all'interesse illegittimo pretensivo ai danni dell'interesse legittimo oppositivo; a sostegno dell'assunto, si rileva che la soluzione non è in contrasto con il principio di contestualità (art. 30, comma 1, c.p.a. nella specie inconferente perché il potere è consumato); e non collide neanche con l'articolo 34, comma 2, c.p.a., dal momento che non viene qui in rilievo un potere non esercitato ma la volontà di non esercitarlo, cioè un esercizio omissivo del potere;

4.3) altra soluzione innovativa (Guido Greco), partendo dall'assunto dell'inidoneità e aleatorietà della procedura ex comma 6-ter, reputa che la tutela del terzo vada rinvenuta nella qualificazione del silenzio serbato sul potere inibitorio come tertium genus: pur non configurando un silenzio in senso stretto significativo, non è neanche un silenzio inadempimento (caratterizzato dal non venir meno del dovere di provvedere della PA dopo il termine), visto che la scadenza del termine perentorio produce l'effetto definitivo di non vietare l'attività; trattasi quindi di un silenzio produttivo di effetti sostanziali suoi propri immediatamente lesivi per il terzo (effetti identici a quelli che deriverebbero da un atto espresso di archiviazione), come tale necessitante (visti gli effetti identici a quelli provvedimentali) di impugnazione nel termine decadenziale; l'ostacolo dell'articolo 29 c.p.a. va superato dando prevalenza alla posizione sostanziale lesa più che all'atto lesivo: in tema di interesse legittimo pretensivo, omettere l'esercizio di un potere, che contestualmente risulta esaurito, significa produrre gli stessi effetti lesivi (attuali e tendenzialmente definitivi) che deriverebbero da un provvedimento definitivo, nel senso che il bene della vita non potrebbe più essere conseguito attraverso l'esercizio di quel potere; il termine decorrerà, quindi, non dalla conoscenza della scia, ma della mancata esplicazione dei poteri doverosi, così conciliandosi certezza e legalità;

4.4) tornando al meccanismo del comma 6-ter, si reputa che l'istanza proposta entro i 60 giorni cristallizzi il potere di verifica alla luce dell'effetto retroattivo della sentenza sul silenzio e che, configurandosi uno degli “altri casi pervisti dalla legge”, il terzo possa agire prima della scadenza del termine almeno per ottenere una misura cautelare impeditiva di un'attività gravemente e immediatamente pregiudizievole;

4.5) quanto all'autotutela, è ormai pacifico, in giurisprudenza e in dottrina, che il terzo, dopo avere istato per la verifica alle condizioni previste per l'autotutela, abbia la possibilità di agire con l'azione avverso il silenzio. In tal senso Cons. St. IV, n. 1737/2022, secondo cui l'autotutela in materia di attività edilizia svolta sulla base di una SCIA, di cui al comma 4 dell'art. 19, l. 7 agosto 1990, n. 241, presenta alcune peculiarità rispetto al generale potere di autotutela, in quanto, mentre di regola si assume che questo sia ampiamente discrezionale nell'apprezzamento dell'interesse pubblico che può imporne l'esercizio e non coercibile (al punto che la p.a. non ha neanche l'obbligo di rispondere ad eventuali istanze con cui il privato ne solleciti l'esercizio), ciò non vale in questo caso laddove, anche per l'intima connessione di tale potere col più generale dovere di vigilanza che incombe al Comune sull'attività edilizia ai fini dell'ordinato assetto del territorio, a fronte di un'istanza di intervento ai sensi dell'art. 19, comma 4, l'Amministrazione ha il dovere di rispondere, essendo la sua discrezionalità limitata solo alla verifica della sussistenza o meno dei presupposti di cui all'art. 21-nonies (Cons. St. VI, 5208/2021; nonché, sulla questione connessa della normale esclusione di controinteressati nei casi in cui si impugna un provvedimento che nega un “diniego di SCIA”, Cons. St. IV n. 1302/2022);

4.6) resta ferma, in base alla doppia tutela, la giurisdizione ordinaria per la lesione provocata dall'attività segnalata a diritti del terzo tutelati dal diritto civile (vicinato, distanze, altezze, salute, igiene).

I tratti peculiari dell'autotutela in materia di scia  (e segnatamente di scia edilzia) sono stati  ribaditi da Cons. Stato, sez. II, 7 marzo 2023, n. 2371 : a) L'autotutela, ex art. 19, comma 4, della legge n. 241 del 1990 si diversifica sul piano ontologico dal modello generale declinato dall'art. 21 nonies, stante la non incidenza su un precedente provvedimento amministrativo nonché l'afferenza ad un procedimento di primo grado. b) A differenza del potere di autotutela ordinario, che è squisitamente discrezionale nell'apprezzamento dell'interesse pubblico e, come tale, non coercibile, la fattispecie di cui all'art. 19, comma 4, della legge n. 241 del 1990 implica un connaturale obbligo di attivarsi e di rispondere, sicché la discrezionalità risulta piuttosto relegata alla verifica in concreto della sussistenza o meno dei presupposti di cui all'articolo 21-nonies. c) Questi peculiari tratti di obbligatorietà sono chiaramente desumibili dalle previsioni normative di disciplina del regime delle tutele accordate al terzo controinteressato in via giurisdizionale. d)In applicazione dell'art. 21 nonies, l'amministrazione è chiamata a motivare la scelta sia di procedere all'annullamento, nell'accezione chiarita con riferimento ai procedimenti dichiarativi, sia di non annullare, seppure in presenza di presupposti di illegittimità dell'atto, utilizzando in senso speculare i parametri individuati dal legislatore (la mancanza di interesse pubblico all'annullamento, ovvero la tutela dell'affidamento del soggetto la cui posizione sia stata ampliata dall'atto che si andrebbe ad eliminare).  d)Nella comparazione degli interessi in gioco, dovrà acquisire rilevanza la stessa finalità della vigilanza, con una particolare connotazione da ascrivere al ripristino della legalità ovvero delle regole di ordinato sviluppo del suolo. Il richiamo ai poteri di vigilanza legalmente scanditi va inteso nel senso di imporre l'intervento repressivo ogniqualvolta risulti chiaro lo sconfinamento rispetto all'ambito definitorio del titolo utilizzato, sicché l'opera sia da considerare sine titulo. (1) Precedenti conformi:Cons. Stato, sez. VI, 8 luglio 2021, n. 5208; Cons. Stato, sez. IV, 11 marzo 2022, n. 1737; Cons. Stato, sez. IV, 13 febbraio 2017, n. 611; Cons. Stato, sez. VI, 3 novembre 2016, n. 4610.

I tratti peculiari dell'autotutela in materia di scia  (e segnatamente di scia edilzia) sono stati  ribaditi da Cons. Stato, sez. II, 7 marzo 2023, n. 2371: a)L'autotutela, ex art. 19, comma 4, della legge n. 241 del 1990 si diversifica sul piano ontologico dal modello generale declinato dall'art. 21 nonies, stante la non incidenza su un precedente provvedimento amministrativo nonché l'afferenza ad un procedimento di primo grado. b) A differenza del potere di autotutela ordinario, che è squisitamente discrezionale nell'apprezzamento dell'interesse pubblico e, come tale, non coercibile, la fattispecie di cui all'art. 19, comma 4, della legge n. 241 del 1990 implica un connaturale obbligo di attivarsi e di rispondere, sicché la discrezionalità risulta piuttosto relegata alla verifica in concreto della sussistenza o meno dei presupposti di cui all'articolo 21 nonies. c)Questi peculiari tratti di obbligatorietà sono chiaramente desumibili dalle previsioni normative di disciplina del regime delle tutele accordate al terzo controinteressato in via giurisdizionale. d)In applicazione dell'art. 21 nonies, l'amministrazione è chiamata a motivare la scelta sia di procedere all'annullamento, nell'accezione chiarita con riferimento ai procedimenti dichiarativi, sia di non annullare, seppure in presenza di presupposti di illegittimità dell'atto, utilizzando in senso speculare i parametri individuati dal legislatore (la mancanza di interesse pubblico all'annullamento, ovvero la tutela dell'affidamento del soggetto la cui posizione sia stata ampliata dall'atto che si andrebbe ad eliminare).  d)Nella comparazione degli interessi in gioco, dovrà acquisire rilevanza la stessa finalità della vigilanza, con una particolare connotazione da ascrivere al ripristino della legalità ovvero delle regole di ordinato sviluppo del suolo. Il richiamo ai poteri di vigilanza legalmente scanditi va inteso nel senso di imporre l'intervento repressivo ogniqualvolta risulti chiaro lo sconfinamento rispetto all'ambito definitorio del titolo utilizzato, sicché l'opera sia da considerare sine tituloCons. Stato, sez. VI, 8 luglio 2021, n. 5208; Cons. Stato, sez. IV, 11 marzo 2022, n. 1737; Cons. Stato, sez. IV, 13 febbraio 2017, n. 611; Cons. Stato, sez. VI, 3 novembre 2016, n. 4610.

Bibliografia

Caringella, Codice Amministrativo Ragionato, Roma, 2018; Caringella, Tarantino, Codice Amministrativo, Roma, 2009; Caringella, Manuale ragionato di diritto amministrativo, Roma, 2021; Gaffuri, I ripensamenti giurisprudenziali in merito alla questione relativa alla natura della denuncia di inizio attività e alla tutela del terzo controinteressato dopo le riforme del 2005 alla l. 241/1990, in Dir. proc. amm., 1, 2008; Graziano, La denuncia di attività nella l. 80/2005 secondo l'ultima giurisprudenza. Natura giuridica dell'istituto, autotutela della P.A. e tutela giurisdizionale del controinteressato, in giustizia-amministrativa.it, 2005; Liberati, Il procedimento amministrativo, I, Padova, 2008.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario