Legge - 7/08/1990 - n. 241 art. 20 - Silenzio assenso 1 2 3
1. Fatta salva l'applicazione dell' articolo 19 , nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all'interessato, nel termine di cui all' articolo 2 , commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2. Tali termini decorrono dalla data di ricevimento della domanda del privato 4. 2. L'amministrazione competente può indire, entro trenta giorni dalla presentazione dell'istanza di cui al comma 1, una conferenza di servizi ai sensi del capo IV, anche tenendo conto delle situazioni giuridiche soggettive dei controinteressati. 2-bis. Nei casi in cui il silenzio dell'amministrazione equivale a provvedimento di accoglimento ai sensi del comma 1, fermi restando gli effetti comunque intervenuti del silenzio assenso, l'amministrazione è tenuta, su richiesta del privato, a rilasciare, in via telematica, un'attestazione circa il decorso dei termini del procedimento e pertanto dell'intervenuto accoglimento della domanda ai sensi del presente articolo. Decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta, l'attestazione è sostituita da una dichiarazione del privato ai sensi dell'articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 5. 3. Nei casi in cui il silenzio dell'amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, l'amministrazione competente può assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies . 4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la tutela dal rischio idrogeologico, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l'immigrazione, l'asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l'adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell'amministrazione come rigetto dell'istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti 6. 5. Si applicano gli articoli 2, comma 7, e 10-bis 7. [5-bis. Ogni controversia relativa all'applicazione del presente articolo è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.] 8 [1] Articolo modificato dall’articolo 3 del D.P.R. 26 aprile 1992, n. 300, dall’articolo 21, comma 1, lettera bb), della legge 11 febbraio 2005, n. 15 e successivamente sostituito dall’articolo 3, comma 6-ter, del D.L. 14 marzo 2005, n. 35. [2] Per la disciplina dei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.L. 14 marzo 2005, n. 35 vedi l'articolo 3, comma 6 sexies del medesimo decreto-legge. [3] A norma dell'articolo 8-bis, comma 1, del D.L. 30 novembre 2005, n. 245, convertito con modificazioni, in legge 27 gennaio 2006, n. 21, in relazione ai peculiari contesti emergenziali in atto, nelle more dell'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al presente articolo, sono esclusi i procedimenti di competenza del Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché quelli di competenza dei Commissari delegati nominati ai sensi dell'articolo 5, comma 4, della legge 24 febbraio 1992, n. 225. [4] Comma modificato dall' articolo 3, comma 2, lettera d), del Dlgs. 30 giugno 2016, n. 126. [5] Comma inserito dall'articolo 62, comma 1, del D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito con modificazioni dalla Legge 29 luglio 2021, n. 108. [6] Comma modificato dall’articolo 9, comma 3, della legge 18 giugno 2009, n. 69 e, successivamente, dall'articolo 54, comma 2, della Legge 28 dicembre 2015, n. 221. [7] Comma sostituito dall’articolo 7, comma 1, lettera d), della legge 18 giugno 2009, n. 69. [8] Comma aggiunto dall’articolo 2, comma 1-sexies, del D.L. 5 agosto 2010, n. 125 e successivamente abrogato dall'articolo 4, comma 1, numero 14), dell'Allegato 4 al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, come modificato dall'articolo 1, comma 3, lettera b) del D.Lgs. 15 novembre 2011, n. 195. InquadramentoIl silenzio assenso è un istituto di semplificazione procedimentale che si realizza nei casi in cui il legislatore attribuisce alla condotta inerte della p.a. un valore provvedimentale di accoglimento dell'istanza del privato. Come sottolineato dalla dottrina, il silenzio-assenso è imperniato su una qualificazione che si potrebbe dire di irrilevanza dell'inerzia, nel senso che ad essa il legislatore fa conseguire gli stessi effetti dell'esercizio positivo dell'attività amministrativa (Tonoletti in Caringella, 1028). L'art. 20 l. n. 241/1990, nella sua formulazione originaria, demandava ad un regolamento governativo delegato ex art. 17 comma 2 l. n. 400/1988 l'individuazione dei casi in cui la domanda di rilascio di una autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla osta, permesso od altro atto di consenso comunque denominato, cui sia subordinato lo svolgimento di un'attività privata, si doveva considerare accolta in caso di omessa comunicazione all'interessato del provvedimento di diniego entro il termine fissato per categorie di atti, in relazione alla complessità del rispettivo procedimento. Non era, quindi, previsto affatto un silenzio assenso generalizzato, essendo configurabile soltanto riguardo ad ipotesi preventivamente e tassativamente individuate in forza di apposita disciplina regolamentare da parte delle singole Amministrazioni (Cons. St. VI, n. 4137/2010). Successivamente, con gli interventi legislativi del 2005, è stato generalizzato l'istituto del silenzio assenso, introducendosi la regola generale secondo cui nei procedimenti ad istanza di parte il silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, a meno che non sia diversamente previsto. Si è, in tal modo, operato un capovolgimento della normale attività procedimentale, posto che il silenzio assenso si sostanzia in provvedimenti di natura autorizzatoria, con cui la pubblica amministrazione conferisce al destinatario la facoltà di esercitare un diritto o un potere che preesiste all'autorizzazione stessa, pur avendo carattere solo potenziale e restando la relativa espansione impedita fino a quando l'autorità competente accerti che sussistano le condizioni per il suo esercizio o, quantomeno, l'assenza di ragioni a ciò contrarie (Cons. St. VI, n. 1751/2008). In omaggio al principio di certezza dei rapporti giuridici, inoltre, il d.l. n. 77/2021 ha inserito un comma 2 -bis nell'articolo 20 della l. n. 241, che obbliga l'amministrazione a esaudire la richiesta del privato di ottenere un'attestazione telematica circa la formazione del silenzio significativo; in caso di inutile decorso del termine di quindici giorni dalla richiesta, l'attestazione è sostituita da un'autodichiarazione eexart. 47 del d.P.R. n. 445/2000. Quanto alla giurisdizione, le controversie relative al silenzio-assenso sono devolute, in via generale, alla giurisdizione esclusiva del G.A., ex art. 133, comma 1, lett. a –bis, c.p.a. La necessaria legittimità dell'istanza quale presupposto del silenzio assenso.Va sottolineato che, per la formazione del silenzio assenso, l'interessato deve dichiarare nella domanda il possesso di tutti i requisiti soggettivi nonché la sussistenza di quelli oggettivi necessari al conseguimento del provvedimento e che la domanda sia rivolta all'amministrazione competente. Ne consegue che, ove il privato attesti falsamente nella propria istanza la sussistenza dei presupposti e requisiti di legge, ovvero presenti la propria istanza ad una p.a. incompetente a pronunciarsi, il silenzio assenso non potrà ritenersi integrato (Caringella, Tarantino). In tal senso si è espressa la giurisprudenza prevalente, ad esempio in tema di edilizia. L'art. 20, comma 8, d.P.R. n. 380/2001, infatti, prevede che, fuori dei casi in cui sussistono vincoli relativi all'assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali, decorso inutilmente il termine per l'adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell'ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio – assenso. La mancata comunicazione del preavviso di diniego costituisce un presupposto per la formazione del silenzio assenso, in quanto indicativa della conformità dell'istanza agli strumenti urbanistici vigenti. Donde, la conclusione secondo cui il silenzio assenso, di cui all'art. 20 del d.P.R. n. 380/2001, costituendo uno strumento di semplificazione amministrativa e non di liberalizzazione, presuppone per la formazione del titolo abilitativo per silentium non soltanto il mero decorrere del tempo, ma anche la contestuale presenza di tutte le condizioni, i requisiti e i presupposti richiesti dalla legge per l'attribuzione del bene della vita richiesto, al punto che esso non si configura, ad esempio, in difetto di completezza della documentazione occorrente (Cons. St. VI, n. 6235/2021). Esiste, tuttavia, un diverso orientamento giurisprudenziale tendente ad escludere che la legittimità dell'istanza costituisca requisito per la configurabilità del silenzio assenso. In tal senso, infatti, è stato osservato, da esempio, che la non conformità del progetto alla disciplina urbanistica applicabile non rappresenta, dal canto suo, un ostacolo alla formazione del silenzio assenso. Il provvedimento favorevole tacito può ben essere illegittimo sotto il profilo sostanziale, com'è dimostrato a contrario dall'art. 20 comma 3 della l. n. 241/1990, in forza del quale laddove “il silenzio dell'amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, l'amministrazione competente può assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies”: disposizione che non si spiegherebbe, se l'esistenza di un vizio sostanziale impedisse in radice la formazione dell'assenso tacito. Come non si spiegherebbe, del pari, la previsione di cui all'art. 21-nonies della medesima l. n. 241/1990, che estende la possibilità dell'annullamento d'ufficio ai “casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20”, vale a dire tacitamente (T.A.R. Toscana, Firenze III, n. 170/2020). Differenza tra silenzio assenso e S.C.I.A.La differenza tra il silenzio assenso e la S.C.I.A. è di tutta evidenza. Nel caso della segnalazione, infatti, qualora non residuino margini di discrezionalità in capo all'Amministrazione, l'attività può essere esercitata (salve le verifiche successive sui requisiti) fin dal momento della proposizione della segnalazione stessa, la quale, non avendo natura provvedimentale, sostituisce il potere amministrativo in un'ottica di completa liberalizzazione. Nel caso del silenzio-assenso, invece, l'attività oggetto del provvedimento tacito non è di per sé liberamente esercitabile, essendo necessaria l'emanazione di un provvedimento, ma all'inerzia dell'Amministrazione il legislatore attribuisce un effetto favorevole (di accoglimento) all'interessato (è il caso, ad esempio, dei procedimenti autorizzatori vincolati) (Caringella). Che, infatti, si tratti di un istituto di semplificazione procedimentale e non di liberalizzazione si desume anche dall'art. 20 comma 5, secondo cui, infatti, anche nelle ipotesi di silenzio assenso si applicano gli artt. 2 comma 7 (sospensione del termine procedimentale per l'acquisizione di informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell'amministrazione stesso o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni) e 10-bis (comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza). Silenzio assenso, attività vincolata e discrezionale.La giurisprudenza amministrativa, in conformità con le pronunce della Corte costituzionale (Corte cost., n. 408/1995; Corte cost., n. 169/1994, Corte cost., n. 393/1992), ammette la formazione del silenzio assenso solo nei casi previsti dalla legge, caratterizzati dalla attivazione di procedimenti volti all'adozione di provvedimenti vincolati, non potendosi invece ritenere possibile la formazione dello stesso in ipotesi di mancata adozione nel termine di provvedimenti discrezionali (Cons. St. V, n. 7564/2019; Cons. giust. amm. Sicilia, n. 887/2019; Cons. St. IV, n. 782/2019; Cons. St. IV, n. 4273/2018; Cons. St. IV, n. 2513/2018; Cons. St. IV, n. 3805/2016). In tali ultimi casi, infatti, soccorrono i rimedi previsti dall'ordinamento sia in via amministrativa (ex art. 2 l. n. 241/1990), sia in via giurisdizionale (ex art. 31 Cpa) (Cons. St. IV, n. 5156/2020). Tuttavia, secondo autorevole dottrina (Clarich, 254), il regime del silenzio assenso può applicarsi anche a provvedimenti discrezionali, poiché quelli vincolati sono sostituti di regola dalla segnalazione certificata d'inizio attività. In tal senso, peraltro, sembrerebbe deporre proprio il richiamato all'art. 21-quinquies l. n. 241/1990 contemplato dall'art. 20 comma 3. Deve, comunque, precisarsi che la questione appare superata poiché i casi di operatività del silenzio assenso sono adesso previsti dal d.lgs. n. 222/2016. Rapporti con l'autotutela.Sin dall'intervento legislativo del 2005, l'art. 20 prevede al comma 3 l'intervento in autotutela, precisando, infatti, che nei casi in cui il silenzio dell'amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, l'amministrazione competente può assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. La ragione risiede nella concezione del silenzio assenso quale provvedimento tacito di primo grado, suscettibile di riesame in autotutela da parte dell'Amministrazione competente. Se, infatti, il decorso del tempo senza che l'amministrazione abbia provveduto rende possibile l'esistenza di un provvedimento implicito di accoglimento dell'istanza presentata dal privato, nondimeno perché tale provvedimento sia legittimo occorre che sussistano tutte le condizioni, normativamente previste, per la sua emanazione, non potendosi ipotizzare che, per silenzio, possa ottenersi ciò che non sarebbe altrimenti possibile mediante l'esercizio espresso del potere da parte dell'amministrazione (Cons. St. n. 1364/2012; Cons. St., n. 1339/2007; Cons. St., n. 4114/2006). Diversamente opinando, si determinerebbe una situazione di sostanziale disparità tra ipotesi sostanzialmente identiche, dipendente solo dal sollecito (o meno) esercizio del potere amministrativo e – dove non fosse ipotizzabile l'intervento in via di autotutela dell'amministrazione – si verrebbe a configurare una “disapplicazione” di norme per mero (e casuale) decorso del tempo. D'altra parte, è proprio per questa ragione che (secondo un certo orientamento) si rende possibile l'applicazione del silenzio assenso solo ai casi di attività vincolata della P.A., poiché in questi casi l'effettivo possesso dei requisiti previsti dalla legge rende possibile l'avvio dell'attività sottoposta ad autorizzazione, e rende altresì possibile ogni successivo accertamento ed esercizio di poteri di autotutela o inibitori. Al contrario, nel caso di poteri discrezionali, la valutazione e la conseguente scelta della misura concreta da adottare per il perseguimento dell'interesse pubblico (per la tutela del quale il potere è stato conferito), non verrebbero ad essere effettuate da alcuno, determinandosi sia che in luogo dell'Autorità decida, in pratica, il tempo (e il caso), sia, soprattutto, una sostanziale decadenza dall'esercizio di potestà pubbliche (Cons. St. IV, n. 3805/2016). Il provvedimento tardivo ed il silenzio assenso: l'art. 2 comma 8-bis l. n. 241/1990L'articolo 12, comma 1, lettera a), n. 2), del d.l. n. 76/2020, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 120/2020 ha introdotto il comma 8-bis nell'art. 2 l. n. 241/1990 secondo cui le determinazioni relative ai provvedimenti, alle autorizzazioni, ai pareri, ai nulla osta e agli atti di assenso comunque denominati, adottate dopo la scadenza dei termini di cui agli articoli 14-bis, comma 2, lettera c), 17-bis, commi 1 e 3, 20, comma 1, ovvero successivamente all'ultima riunione di cui all'articolo 14-ter, comma 7, nonché i provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti, di cui all'articolo 19, commi 3 e 6-bis, primo periodo, adottati dopo la scadenza dei termini ivi previsti, sono inefficaci, fermo restando quanto previsto dall'articolo 21-nonies, ove ne ricorrano i presupposti e le condizioni. Il nuovo comma 8-bis dell'articolo 2 della l. n. 241/1990 ha, quindi, incrementato i casi di consumazione del potere tardivamente esercitato, abbracciando una soluzione innovativa, ossia quella dell'inefficacia del provvedimento tardivo dopo la formazione del silenzio significativo, in ragione della consumazione del potere di amministrazione attiva, salva l'autotutela (cd. tempistica in una logica di preclusione) (Caringella). In tal senso si coglie già qualche pronuncia, statuente che la disposizione di cui all'art. 2, comma 8-bis, della l. n. 241/1990, inserito dall'art. 12, comma 1, lett. a), n. 2), d.l. n. 76/2020, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2020, n. 120, laddove sanziona esplicitamente con l'inefficacia il provvedimento eventualmente emesso una volta decorso il termine per provvedere e formatosi per silentium il provvedimento favorevole, induce a ritenere che l'Amministrazione procedente sia deprivata, in via definitiva, del relativo potere, similmente a quanto accade nel caso di atti non rientranti nell'ordinaria amministrazione o non urgenti e indifferibili adottati dagli organi amministrativi in regime di proroga (cfr. art. 3 d.l. 16 maggio 1994, n. 293, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, l. n. 444/1994), e può eventualmente agire solo in autotutela (T.A.R. Friuli-Venezia Giulia I, n. 121/2021). La generalizzazione della regola del silenzio assenso assume, quindi, una peculiare rilevanza, poiché, qualora non si rientri in una delle ipotesi legislative di esclusione dell'operatività dell'istituto, il tardivo pronunciamento sull'istanza dell'interessato da parte della P.A. si traduce nell'adozione di un provvedimento inefficace ai sensi dell'art. 2 comma 8- bis l. n. 241/1990. Il provvedimento ricognitivo del silenzio assenso.L'art. 62 comma 1 d.l. n. 77/2021 (convertito con modificazioni dalla l. n. 108/2021) ha introdotto il comma 2-bis nell'art. 20, prevedendo che nei casi in cui il silenzio dell'amministrazione equivale a provvedimento di accoglimento ai sensi del comma 1, fermi restando gli effetti comunque intervenuti del silenzio assenso, l'amministrazione è tenuta, su richiesta del privato, a rilasciare, in via telematica, un'attestazione circa il decorso dei termini del procedimento e pertanto dell'intervenuto accoglimento della domanda ai sensi del presente articolo. Decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta, l'attestazione è sostituita da una dichiarazione del privato ai sensi dell'articolo 47 del d.P.R. n. 445/2000. Precisato che gli effetti del silenzio assenso non decorrono dall'adozione dell'atto ricognitivo che la P.A. dovrà adottare su richiesta del privato, ma dal momento in cui è scaduto il tempo previsto per la conclusione del procedimento, si può, quindi, affermare che: 1) L'art. 20 comma 1 prevede il silenzio assenso generalizzato; 2) L'inosservanza del termine di conclusione del procedimento comporta quindi la giuridica formazione di un provvedimento tacito favorevole all'interessato, dal contenuto assolutamente corrispondente all'istanza proposta; 3) L'art. 2 comma 8-bis l. n. 241/1990 esclude che la P.A. possa adottare un provvedimento successivo di segno contrario al silenzio assenso, poiché siffatto provvedimento sarebbe inefficace per legge, fatta salva la possibilità di intervenuto in autotutela; 4) L'interessato, ferma restando l'efficacia giuridica del silenzio assenso formatosi, può chiedere alla P.A. di adottare un atto ricognitivo con il quale; a. Da un lato, la P.A. autodenuncia la propria inerzia, ossia l'inosservanza del termine previsto per provvedere sull'istanza primigenia dell'interessato; b. Dall'altro, la P.A. deve affermare che sull'istanza primigenia dell'interessato si è ormai formato il silenzio assenso; 5) Qualora sull'istanza volta ad ottenere il certificato del silenzio assenso la P.A. non abbia risposto, si forma un ulteriore silenzio assenso di tipo abilitativo, poiché legittima l'interessato a sostituire l'atto dichiarativo della P.A. con una dichiarazione ai sensi del d.P.R. n. 445/2000; 6) Qualora l'interessato agisca ai sensi dell'art. 117 c.p.a. avverso il silenzio serbato dalla P.A. sull'istanza volta ad ottenere l'atto ricognitivo e dichiarativo del silenzio assenso formatosi sull'istanza primigenia, il ricorso sarà inammissibile poiché l'art. 20 comma 2-bis già prevede le conseguenze dell'atteggiamento omissivo della P.A. riconoscendo all'interessato la legittimazione a rendere la dichiarazione sostitutiva ai sensi del d.P.R. n. 445/2000 attestante la formazione del silenzio assenso con valore assolutamente equiparato all'atto certificativo della P.A. Casi in cui non opera il silenzio assenso.L'art. 20 comma 4 esclude l'operatività del silenzio assenso in relazione agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la tutela dal rischio idrogeologico, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l'immigrazione, l'asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l'adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell'amministrazione come rigetto dell'istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti. Non opera il silenzio assenso, inoltre, nei casi in cui l'istante sia titolare di un diritto soggettivo. In tal senso si è pronunciata la Corte di Cassazione, precisando, infatti, che in tema di edilizia residenziale pubblica, l'istituto del silenzio-assenso, previsto dall'art. 20 della l. n. 241/1990, che implica una posizione di interesse legittimo, non può trovare applicazione in relazione all'istanza di subentro nell'assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, destinati all'assistenza abitativa ed all'ampliamento del nucleo familiare, in cui la posizione soggettiva controversa ha la consistenza di diritto soggettivo (Cass. S.U., n. 20761/2021). La formazione del silenzio-assenso consuma il potere amministrativo di diniego?Trattandosi di un provvedimento tacito, è evidente che, decorso il termine e formatosi il silenzio, la P.A. non ha più il potere (di amministrazione attiva) di adottare un atto di diniego, ma quello di esercitare il potere di autotutela nella ricorrenza dei presupposti previsti dagli articoli 21-quinques e n. 21-nonies della l. n. 241 (così esplicitamente il nuovo comma 8-bis dell'art. 2 Legge 241/90, introdotto dall'art. 12 del d.l. n. 76/2020). Il nuovo comma 8 -bis dell'articolo 2 della l. n. 241/1990 (a seguito della l. n. 120/2020, di conversione del decreto Semplificazioni n. 76/2020) ha incrementato i casi di consumazione del potere tardivamente esercitato, abbracciando una soluzione innovativa: il provvedimento tardivo dopo la formazione del silenzio significativo è inefficace in ragione della consumazione del potere di amministrazione attiva, salva l'autotutela (cd. tempistica in una logica di preclusione). Questioni applicative.1) È configurabile il silenzio-assenso sulla richiesta di assegnazione di una rivendita di generi di monopolio? Negativa è la risposta di Cons. St. II, n. 1788/2020. Ha chiarito il Consiglio che il procedimento di cui all'art. 20, l. n. 241/1990, circa la formazione di un titolo abilitativo attraverso il meccanismo del silenzio-assenso, non è configurabile allorché l'amministrazione deve rilasciare una vera e propria concessione amministrativa. In tali ipotesi rientra quella dell'autorizzazione alla vendita di generi di monopolio, la quale, alla stregua della disciplina riveniente dall'art. 19, l. 22 dicembre 1957, n. 1293, effettuata nella forma della rivendita ordinaria o speciale, è soggetta a regime di vera e propria concessione amministrativa, atteso che si 1 è riferisce ad un'attività ancora oggetto di monopolio statale. Ed invero, la l. 22 dicembre 1957, n. 1293, all'art. 19, dopo avere distinto le rivendite di generi di monopolio in rivendite ordinarie e rivendite speciali ed avere altresì stabilito che queste ultime sono anch'esse affidate, in genere, a privati, a trattativa privata, per la durata non superiore ad un novennio, prevede che: «Nei casi di rinnovo delle concessioni di cui al precedente comma, il concessionario è tenuto a corrispondere all'Amministrazione (...)», con ciò stesso attribuendo al provvedimento di assegnazione della rivendita la qualifica espressa di «concessione» e qualificando espressamente come «concessionario» il suo titolare. Del resto, la lettura dell'intera l. n. 1293 del 1957 porta alla conclusione che l'attività di rivendita di generi di monopolio, effettuata nella forma della rivendita ordinaria o speciale, è attività soggetta a regime di vera e propria concessione amministrativa, visto che si riferisce ad un'attività ancora oggetto di monopolio statale. Ciò premesso, deve rilevarsi inequivocabilmente che il procedimento di cui all'art. 20, l. n. 241/1990 circa la formazione di un titolo abilitativo attraverso il meccanismo del silenzio assenso non è configurabile allorché l'Amministrazione deve rilasciare una vera e propria concessione amministrativa. 2) Necessità e sorte dell'impugnazione del tardivo provvedimento di diniego inefficace. In assenza di un consolidato orientamento giurisprudenziale, ci si chiede se sia necessaria o meno l'impugnazione del tardivo provvedimento di diniego emesso dopo la formazione del silenzio assenso. Come detto, l'art. 2 comma 8-bis, sancisce l'inefficacia di siffatti provvedimenti, senza però chiarirne le conseguenti ricadute processuali. La categoria del provvedimento inefficace, infatti, non è normativamente tipizzata, non essendone prevista, a differenza di quanto stabilito per i provvedimenti nulli ed annullabili, una compiuta disciplina generale. Donde, il dubbio in ordine all'eventuale onere di impugnazione configurabile in capo all'interessato. Sul piano teorico, un provvedimento inefficace, in quanto non produttivo di effetti, è, in linea di principio, privo di attitudine ad incidere sulla sfera giuridica del destinatario, con conseguente carenza di interesse da parte di quest'ultimo a proporre un'impugnazione, posto che un eventuale ricorso di tipo annullatorio sarebbe inammissibile, in ragione della logica impossibilità di annullare un atto di per sé improduttivo di effetti giuridici. Eppure, anche un provvedimento inefficace può esplicare effetti potenzialmente lesivi nella sfera giuridica dell'interessato in ragione di quella parvenza di validità ed efficacia scaturente dalla presunzione (iuris tantum) di legittimità che assiste tutti i provvedimenti amministrativi. Di conseguenza, il tardivo provvedimento di diniego, in quanto atto valido sebbene inefficace, potrebbe stimolare l'esercizio di eventuali poteri amministrativi sanzionatori. Donde, la configurabilità di un interesse morale concreto ed attuale, come tale, legittimante l'impugnazione dell'atto tardivamente adottato dalla P.A. La giurisprudenza, al riguardo, ha chiarito che nel giudizio amministrativo non è consentito, ad eccezione di ipotesi specifiche, adire il giudice al solo fine di conseguire la legalità e la legittimità dell'azione amministrativa, se ciò non si traduca anche in uno specifico ed argomentato beneficio in favore di chi propone l'azione giudiziaria; l'interesse a ricorrere è infatti condizione dell'azione e corrisponde ad una precisa utilità o posizione di vantaggio che attiene ad uno specifico bene della vita, contraddistinto indefettibilmente dalla personalità e dall'attualità della lesione subita, nonché dal vantaggio ottenibile dal ricorrente; sussiste, pertanto, interesse al ricorso se la posizione azionata dal ricorrente lo colloca in una situazione differente dall'aspirazione alla mera ed astratta legittimità dell'azione amministrativa genericamente riferibile a tutti i consociati, se sussiste una lesione della sua posizione giuridica, se è individuabile un'utilità della quale esso fruirebbe per effetto della rimozione del provvedimento; interesse che deve, comunque, essere caratterizzato dai predicati della personalità (il risultato di vantaggio deve riguardare specificamente e direttamente il ricorrente), dell'attualità (l'interesse deve sussistere al momento del ricorso, non essendo sufficiente a sorreggere quest'ultimo l'eventualità o l'ipotesi di una lesione) e della concretezza (l'interesse a ricorrere va valutato con riferimento ad un pregiudizio concretamente verificatosi ai danni del ricorrente) (Cons. St. V, n. 4265/2019; Cons. St. III, n. 6014/2019). La giurisprudenza ha, inoltre, chiarito che l'interesse a ricorrere si identifica nell'utilità o vantaggio materiale o anche solo morale scaturente dall'accoglimento del ricorso (ex plurimis, Cons. St. VI, n. 4816/2021; Cons. St. IV, n. 934/2017; Cons. St. n. 3672/2016; Cons. St. VI, n. 1156/2016; Cons. St. IV, n. 3952/2015). Deve, quindi, ritenersi sussistente un interesse (quanto meno morale) a ricorrere avverso il provvedimento tardivo inefficace al fine di ottenere la pronuncia di una sentenza non di annullamento, bensì di accertamento della carenza di efficacia inficiante l'atto impugnato, onde assicurare certezza al rapporto giuridico intercorrente tra la P.A. ed il destinatario del predetto provvedimento mediante il superamento dell'apparenza di efficacia direttamente promanante dalla presunzione di legittimità che assiste tutti gli atti dell'Amministrazione. Pertanto, qualora fosse proposta un'eventuale azione di annullamento avverso l'atto tardivamente adottato dalla P.A. potrebbero configurarsi due possibili soluzioni: a) declaratoria di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, con compensazione delle spese processuali in ragione della novità della questione di diritto; b) riqualificazione della domanda di annullamento in domanda di accertamento (in ossequio alla teoria del Chiovenda secondo cui le azioni si distinguono in azioni di accertamento mero ed azioni non soltanto di accertamento, posto che tanto le domande costitutive, quanto quelle condannatorie presuppongono l'accertamento dei fatti e delle situazioni di diritto costituenti il loro fondamento, al punto da doversi considerare la domanda di accertamento sempre insita nella domanda di annullamento secondo il criterio per cui nel più ci sta il meno), con conseguente accoglimento del ricorso e pronuncia di una sentenza declaratoria di inefficacia del provvedimento impugnato. Qualora si propendesse per la soluzione favorevole all'ammissibilità della domanda di accertamento, residuerebbe, poi, il complesso tema del tempo dell'azione, potendosi, financo, ritenere che, in assenza di un termine decadenziale espressamente previsto dalla legge, l'impugnazione avverso il provvedimento tardivo inefficace sia sempre esperibile, tanto più considerato, da un lato, che la decadenza dalla facoltà di agire in giudizio dinanzi al giudice amministrativo è preordinata ad assicurare la stabilità dei rapporti tra P.A. e cittadino fondati su provvedimenti amministrativi in genere efficaci quand'anche illegittimi, e, dall'altro, che quando il legislatore ha voluto limitare l'esperibilità di un'azione di accertamento sul piano temporale ha espressamente previsto un apposito termine di notifica del ricorso, come nel caso dell'azione di nullità e dell'azione avverso il silenzio inadempimento (art. 31 c.p.a.). La previsione, dunque, di un'inefficacia formalmente tendente a superare il tradizionale orientamento favorevole alla qualificazione come semplicemente illegittimo e, quindi, annullabile del tardivo provvedimento di diniego contrario ad un silenzio assenzo già formatosi, unitamente alla mancata previsione di un termine decadenziale di notifica dell'eventuale ricorso di impugnazione, sembrerebbe indurre a ritenere in ogni tempo esperibile l'azione di accertamento. Trattasi, comunque, di teorie che soltanto le future pronunce della giurisprudenza potranno definitivamente confermare o confutare, stante, al momento, la carenza di orientamenti univoci dovuta alla recentissima introduzione della novità normativa in esame. BibliografiaCaringella, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2009; Caringella, Codice Amministrativo Ragionato, Roma, 2018; Caringella, Manuale ragionato di diritto amministrativo, Roma, 2021; Clarich, Manuale di diritto amministrativo, Bologna, 2019; Garofoli, Ferrari, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2009. |