Legge - 7/08/1990 - n. 241 art. 21 quinquies - Revoca del provvedimento 1 .Revoca del provvedimento 1.
1. Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento o, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo. [Le controversie in materia di determinazione e corresponsione dell'indennizzo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.] 2 1-bis. Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l'indennizzo liquidato dall'amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell'atto amministrativo oggetto di revoca all'interesse pubblico, sia dell'eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all'erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l'interesse pubblico3. [1-ter. Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l'indennizzo liquidato dall'amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell'atto amministrativo oggetto di revoca all'interesse pubblico, sia dell'eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all'erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l'interesse pubblico.] 4 [1] Articolo inserito dall’articolo 14, comma 1, della legge 11 febbraio 2005, n. 15. [2] Comma modificato dall'articolo 4, comma 1, numero 14, dell'Allegato 4 al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104e, successivamente, dall'articolo 25, comma 1, lettera b-ter, del D.L. 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 novembre 2014, n. 164. [3] Comma inserito dall’articolo 13, comma 8-duodevicies, del D.L. 31 gennaio 2007, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla Legge 2 aprile 2007, n. 40. Successivamente, l'articolo 12, comma 1, lettera b), del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 agosto 2008, n. 133, ha disposto l'abrogazione dell’articolo 13, comma 8-duodevicies, del D.L. 7/2007 citato. [4] Comma inserito dall’articolo 12, comma 1-bis, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 e successivamente abrogato dall'articolo 62, comma 1, del D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35. InquadramentoL'articolo 21-quinquies disciplina le ipotesi tassative di revoca del provvedimento, da intendersi quale strumento di autotutela di secondo grado utilizzabile, di regola, dalla stessa Amministrazione che ha emanato l'atto amministrativo originario ovvero da altro organo previsto per legge. In generale, la revoca non elimina un'illegittimità (come avviene nell'annullamento d'ufficio di cui all'art. 21-nonies della medesima l. n. 241/1990), ma sottende a mere valutazioni di fatto o di opportunità. Tale diversa connotazione rispetto all'annullamento d'ufficio implica la differente operatività degli effetti della revoca, la quale non opera in via retroattiva, tenuto conto che, come espressamente indicato dalla disposizione, essa «determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre effetti ulteriori» (fermi restando, quindi, quelli già prodotti). Di qui, l'ulteriore conseguenza della applicabilità alla revoca delle «norme generali sul procedimento amministrativo, a partire dall'adempimento garantistico di partecipazione e di conoscenza del procedimento (articolo 7) fino alla obbligatoria esigenza di adeguata motivazione dell'atto, che si palesa ancor più stringente attesa l'ampia latitudine della discrezionalità amministrativa sottesa a questo tipo di provvedimento» (T.A.R. Lazio, Roma, II, n. 10606/2009). La disposizione in esame disciplina espressamente i presupposti che abilitano la revoca di un provvedimento amministrativo e segnatamente: in caso di sopravvenuti motivi di pubblico interesse; nell'ipotesi di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento; per una nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, fatti salvi gli specifici provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici. La nuova disciplina positiva dell'istituto della revoca del provvedimento amministrativo, dunque, «ricomprende – oltre al tradizionale ius poenitendi che consente alla pubblica amministrazione di ritirare i provvedimenti ad efficacia durevole sulla base di sopravvenuti motivi di interesse pubblico ovvero di mutamenti della situazione di fatto – anche il potere di rivedere il proprio operato in corso di svolgimento e di modificarlo se ritenuto affetto da inopportunità, in virtù di una rinnovata diversa valutazione dell'interesse pubblico originario» (Cons. St. V, n. 4177/2016). Quanto al primo dei presupposti indicati (i.e., sopravvenuti motivi di interesse pubblico), esso si sostanzia nella circostanza che alla situazione di fatto, già valutata alla luce dell'interesse pubblico originario, possano riferirsi nuovi e differenti motivi di interesse pubblico che, rendendo non più attuale la prima valutazione di merito, determinano la facoltà di revocare il provvedimento già emanato. Il mutamento della situazione di fatto, invece, prescinde dalla sopravvenienza di motivi di interesse pubblico ma si collega essenzialmente alla modifica dell'assetto fattuale originario sul quale si era formata la volontà dell'amministrazione. Infine, il terzo presupposto (ovvero la nuova valutazione dell'interesse originario) non discende né dalla presenza di sopravvenuti motivi di interesse pubblico né, tantomeno, da una variazione della situazione di fatto, poggiandosi invece sulla sola riconsiderazione discrezionale dell'interesse pubblico già emerso in seno all'adozione del provvedimento originario. Si tratta, come ovvio, del presupposto che pone i maggiori problemi, soprattutto in tema di bilanciamento tra la necessaria discrezionalità amministrativa e il legittimo affidamento del privato: bilanciamento che rappresenta il vero nodo cruciale dello strumento della revoca. Sul punto, va chiarito che l'esercizio del potere di autotutela deve necessariamente incontrare un limite nell'esigenza di salvaguardare le situazioni dei soggetti privati che, confidando nella legittimità dell'atto rimosso, abbiano acquisito il consolidamento delle posizioni di vantaggio loro attribuite. In altri termini, il travolgimento di tali posizioni è legittimo solo se è giustificato dalla necessità d'assicurare il soddisfacimento di un interesse di carattere generale, prevalente come tale sulle posizioni individuali, dandone idonea contezza nella motivazione del provvedimento di rimozione, anche al fine di consentirne il controllo di legittimità in sede giurisdizionale. I tre presupposti legittimanti l'adozione del provvedimento di revoca sono stati presi in considerazione dal T.A.R. Molise, che con sentenza 29 settembre 2017 n. 327 ha chiarito che «la sussistenza dell'interesse pubblico che giustifica la revoca ai sensi dell'art. 21-quinquies, l. n. 241/1990 non deve necessariamente concretarsi nell'adozione di tutti gli atti prescritti per la realizzazione di un progetto di pubblica utilità, occorrendo però che siano stati posti in essere gli atti idonei a determinare un sufficiente livello di concretizzazione dell'iniziativa che non può dunque essere limitato ad un mero auspicio dell'Amministrazione, ma deve consistere in una serie di iniziative che abbiano determinato un sufficiente grado di sviluppo della pubblica utilità sulla base della quale si dispone la revoca; così determinato l'interesse pubblico sopravvenuto, al Giudice amministrativo resta preclusa ogni ulteriore valutazione di merito». Peraltro, è appena il caso di evidenziare che il medesimo articolo 21-quinquies ha espressamente disciplinato gli strumenti di tutela dell'amministrato: infatti, qualora la revoca comporti pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo; e, ulteriormente, ove la revoca incida su rapporti negoziali, l'indennizzo liquidato dall'amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell'atto amministrativo oggetto di revoca all'interesse pubblico, sia dell'eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all'erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l'interesse pubblico. In dottrina è stato sostenuto che l'esclusione del lucro cessante dal computo dell'indennizzo si basa tradizionalmente sul presupposto che, per definizione, l'indennizzo compensa solo il danno emergente, mentre sul punto è stato altresì, rilevato che l'esclusione del lucro cessante rispecchia la convinzione che l'indennizzo di quest'ultimo dovrebbe presupporre un affidamento all'esercizio dell'impresa, affidamento che sarebbe contraddetto dal fatto che il rapporto si basa su un provvedimento revocabile. Un'ulteriore lettura della norma potrebbe, poi, condurre ad ipotizzare che, poiché il legislatore ha limitato l'indennizzo al danno emergente solo per la revoca che incida su rapporti negoziali, in tutti gli altri casi l'indennizzo possa includere anche il lucro cessante. Un'interessante interpretazione della disposizione di cui al comma 1-bis, dell'art. 21-quinquies, è stata fornita, in sede cautelare, dal T.A.R. Lazio n. 880/2007, nel giudizio promosso in seguito alla revoca delle concessioni alla Tav s.p.a dai general contractor. Si legge, infatti, nell'ordinanza che il «Collegio ha ritenuto lecito dubitare della compatibilità del comma 1-bis, dell'art. 21-quinquies, con il principio di certezza del diritto, avente incontroversa rilevanza anche in ambito comunitario» e soggiunge, altresì, che «la stessa limitazione del pregiudizio indennizzabile al solo danno emergente – con esclusione della ristorabilità della lesione riveniente per effetto del mancato conseguimento delle utilità sperate dall'esecuzione dell'opera o dalla prestazione del servizio – confligge con i già rappresentati principi di certezza del diritto e di tutela dell'affidamento, in quanto sostanziata da una pratica ablazione in presenza di sopravvenute esigenze di pubblico interesse del diritto all'integrale indennizzabilità del pregiudizio risentito per effetto della revoca di un atto originariamente legittimo». Infine, va rammentato che, in tema di rapporti tra indennizzo e risarcimento del danno, la giurisprudenza ha chiarito che il soggetto che direttamente subisca un pregiudizio dalla revoca di un provvedimento amministrativo ha titolo ad un indennizzo se è legittimo il provvedimento di revoca (si verte cioè in materia di responsabilità della Pubblica amministrazione per atti legittimi), ovvero nel diverso caso di revoca illegittima subentra eventualmente il diritto al risarcimento del danno, con la precisazione che, alla luce dell'ontologica diversità delle due ipotesi, nel giudizio volto ad ottenere l'indennizzo la causa petendi deve essere ravvisata nella legittimità dell'atto di revoca adottato dall'Amministrazione che ha causato il pregiudizio, mentre nel giudizio risarcitorio, essa consiste nel fatto o nell'atto produttivo del danno, mentre il petitum è limitato al danno emergente con riferimento all'indennizzo e invece si estende al ristoro integrale (danno emergente e lucro cessante) nella diversa ipotesi di risarcimento del danno (Cons. St. III, n. 4616/2012). La revoca e il potere di autotutela amministrativa.La necessità, avvertita nei moderni sistemi amministrativi, di un'attività di organizzazione continuamente funzionalizzata a soddisfare al meglio le esigenze dell'ordinamento generale, implica il conseguente riconoscimento alla p.a. del potere di riesaminare i provvedimenti precedentemente emanati, nel caso in cui siano mutate le circostanze storico-fattuali che ne hanno determinato l'opportunità, ciò al fine di assicurare il costante perseguimento dell'interesse pubblico. Il riesame, allora, può sfociare nella rimozione del provvedimento per sopravvenienze o per ripensamento da parte della p.a., ai sensi dell'art. 21-quinquies, oppure per illegittimità, così come previsto dall'art. 21-nonies nell'ipotesi di annullamento d'ufficio. Invero, il potere di cui trattasi può comportare la conservazione del provvedimento, qualora attraverso una nuova valutazione non risulti alcun vizio, come anche la sanatoria del provvedimento, quando riconosciuto il vizio dello stesso sia possibile mantenerne gli effetti. L'articolo in esame, dunque, disciplina uno dei mezzi attraverso cui l'amministrazione può incidere sui propri atti, secondo l'opinione prevalente, in sede di autotutela. Quest'ultima, ontologicamente insita nella natura pubblicistica dell'amministrazione, esprime uno dei poteri connaturali alla p.a. e si sostanzia nella possibilità che «la p.a. si faccia ragione da sé, secondo diritto e per le vie amministrative, salvo ogni sindacato giurisdizionale ex art. 113 Cost.» (Liberati, 825). Si ritiene generalmente che sia proprio il potere di autotutela a connotare la specialità del diritto amministrativo rispetto al diritto comune. Occorre evidenziare che, pur non esistendo in dottrina una definizione univoca di autotutela, né tantomeno un riferimento normativo che ne individui le linee fondamentali, secondo la tesi prevalente l'autotutela è espressione del potere dell'amministrazione sia di dare esecuzione coattiva ai propri provvedimenti, sia di riesaminare gli stessi al fine di valutare la presenza di eventuali vizi. Per completezza, però, va riferito che questa impostazione è arricchita da quella parte di dottrina, che fa convolare nell'ambito dell'autotutela tutte le attività attraverso cui la p.a. provvede a risolvere conflitti, potenziali od attuali, insorgenti nei riguardi dei soggetti terzi (destinatari delle determinazioni provvedimentali), senza l'intervento dell'autorità giudiziaria (Benvenuti). Sul punto, tuttavia, giova subito specificare che i provvedimenti di revoca ed anche di annullamento, se concepiti come strumenti di autotutela perché consentono la risoluzione di conflitti, non possono certo dirsi alternativi agli strumenti di tutela giurisdizionale o giustiziale: il parallelismo fra le fattispecie di tutela e quelle che consentono l'autotutela non è ammissibile, perché sono diverse le ipotesi previste per l'uno o per l'altro rimedio ed anche gli effetti che ne derivano. Detto ciò, è comunque opportuno segnalare che, secondo alcuni autori, è più corretto inquadrare il potere di riesame (almeno nella forma della revoca per fatti sopravvenuti) nella cosiddetta amministrazione attiva. Nell'ambito di quest'ultima, infatti, la p.a. può intervenire nuovamente su una questione (o rapporto) già valutata e adottare un provvedimento nuovo, che alla luce delle sopravvenienze, risulti più idoneo a perseguire l'interesse pubblico. E, sempre secondo quest'orientamento, proprio perché in tale evenienza non si configura alcun conflitto da risolvere, ma semplicemente una nuova determinazione provvedimentale (che garantisce il perseguimento dell'interesse pubblico), non può parlarsi di autotutela, ove si consideri l'autotutela un mezzo di soluzione dei conflitti altrimenti risolvibili in sede giurisdizionale o giustiziale. Si deve soggiungere che la soluzione di ricondurre il potere di riesame nell'amministrazione attiva (anziché nell'autotutela), proposta da alcuni solo con riferimento alla revoca per circostanze sopravvenute (perché risolve un conflitto non risolvibile né in sede giurisdizionale, né in sede giustiziale), è stata estesa da altri alla revoca per vizio originario. Dunque, accogliendo la tesi, appena riferita, può dirsi che il fondamento del potere di riesame, in definitiva, si annida nella stessa norma attributiva del potere di emanare il provvedimento: più esattamente, il potere riconosciuto alla p.a. di adottare il provvedimento originario include in sé il potere di provvedere nuovamente, in un momento successivo, sul medesimo oggetto. Inoltre, per questa stessa via argomentativa, prima della l. n. 15/2005, si affrontava il problema dell'assenza di un fondamento normativo dell'autotutela, problema che in particolar modo si poneva con riguardo al principio di legalità dell'azione amministrativa. Va ricordato, infatti, che fino al 2005 non esisteva una disciplina organica dei diversi interventi in autotutela realizzati dalla p.a. Per certo, il legislatore della Novella ha colmato questa carenza normativa inserendo nella legge in commento un generale fondamento sia al potere di riesame con esito demolitorio (artt. 21-quinquies e 21-nonies) e conservativo (art. 21-nonies, comma 2), sia alla potestà esecutoria (art. 21-ter). Poi ancora, va specificato che il locus deputato all'esercizio del potere di riesame delle precedenti determinazioni amministrative è il c.d. procedimento amministrativo di secondo grado, la cui peculiarità, fermo restando la sua natura procedimentale, consiste proprio nell'oggetto, sul quale è destinato ad incidere, ossia un provvedimento già adottato, che, per effetto della rivalutazione dell'interesse pubblico originario, della sopravvenienza di una situazione di fatto o di un nuovo interesse pubblico, oppure dell'accertamento di un vizio originario, viene rimosso, modificato o confermato. Allora, può dirsi che l'esercizio del potere di riesame induce l'amministrazione procedente ad effettuare una duplice valutazione discrezionale, riguardo alla sussistenza del vizio ed all'opportunità del provvedimento, alla luce di una comparazione che coinvolge non solo l'interesse pubblico (specifico, attuale e concreto) alla eliminazione dell'atto, ma anche gli affidamenti privati e gli altri interessi pubblici alla conservazione dello stesso. E proprio in punto di tutela dell'interesse pubblico attraverso l'esercizio del potere di riesame, la giurisprudenza ha ribadito che l'interesse pubblico su cui si basa il legittimo esercizio dell'anzidetto potere: «non si identifica nella necessità del ripristino dell'ordinamento violato, ma richiede una valutazione comparativa sulla qualità e concretezza degli interessi in gioco ...». (Cons. St. VI, n. 136/2009). In ultimo, a scopo ricognitivo vanno indicate sommariamente le diverse forme in cui si manifesta l'autotutela amministrativa, nonostante per certi aspetti si discute proprio della riconducibilità di alcune di esse nella nozione stessa di autotutela. Ebbene, può configurarsi: la c.d. autotutela spontanea, ove la p.a. decide d'ufficio sui propri provvedimenti; l'autotutela necessaria, che trova concreta espressione nei controlli amministrativi; l'autotutela contenziosa, che si sostanzia nei ricorsi amministrativi; l'autotutela esecutiva, che si manifesta nel potere della p.a. di imporre coattivamente l'adempimento degli obblighi posti a carico del destinatario (cfr. sub art. 21-ter); l'autotutela caducatoria, nell'ipotesi in cui l'amministrazione procedente elimina l'atto precedentemente adottato; l'autotutela confermativa, ove la p.a. modifica o conferma le statuizioni di cui al provvedimento oggetto di riesame. Ai fini che qui rilevano, va detto che il potere di revoca è espressione dell'autotutela spontanea. I provvedimenti revocabili.Possono essere oggetto di revoca solo i provvedimenti amministrativi con efficacia protratta nel tempo, benché costitutivi di diritti soggettivi (Sandulli, Trotta, 87). La norma, invero, è stata ritenuta applicabile in materia edilizia, per lo più in relazione al potere della p.a. di revocare la d.i.a. spirato il termine per l'esercizio del controllo (T.A.R. Umbria, Perugia I, n. 549/2008; T.A.R. Emilia Romagna, Bologna II, n. 2253/2007), nonché in materia di procedure ad evidenza pubblica, in relazione al bando di gara per l'affidamento di un contratto di appalto. La giurisprudenza ha affermato che il bando, in quanto «atto ontologicamente diretto a disciplinare l'intera procedura di evidenza pubblica sino al provvedimento di aggiudicazione definitiva, non può essere certamente considerato atto ad efficacia istantanea, al fine di negarne ogni possibilità di revoca; ne discende, pertanto, che l'amministrazione appaltante può certamente revocare il bando di gara, ai sensi dell'art. 21-quinquies, l. n. 241/1990, ricorrendone i presupposti previsti dalla norma» (T.A.R. Calabria, Catanzaro II, n. 1022/2007). Riguardo a quest'ultima materia, però, giova chiarire che, una volta terminata la procedura ad evidenza pubblica, è da reputarsi illegittima la revoca dell'aggiudicazione disposta sulla base di un giudizio prognostico di incapacità dell'aggiudicataria ad espletare il servizio affidato per irregolarità ed inadempienze riscontrate nel periodo di prova. Semmai, tali inadempienze, poiché rientrano nella fase di esecuzione del rapporto contrattuale intercorrente con la p.a. committente, legittimano quest'ultima alla risoluzione contrattuale ma non all'esercizio del potere (pubblicistico) di revoca (Cons. St. V, n. 5427/2009). Si aggiunga che in tale evenienza la giurisdizione spetta al giudice ordinario, perché, al di là del nomen iuris utilizzato dalla p.a., essendo inciso un rapporto negoziale si configura una risoluzione contrattuale (T.A.R. Lazio, Roma II-bis, n. 3855/2009). In materia di contributi economici, si reputa legittima la revoca ex art. 21-quinquies. Tale potere è motivato «in relazione alla possibile lesione della par condicio tra i possibili assegnatari, dato che viene in rilievo non il mero ripristino della legalità, ma l'interesse al corretto esercizio del potere amministrativo che deve garantire la parità di condizioni agli aventi diritto» (T.A.R. Calabria, Catanzaro II, n. 744/2007). Anche gli accordi previsti dall'articolo 11 della legge in commento, ai quali prevalentemente si riconosce natura pubblicistica, possono essere oggetto di revoca. I provvedimenti non revocabili. Non sono suscettibili di revoca i provvedimenti ad effetti istantanei; quelli interamente eseguiti; i provvedimenti vincolati; i provvedimenti che hanno consumato il potere e, più in generale, tutti i provvedimenti che hanno esaurito interamente i loro effetti. Non sono parimenti revocabili atti endoprocedimentali con effetti instabili, del tutto interinali, in quanto la norma richiede che si tratti di provvedimenti stabili ad efficacia durevole, dunque, tali da ingenerare nel destinatario un legittimo affidamento. Ne consegue che in tema di procedure di affidamento, può dirsi che il ritiro implicito dell'aggiudicazione provvisoria non configura un'ipotesi di revoca, né in particolare l'obbligo di indennizzo, previsti dall'articolo in questione, poiché appunto si tratta di atto endoprocedimentale (Cons. St. V, n. 526/2009, che esclude anche la comunicazione ex art. 7; nella stessa ipotesi il T.A.R. Campania, Napoli, VIII, n. 10735/2008 esclude l'obbligo della motivazione ex art. 3). Deve poi escludersi l'applicabilità dell'art. 21-quinquies in materia di revoca della delibera di accettazione da parte di un ente pubblico di una proposta transattiva, alla quale deve ascriversi natura privatistica e, in quanto tale, non può essere ricondotta alla fattispecie contemplata dall'art. 21-quinquies l. n. 241/1990 che si riferisce alle ipotesi di revoca di «provvedimenti» amministrativi. Ne consegue, pertanto, che la controversia sull'eventuale indennizzo per i danni che la revoca abbia potuto comportare è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario (Cons. St. VI, n. 4634/2007). Più in generale, «restano fuori dal raggio di applicazione dell'art. 21-quinquies le diverse fattispecie in cui la p.a. agisce iure privatorum all'interno del rapporto negoziale, senza voler rimeditare l'atto amministrativo presupposto, e ciò sia quando viene sostanzialmente deliberato un recesso unilaterale dal contratto» (T.A.R. Abruzzo, L'Aquila I, n. 554/2008). I presupposti.La previsione normativa de qua è dovuta al recepimento delle conclusioni precedentemente elaborate in sede pretoria. L'istituto, infatti, così come disciplinato, chiude il dibattito sull'ampiezza dei presupposti del potere di revoca codificando la tesi estensiva delle sopravvenienze e del ripensamento della p.a. A questo proposito, la giurisprudenza ha ribadito che la norma ha accolto una nozione ampia di revoca, prevedendo tre presupposti alternativi, che legittimano l'adozione di un provvedimento di revoca per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, per mutamento della situazione di fatto, ed infine, per nuova valutazione dell'interesse pubblico originario. La revoca di provvedimenti amministrativi è, quindi, possibile non solo in base a sopravvenienze, ma anche per una nuova valutazione dell'interesse pubblico originario (c.d. jus poenitendi) (T.A.R. Campania, Napoli V, n. 7561/2010; Cons. St. V, n. 2244/2010). Affinché possa legittimamente esplicarsi il potere di revoca, è necessario che la p.a. proceda ad una nuova valutazione della pregressa fattispecie, verificando l'esistenza anche di sopravvenuti motivi di pubblico interesse ed effettuando una comparazione tra le esigenze di interesse pubblico concrete ed attuali (Cons. St. V, n. 4424/2008; T.A.R. Liguria, Genova I, n. 1349/2006; T.A.R. Puglia, Lecce II, n. 4075/2004; Cons. St. III, n. 1352/2003). Gli effetti.Il provvedimento revocato non viene eliminato retroattivamente, ma semplicemente non è più idoneo a produrre ulteriori effetti. Dunque, la revoca (almeno secondo l'orientamento maggioritario) produce effetti ex nunc, salvaguardando quelli medio tempore prodotti dal provvedimento revocato (T.A.R. Sardegna, Cagliari II, n. 99/2007; T.A.R. Trentino Alto Adige, Trento, n. 300/2006). Tuttavia, c'è chi, mantenendo distinte le due ipotesi di revoca, sostiene che solo la revoca dovuta a sopravvenienze spiega effetti ex nunc, mentre la revoca basata su un ripensamento della p.a., determinato dal riscontro di un vizio di merito, deve produrre effetti ex tunc. L'obbligo di motivazione.Le determinazioni implicanti l'esercizio del potere di revoca devono essere debitamente motivate, ex art. 3, l. n. 241/1990 (T.A.R. Campania, Salerno I, n. 2575/2003; Cons. St. IV, n. 5398/2003; Cons. St. III, n. 1352/2003), anche con riferimento al pregiudizio subito dal privato (T.A.R. Toscana, Firenze II, n. 5/2007; T.A.R. Puglia, Bari II, n. 2975/2006), alla luce della posizione consolidata nei suoi riguardi e dell'affidamento ingenerato dal provvedimento revocato (T.A.R. Sicilia, Catania III, n. 1148/2006). Tali conclusioni, peraltro, appaiono conformi a quanto affermato dalla giurisprudenza in relazione all'applicabilità ai procedimenti in autotutela delle norme sul procedimento amministrativo. Si segnala il recente indirizzo pretorio (Cons. St., III, 23 giugno 2023, n. 6208), secondo cui l’irragionevolezza di un provvedimento di revoca non può essere desunta dalla difesa, effettuata dalla p.a. in giudizio, degli atti revocati, attesa la diversità tra il soggetto che è tenuto a difendere, in giudizio, le scelte già adottate dalla p.a., esercitando il ministero del difensore, e gli organi di amministrazione attiva, tenuti invece ad adeguare l’assetto provvedimentale alle mutevoli valutazioni circa la sua aderenza al quadro dei fatti e degli interessi rilevanti venuto di volta in volta a determinarsi nella realtà socio-economica. La sentenza ha altresì rimarcato che la revoca degli atti di gara interrompe il nesso causale tra l’annullamento degli atti di aggiudicazione precedentemente adottati, e i danni subiti dall’aggiudicatario; la situazione giuridica tutelabile sul piano risarcitorio è infatti unitaria, e di conseguenza, ove l’interesse giuridico pretensivo al conseguimento dell’aggiudicazione risulti paralizzato per effetto del provvedimento di autotutela che abbia vanificato lo stesso procedimento di gara, e questo sia passato indenne al vaglio di legittimità del giudice amministrativo, esso non potrà più essere addotto a fondamento di una azione risarcitoria ai fini del ristoro dei danni conseguenti al suo mancato soddisfacimento. Revoca e affidamento del privato direttamente interessato: l'obbligo di indennizzo.Uno degli aspetti problematici più rilevanti della disciplina in generale del potere di riesame riguarda il rapporto tra il potere amministrativo di ritirare un provvedimento precedentemente adottato e l'affidamento ingenerato nel privato dallo stesso provvedimento. Sul tema, il terzo periodo del comma 1 prevede a carico della p.a. l'obbligo di corrispondere un indennizzo, se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati: si tratta indubbiamente di una novità di rilievo introdotta per la prima volta nel nostro ordinamento dalla l. n. 15/2005. Cosicché, l'esplicita previsione normativa di tale obbligo ha posto fine al precedente animato dibattito fra dottrina e giurisprudenza, nell'ambito del quale più volte era stata ribadita l'esigenza di un congruo ristoro in favore dei destinatari di un provvedimento favorevole, poi revocato. E allora, occorre evidenziare il duplice aspetto dell'interesse pubblico all'eliminazione del provvedimento: da un lato, la giurisprudenza configura l'interesse pubblico specifico, concreto ed attuale, alla rimozione del provvedimento come il presupposto necessario per l'esercizio del potere di revoca (ed anche del potere di annullamento); dall'altro, il legislatore conferisce allo stesso un ruolo preminente rispetto all'eventuale affidamento riposto dal privato nella stabilità del provvedimento oggetto di successiva revoca. A riguardo, richiamando il tema del principio di legittimo affidamento concepito come espressione dell'esigenza di certezza e stabilità delle situazioni giuridiche, va rimarcato che a differenza di altri principi come quello di imparzialità e buon andamento, spesso definiti assoluti, la finalità di tutela sottesa all'affidamento non sempre prevale nel bilanciamento con altri interessi pubblici o privati (la fattispecie della revoca ne è un esempio). L'affidamento del privato, pertanto, nell'ipotesi contemplata dalla norma costituisce il parametro di valutazione dell'indennizzo da corrispondere al privato interessato e non può in alcun modo rappresentare un motivo di ostacolo all'esercizio del potere di revoca del provvedimento. Diversamente, deve sottolinearsi che, in caso di annullamento d'ufficio di un provvedimento illegittimo, l'affidamento (maturato con il decorso del tempo) svolge un ruolo di effettivo limite all'esercizio del potere di annullamento in base a quanto previsto dall'art. 21-nonies (Cons. St. IV, n. 564/2006). Dunque, il sacrificio dell'affidamento incolpevole del privato al preminente interesse pubblico alla rimozione dell'atto, viene così «compensato» con un indennizzo da corrispondere per l'appunto a favore dell'interessato direttamente coinvolto dall'esercizio del potere di revoca. A questo proposito, la giurisprudenza precisa che per la legittimità del provvedimento di revoca, non è richiesta la contestuale individuazione della misura dell'indennizzo (T.A.R. Veneto, Venezia I, n. 2958/2009). La mancata previsione dell'indennizzo, piuttosto, legittima il privato ad azionare la pretesa patrimoniale innanzi al giudice amministrativo che potrà scrutinarne i presupposti (Cons. St. VI, n. 1554/2010). Da quanto sopra esposto, consegue che l'art. 21-quinquies, è norma di principio e come tale si inserisce nel sistema delle garanzie del cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa: ne consegue l'immediata applicabilità, da parte (e nei confronti) anche degli enti locali (T.A.R. Veneto, Venezia III, n. 1545/2008; T.A.R. Sicilia, Palermo II, n. 1775/2007). Casi di esclusione dell'indennizzo. La giurisprudenza è concorde nell'escludere che spetti alcun emolumento indennitario al privato, ove il provvedimento revocato abbia costituito nei riguardi del destinatario una pretesa a tempo determinato. È quanto stabilito dalla giurisprudenza in riferimento al provvedimento di revoca dell'assegnazione di un alloggio, disposta dall'amministrazione quale atto consequenziale alla mutata destinazione della struttura, poiché la precedente assegnazione dell'alloggio, disposta in favore del ricorrente ai fini del servizio di guardianìa, non costituisce una pretesa a tempo indeterminato (T.A.R. Campania, Napoli VII, n. 8934/2007) ovvero nel caso in cui il privato si dolga dell'illegittimità del provvedimento di revoca (T.A.R. Veneto, Venezia I, n. 2278/2007). Si aggiunga che è altresì escluso l'indennizzo nel caso di una eventuale compresenza di vizi di legittimità e di circostanze che rendono inopportuno il permanere di un provvedimento efficace: in tale evenienza prevale la disciplina dell'annullamento (T.A.R. Lazio, Roma III, n. 6369/2007). I criteri per la quantificazione dell'indennizzo. In punto di tutela della posizione favorevole consolidata in capo al destinatario del provvedimento originario, la norma si limita alla sola previsione di principio dell'obbligo di indennizzo, senza tuttavia stabilire i criteri per la sua concreta determinazione. Revoca e responsabilità precontrattuale della p.a.Quanto finora riferito in ordine ai presupposti legittimanti il provvedimento di revoca ed alla previsione espressa dell'obbligo a carico della p.a. di indennizzare il privato (che eventualmente subisce pregiudizi in conseguenza della revoca) non elimina la necessità che l'amministrazione – nell'ambito della fase formativa della volontà negoziale – operi secondo i canoni di correttezza e buona fede, e quindi non esclude il profilo relativo alla valutazione del comportamento da essa tenuto in quella sede (T.A.R. Campania, Napoli I, n. 6817/2008; T.A.R. Lazio, Roma III, n. 77/2007). L'ipotesi più ricorrente nell'ambito della quale la giurisprudenza ha riconosciuto la responsabilità precontrattuale in capo all'amministrazione che ritira (legittimamente o non) un provvedimento, è quella della revoca del bando di gara (o dell'aggiudicazione) giustificata dalla necessità di una revisione progettuale o dalla mancanza di risorse finanziarie sufficienti. Ebbene, la giurisprudenza amministrativa, ancor prima dell'introduzione del comma 1-bis (L. 2 aprile 2007, n. 40), a fronte di comportamenti della stazione appaltante violativi dei doveri di correttezza e buona fede, nonostante la legittimità della revoca, aveva riconosciuto al privato il diritto al ristoro del danno per lesione del cosiddetto interesse negativo, ossia l'interesse commisurato alle spese sostenute per partecipare alla gara ed alla perdita, ove dimostrata, della chance di aggiudicarsi un'altra gara di appalto (Cons. St., Ad. plen., 5 settembre 2005, n. 6). È chiaro che la responsabilità precontrattuale si fonda non sul singolo provvedimento di revoca, ma sui comportamenti contrari ai doveri di correttezza e buona fede tenuti dall'amministrazione durante la procedura di gara. E allora, l'espressa previsione del diritto all'indennizzo parametrato al solo danno emergente, posta a tutela dell'affidamento del privato in relazione all'esercizio del potere di revoca da parte della p.a., non esclude la possibile configurazione della responsabilità precontrattuale nel corso di una procedura di gara. Sicché «la causa efficiente della tutela del legittimo affidamento dell'interessato in relazione all'esercizio del predetto potere non è più tanto la situazione oggettiva rispetto alla quale possa assumere rilievo l'erronea percezione del soggetto privato, quanto piuttosto la condotta soggettiva della controparte» (T.A.R. Lazio, Roma III, osto n. 6911/2006). Inoltre, data la funzione compensativa attribuita all'indennizzo, la giurisprudenza ha escluso la rilevanza del comportamento della p.a. ai fini della quantificazione dell'indennizzo ai sensi dell'art. 21-quinquies (T.A.R. Sicilia, Palermo II, n. 1775/2007). In definitiva, qualora in seno ad una procedura di gara sussista la responsabilità precontrattuale della p.a. che ne ha legittimamente disposto la revoca, il privato direttamente interessato ha diritto non solo all'indennizzo (parametrato al danno emergente) ma all'integrale risarcimento del danno patito (che comprende oltre al danno emergente anche la perdita della chance contrattuale alternativa). Tuttavia, poiché in tal caso rileva una responsabilità da illecito, per ottenere il risarcimento il privato deve provare, secondo la regola generale, anche l'elemento soggettivo (ovvero il dolo o la colpa della p.a.); prova che invece è esclusa ai fini dell'indennizzo, da atto lecito ma dannoso, per l'appunto previsto dall'articolo in commento. La revoca e le figure similari.La revoca deve distinguersi da altri atti di ritiro, ugualmente adottabili dalla p.a. in sede di autotutela. In primo luogo, essa va distinta dalla rimozione, alla quale provvede lo stesso organo che ha emanato l'atto, caducandolo per motivi diversi dalla sua inopportunità od illegittimità. L'atto di revoca, poi, si differenzia dal mero ritiro, anche in forma implicita, di atti inefficaci perché nulli, annullati, privi di un requisito di obbligatorietà o esecutività (in quanto atti meramente preparatori od improcedibili). E ancora, la revoca in autotutela non va confusa con la revoca sanzionatoria (o decadenza) che presuppone la commissione di un illecito da parte del destinatario del provvedimento o il mancato rispetto di un obbligo. Infine, la revoca si distingue dalla rettifica, che costituisce il tipico rimedio per la correzione di errori materiali, eliminando od aggiungendo al contenuto dell'atto, in conformità con quanto effettivamente voluto dalla P.A. (Cons. St. V, n. 581/1980). Essa non comporta una particolare esternazione delle ragioni di interesse pubblico che la determinano, potendo essere agevolmente desunti dalla constatazione dell'errore (Cons. St. VI, n. 692/1979). La giurisdizione e le «novità» del «Codice del processo amministrativo»Il Decreto Legislativo 2 luglio 2010, n. 104, recante il «Codice del processo amministrativo», con specifico riferimento alla giurisdizione in tema di determinazione e corresponsione dell'indennizzo dovuto in caso di revoca del provvedimento amministrativo, si propone semplicemente di trapiantare sul piano processuale una regola già contenuta nella l. n. 241/1990, di cui ne viene confermata la validità. Nello specifico, da un lato, l'art. 4 dell'Allegato 4 del citato progetto di decreto legislativo prevede l'abrogazione dell'art. 21-quinquies, comma 1, ultimo periodo, l. n. 241/1990; dall'altro lato, l'art. 133 dello stesso decreto dispone che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di determinazione e corresponsione dell'indennizzo dovuto in caso di revoca del provvedimento amministrativo (comma 1, lett. a.4)). Questioni applicative.1) L'indennizzo nella previsione dell'art. 21-quinquies, comma 1-bis: l'ambito di applicazione della norma. L'art. 13, comma 8-duodevicies del d.l. n. 7 del 31 gennaio 2007 (c.d. decreto Bersani bis), convertito con modificazioni nella legge 2 aprile 2007 n. 40, ha introdotto specifici criteri di quantificazione dell'indennizzo. La norma ha sollevato immediatamente alcune questioni di ordine esegetico. In primo luogo, si discute circa l'ambito di applicazione della medesima, atteso che essa sembra limitata alle sole ipotesi di revoca incidente sui rapporti negoziali. Taluni, muovendo dalla distinzione fra rapporti negoziali e rapporti amministrativi classici, hanno interpretato detta previsione come un limite all'ambito applicativo della norma. Pertanto, il comma 1-bis è destinato a trovare applicazione solo qualora la revoca incida su rapporti negoziali, ossia in quelle ipotesi in cui al provvedimento revocato accedano contratti (si pensi alla revoca di una concessione, secondo la tesi classica) oppure nelle ipotesi di contratti legati al provvedimento da un nesso di presupposizione (si pensi al provvedimento di aggiudicazione ed al successivo contratto di appalto). Però, questa limitazione del campo di applicazione pone delicati problemi interpretativi, in quanto non si comprende come debba essere liquidato l'indennizzo ove la revoca incida non su rapporti negoziali ma amministrativi. Si può ipotizzare, argomentando a contrario, che, poiché il legislatore ha limitato l'indennizzo al danno emergente solo per la revoca incidente su rapporti negoziali, in tutti gli altri casi l'indennizzo può includere anche il lucro cessante. Tuttavia, questa conclusione non appare condivisibile poiché, se così fosse, due situazioni tra loro profondamente diverse verrebbero ad essere parificate sotto il profilo delle conseguenze patrimoniali, atteso che l'indennizzo ha la funzione di ristorare un pregiudizio derivante da atto lecito e perciò non può essere uguale al risarcimento del danno, che invece è originato da un comportamento illecito. Secondo un'altra opzione ermeneutica si può ritenere che il legislatore si è occupato della quantificazione dell'indennizzo solo per la revoca incidente su rapporti negoziali, perché solo in tal caso il privato ha diritto all'indennizzo. Ma anche questa linea interpretativa non è condivisibile in quanto contrasta con la chiara previsione del comma 1 dell'articolo in commento, ai sensi del quale l'indennizzo spetta, a prescindere dalla distinzione tra rapporti amministrativi e rapporti negoziali, ogni volta che la revoca comporta «pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati». Ci si chiede ancora se la norma si applichi a tutti i casi di revoca previsti o solo alla revoca determinata da una nuova valutazione dell'interesse pubblico originario. La lettera della norma, invero, lascerebbe intendere che essa trovi applicazione solo ove la revoca abbia ad oggetto un atto ab origine contrario all'interesse pubblico, con esclusione quindi, della revoca dovuta a sopravvenienze, in virtù del riferimento alla conoscenza da parte del privato della contrarietà dell'atto all'interesse pubblico, che lascerebbe intendere che la previsione in commento si applichi solo al caso in cui l'atto sia sempre stato contrario all'interesse pubblico. 2) Le voci indennizzabili. La norma parametra l'indennizzo dovuto al privato al solo danno emergente (T.A.R. Basilicata, Potenza I, n. 480/2009). Sembrerebbe, infatti, che il legislatore non equipari tout court indennizzo e danno emergente, utilizzando il secondo termine come parametro per la determinazione del primo. Ne consegue, quindi, che l'indennizzo, pur dovendo essere calcolato sulla base del danno emergente, possa, tuttavia, scendere anche al di sotto di tale soglia in considerazione delle circostanze del caso concreto. La giurisprudenza ha sottolineato la portata eccezionale della norma, nella parte in cui esclude il lucro cessante dalla parametrazione dell'indennizzo, poiché quest'ultimo, al pari del risarcimento, ha valenza compensativa e pertanto comprende tutto il danno, non solo il danno emergente ma anche il lucro cessante (T.A.R. Sicilia, Palermo II, n. 1775/2007). Dunque, il destinatario del provvedimento di revoca viene ristorato solo delle eventuali spese che abbia sostenuto facendo affidamento sull'efficacia dell'atto oggetto di revoca; resta escluso dall'indennizzo, invece, il mancato guadagno che, grazie al provvedimento revocato, il privato avrebbe potuto conseguire. Ciò non toglie, naturalmente, che il destinatario dell'atto revocato possa ottenere il ristoro integrale dei danni subiti, comprensivi quindi anche del lucro cessante, ove la revoca del provvedimento sia illegittima. A tal proposito la giurisprudenza ha ritenuto inapplicabile l'art. 21-quinquies – e la relativa previsione dell'indennizzo – ove il comportamento del privato denoti una «lamentela» relativa alla legittimità del provvedimento di revoca: «Nel corso del giudizio instaurato per l'annullamento del provvedimento con il quale la stazione appaltante ha disposto di non dare ulteriore corso ad una procedura relativa ad una gara d'appalto di lavori, la richiesta formulata dal ricorrente che il proprio danno venga liquidato ai sensi dell'art. 21-quinquies, l. n. 241/1990, come aggiunto dall'art. 14 della l. n. 15/2005, fuoriesce dalla connotazione propria del risarcimento di un danno ingiusto per assumere la valenza di un ristoro patrimoniale discendente dalla legittima adozione di un atto di revoca e, quindi, di per sé incompatibile con la contestuale proposizione di una domanda di annullamento dell'atto medesimo» (T.A.R. Veneto, Venezia I, n. 2278/2007). 3) I criteri per la quantificazione dell'indennizzo. La norma, evocando quanto previsto dall'art. 1227 c.c., prescrive che, nella quantificazione dell'emolumento indennitario, debba tenersi conto sia dell'eventuale conoscenza – o conoscibilità – da parte dei contraenti della contrarietà dell'atto revocato all'interesse pubblico, sia dell'eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all'erronea valutazione della compatibilità del provvedimento oggetto di revoca con l'interesse pubblico. Dunque, i parametri della conoscenza, conoscibilità e del concorso alla causazione dell'erronea valutazione riducono il quantum del danno indennizzabile. Qualche autore (Franchini, Lucca, Tessaro, 736) ha sollevato dubbi in ordine alla parametrazione dell'indennizzo alla conoscenza – o conoscibilità – da parte del privato della contrarietà dell'atto all'interesse pubblico o del suo eventuale concorso di colpa nell'erronea valutazione compiuta dalla p.a. Se pur tale scelta è in punto di principio condivisibile, considerato che l'indennizzo è diretto a ristorare un pregiudizio che il privato subisce a causa di un affidamento incolpevole, la norma appare di difficile applicazione pratica, essendo concretamente assai difficile dimostrare che il privato conosceva – o poteva conoscere – la contrarietà dell'atto all'interesse pubblico. Si tratta, infatti, di valutazioni inerenti al c.d. merito amministrativo, che è una prerogativa della p.a. che in via esclusiva possiede gli strumenti per effettuare tale valutazione. Proprio per questa ragione la «scelta di merito» si sottrae di regola a qualsiasi sindacato da parte di soggetti terzi ed in primis al sindacato del giudice amministrativo. Dunque, non sembra ragionevole ipotizzare al contrario, come il legislatore, che il privato possa conoscere il vizio di merito che affligge l'atto revocato. Ciò significa, in contrasto con l'esclusività e l'insindacabilità dell'anzidetto merito amministrativo, attribuire al privato capacità e competenze tali da consentirgli di valutare la conformità all'interesse pubblico della scelta amministrativa. La giurisprudenza, comunque, ha fatto più volte applicazione di tale criterio nell'ipotesi in cui il ritiro dell'atto sia dipeso unicamente da un palese errore materiale, in quanto tale sicuramente (ri)conoscibile dal privato (T.A.R. Abruzzo, Pescara I, n. 130/2008), ovvero in caso di inadempimento del destinatario del provvedimento agli obblighi ivi contenuti (Cons. St. V, n. 4424/2008; Cons. St. V, n. 3595/2007; T.A.R. Sardegna, Cagliari I, n. 716/2007; T.A.R. Sicilia, Catania I, n. 2319/2006). Ulteriori incertezze, poi, derivano dal fatto che la norma non menziona un elemento che è certamente importante per valutare la consistenza dell'affidamento del privato: il tempo trascorso tra l'emanazione del provvedimento e la sua revoca. A tutt'oggi, comunque, deve segnalarsi che la posizione della giurisprudenza in merito è attestata sulla rigorosa interpretazione della norma, la quale non prevede il criterio temporale tra i parametri di riferimento per la determinazione dell'indennizzo. Ne consegue che «non influisce sulla corresponsione dell'importo indennitario di cui all'art. 21-quinquies, l. n. 241/1990 il decorso di un più o meno breve intervallo temporale tra l'adozione del provvedimento e la sua revoca, atteso che la ragione del diritto all'indennizzo risiede nell'oggettiva causazione di pregiudizi a danno del privato in virtù di attività lecita della Pubblica Amministrazione, e non nell'apprezzamento di circostanze di ordine temporale, semmai utili ai fini dell'esercizio (a monte) del potere di autotutela» (T.A.R. Campania, Napoli I, n. 6817/2008). Molte perplessità, ancora, desta il riferimento all'eventuale concorso di « altri » (cioè di soggetti diversi dal destinatario del provvedimento) all'erronea valutazione della compatibilità dell'atto revocato con l'interesse pubblico, non essendo chiaro come ed in che misura soggetti terzi possano concorrere ad una valutazione erronea del provvedimento da parte del destinatario dello stesso (si può pensare ad un'informazione sbagliata). In un certo qual modo sembra richiamata la regola generale della responsabilità solidale, con la differenza che in questo caso il concorso alla causazione nell'erronea valutazione di soggetti terzi (perché evidentemente non titolari del rapporto negoziale) comporta un danno allo stesso privato coinvolto nel rapporto negoziale, che subisce la riduzione dell'indennizzo. Gli istituti di partecipazione popolare rendono doverosa l'autotutela amministrativa? Negativa la risposta di Cons. Stato, sez. V, 22 marzo 2023, n. 2911 , secondo cui l''oggetto delle petizioni e proposte nonché l'ambito dell'obbligo di provvedere sulle stesse vanno coordinati con i principi generali del procedimento amministrativo cristallizzati nella legge n. 241 del 1990 e, perciò solo, non derogabili da fonte subordinata. Salvo eccezioni espressamente previste dalla legge, l'autotutela non è mai doverosa; per cui, anche a fronte di una richiesta di riesame formulata mediante una proposta o petizione avanzata nelle forme regolamentate dallo statuto comunale, non sussiste alcun obbligo di provvedere in capo al Comune, né può formarsi alcun silenzio inadempimento. La revoca, infatti, si configura, in ragione della sua ampia discrezionalità, alla stregua di un tipico strumento di autotutela decisoria preordinato alla rimozione, con efficacia ex nunc, di un provvedimento all'esito di una nuova valutazione dell'interesse pubblico alla sua conservazione. La richiesta, avanzata dai privati nei confronti dell'amministrazione al fine di ottenerne un intervento in autotutela, si atteggia a mera denuncia, con funzione sollecitatoria. Nella fattispecie in esame, l'oggetto della petizione e della proposta consiste nella richiesta di revoca di una delibera del Consiglio Comunale). Precedenti conformi: Cons. Stato, sez. VI, 25 maggio 2020, n. 3277; Cons. Stato, sez. IV, 11 ottobre 2019, n. 6923; Cons. Stato, sez. V, 19 aprile 2018, n. 2380; Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 2017, n. 2751; Cons. Stato, sez. VI, 15 maggio 2012, n. 2774; Cons. Stato, sez. IV, 16 settembre 2008, n. 4362. Gli istituti di partecipazione popolare rendono doverosa l'autotutela amministrativa?
Precedenti conformi:Cons. Stato, sez. VI, 25 maggio 2020, n. 3277; Cons. Stato, sez. IV, 11 ottobre 2019, n. 6923; Cons. Stato, sez. V, 19 aprile 2018, n. 2380; Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 2017, n. 2751; Cons. Stato, sez. VI, 15 maggio 2012, n. 2774; Cons. Stato, sez. IV, 16 settembre 2008, n. 4362. BibliografiaBenvenuti, Autotutela, in Enc. dir., Milano, 1959; Franchini, Lucca, Tessaro, Il nuovo procedimento amministrativo. Commentario coordinato della legge 241/1990 riformata dalla legge 11 febbraio 2005 n. 15 e dalla legge 14 maggio 2005n. 80, Padova, 2008; Liberati, Il procedimento amministrativo, I, Padova, 2008; Sandulli, Trotta, Riforma della legge 241/1990 e processo amministrativo, Milano, 2005. |