Legge - 7/08/1990 - n. 241 art. 21 nonies - Annullamento d'ufficio 1Annullamento d'ufficio 1
1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell' articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole comunque non superiore a dodici mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo 2. 2. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole. 2-bis. I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di dodici mesi di cui al comma 1, fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 3. [1] Articolo inserito dall'articolo 14, comma 1, della legge 11 febbraio 2005, n. 15. [2] Comma modificato dall'articolo 25, comma 1, lettera b-quater), numeri 1) e 2) del D.L. 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 novembre 2014, n. 164, successivamente, dall'articolo 6, comma 1, lettera d), numero 1) della Legge 7 agosto 2015, n. 124 e da ultimo dall'articolo 63, comma 1, del D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito con modificazioni dalla Legge 29 luglio 2021, n. 108. [3] Comma aggiunto dall'articolo 6, comma 1, lettera d), numero 2) della Legge 7 agosto 2015, n. 124 e successivamente modificato dall'articolo 63, comma 1, del D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito con modificazioni dalla Legge 29 luglio 2021, n. 108. InquadramentoIl Capo IV-bis della l. n. 241/1990 regola, all'articolo 21-nonies, l'annullamento d'ufficio dei provvedimenti amministrativi. Si tratta, come per la revoca di cui all'art. 21-quinquies, di uno strumento di autotutela amministrativa in ragione del quale il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi del comma 1 dell'art. 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole (comunque non superiore a dodici mesi per i atti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici), tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati. Circa i presupposti per l'attivazione del rimedio in commento, afferma la terza sezione del Consiglio di Stato con sentenza n. 3780/2017 che, secondo i principi enucleati dalla giurisprudenza del medesimo Supremo Consesso della Giustizia Amministrativa, poi sostanzialmente confluiti nell'art. 21 -noniesdella l. n. 241/1990, i presupposti per l'esercizio del potere di annullamento d'ufficio con effetti ex tunc sono, accanto all'illegittimità originaria del provvedimento, l'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione diverso dal mero ripristino della legalità, l'assenza di posizioni consolidate in capo ai destinatari, una puntuale motivazione che dia conto della valutazione comparativa degli interessi dei destinatari, tanto più stringente allorché l'autotutela intervenga ad una notevole distanza di tempo (cfr., tra le altre, Cons. St. IV, n. 294/2017; Cons. St. V, n. 4902/2014; Cons. St. VI, n. 4352/2013). Come è agevole osservare, l'annullamento d'ufficio presuppone, diversamente dalla revoca, l'illegittimità ab origine del provvedimento amministrativo. Tale circostanza, tuttavia, non basta a decretare l'annullabilità dell'atto, essendo altresì necessaria una valutazione dell'interesse pubblico all'eventuale rimozione dell'atto illegittimo, piuttosto che alla sua conservazione. L'Amministrazione, pertanto, conserva un potere di valutazione discrezionale anche dopo la positivizzazione dell'istituto: l'art. 21-nonies, infatti, non ha modificato la natura del potere, e non lo ha trasformato da discrezionale in obbligatorio, né ha previsto un interesse legittimo dei privati all'autotutela amministrativa, rimanendo il potere di autotutela un potere di merito, che si esercita previa valutazione delle ragioni di pubblico interesse riservata alla Pubblica amministrazione ed in coercibile da parte del giudice, al punto che la richiesta dei privati, rivolta all'amministrazione, di esercizio dell'autotutela, è una mera denuncia, con funzione sollecitatoria, ma non fa sorgere in capo all'amministrazione alcun obbligo di provvedere. (così Cons. St. VI, n. 2774/2012). L'illegittimità dell'atto oggetto di annullamento determina l'effetto «retroattivo» dell'annullamento d'ufficio, a differenza di quanto avviene nei casi di revoca, nei quali il provvedimento non travolge le posizioni soggettive degli amministrati medio tempore consolidatesi. È questo il motivo per cui tale potere di autotutela impone l'obbligo di un'attenta valutazione, in capo all'Amministrazione procedente, nell'individuazione del rilievo degli interessi pubblici violati dal provvedimento illegittimo e di quello maggiore o minore da riservare ai contrapposti interessi privati coinvolti nella vicenda del potenziale annullamento, anche in considerazione del fondamentale principio del legittimo affidamento. In ossequio alla disciplina normativa dianzi citata, quindi, l'attività di riesame presuppone, a pena di illegittimità, una espressa e puntuale ponderazione dell'interesse pubblico con gli interessi contrapposti, nonché l'indicazione delle stesse ragioni di illegittimità o inopportunità del provvedimento; in tale contesto, si deve ritenere che «la revoca o l'annullamento d'ufficio di un provvedimento amministrativo non può assumere la forma implicita, pena, altrimenti, la violazione, sia dell'art. 3 della l. n. 241/1990, stante la richiamata necessità di esplicitare le ragioni giustificanti la nuova determinazione, sia del principio del contraddittorio procedimentale, che, ammettendo l'autotutela in via implicita, verrebbe inopinatamente escluso» (T.A.R. Umbria, n. 304/2013; così T.A.R. Sardegna, sez. I, n. 92/2017, per la motivazione in materia di annullamento della concessione di finanziamenti pubblici, poi T.A.R. Molise n. 327/2017). In altre parole, ai fini dell'annullamento in autotutela di un provvedimento e in considerazione dell'effetto retroattivo dello stesso, la Pubblica Amministrazione è tenuta ad una valutazione puntuale che tenga conto, oltre che della possibile contrarietà a legge dell'intervento, anche della sussistenza di un interesse pubblico effettivo alla rimozione dell'atto e delle posizioni dei privati coinvolti. Ne deriva che, ai fini dell'adozione dell'atto di autotutela, «deve emergere non il mero interesse al ripristino della legalità, se del caso violata, ma piuttosto l'individuazione di un concreto interesse pubblico all'annullamento» (T.A.R. Campania, VII, n. 1622/2013). A tale proposito, in tema di annullamento d'ufficio della concessione di finanziamenti pubblici, il T.A.R. Sardegna, sez. I, con sentenza n. 92/2017 ha chiarito che l'amministrazione ha il dovere di spiegare le ragioni concrete che rendono necessario l'annullamento e che siano presenti al momento del ritiro e prevalenti sull'affidamento ingenerato nel destinatario dal provvedimento favorevole. Sul punto il Cons. St. V, con sentenza n. 3910/2016, afferma che il legittimo esercizio del potere di autotutela non può fondarsi unicamente sull'intento di ripristinare la legittimità violata, ma deve essere scrutinato in ragione della sussistenza di un interesse pubblico prevalente all'adozione del provvedimento di ritiro. Il Supremo Consesso continua ribadendo che «l'interesse pubblico alla base del legittimo esercizio del potere di autotutela da parte della pubblica amministrazione non può identificarsi nel mero ripristino della legalità violata ma richiede una valutazione comparativa sulla qualità e concretezza degli interessi in gioco (...) l'amministrazione, questa è tenuta ad indicare espressamente le ragioni di pubblico interesse che, nonostante il notevole decorso del tempo e il consolidamento della situazione, giustificavano il provvedimento di autotutela». Infine, la norma richiede un termine ragionevole per l'adozione del provvedimento, adesso fissato in dodici mesi per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici. Prima che la legge n. 124/2015 introducesse il termine di diciotto mesi (in seguito ridotto a dodici dall'articolo 63, comma 1, del d.l. 31 maggio 2021, n. 77, convertito con modificazioni dalla legge 29 luglio 2021, n. 108), la giurisprudenza, in mancanza di indicazioni normative, aveva chiarito che il concetto di «ragionevole termine entro il quale a mente dell'art. 21-nonies l. n. 241/1990 la Pubblica amministrazione può, legittimamente e nella ricorrenza degli altri presupposti, annullare in via di autotutela propri precedenti provvedimenti, si connota di una valenza relativa, che si apprezza in relazione: a) alla natura dei provvedimenti oggetto del potere di ritiro e alla sequenza procedimentale in cui si collocano; b) agli effetti prodotti sia a livello materiale che psicologico (l'affidamento) in capo al destinatario di un precedente provvedimento favorevole/ampliativo della sua sfera giuridica» (T.A.R. Campania, III, n. 1077/2013). «L'esigenza di assicurare la certezza dei rapporti giuridici sottesa dall'art. 21-nonies citato vale, infatti, con riferimento ai provvedimenti amministrativi volti a definire in via immediata l'assetto di interessi tra privati e pubblica amministrazione. Diversa è invece la vicenda di provvedimenti volti a regolamentare rapporti di durata, in relazione ai quali l'accertamento dell'originaria illegittimità può sempre determinare un intervento in autotutela da parte dell'amministrazione al fine di scongiurare il perpetuarsi di situazioni di pregiudizio – nella specie economico – per l'ente pubblico» (T.A.R. Sardegna II, n. 255/2017). Con la presente sentenza, quindi, il T.A.R. afferma che è possibile per l'amministrazione intervenire con un provvedimento di annullamento in autotutela, anche oltre il limite temporale di 18 mesi, laddove si tratti di rapporti di durata. In tema di autotutela è necessario distinguere, però, due differenti ipotesi: il caso in cui sussista un titolo edilizio illegittimamente adottato oppure un provvedimento di sanatoria rilasciato in assenza dei necessari presupposti legittimanti, su cui l'amministrazione dispone l'annullamento d'ufficio, e l'ipotesi in cui, invece, sia totalmente carente un titolo legittimante. Sul punto si è pronunciato il Consiglio di Stato, Ad. plen., con sentenza 17 ottobre 2017 n. 9, chiarendo come soltanto la prima ipotesi possa rientrare nel quadro generale delineato dall'art. 21-nonies, in quanto laddove l'abuso si sia realizzato sine titulo l'adozione dell'ordine di demolizione è doverosa, rientrando, infatti, nell'ambito dell'esercizio del potere/dovere dell'amministrazione. Inoltre, ad avviso del Supremo Consesso della Giustizia Amministrativa, il fatto che l'amministrazione si sia attivata tardivamente, cioè abbia provveduto all'annullamento solo dopo un notevole lasso di tempo, non è motivo ragionevole per far divenire legittimo ciò che non lo era sin dall'origine. A tal riguardo l'Adunanza Plenaria ha enunciato il principio di diritto secondo cui il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino. L'ordine di demolizione di opere abusive è un provvedimento di natura vincolata –che va adottato a seguito della sola verifica dell'abusività dell'intervento – il quale non necessita, in alcun modo, di un obbligo motivazionale aggiuntivo, che tenga conto non soltanto delle ragioni inerenti il ripristino della legittimità violata ma anche dell'interesse pubblico concreto e attuale sotteso alla determinazione, nonché della comparazione tra l'interesse pubblico e quello privato al mantenimento dell'opera abusiva. Quanto detto trova conferma nel fatto che «non può ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva», non potendo sorgere alcun affidamento nonostante il rilevante periodo di tempo trascorso tra la realizzazione dell'abuso e l'adozione dell'ordine di demolizione. Il Consiglio diStato, Ad. plen. con sentenza 17 ottobre 2017 n. 8, si è, poi, pronunciato sul diverso caso dell'annullamento d'ufficio della concessione edilizia in sanatoria adottato a distanza di anni dal rilascio del titolo, affermando, in questo caso che, il legittimo affidamento ingenerato nel privato, impone all'amministrazione l'onere di motivare la sussistenza di un interesse concreto e attuale all'adozione dell'atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole. Tuttavia, l'onere motivazionale, comunque gravante sull'amministrazione nel caso di annullamento in autotutela del titolo edilizio in precedenza adottato, deve ritenersi comunque attenuato in ragione della rilevanza degli interessi pubblici tutelati. Pertanto laddove venga in rilievo la tutela di preminenti valori pubblici di carattere «autoevidente», l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto ed il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate le quali normalmente possano integrare le ragioni di interesse pubblico che depongono nel senso dell'esercizio del ius poenitendi. Inoltre, qualora il titolo edilizio sia stato rilasciato sulla base di una prospettazione dei fatti non veritiera da parte del privato «l'amministrazione potrà legittimamente fondare l'annullamento in autotutela sulla rilevata non veridicità delle circostanze a suo tempo prospettate dall'istante, in capo al quale non sarà configurabile una posizione di affidamento legittimo da valutare in relazione al concomitante interesse pubblico, neppure qualora intercorra un considerevole lasso di tempo fra l'abuso e l'intervento repressivo dell'amministrazione. Da ultimo occorre precisare che il d.l. 31 maggio 2021, n. 77, convertito con modificazioni dalla legge 29 luglio 2021, n. 108 ha ridotto da 18 a 12 mesi il termine perentorio per l'annullamento d'ufficio. Sui requisiti dell’affidamento legittimo come limite al potere di autotutela, vedi, da ultimo, Cons. Stato, V, 1543/2024, secondo il legittimo affidamento non può basarsi su una prassi illegittima dell'amministrazione, come da affermazione costante della giurisprudenza. Questioni applicative.1) Il termine perentorio opera anche in caso di mala fede del privato che abbia indotto in errore la P.A.? Negativa la risposta del Consiglio di Stato ( Cons. St. VI, n. 2207/2021 ). In base, infatti, ad una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 21 -nonies , comma 1, l. 241/1990, deve ritenersi che il limite temporale dei 18 mesi, introdotto nel 2015 (dodici mesi dopo il d.l. n. 77/2021), in ossequio al principio del legittimo affidamento, trova applicazione solo se il comportamento della parte interessata, nel corso del procedimento o successivamente all'adozione dell'atto, non abbia indotto in errore l'amministrazione, alterando la realtà fattuale oppure determinando una non veritiera percezione della realtà o della sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge per il rilascio del provvedimento favorevole. In caso contrario, infatti, l'ordinamento non tollera lo sviamento del pubblico interesse imputabile alla prospettazione della parte interessata e, quindi, non può trovare applicazione il limite temporale di 18 mesi oltre il quale è impedita la rimozione dell'atto ampliativo della sfera giuridica del destinatario. Una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 21-nonies, comma 1, l. 241/1990, tenuto conto della portata degli artt. 3 e 97 Cost., conduce ad affermare che: – il termine massimo di 18 mesi assegnato all'amministrazione dal legislatore nel 2015 (e poi ridotto a 12 nel 2021) per ritirare dal mondo giuridico, con effetto retroattivo, il provvedimento di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici è stato introdotto al fine di garantire il rispetto del principio del legittimo affidamento che trova il suo fondamento, nell'ordinamento unionale, nei principi del Trattato dell'unione europea e, in quello nazionale, nei principi dell'art. 97 Cost. nonché nelle disposizioni recate dall'art. 1, comma 1, l. 241/1990; – sotto il versante del diritto eurounitario (secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia UE), il principio di tutela del legittimo affidamento impone che una situazione di vantaggio, assicurata ad un privato da un atto specifico e concreto dell'autorità amministrativa, non possa essere successivamente rimossa, salvo che non sia strettamente necessario per l'interesse pubblico (e fermo in ogni caso l'indennizzo della posizione acquisita); – nello stesso tempo però (Cons. St. III, n. 4392/2020), affinché un affidamento sia legittimo è necessario un requisito oggettivo, che coincide con la necessità che il vantaggio sia chiaramente attribuito da un atto all'uopo rivolto e che sia decorso un arco temporale tale da ingenerare l'aspettativa del suo consolidamento e un requisito soggettivo, che coincide con la buona fede del destinatario del vantaggio (l'affidamento non è quindi legittimo ove chi lo invoca versi in una situazione di dolo o colpa); – sulla spinta dei principi unionali il nostro legislatore ha dunque introdotto un limite massimo per l'adozione di un atto di ritiro di provvedimenti ampliativi della sfera giuridica del destinatario, sempre che costui sia parte passiva e incolpevole nella provocazione della patologia che, ai sensi dell'art. 21-octies, comma 1, l. 241/1990, affligge l'atto da ritirarsi, sicché la responsabilità nella adozione dell'atto illegittimo deve totalmente ascriversi all'amministrazione; – diverso è il caso in cui il profilo patologico che affligge l'atto e che ne impone, al ricorrere dei presupposti, la rimozione, sia ascrivibile al comportamento mantenuto dalla parte che ha ottenuto l'adozione in suo favore dell'atto autorizzatorio ovvero di attribuzione di vantaggi economici; – ancora una volta, in considerazione dell'art. 97 Cost e dell'art. 3 Cost., quest'ultimo con riferimento agli altri soggetti che pur potendo aspirare al rilascio del provvedimento ampliativo della sfera giuridica dell'interessato hanno dovuto accettare che il provvedimento favorevole fosse assegnato ad altri, l'ordinamento (sia quello unionale che quello nazionale) non può tollerare che il vantaggio sia conseguito attraverso un comportamento non corretto che abbia indotto in errore l'amministrazione procedente, sviando in modo decisivo la valutazione dei presupposti fissati dalla legge ai fini del rilascio del provvedimento attributivo di quel vantaggio, pregiudicando (anche solo potenzialmente) le aspirazioni di altri. Pertanto, la proposta lettura costituzionalmente orientata dell'art. 21-nonies, comma 1, l. 241/1990, porta ad affermare che il limite temporale, in ossequio al principio del legittimo affidamento con riguardo alla posizione di colui che ha ottenuto un provvedimento autorizzatorio o di attribuzione di vantaggi economici, è dedicato dal legislatore e, quindi, trova applicazione, solo se il comportamento della parte interessata, nel corso del procedimento o successivamente all'adozione dell'atto, non abbia indotto in errore l'amministrazione distorcendo la realtà fattuale oppure determinando una non veritiera percezione della realtà o della sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge e se grazie a tale comportamento l'amministrazione si sia erroneamente determinata (a suo tempo) a rilasciare il provvedimento favorevole. Nel caso contrario, non potendo l'ordinamento tollerare lo sviamento del pubblico interesse imputabile alla prospettazione della parte interessata, non può trovare applicazione il limite temporale di 18 mesi oltre il quale è impedita la rimozione dell'atto ampliativo della sfera giuridica del destinatario (Cons. St. IV, n. 3192/2019, Cons. St. IV, n. 2645/2019). Per completezza occorre sottolineare che, secondo quanto chiarito dalla condivisibile giurisprudenza del Consiglio di Stato, il superamento dei limiti temporali previsti per l'esercizio del potere di annullamento in autotutela (sanciti dall'art. 21-nonies, comma 1, l. 241/1990, e già ivi espressi attraverso il canone del «termine ragionevole») in presenza di una falsità dichiarativa o documentale presupponga la valenza obiettivamente determinante di questa falsa rappresentazione, tanto che è proprio sulla base di essa che il provvedimento ampliativo è stato adottato (Cons. St. V, n. 3940/2018). 2) Quali sono gli obblighi procedimentali? In relazione agli obblighi procedimentali, la giurisprudenza ha sottolineato l'assoggettamento dei cosiddetti procedimenti di secondo grado, finalizzati all'emanazione di atti in autotutela, alle regole procedimentali fissate dalla legge in commento (T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, n. 1389/2000; Cons. St. VI, n. 823/1995). Infatti, «qualora la p.a. intenda rimuovere in autotutela un precedente provvedimento, indipendentemente dalla natura discrezionale o vincolata dell'autotutela medesima, essa è tenuta a dare al destinatario preventivo avviso dell'avvio del relativo procedimento, se non sussistono particolari esigenze di celerità (da indicare espressamente nell'atto di rimozione) o tranne che costui sia stato già posto in grado di partecipare al procedimento» (T.A.R. Molise, Campobasso I, n. 293/2008; T.A.R. Veneto, Venezia III, n. 959/2007; Cons. St. IV, n. 1487/2005; Cons. St. V, n. 8341/2003; T.A.R. Campania, Salerno I, n. 2575/2003; T.A.R. Lazio, Roma I, n. 5991/2003; T.A.R. Lombardia, Brescia, decr. presid. n. 617/2002; T.A.R. Veneto, Venezia I, n. 4305/2001; T.A.R. Veneto, Venezia II, n. 619/2001; Cons. St. VI, n. 555/2001; Cons. St. V, n. 474/1998; T.A.R. Calabria – Catanzaro, n. 4/1995). D'altro canto, tale soluzione risponde al generale principio del contrarius actus, in base al quale, in presenza di un provvedimento che incide su un provvedimento preesistente, si deve osservare la medesima sequenza procedimentale. Si afferma infatti che: «nell'esercizio del potere di autotutela, il provvedimento della p.a. tendente alla rimozione di un precedente atto, esistente ed efficace, deve essere adottato con le medesime formalità procedimentali seguite per l'adozione dell'atto rimosso» (Cons. St. V, n. 6291/2004; Cons. St. VI, n. 1080/2004; Cons. St. VI, n. 2972/2002). Ciò vale in particolar modo per l'annullamento d'ufficio che, coinvolgendo più interessi contrapposti, richiede il compimento di una valutazione particolarmente complessa degli stessi, attraverso un'adeguata istruttoria, finalizzata per l'appunto alla verifica dei requisiti di legittimità fissati dalla norma in commento. E allora, il provvedimento di annullamento, considerato il suo carattere discrezionale ed i suoi effetti retroattivi particolarmente incisivi sulla sfera giuridica dei destinatari, impone all'amministrazione l'obbligo di comunicare l'avvio del procedimento agli interessati, in quanto titolari di una posizione giuridica evidentemente qualificata. Come noto, infatti, la partecipazione al procedimento di annullamento consente di «...interloquire con l'amministrazione, rappresentando fatti e prospettando osservazioni e valutazioni finalizzate alla migliore individuazione dell'interesse pubblico, concreto ed attuale, alla cui unica cura deve essere indirizzata la potestà pubblica» (T.A.R. Puglia, Lecce I, n. 2426/2007; Cons. St. IV, n. 6456/2006). L'obbligo di comunicazione può essere derogato quando l'annullamento colpisce un atto endoprocedimentale, in quanto la p.a. interviene a procedimento di primo grado ancora aperto e, quindi, a contraddittorio integro (si pensi, ad esempio, alla, ormai non più sussistente, aggiudicazione provvisoria, per la quale concordemente si esclude l'obbligo di comunicare l'avvio del relativo procedimento, generalmente implicito, di ritiro), ovvero nelle ipotesi in cui tra l'adozione del provvedimento annullando e l'avvio del procedimento (di secondo grado) di annullamento intervengono modifiche normative, che devono essere osservate necessariamente dalla p.a., in ossequio al diverso principio del tempus regit actum. 3) Quali sono gli obblighi motivazionali? Il provvedimento di annullamento deve essere congruamente motivato, in omaggio al generale obbligo di motivazione di cui all'art. 3 della legge in commento (Cons. St., Ad. plen., n. 8/2017; T.A.R. Puglia, Lecce, n. 930/2010; Cons. St. IV, n. 8516/2009; Cons. St. IV, n. 8529/2009). Il provvedimento di annullamento d'ufficio, pertanto, deve indicare, specificamente, la natura del vizio che inficia l'atto e che ha indotto l'amministrazione ad agire in autotutela. Ne consegue che deve ritenersi illegittimo il provvedimento di annullamento d'ufficio che si limiti ad esprimere la volontà della p.a. di sostituire l'atto di rigetto della domanda precedentemente adottato, senza dar conto dell'illegittimità dello stesso, «così comprimendo il controllo giurisdizionale sulla legittimità dell'atto di ritiro» (T.A.R. Trentino Alto Adige, Bolzano, n. 15/2008; Cons. St. IV, n. 564/2006). Inoltre, la motivazione dell'atto di ritiro deve indicare specificamente le ragioni per le quali l'interesse pubblico sussiste e prevale sui consolidati interessi del singolo, non essendo ex se sufficiente l'indicazione della necessità di ripristinare la legalità violata (T.A.R. Campania Napoli VII, n. 3511/2008; T.A.R. Campania, Salerno II, n. 1171/2008; Cons. St. VI, n. 3207/2006; Cons. St. IV, n. 564/2006; Cons. St. V, n. 5479/2005; Cons. St. V, n. 4371/2004; Cons. St. VI, n. 569/2004). Tuttavia, l'obbligo motivazionale dell'amministrazione risulta attenuato, se l'annullamento d'ufficio è disposto a salvaguardia di un interesse pubblico di primaria importanza. Ciò accade, per esempio, quando l'interesse alla tutela dell'ambiente è in conflitto con gli interessi patrimoniali dei soggetti interessati: questi interessi, infatti, nell'ambito della valutazione comparativa si reputano recessivi (Cons. St. VI, n. 924/2007; T.A.R. Campania, Napoli III, n. 10423/2006). Nello stessa direzione, si muove l'orientamento giurisprudenziale secondo cui non è necessario che nella motivazione del provvedimento di annullamento sia evidenziata in modo puntuale la sussistenza dell'interesse pubblico, allorquando quest'ultimo sia in re ipsa. Ciò può accadere quando il provvedimento è il risultato di un'attività amministrativa vincolata, tanto nell'an quanto nel quomodo. In tal caso, infatti, il provvedimento produce effetti contrastanti con la disciplina dettata dalla norma, che a sua volta individua e quindi predetermina l'interesse pubblico, nonché il modo di soddisfarlo. 4) Qual è l'efficacia del provvedimento di annullamento? La novella del 2005 tace riguardo al distinto profilo dell'efficacia, retroattiva o meno, dell'annullamento. Pertanto, non v'è motivo di discostarsi dall'opinione prevalente, secondo cui l'annullamento ha efficacia ex tunc a partire dal momento in cui deve farsi risalire, di volta in volta, l'illegittimità rilevante. Sul punto, però, è bene sottolineare con riferimento all'ipotesi di illegittimità sopravvenuta, che il dies a quo dell'inefficacia conseguente all'eventuale annullamento va individuato in un momento successivo alla genesi dell'atto, ossia nel momento in cui matura il contrasto con la norma. E allora, può dirsi che l'annullamento d'ufficio, disponendo la rimozione ex tunc degli effetti prodotti dall'atto caducato, ha efficacia retroattiva: dunque, la retroattività non è causa degli effetti, bensì è una modalità di collocazione temporale degli stessi. Nel silenzio della norma è stata, financo, sostenuta la possibilità per la p.a., in un'ottica di bilanciamento degli interessi in gioco, di graduare gli effetti dell'annullamento nel tempo, prevedendo che decorrano ex nunc. In ogni modo, l'annullamento d'ufficio produce l'effetto demolitorio di tutte le conseguenze dell'atto, nonché l'effetto ripristinatorio della situazione di fatto e di diritto analoga a quella che si sarebbe verificata ove il provvedimento non fosse stato mai stato emanato. 5) Motivazione postuma e convalida: dal giudizio sull'atto al giudizio sul rapporto? Il Cons. St. VI, 27 aprile 2021, n. 3385 si pronuncia sul problema dell'integrazione in giudizio della motivazione, vero crocevia dei rapporti pericolosi tra dinamiche sostanziali, tecniche remediali e logiche processuali. Epicentro della decisione è, infatti, l'esplorazione della possibilità di sanare, nel corso del giudizio amministrativo, la motivazione carente o insufficiente con un provvedimento di convalida. Il Consiglio muove le mosse dalla qualificazione della convalida, nell'architettura dell'articolo 21-nonies, comma 2, della l. n. 241/1990, sul piano della dinamica giuridica, non come modificazione strutturale del provvedimento viziato, bensì come risultato di una fattispecie complessa, derivante dalla combinazione con il provvedimento convalidato, fonte di una sintesi effettuale autonoma. Ciò posto in via generale, e venendo al problema dell'emendabilità tramite l'atto di convalida del vizio di motivazione, in termini generali e nel corso del giudizio già instaurato per il suo annullamento, osserva il Consiglio di Stato che non vi sono dubbi circa la possibilità di emendare i vizi di tipo formale e procedimentale, ivi compreso quello di incompetenza (relativa). Deve ritenersi possibile per la pubblica amministrazione anche la convalida di un provvedimento non annullabile ai sensi del citato comma 2 dell'art. 21-octies (la cui regola si muove sul piano processuale), sebbene in tal caso l'utilità giuridica consista soltanto in una maggiore certezza e stabilità del rapporto amministrativo. Non sono invece sanabili i vizi che possono definirsi «sostanziali» – derivanti cioè dall'insussistenza di un presupposto o requisito di legge, ovvero dall'irragionevolezza e non proporzionalità del decisum – rispetto ai quali la semplice dichiarazione dell'Amministrazione di volerli convalidare non può che rimanere priva di effetto. La convalida, in questi casi, non potrebbe mai assicurare il permanere, senza alterazioni, della parte dispositiva del provvedimento su cui intende operare. Se infatti l'illegittimità attiene al contenuto dell'atto, la stessa può essere eliminata solo attraverso la sua riforma (spunti in tal senso si colgono, sia pure nel diverso contesto della c.d. fiscalizzazione dell'abuso edilizio, nella decisione dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 17/2020). Sono così poste le basi per comprendere entro quali limiti è possibile convalidare – ossia sottrarre al rimedio dell'annullamento (e dell'auto annullamento) – il vizio di insufficiente motivazione. In particolare, va rimarcata la seguente distinzione: i) se l'inadeguatezza della motivazione riflette un vizio sostanziale della funzione (in termini di contraddittorietà, sviamento, travisamento, difetto dei presupposti), il difetto degli elementi giustificativi del potere non può giammai essere emendato, tantomeno con un mero maquillage della motivazione: l'atto dovrà comunque essere annullato; ii) se invece la carenza della motivazione equivale unicamente ad una insufficienza del discorso giustificativo-formale, ovvero al non corretto riepilogo della decisione presa, siamo di fronte ad un vizio formale dell'atto e non della funzione: in tale caso, non vi sono ragioni per non riconoscersi all'amministrazione la possibilità di tirare nuovamente le fila delle stesse risultanze procedimentali, munendo l'atto originario di una argomentazione giustificativa sufficiente e lasciandone ferma l'essenza dispositiva, in quanto riflette la corretta sintesi ordinatoria degli interessi appresi nel procedimento. Rimane il tema della convalida in corso di giudizio. Nel vigore del modello processuale amministrativo primigenio – in cui la res litigiosa era tutta incentrata «sull'atto» –, si è sempre ritenuta ineludibile condizione di ammissibilità della convalida la circostanza che non fosse pendente l'impugnativa dell'atto da convalidare. Sennonché, le ragioni di tale ostracismo sono venute meno nell'impianto del nuovo processo amministrativo, sensibile alla concentrazione e proiettato verso la cognizione del rapporto. Assume rilievo, in questa prospettiva sostanzialistica attenta alla spettanza del bene della vita, lo “ius superveniens” per effetto del quale, nei procedimenti a istanza di parte, la definizione positiva (e non parentetica) del conflitto è agevolata dalla regola di preclusione procedimentale di cui all'art. 10-bis, della l. n. 241 del 1990 (come novellato dall'articolo 12, comma 1, lettera e, del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120), secondo cui: «In caso di annullamento in giudizio del provvedimento così adottato, nell'esercitare nuovamente il suo potere l'amministrazione non può addurre per la prima volta motivi ostativi già emergenti dall'istruttoria del provvedimento annullato». Tale precetto, che impone alla pubblica amministrazione di esaminare l'affare nella sua interezza – già nella fase del procedimento (e non solo nel processo, come la giurisprudenza già riteneva in alcune ipotesi: cfr. Cons. St., n. 1321/2019), – deve trovare attuazione, «a fortiori» e per evidenti ragioni sistematiche (e per evitare facili aggiramenti), anche nel caso di convalida per difetto di motivazione. Fin qui la pronuncia del Consiglio. Un passo su una strada, ancora lunga e accidentata, che dovrà per coerenza trarre dalla premessa dell'affiorare del giudizio sostanzialistico sulla fondatezza della pretesa sostanziale i corollari ulteriori dell'integrabilità della motivazione con gli scritti difensivi e della qualificazione del vizio puramente motivazionale come deficienza formale sussumibile nei vizi non invalidanti in presenza dei presupposti scolpiti dell'articolo 21-octies, comma 2, della l. n. 241/1990. 6) LA PA, anche in presenza di giudicato, può avviare l’autotutela nel caso in cui sussista una disparità di trattamento fra concorrenti? Positiva la risposta del T.a.r. per il Lazio, I, 15 maggio 2023, n. 8262. Nel caso in cui il ricorrente si veda il proprio ricorso rigettato in forza di un’interpretazione a sé sfavorevole della disposizione di legge, mentre nei confronti di altri ricorrenti le identiche censure sono state accolte, creandosi dunque un contrasto esistente unicamente tra ipotesi ermeneutiche che non legittimano la proposizione di revocazione, nondimeno, di fronte a questa peculiare «disparità di trattamento», se non è possibile rinvenire un rimedio in sede giurisdizionale, è comunque concesso all’amministrazione procedere a riesaminare la posizione del candidato, senza che ciò comporti alcuna violazione del giudicato: a corroborare tale conclusione, va osservato come l’esercizio dei poteri di autotutela decisoria non debba avvenire necessariamente per rimuovere dall’universo giuridico un provvedimento viziato, potendo interessare anche atti legittimi (cfr. i casi i revoca del provvedimento amministrativo ex art. 21 quinquies l. n. 241/1990). Conseguentemente, la sola presenza del giudicato amministrativo non costituisce, nel caso di specie (caratterizzato dalla presenza di opposte pronunce giurisdizionali), circostanza sufficiente per omettere l’attivazione del procedimento di autotutela. BibliografiaCaringella, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2010; Galli, Galli, Corso di diritto amministrativo, Padova, 2001; Giannini, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 2000; Liberati, Il procedimento amministrativo, I, Padova, 2008; Proietti, Commentario alla legge sul procedimento amministrativo, a cura di Cogliani, Padova, 2007; Villata, Ramajoli, Il provvedimento amministrativo, Torino, 2006. |