Legge - 7/08/1990 - n. 241 art. 29 - Ambito di applicazione della legge1Ambito di applicazione della legge1
1. Le disposizioni della presente legge si applicano alle amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali. Le disposizioni della presente legge si applicano, altresì, alle società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente all’esercizio delle funzioni amministrative. Le disposizioni di cui agli articoli 2-bis, 11, 15 e 25, commi 5, 5-bis e 6, nonché quelle del capo IV-bis si applicano a tutte le amministrazioni pubbliche 2. 2. Le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa, così come definite dai principi stabiliti dalla presente legge. 2-bis. Attengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione le disposizioni della presente legge concernenti gli obblighi per la pubblica amministrazione di garantire la partecipazione dell’interessato al procedimento, di individuarne un responsabile, di concluderlo entro il termine prefissato, di misurare i tempi effettivi di conclusione dei procedimenti e di assicurare l’accesso alla documentazione amministrativa, nonché quelle relative alla durata massima dei procedimenti 3. 2-ter. Attengono altresì ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione le disposizioni della presente legge concernenti la presentazione di istanze, segnalazioni e comunicazioni, la dichiarazione di inizio attività e il silenzio assenso e la conferenza di servizi, salva la possibilità di individuare, con intese in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, casi ulteriori in cui tali disposizioni non si applicano 4. 2-quater. Le regioni e gli enti locali, nel disciplinare i procedimenti amministrativi di loro competenza, non possono stabilire garanzie inferiori a quelle assicurate ai privati dalle disposizioni attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter, ma possono prevedere livelli ulteriori di tutela5. 2-quinquies. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano adeguano la propria legislazione alle disposizioni del presente articolo, secondo i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione6. [1] Articolo sostituito dall'articolo 19, comma 1, della legge 11 febbraio 2005, n. 15, con la decorrenza prevista dall'articolo 22 della medesima legge. [2] Comma sostituito dall'articolo 10, comma 1, lettera b), numero 1), della legge 18 giugno 2009, n. 69 [3] Comma aggiunto dall'articolo 10, comma 1, lettera b), numero 2), della legge 18 giugno 2009, n. 69, e successivamente modificato dall'articolo 12, comma 1, lettera l), del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 settembre 2020, n. 120. [4] Comma aggiunto dall'articolo 10, comma 1, lettera b), numero 2), della legge 18 giugno 2009, n. 69, successivamente modificato dall' articolo 49, comma 4, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 e dall' articolo 3, comma 3, lettera f) del Dlgs. 30 giugno 2016, n. 126. [5] Comma aggiunto dall'articolo 10, comma 1, lettera b), numero 2), della legge 18 giugno 2009, n. 69 [6] Comma aggiunto dall'articolo 10, comma 1, lettera b), numero 2), della legge 18 giugno 2009, n. 69 InquadramentoLa disposizione in commento reca la norma di chiusura della l. n. 241/1990, essendo volta alla delimitazione del campo di applicazione della legge stessa, anche avendo riguardo ai fondamentali (e critici) rapporti tra la legislazione statale e quella regionale. In particolare, essa prevede che le disposizioni generali recate dalla Legge sul procedimento si applichino alle Amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali, nonché alle società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente all'esercizio delle funzioni amministrative (ipotesi che si concretizza nel caso in cui, ad esempio, tali società pongano in essere procedimenti ablatori in veste di concessionarie di beni o servizi in esclusiva). Inoltre, l'articolo 29 precisa ulteriormente che le disposizioni di cui agli artt. 2 -bis (conseguenze per il ritardo dell'amministrazione nella conclusione del procedimento), 11 (accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento), 15 (accordi fra pubbliche amministrazioni) e 25, commi 5, 5 -bis e 6 (tutela giurisdizionale del diritto di accesso), nonché quelle del Capo IV -bis (efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo. Revoca e recesso), sono da considerarsi applicabili a tutte le Amministrazioni Pubbliche (e non sono quindi limitate solo a quelle statali): si tratta delle norme sull'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, sugli accordi tra amministrazione e privati e tra amministrazioni, sulla tutela giurisdizionale in materia di accesso ai documenti amministrativi e sul regime giuridico del provvedimento. Ancora, la norma obbliga espressamente Regioni ed enti locali al rispetto dei principi sanciti dalla l. n. 241/1990: a tal fine, peraltro, le principali disposizioni recate dalla legge sul procedimento (in materia di partecipazione dell'interessato al procedimento, di individuazione del responsabile unico, di obbligo di conclusione entro il termine prefissato, di accesso alla documentazione amministrativa, nonché quelle relative alla durata massima dei procedimenti, alla presentazione di istanze, segnalazioni e comunicazioni, alla dichiarazione di inizio attività, al silenzio assenso e alla conferenza di servizi) vengono espressamente qualificate quali livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, comma 2, lettera m), Cost.. Il legislatore ha in tal modo inteso garantire la massima tutela dell'amministrato, imponendo regole minime, comuni e omogenee sull'intero territorio nazionale, rappresentate da quelle disposizioni della l. n. 241/1990 che l'art. 29 individua quali livelli essenziali delle prestazioni ex art. 117 Cost. e che direttamente incidono sui rapporti tra Stato e Regioni. Così, ad esempio, il preavviso di rigetto di cui all'art. 10-bis, trova applicazione «nelle materie di competenza delle regioni a statuto speciale perché, in caso di interferenza tra materie appartenenti alla competenza esclusiva di tali regioni con materie trasversali di competenza dello Stato o sovrapposizione con materie attribuite alla competenza esclusiva dello Stato, valgono i limiti statutari tradizionali, con la conseguenza che la potestà legislativa delle predette regioni dovrà esercitarsi in armonia con i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica, tra i quali va ricompreso, per l'appunto, il principio sotteso all'istituto del «preavviso di rigetto»; pertanto, in applicazione della prima parte del comma 2 dell'art. 21-octies l. n. 241/1990, la violazione dell'obbligo del «preavviso di rigetto» – in quanto violazione di una norma di garanzia, nel senso sopra precisato – comporta l'annullamento del provvedimento negativo quando il potere esercitato abbia natura vincolata e non possa ritenersi che il contraddittorio endoprocedimentale attivato con il «preavviso» non avrebbe potuto comunque incidere sul contenuto del provvedimento» (così T.A.R. Valle d'Aosta, I, n. 167/2007). Ancora, la normativa in materia di accesso alle informazioni ambientali dei cittadini va collocata nell'ambito della regolamentazione più generale inerente il diritto di accesso al pubblico ai dati e ai documenti amministrativi. Pertanto sulla base dal combinato disposto dell'art. 117, comma 2, lett. m), Cost., e dell'art. 29 comma 2, l. n. 241/1990, le Regioni possono legittimante introdurre norme sull'informazione ambientale volte a garantire una maggiore conoscenza dei cittadini delle informazioni ambientali inerenti la regione e gli enti regionali (Corte cost., n. 398/2006). In generale, quindi, in tema di procedimento amministrativo, la legislazione, anche delle regioni a Statuto speciale, con riferimento alle norme della l. n. 241/1990, soggiace alla regola di gerarchia delle fonti ricavabile dalla disposizione in esame, che stabilisce che le norme della legge statale in questione costituiscono principi generali dell'ordinamento e norme fondamentali in materia; pertanto, la legislazione regionale, anche nelle regioni a Statuto speciale, può soltanto introdurre garanzie ulteriori e più ampie rispetto a quelle previste dalla legge statale, i cui istituti cardine, stante la loro qualificazione nei termini anzidetti, si impongono direttamente come vincolanti l'attività dell'Amministrazione anche senza e prima di un'eventuale norma regionale che ne replichi il contenuto. All'articolo 29 della l. n. 241/1990 è stato previsto, per effetto del d.l. n. 76/2020, l'inserimento, tra le disposizioni che attengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), Cost., delle norme concernenti l'obbligo per la pubblica amministrazione di «misurare i tempi effettivi di conclusione dei procedimenti», in linea con quanto previsto al nuovo comma 4-bis dell'articolo 2 della l. n. 241/1990. L'art. 29 della l. n. 241/1990 prima della l. n. 69/2009L'art. 29 della l. n. 241/1990, così come sostituito dall'art. 19 della l. n. 15/2005, e successivamente dall'art. 10, comma 1, lett.b), l. n. 69/2009, costituisce la norma di chiusura dell'ordinamento nella materia del procedimento amministrativo nei confronti delle Amministrazioni diverse dallo Stato, con particolare riferimento alle autonomie territoriali. La disposizione affronta il delicato problema della definizione dell'ambito applicativo della legge, a seguito delle modifiche costituzionali apportate dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 al Titolo V, parte seconda Cost.. In origine, la formulazione dell'articolo 29 si inseriva in un panorama normativo di prevalenza della fonte normativa statale su quella regionale. Infatti mediante tale norma, da un lato, si riconosce un generico potere di legiferare in materia di procedimento e, dall'altro lato, si disciplina l'adeguamento delle Regioni di diritto comune e di diritto speciale ai criteri espressi dalla l. n. 241/1990. In particolare, durante la vigenza della l. n. 142/1990 sulle autonomie locali (successivamente confluita nel d.lgs. n. 18 agosto 2000, n. 267), il problema dei rapporti tra la normativa speciale e quella sul procedimento è stato risolto in base al c.d. principio del minimo garantito: gli enti territoriali sono stati, infatti, costretti ad assicurare un minimo di garanzie a tutela del cittadino e della trasparenza amministrativa, secondo quanto già previsto dalla legge sul procedimento amministrativo che, in questo senso, è da considerarsi vincolante in bonam partem e non derogabile in peius. Da ciò si evince il carattere formale, e non anche sostanziale del decentramento amministrativo, in quanto sul piano teorico la norma de qua ha riconosciuto alle Regioni un'autonomia legislativa, mentre, sotto il profilo pratico (legislazione, giurisprudenza, prassi amministrativa) l'applicazione che ne è derivata ha prodotto, quale risultato, la preminenza della normativa statale su quella regionale (Mascellari, 856). Con la riforma del Titolo V, parte seconda della Costituzione e con la successiva riforma del 2005, si è tentato di rendere effettivamente operativo il decentramento amministrativo in materia di procedimento, riconoscendo alle Regioni un'ampia e dettagliata competenza in diversi ambiti del diritto amministrativo. In questo quadro si inserisce la nuova norma che, nel delineare l'ambito di applicazione della legge, include il procedimento amministrativo, come oggetto di disciplina, in relazione alla competenza per materia, riconosciuta alle Regioni. Sulla base di tali premesse, è necessario analizzare l'impatto normativo della novella del 2005 sia nella sua dimensione sostanziale che procedurale. L'articolo 29, in particolare, come riscritto dalla l. n. 15/2005, così recita: «1. Le disposizioni della presente legge si applicano ai procedimenti amministrativi che si svolgono nell'ambito delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali e, per quanto stabilito in tema di giustizia amministrativa, a tutte le amministrazioni pubbliche. 2. Le Regioni e gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa, così come definite dai princìpi stabiliti dalla presente legge». In ordine al profilo sostanziale, resta di attribuzione esclusiva dello Stato, non solo in termini di principi, la disciplina degli istituti di diritto amministrativo ascrivibili alla nozione di giustizia amministrativa, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. l) Cost. Invero, l'art. 29 espressamente richiamava questo punto estendendo a tutte le amministrazioni pubbliche, ad ogni livello di governo, la disciplina da esso stabilita in tema di giustizia amministrativa; principio, questo, confermato anche dalla giurisprudenza (ex multis T.A.R. Campania, Napoli II, n. 8760/2006). Trova, dunque, conferma la ricostruzione emersa in dottrina, orientata a riservare alla legislazione statale la disciplina degli aspetti che concernono il regime, e con ciò, l'impugnazione degli atti, materie tutte direttamente connesse alla tutela del cittadino nei confronti dell'azione amministrativa; alla giustizia amministrativa si ascrive il procedimento giustiziale nonché quello giurisdizionale previsto in materia di accesso dei documenti di cui all'art. 25 della legge in commento. Riguardo al profilo procedurale, la legge dichiara che le disposizioni in tutte le loro parti, anche quindi nelle prescrizioni di dettaglio, si applicano ai procedimenti statali, vale a dire a tutti quelli che si svolgono nell'ambito delle sole Amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali (art. 29, comma 1). Regioni ed enti locali, invece, secondo le rispettive competenze, regolano le materie nell'osservanza del sistema costituzionale (e non più dei principi generali dell'ordinamento giuridico come nella formulazione ante riforma) e delle garanzie del cittadino nei confronti dell'azione amministrativa, desumibili dai principi stabiliti dalla stessa legge (art. 29, comma 2). Da un lato, si supera, quindi, la distinzione di posizione delle Regioni di tipo ordinario da quelle speciali; dall'altro, si affiancano alle stesse entità regionali gli enti locali (originariamente esclusi dalla normazione ampia se non per la emanazione di regolamenti di organizzazione per garantire l'esercizio effettivo del diritto di accesso), che assumono una posizione paritetica di ruolo, alla luce del mutato quadro costituzionale e nello specifico dell'articolo 114 Cost. Da ultimo, si richiama il disposto dell'art. 22 della l. n. 15/2005, che introduce una disciplina transitoria particolare, stabilendo che fino all'entrata in vigore delle leggi regionali previste dal comma 2 dell'art. 29, i procedimenti amministrativi sono regolati dalle leggi regionali vigenti e che, in mancanza, si applicano le disposizioni della l. n. 241/1990, come modificata dalla novella del 2005. Questa previsione, in tanto ha valore, in quanto è riferita alle materie di legislazione concorrente, nelle quali lo Stato può intervenire, sia dettando norme di principio, sia, eventualmente, rinunciando ad introdurre dette norme, temporaneamente e consentendo la sopravvivenza di legislazioni regionali antecedenti alle nuove norme di principio non adeguate. Per quanto concerne le materie di potestà legislativa regionale esclusiva, la previsione in questione ha una scarsa rilevanza. L'incidenza della riforma costituzionale del 2001 La riforma costituzionale del titolo V ha posto sullo stesso piano lo Stato e le Regioni (art. 114 Cost.; art. 117, comma 1, Cost.). Pertanto, pur conservandosi, ex art. 116 nuovo testo Cost., le forme di autonomia diversificata delle Regioni a statuto differenziato, la legislazione regionale non si distingue più in primaria, per Regioni speciali e province autonome, e concorrente, per tutte le Regioni, ma viene ripartita in esclusiva, dello Stato (art. 117, comma 2 Cost.), concorrente, di tutte le Regioni, e residuale, delle stesse Regioni. In assoluto, siffatta potestà (senza distinzioni, essendo le limitazioni riconnesse all'elemento oggettivo dell'esercizio della funzione legislativa in sé e non alla titolarità della stessa in capo alle Regioni, come nel precedente assetto) incontra tre limiti, costituiti dal rispetto della Costituzione, dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Ulteriore, limite costituzionale alla sola potestà regionale concorrente è quello dei principi fondamentali riservati alla legislazione dello Stato ex art. 117, comma 3. In prima battuta, si pone il problema di individuare il legislatore competente a dettare le regole sul procedimento amministrativo nonché sulla permanenza dei principi e delle regole di cui alla l. n. 241/1990, atteso che il procedimento non è stato inserito nell'elenco tassativo di materie attribuite alla potestà legislativa esclusiva statale, né in quello delle materie affidate alla competenza legislativa concorrente Stato-Regioni (art. 117, commi 2 e 3 Cost.). Alla luce di ciò ed in base ad un'interpretazione meramente letterale del disposto normativo de quo, sul presupposto della tassatività degli elenchi di materie di potestà legislativa, la disciplina del procedimento amministrativo rientrerebbe nella competenza legislativa residuale ed esclusiva delle Regioni (ex art. 117, comma 4 Cost.). Ne conseguirebbe che la disciplina generale del procedimento sarebbe dettata dallo Stato in materia di «ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali» ex art. 117, comma 2, lett. g) Cost., e dalle Regioni per quanto concerne l'ordinamento e l'organizzazione amministrativa delle stesse e degli enti pubblici regionali e locali. È evidente che se si individuasse in capo alle Regioni una competenza esclusiva a regolare il procedimento, la l. n. 241/1990 potrebbe perdere la centralità che attualmente riveste nel disciplinare i principi e gli istituti generali della procedura amministrativa (Caringella, 1467). Sulla stessa linea interpretativa è stata sottolineata l'equiparazione, effettuata dall'art. 29, comma 2, tra Regioni ed enti locali, che nell'ambito delle rispettive competenze, regolano i propri procedimenti. In tal modo il legislatore avrebbe voluto dare ampia interpretazione all'art. 117, comma 6 Cost., il quale attribuisce agli enti locali potestà regolamentare, tra l'altro, in ordine alla disciplina dello svolgimento delle funzioni loro attribuite e perciò dei relativi procedimenti. Pertanto, l'ambito riservato alla potestà regolamentare degli enti locali, in ordine ai procedimenti che avvengono al loro interno, sarebbe piena e verrebbe perciò a limitare il campo della potestà legislativa rispettivamente statale e regionale, nelle materie di rispettiva competenza. Le leggi statali e regionali avrebbero, bensì, la potestà di attribuire competenza in ordine a determinati procedimenti amministrativi agli enti locali, ma non anche di disciplinare lo svolgimento all'interno degli enti locali medesimi (Cerulli Irelli). Tuttavia, la dottrina, anche prima della riforma del 2009, ha cercato di definire diversamente l'impasse delineato. La permanenza della centralità della l. n. 241/1990 nel sistema di regolazione della procedura amministrativa, per buona parte della dottrina (Occhiena, 167), determina una competenza legislativa statale avente per oggetto il rapporto tra cittadino e Pubblica Amministrazione e le garanzie di una qualità minima dei servizi resi in termini di efficienza, efficacia e trasparenza. Invero, il mancato esplicito richiamo al procedimento amministrativo nell'elenco delle materie attribuite alla competenza statale o a quella concorrente, non è decisivo nel senso di escludere ogni competenza statale (Cogliani, 975). Tale mancata inclusione trova giustificazione nella natura del procedimento amministrativo quale materia trasversale, che non coincide con un ambito materiale di competenza. Inoltre, essa si fonda anche sul riconoscimento del procedimento come «forma della funzione amministrativa», per cui le regole dell'agire pubblico si manifestano, a prescindere dal livello di governo coinvolto (A. Sandulli, Torrice, 251). Va aggiunto, inoltre, il richiamo dei principi comunitari secondo cui il procedimento viene configurato come modulo garantistico di tutela delle situazioni giuridiche soggettive, a nulla rilevando la dimensione, centrale o locale del soggetto agente. Al riguardo, non è mancato chi ha ravvisato una competenza implicita della legge statale nel regolare l'attività amministrativa, facendo ricorso all'ausilio dell'art. 120 Cost. Secondo questa logica, se il Governo ha il potere di tutelare l'unità giuridica, deve ritenersi che possa esercitarlo non solo in via repressiva attraverso il potere sostitutivo, ma anche in via preventiva, mediante leggi contenenti principi generali tendenti a garantire la salvaguardia dell'unità giuridica ed, in particolare, la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili. La dottrina e la giurisprudenza sono da tempo attestate nel ricondurre il principio del giusto procedimento nell'alveo dell'art. 117, comma 2, lett. m ) Cost. , che attribuisce allo Stato la funzione legislativa, relativa alla «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». Il termine prestazioni deve essere interpretato, oltre che nel senso di prestazioni materiali, anche nel senso di attività svolta dai pubblici uffici a favore dei cittadini, pure attraverso un'attività procedimentalizzata. E dunque le garanzie procedimentali, in quanto operano a favore di cittadini, sono da ritenere prestazioni essenziali (rectius prestazioni di garanzie), tra le quali rientrano quei principi dell'attività amministrativa che riguardano i rapporti tra l'Amministrazione e i soggetti terzi. Si tratta delle norme relative alla partecipazione dell'interessato al procedimento, all'individuazione del responsabile del procedimento, alla conclusione del procedimento entro il termine prefissato con provvedimento espresso, all'accesso alla documentazione amministrativa, alla conoscibilità dei motivi dell'azione, come il preavviso di rigetto, alla dichiarazione di inizio attività e il silenzio assenso, che in quanto vertenti sulla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (V. Cerulli Irelli). La Corte Costituzionale con riguardo al livello essenziale delle prestazioni (c.d. L.E.P.) ha rilevato che «non si tratta di una materia in senso stretto, ma di una competenza del legislatore statale idonea ad investite tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti sull'intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti senza che il legislatore regionale possa limitarle o condizionarle» (Corte cost., n. 282/2002). Sono definite trasversali quelle materie che, per ampiezza e profondità, coinvolgono e attraversano tutti i livelli di governo del territorio (Stato, Regione ed Enti locali). Tali competenze vengono definite anche competenze c.d. di valore, poiché al di là della delimitazione della materia, hanno riguardo ad un valore costituzionalmente protetto. Del disposto dell'art. 29 se ne propone quindi un'interpretazione sostanzialmente correttiva considerando cioè che le norme sull'attività amministrativa, laddove contemplano i cittadini come destinatari, sono norme che garantiscono i diritti civili e sociali nei confronti dell'amministrazione e laddove stabilite a livello nazionale, garantiscono i livelli essenziali delle prestazioni stesse. Di qui consegue che la disciplina stabilita a livello statale, ritenuta compatibile con tutte le differenti situazioni esistenti nel territorio nazionale, sia la disciplina di livello essenziale, alla quale tutti i cittadini hanno diritto perché tutte le amministrazioni sono in grado di adeguarsi (Gallo). Le garanzie del procedimento costituiscono pertanto livelli essenziali delle prestazioni attinenti ai diritti civili e sociali, ed anche alla luce dell'orientamento «centralista» mostrato dalla Corte Costituzionale, sembra corretto ricondurle alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. Invero, il diritto ad una buona amministrazione costituisce un valore primario dell'ordinamento costituzionale e comunitario, un «nuovo diritto sociale» che deve essere garantito in modo unitario su tutto il territorio nazionale, e il soggetto depositario di tale onere non può che essere lo Stato. Regioni ed Enti locali, nelle forme normative ad essi rispettivamente consentite, potranno poi evidentemente integrare la suddetta legge base per disciplinare i propri procedimenti amministrativi, ma non potranno mai rinunciare del tutto ad una tutela delle nuove istanze partecipative nei livelli minimi identificati dall'ordinamento generale (Sandulli). In sintesi, con il nuovo Titolo V, la capacità della legge statale di vincolare la normazione regionale deve essere valutata caso per caso e in relazione alle singole materie. Pertanto, nelle materie di competenza concorrente la legge statale dovrà limitarsi a fornire i principi, così come faranno le leggi speciali, laddove il procedimento amministrativo rientri in una materia specifica, mentre nel caso della competenza residuale si ribadisce l'applicabilità dei principi comunitari, generali e costituzionali, recepiti nelle leggi statali. Tali leggi interferiranno con la competenza residuale soltanto nelle materie trasversali. Le norme e i principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 97 Cost. determinano il primo nucleo della disciplina generale dell'attività amministrativa e trovano, quindi, una diretta applicazione (Gelati, 1201). Secondo la dottrina prevalente, inoltre, non costituiscono argomenti in senso contrario né la mancata approvazione dell'emendamento che avrebbe inserito nell'art. 29 della l. n. 241/1990 un riferimento espresso alla lettera m) del comma 2 dell'art. 117, né la circostanza che la legge in esame abbia espressamente qualificato come livelli essenziali delle prestazioni solo la parte della disciplina relativa all'accesso. Sul punto deve ritenersi che nell'art. 22 il legislatore abbia inteso richiamare in blocco tutta la disciplina dell'accesso, mentre nell'art. 29 si sia limitato a richiamare i soli principi in punto di garanzie. Ma questo non vale certo ad escludere che tali principi siano a loro volta espressione di livelli essenziali (Celotto). Le Regioni a statuto speciale. Poiché il vecchio testo dell'art. 29 si riferiva genericamente alle «Regioni», senza alcun richiamo a quelle ad autonomia speciale, occorre richiamare l'art. 10 della legge costituzionale n. 3/2001, ai sensi del quale «sino all'adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite». Pertanto ci si chiede se, in applicazione del principio di specialità che si ricava da tale disposizione, i limiti alla potestà legislativa delle Regioni a statuto speciale previsti nei singoli statuti (c.d. limiti verticali), siano venuti meno con l'entrata in vigore del nuovo art. 117 Cost., ai sensi del quale la potestà legislativa esclusiva dello Stato e delle Regioni si esercita nel rispetto «della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». In effetti i limiti stabiliti dagli statuti delle Regioni de qua appaiono essere più incisivi rispetto a quelli cui, secondo il nuovo assetto costituzionale, è subordinato l'esercizio della potestà legislativa esclusiva dello Stato e delle Regioni. In realtà questa tesi, già prima dell'ultimo intervento di riforma, non è stata condivisa, in quanto contrastante con la lettera della richiamata disposizione costituzionale che stabilisce che le norme del nuovo Titolo V della Costituzione si applicano anche alle Regioni a statuto speciale solo con riguardo alle «parti» in cui tali norme prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite, così escludendo un generale effetto abrogativo implicito dei c.d. limiti verticali. È dunque necessario comparare in concreto i margini di autonomia garantiti dallo statuto speciale con quelli spettanti sulla base del nuovo assetto costituzionale, al fine di accertare, materia per materia, se, tenuto conto della maggiore autonomia assicurata dal nuovo regime, possa ritenersi verificato l'implicito effetto abrogativo dei vincoli statutari. Questa conclusione ha trovato conferma nella sentenza con cui la Corte Costituzionale si è pronunciata su una questione riguardante i limiti della competenza legislativa di una Regione a statuto speciale in un ambito che interferisce con una materia riservata alla potestà legislativa statale. Si tratta della Regione Sardegna e le competenze legislative in questione sono quella regionale della caccia e quella statale prevista dall'art. 117, comma 2, lettera s) relativa alla tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali. Sul punto, la Consulta si è espressa rilevando che la previsione per cui il nuovo regime stabilito dalla riforma si applica anche alle Regioni a statuto speciale «ove sia più favorevole all'autonomia regionale» (art. 10, l. cost. n. 3/2001), non implica che, ove una materia attribuita dallo statuto speciale alla potestà regionale interferisca in tutto o in parte con un ambito ora spettante in forza del comma 2 dell'art. 117 Cost. alla potestà esclusiva statale, la Regione speciale possa disciplinare la materia (o la parte di materia) riservata allo Stato senza dovere osservare i limiti statutari imposti alla competenza primaria delle Regioni (Corte cost., n. 536/2002). Da questa pronuncia si è ricavato, quindi, il principio secondo cui, in caso di interferenze tra materie attribuite dallo Statuto alla potestà legislativa della Regione ad autonomia speciale e materie (od ambiti) attribuiti dal comma 2 dell'art. 117 Cost. alla potestà esclusiva dello Stato, l'esercizio della potestà legislativa regionale in quella materia (o parte di materia) deve avvenire nel rispetto dei (più rigorosi) limiti stabiliti dallo statuto speciale (T.A.R. Valle D'Aosta, n. 106/2007). Va, inoltre, ricordato che la stessa Corte Costituzionale ha rilevato come il riparto delle competenze legislative individuato nell'art. 117 Cost. deve essere riferito ai soli rapporti tra lo Stato e le Regioni ad autonomia ordinaria, salva l'applicazione dell'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, peraltro possibile solo per le parti in cui le Regioni ad autonomia ordinaria disponessero, sulla base del nuovo Titolo V, di maggiori poteri rispetto alle Regioni ad autonomia speciale (Corte cost., n. 51/2006). Anche la giurisprudenza amministrativa ha inteso risolvere ogni dubbio di interpretazione e porre fine ad alcune pretese di autonomia delle Regioni a statuto speciale in subiecta materia. Ed invero, la giurisprudenza ha ripercorso tutte le tesi – sia di segno regionalista, sia di segno più statalista – elaborate dalla dottrina sul significato e sulla portata dell'art. 29, l. n. 241/1990. In particolare, ad avviso dei giudici valdostani, l'art. 29 della l. n. 241/1990 fa emergere la «regola di soggezione» secondo cui i principi fondamentali previsti dalla legge generale sul procedimento amministrativo attengono alla tutela dei livelli essenziali di diritti civili e sociali. Ad avviso del Tribunale, «si tratta di competenza legislativa – attribuita in via esclusiva allo Stato – che ha per oggetto il rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione e le garanzie di una qualità minima dei servizi resi, in termini di efficienza, efficacia, trasparenza. L'inserimento di tale materia nell'elenco contenuto nel comma 2 dell'art. 117 Cost., significa che allo Stato è attribuito il potere di dettare a tutte le pubbliche amministrazioni anche obblighi attinenti ai servizi burocratici diretti a rendere effettivo il diritto (sociale o civile che sia) alle relative prestazioni a favore dei cittadini utenti» (T.A.R. Valle d'Aosta I, n. 106/2007). In altre parole, il termine «prestazioni» – ex art. 117, comma 2, lettera m), Cost. – deve essere interpretato, oltre che nel senso di prestazioni materiali, anche nel senso di attività svolta dai pubblici uffici a favore dei cittadini, pure attraverso una attività procedimentalizzata, «e, dunque, le garanzie procedimentali – in quanto operano a favore di cittadini – sono da ritenere prestazioni essenziali (appunto prestazioni di garanzie)». Ritengono, infine, i giudici valdostani che, nell'ambito di tali garanzie procedimentali – proprio perché qualificabili come «prestazioni» – vadano senz'altro ricomprese le norme della l. n. 241/1990 volte ad assicurare la partecipazione procedimentale e il contraddittorio tra l'amministrazione e i privati interessati: «dunque, non solo la disposizione sulla comunicazione di avvio del procedimento, ma anche quella che disciplina l'istituto del preavviso di rigetto che mira ad instaurare un contraddittorio predecisorio, per consentire la piena partecipazione procedimentale dell'interessato» è senza ombra di dubbio applicabile anche alle Regioni a statuto speciale. Il che certo non è di ostacolo all'esercizio del potere legislativo in ordine alla disciplina dei procedimenti da parte delle Regioni (siano esse a statuto speciale o meno) ed enti locali, a condizione che esso sia rispettoso degli standards minimi, ovverosia del contenuto essenziale minimo delle garanzie stabilite dal legislatore statale (Rodriquez, 250). L'ambito di applicazione soggettiva ed oggettiva dopo la l. n. 69/2009L'articolo 29, comma 1 così come riformato dalla l. n. 69/2009 estende l'applicabilità di tutte le disposizioni sul procedimento amministrativo, oltre che alle amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali, anche alle società a prevalente capitale pubblico o a totale partecipazione pubblica, limitatamente all'esercizio di funzioni amministrative. Inoltre, le disposizioni di cui agli articoli 2-bis, 11, 15 e 25, commi 5, 5-bis e 6, nonché quelle del capo IV-bis si applicano a tutte le amministrazioni pubbliche. Si tratta di: conseguenze del ritardo dell'amministrazione nella conclusione del procedimento, ossia risarcimento del danno ed indennizzo per mancata conclusione del procedimento nei termini introdotti ex novo dalla novella del 2009 (nuovo articolo 2-bis, l. n. 241/1990); accordi integrativi o sostitutivi (articolo 11); accordi tra Pubbliche Amministrazioni (articolo 15); tutela del diritto d'accesso (articolo 25, commi 5, 5-bis e 6); efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo (disposizioni di cui al capo IV-bis). In materia di accordi, il legislatore della riforma non si è limitato ad estendere l'ambito di applicazione del comma 5 dell'art. 11 (relativo agli aspetti più propriamente processuali), ma invece richiama in toto l'art. 11 e l'art. 15, l. n. 241/1990. È evidente che si sia voluto intendere l'estensione, a tutte le amministrazioni pubbliche (forse al fine di incentivarne l'utilizzo), dell'intera disciplina degli accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento e degli accordi tra pubbliche amministrazioni conclusi al fine di disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune (Rodriquez, 244). Le società a prevalente capitale pubblico o a totale partecipazione pubblica. La giurisprudenza amministrativa da tempo rifiuta l'idea che la veste societaria sia di per sé idonea a sottrarre una società interessata dalla privatizzazione formale a talune regole pubblicistiche, in particolare, nell'ambito del procedimento amministrativo, a quelle relative al diritto di accesso. Lo stesso legislatore ha accolto tale impostazione modificando opportunamente gli articoli 22 e 23 della legge in commento, definendo in modo più appropriato il concetto di «pubblica amministrazione» che ai fini dell'accesso ricomprende anche i «soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario». L'ulteriore recente modifica non fa che estendere espressamente l'applicabilità dei principi generali sul procedimento amministrativo alle società partecipate quando l'attività societaria sia espressione di una funzione amministrativa. Tuttavia, a tale riguardo non si può tacere una incongruenza di ordine sistematico: è, infatti, unanimemente riconosciuta sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza la non applicabilità agli enti pubblici societari delle regole della legge sul procedimento amministrativo, se non per il segmento di attività pubblicistica che svolgono direttamente. Da tale assunto conseguirebbe logicamente la non rilevanza della partecipazione pubblica totale o di controllo; in altri termini, ove tali società svolgano attività pubblicistica di tipo autoritativo, la legge sul procedimento dovrà essere rispettata comunque, anche in caso di partecipazione pubblica minoritaria. Le Regioni e gli enti locali. Resta immutato il comma 2 dell'art. 29, il quale continua a stabilire che Regioni ed enti locali, «nell'ambito delle rispettive competenze, regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa, così come definite dai principi stabiliti dalla presente legge». Sul piano pratico, la maggior parte delle Regioni hanno adottato leggi regionali di applicazione della l. n. 241/1990 all'inizio degli anni Novanta, non avendo tuttavia previsto ulteriori integrazioni e modifiche della normativa alla luce delle sue successive riforme di cui alle leggi n. 15/2005 e n. 80/2005. Di regola, poi, non sono stati emanati regolamenti di attuazione relativamente ai singoli procedimenti amministrativi in merito alla fissazione dei termini ed al responsabile del procedimento. Risulta, infatti, che nella maggior parte dei casi, la determinazione dei tempi e dei diversi adempimenti procedimentali è rimandata alle singole normative di settore. Ove non conforme, sarà, pertanto, necessario un generalizzato adeguamento della normativa regionale e locale, nell'ambito delle rispettive competenze, alle previsioni dei commi 2-bis e 2-ter introdotti dal legislatore del 2009, relative ai livelli essenziali delle prestazioni. Tuttavia, con riferimento alla dichiarazione di inizio attività e il silenzio assenso, in Conferenza unificata possono stabilirsi casi ulteriori di non immediata applicazione delle disposizioni dettate in materia dalla novella del 2009. In particolare, in relazione al comma 2-ter, è stata criticata la riconduzione ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all'art. 117, comma 2, lett. m) Cost. di istituti di semplificazione quali la d.i.a. ed il silenzio-assenso. Se per gli istituti di garanzia e di trasparenza può rivestire senso stabilire una soglia minima di uniformità della «prestazione» procedimentale cui il cittadino può legittimamente aspirare a prescindere dal profilo territoriale, dubbi solleva l'applicazione del medesimo modello, limitativo dell'autonomia territoriale, ad istituti di semplificazione (A. Sandulli, 1136). Resta poi ferma la possibilità di prevedere livelli ulteriori di tutela (comma 2-quater) (Rodriquez, 247). Invero, gran parte delle norme della l. n. 241/1990 attengono – per espressa disposizione dei commi 2-bis e 2-ter dell'articolo 29, inseriti dalla novella del 2009 – ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali di cui all'articolo 117, comma 2, lett. m) Cost., vincolando così al recepimento di tali principi le autorità regionali e locali nell'esercizio dell'autonomia legislativa e regolamentare loro riconosciute. Sul punto, occorre evidenziare come con la previsione contenuta nell'art. 10, comma 1, lettera b) della novella del 2009, si sia ritornati a sostenere quanto affermato chiaramente nei lavori preparatori della legge sul procedimento amministrativo. Invero, l'ambito applicativo della l. n. 15/2005, pur risentendo delle modifiche costituzionali apportate dalla legge costituzionale n. 3/2001, rappresenta una disciplina relativa ai principi generali dell'azione amministrativa e/o del procedimento amministrativo vincolata, quindi, al rispetto dei principi costituzionali e di quelli dell'ordinamento europeo. Pertanto, il collegamento dei principi del procedimento ai L.E.P. li rende non disponibili ai legislatori regionali, considerando tali principi come quelli che assicurano livelli di partecipazione fondamentali e perciò non comprimibili, fermo restando la possibilità di stabilire ulteriori livelli di tutela, e quindi spazi più ampi di partecipazione. Le Regioni a statuto speciale. In relazione al problema dell'applicabilità delle disposizioni che costituiscono espressione dei livelli essenziali di prestazione alle materie di competenza delle Regioni a statuto speciale, l'articolo 10, comma 1, lettera b) della novella del 2009 inserisce la consueta clausola di applicazione delle norme alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome, le quali adeguano la propria legislazione secondo i rispettivi statuti, stante la non menzione operata dalle modifiche apportate dalla l. n. 15/2005 all'articolo 29 de quo, a differenza dell'originario testo varato nel 1990 che prevedeva l'obbligo per quest'ultime di adeguare i propri ordinamenti alle norme fondamentali introdotte dalla stessa legge. Dunque, anche le Regioni a Statuto speciale non possono stabilire garanzie procedimentali inferiori a quelle stabilite dai commi 2-bis e 2-ter (comma 2-quinquies). L'applicabilità della Scia a livello regionale.Il comma 4-ter dell'art. 49 del d.l. n. 78/2010, convertito nella l. n. 122/2010, prevede che, la disciplina di cui al comma 4-bis sostituisca direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del predetto d.l. n. 78, quella della dichiarazione di inizio di attività, contenuta in ogni normativa, sia statale che regionale. In generale, l'art. 29 stabilisce che, le disposizioni della legge medesima «si applicano alle amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali [...]». Ma «le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, regolano le materie disciplinate dalla [...] legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa, così come definite dai principi stabiliti dalla presente legge». Dunque, le Regioni, nella propria legislazione, in materia di procedimento amministrativo, hanno già l'onere di attenersi ai principi di cui alla l. n. 241/90. Lo stesso art. 29 aggiunge che, (comma 2-ter) «attengono [...] ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), Cost. le disposizioni della presente legge concernenti la dichiarazione di inizio attività [...], salva la possibilità di individuare, con intese in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, casi ulteriori in cui tali disposizioni non si applicano»; (comma 2-quater) «le Regioni e gli enti locali, nel disciplinare i procedimenti amministrativi di loro competenza, non possono stabilire garanzie inferiori a quelle assicurate ai privati dalle disposizioni attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter, ma possono prevedere livelli ulteriori di tutela»; (comma 2-quinquies) «le Regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano adeguano la propria legislazione alle disposizioni del presente articolo, secondo i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione». Inoltre, il predetto comma 4-ter dell'art. 49 stabilisce che, «il comma 4-bis attiene alla tutela della concorrenza ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera e), Cost., e costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi della lettera m) del medesimo comma». Come è noto, appartengono alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la «Tutela della concorrenza» e la «Determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». Dunque, le Regioni sono tenute al rispetto delle disposizioni in materia di Dia, ed ora di Scia, e comunque, nel disciplinare i procedimenti amministrativi di loro competenza, non possono stabilire garanzie inferiori a quelle assicurate ai privati dalle disposizioni attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter. Potrebbero solo prevedere livelli ulteriori di tutela. Questioni applicative.1) Gli strumenti di concertazione: un'efficace soluzione ai problemi di riparto di competenza tra Stato e Regioni? Nel quadro normativo attuale, molto frammentato e confuso, gli strumenti di concertazione, come sostenuto da attenta dottrina, sono certamente i mezzi più efficaci di risoluzione dei problemi nell'attribuzione di competenza tra Stato e Regioni (Mascellari, 871). Invero, le pratiche di concertazione applicano il principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni di cui all'art. 120 Cost. Si osserva anche che l'utilizzo di tali strumenti, che risale a prima della riforma costituzionale del 2001, ma che si è perpetuata anche dopo la revisione del Titolo V, risulta determinante per l'assetto di materie di legislazione esclusiva statale, di materie di legislazione concorrente e di legislazione residuale. La prassi degli strumenti di concertazione sembra fungere da elemento di ricomposizione delle competenze normative degli enti territoriali. Tale funzione è assolta dagli strumenti in esame in relazione a determinati settori del diritto amministrativo, non anche ad altri. Lo strumento dell'accordo potrebbe assolvere, in materia di procedimento, al compito di coordinare l'esercizio delle potestà legislative o regolamentari, spettanti ai diversi livelli di governo del territorio. 2) Quali sono le c.d. funzioni amministrative? A seguito della riforma del 2009, il legislatore ha esteso l'ambito di applicazione soggettivo della legge sul procedimento amministrativo alle società con totale o prevalente capitale pubblico, «limitatamente all'esercizio delle funzioni amministrative», lasciando agli interpreti il compito di individuare gli esatti contorni delle funzioni esercitate da tali soggetti. È evidente l'estrema difficoltà di tale operazione ermeneutica. In generale, la funzione amministrativa è espressione dell'attività volta al concreto perseguimento di fini di interesse pubblico, entro il limite positivo della attribuzione normativa di potere, mediante la quale i soggetti all'uopo preposti (di norma la pubblica amministrazione) provvedono alla cura concreta degli interessi pubblici ad essi affidati. Nel caso in cui sia una società con totale o prevalente capitale pubblico a svolgere un'attività di rilevanza pubblicistica, sarà necessaria un'analisi case by case dell'attività concretamente svolta tesa a verificare in concreto la presenza o meno di una stretta funzionalizzazione allo svolgimento del servizio pubblico. Si pensi, ad esempio, al potere espropriativo riconosciuto alle Ferrovie dello Stato s.p.a. e, più in generale, le procedure di evidenza pubblica cui sono tenute anche le società che siano qualificabili come organismi di diritto pubblico. 3) L'espressione «soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse regolata dal diritto comunitario o nazionale» di cui all'articolo 22, comma 1, lett. e) è equivalente a «società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente all'esercizio delle funzioni amministrative» di cui all'art. 29, comma 1? Ci si chiede se siano equivalenti le seguenti espressioni: soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse regolata dal diritto comunitario o nazionale» di cui all'articolo 22, comma 1, lett. e ) e «società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente all'esercizio delle funzioni amministrative» di cui all'art. 29, comma 1. Se così fosse l'inciso di cui all'art. 22, comma 1, lett. e) risulterebbe pleonastico. Dal punto di vista oggettivo, ai sensi dell'articolo 22, comma 1, lett. e), un soggetto privato che eroga un servizio pubblico (rectius che pone in essere attività di interesse pubblico) è equiparato alla P.A., non per ogni attività della sua azione, ma per quei soli ambiti in cui la sua azione funzionalizzata al soddisfacimento di un pubblico interesse sia disciplinata, regolamentata e sottoposta a precetti dal diritto nazionale o comunitario. Parallelamente, ai fini della riconduzione nell'ambito dell'articolo 29, comma 1, è presupposto dello svolgimento di una funzione amministrativa l'attribuzione di potere da parte del legislatore; ne consegue, sotto questo profilo, che le due espressioni dal punto di vista teorico, potrebbero risultare omogenee. D'altro canto dal punto di visto soggettivo, la nozione di soggetto privato è sicuramente più ampia rispetto a quella prevista dall'articolo 29, che si riferisce esclusivamente alle società partecipate in via totalitaria o maggioritaria. BibliografiaCaringella, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2005; Celotto, Il nuovo art. 29 della l. n. 241 del 1990: norma utile, inutile o pericolosa?, in giustamm.it, VI, 2005; Cerulli Irelli, Osservazioni generali sulla legge di modifica della l. n. 241/1990, in giustizia-amministrativa.it, 2005; Cogliani, Commentario alla legge sul procedimento amministrativo: l. n. 241 del 1990 e successive modificazioni; Gallo, La riforma della legge sull'azione amministrativa ed il nuovo Titolo V della nuova Costituzione, in giustamm.it, 2005; Gelati, L'azione amministrativa, a cura di V. Italia, Milano, 2005; Mascellari, La nuova disciplina dell'azione amministrativa, a cura di Tomei, Padova, 2005; Occhiena, Il Procedimento, in Procedimento amministrativo e partecipazione, problemi, prospettive ed esperienze, Milano, 2002; Padova, 2007; Rodriquez, La l. 241/1990, le Regioni e gli Enti locali, in Il nuovo procedimento amministrativo, a cura di Caringella - Protto, Roma, 2009, 236; Sandulli, Il procedimento amministrativo e la teoria del Big Rip, in Giornale dir. amm., 11, XI, 2009, 1133; Sandulli, Torrice, L'incidenza della riforma del Titolo V della Costituzione sull'attività della Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, in L'accesso ai documenti amministrativi, Riv.P.C.M., 2003, 8; Sandulli, La riforma della legge sul procedimento amministrativo tra novità vere ed apparenti, in federalismi.it, 2005. |