Legge - 7/08/1990 - n. 241 art. 30 - Atti di notorietà 1

Maurizio Francola

Atti di notorietà 1

 

1. In tutti i casi in cui le leggi e i regolamenti prevedono atti di notorietà o attestazioni asseverate da testimoni altrimenti denominate, il numero dei testimoni è ridotto a due.

2. È fatto divieto alle pubbliche amministrazioni e alle imprese esercenti servizi di pubblica necessità e di pubblica utilità di esigere atti di notorietà in luogo della dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà prevista dall'articolo 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, quando si tratti di provare qualità personali, stati o fatti che siano a diretta conoscenza dell'interessato.

Inquadramento

L'art. 30 della l. n. 241/1990, modificato dall'art. 21 della l. n. 15/2005 (che aggiunge solo la rubrica al testo originario), si pone lungo la linea della semplificazione dei rapporti tra la Pubblica Amministrazione e i cittadini che con questa entrano in contatto (De Paolis, 157).

Infatti, la norma, da un lato rende meno gravoso, laddove previsto, il ricorso all'atto di notorietà, riducendo il numero di testimoni (comma 1), dall'altro permette al privato di poter provare, nei suoi rapporti con l'amministrazione, determinati fatti, stati e qualità indipendentemente dall'esibizione dei relativi atti amministrativi di certezza (comma 2) (Pezzola, 832).

In verità, l'ordinamento non contempla una figura tipica né una disciplina generale dell'atto di notorietà bensì un complesso di norme speciali che, caso per caso, individuano il ricorso a tale istituto.

L'atto de quo è apparso per la prima volta come tipo di rogito notarile nell'elenco dell'art. 1 della legge 16 febbraio 1913, n. 89 ai sensi del quale «Ai notai è concessa anche la facoltà di [...] ricevere con giuramento atti di notorietà in materia civile e commerciale». In seguito, l'atto è stato introdotto nell'ordinamento da leggi e regolamenti che ne hanno previsto episodicamente i settori applicativi.

L'atto di notorietà: definizione e natura giuridica.

L'atto di notorietà viene definito come l'atto redatto da un pubblico ufficiale, nel quale un determinato numero di persone, su domanda di un soggetto che ne richiede la formazione, prova sotto giuramento che uno o più fatti o rapporti o situazioni giuridiche soggettive sono conosciuti ad ognuna di esse (Della Torre, 1212).

Possono essere considerati soggetti dell'atto di notorietà i pubblici ufficiali legittimati a riceverlo, il richiedente, ovvero il soggetto interessato alla formazione dell'atto ed i testimoni, cioè coloro i quali, su domanda del richiedente e sotto giuramento, attestano la notorietà di un fatto, di un rapporto o di una situazione giuridica soggettiva.

Si evince, pertanto, che la funzione originaria dell'atto in esame è quella di garantire la certezza dei rapporti tra privati e Pubblica Amministrazione. In questi termini, l'atto di notorietà è da considerare come un mezzo di semplificazione, in quanto nel caso in cui non sia possibile precostituire la prova documentale o risulti non più disponibile la documentazione originaria, permette al privato di utilizzare tale atto anziché ricorrere alla più gravosa e complessa via dell'accertamento giudiziale (Pezzola, 834).

Alla stregua di tali parametri, l'atto in questione è da ritenersi un atto pubblico ai sensi degli articoli 2699 ss. c.c. e, pertanto, fa piena prova, fino a querela di falso, della sua derivazione dal pubblico ufficiale che l'ha redatto e delle dichiarazioni rese in sua presenza. Ciò nonostante, a differenza dell'atto pubblico, la veridicità delle dichiarazioni può essere smentita da prova contraria senza il ricorso alla querela di falso, posto che il contenuto è, appunto, semplicemente notorio e non attesta pertanto la verità del fatto. Sulla base di tali premesse, è da sottolineare che sebbene l'atto di notorietà si inquadri tra le certificazioni, con esso non si attesta ciò che è noto al certificante, bensì quanto è notorio ai testimoni.

La presenza dei testimoni.

Il comma 1, ai fini del perfezionamento di atti di notorietà o di attestazioni asseverate previste da leggi o da regolamenti, richiede la presenza di due testimoni, qualunque sia il numero stabilito nella norma che ne prevede il ricorso. In precedenza, erano richiesti quattro testimoni, ad eccezione del caso previsto dall'art. 97 del r.d. n. 1238/1939, che per sostituire l'atto di nascita con l'atto notorio, ai fini delle pubblicazioni matrimoniali, ne prevedeva cinque. Donde, la riduzione del numero di testimoni dimostra la vocazione dell'atto di notorietà a porsi come mezzo di semplificazione nei riguardi del privato cittadino che debba provare determinati fatti o situazioni.

Il divieto di esigere atti di notorietà

Il comma 2 dell'articolo 30 vieta espressamente alle Pubbliche Amministrazioni e alle imprese esercenti servizi di pubblica necessità e di pubblica utilità di esigere l'atto di notorietà quando sia possibile richiedere la dichiarazione sostitutiva, allorché si tratti di provare qualità personali, stati o fatti che siano direttamente conosciuti dall'interessato.

Alla stregua di ciò, il comma in esame non sembra avere una rilevante portata innovativa, posto che l'art. 4 della l. n. 15/1968 già individuava sia il diritto di sostituire l'atto di notorietà con la dichiarazione sostitutiva che la conseguente soggezione dell'amministrazione alla volontà del cittadino.

Ebbene, il comma in esame, sotto il profilo testuale, comporta uno spostamento dell'ordine dei termini relativamente a «qualità personali, stati o fatti» rispetto a quanto previsto precedentemente dall'articolo 4 della l. n. 15/1968 (che faceva riferimento a «fatti, stati o qualità personali»). Tale modifica rende inequivoco l'uso dell'aggettivo «personali», potendosi quindi intendere i termini «stati» e «fatti» anche come non relativi alla persona del dichiarante.

In definitiva, quello che il comma riferito richiede è solo la conoscenza diretta e personale degli stati o dei fatti.

Un'ulteriore novità introdotta dal comma 2 dell'art. 30 rispetto alla disciplina previgente è data dalla definizione dei destinatari del divieto di esigere atti di notorietà.

La l. n. 15/1968 concerneva la produzione di atti e documenti esclusivamente agli «organi della pubblica amministrazione» (art. 1), mentre il comma in esame fa riferimento anche «alle imprese esercenti servizi di pubblica necessità e di pubblica utilità».

Sul punto, la dottrina e la giurisprudenza hanno tentato di dare una definizione dei soggetti destinatari della disposizione in esame.

Se da un canto si tende verso concezioni soggettive che fanno perno sulla natura di ente pubblico o di ente di diritto pubblico del soggetto esercente i servizi, per altro verso sussistono concezioni oggettive che si fondano sulla natura e sulla finalità dell'attività costituente il servizio esercitato, prescindendo quindi dalla natura del soggetto.

Ciò posto, tenuto conto della ratio complessiva della legge in commento e dell'evoluzione in termine di servizio che caratterizza sempre più l'essere del soggetto pubblico, si può ritenere che il comma 2 dell'articolo 30 abbia fatto propria la teoria oggettiva (Della Torre, 1239).

In sostanza, l'innovazione testimonia la volontà del legislatore di estendere il divieto di esigere atti di notorietà anche a soggetti formalmente privati, chiamati però a gestire attività di natura e finalità pubbliche.

Infine, nell'ipotesi in cui si contravvenga al divieto, è possibile ammettere una responsabilità dell'ente che si affianca a quella disciplinare del dipendente che contravvenga al divieto (Della Torre, 1236).

La dichiarazione sostitutiva.

L'emersione dell'atto di notorietà risale ad un tempo in cui si poteva ragionevolmente credere al concetto di notorietà, posto che la stabilità del nucleo familiare e degli agglomerati urbani era favorevole alla diffusione delle vicende individuali nell'ambito di cospicui gruppi di persone (Mazzola, 279).

In realtà, oggi mancando i presupposti per ritenere fondato il concetto di notorietà e atteso che lo stesso atto impone comunque al cittadino l'adempimento gravoso di dover reperire i testimoni, anche se diminuiti di numero, l'ordinamento tende a sostituirlo con un altro atto, nel quale la dichiarazione è resa direttamente dalla persona interessata ai fatti su cui riferisce.

Non a caso, la legge 4 gennaio 1968, n. 15, a cui si riferisce il comma 2 dell'art. 30, è stata abrogata dall'art. 77 del d.P.R. n. 445/2000, recante il Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, che rappresenta allo stato attuale il punto di riferimento per quanto attiene alla disciplina delle dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà (Aa.Vv., 106).

In specie, si richiama la disposizione di cui all'art. 47, comma 3 del d.P.R. citato, ove si precisa che fatte salve le eccezioni espressamente previste per legge, nei rapporti con la Pubblica Amministrazione e con i concessionari di pubblici servizi, tutti gli stati, le qualità personali e i fatti non espressamente indicati nell'articolo 46 del medesimo decreto presidenziale sono comprovati dall'interessato mediante dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà.

Il legislatore, in definitiva, delinea una disciplina della dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà che ha acquisito una sua autonomia e costituisce uno strumento facile da utilizzare anche a seguito della semplificazione delle modalità di produzione (Proietti, 987).

L'efficacia probatoria della dichiarazione sostitutiva.

Sulla questione dell'efficacia probatoria in sede giudiziale della dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, che ha visto per anni divisa la giurisprudenza, è intervenuta la Corte di Cassazione per dirimerne il contrasto.

Un primo indirizzo attribuisce a tale dichiarazione valore indiziario, posto che all'atto notorio è data efficacia probatoria e può essere utilizzato dal giudice in via discrezionale. Di conseguenza è fondato ritenere che la dichiarazione de qua abbia valore di indizio (Cass. n. 396/1981; Cass. n. 4275/1976). Tale tesi ha trovato particolare applicazione in tema di prelazione agraria, ai sensi dell'art. 8 della l. n. 590/1965.

In senso contrario, il secondo orientamento giurisprudenziale nega in sede giudiziale qualsiasi efficacia probatoria alla dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà. In particolare, questa giurisprudenza riconosce alla dichiarazione una valenza nei soli confronti della Pubblica Amministrazione in sede procedimentale, ma non in sede giurisdizionale, posto che l'interessato non può trarre elementi di prova dalle sue stesse dichiarazioni (Cass. III, n. 268/1996; Cass. III, n. 2988/1994; Cass. n. 6221/1991; Cass. n. 3911/1984).

A questa seconda tesi hanno aderito le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, definendo in tal modo il contrasto suesposto (Cass. S.U., n. 10153/1998). La Suprema Corte ha puntualizzato che la parificazione tra la dichiarazione sostitutiva asseverata dall'interessato e la dichiarazione resa da terzi agisce esclusivamente nell'ambito dei procedimenti amministrativi tra P.A. e soggetti privati, in base al principio della semplificazione, escludendo pertanto l'automatica trasposizione della predetta equiparazione in sede processuale. A conforto della prospettata soluzione, le Sezioni Unite osservano che se si riconoscesse a tali dichiarazioni un'efficacia probatoria, si configurerebbe una violazione del fondamentale principio di cui all'art. 2697 c.c. in base al quale la parte non può trarre elementi di prova a vantaggio personale dalle proprie dichiarazioni.

Va segnalata, inoltre, un'altra pronuncia con cui la Corte di Cassazione ha ribadito la propria posizione, specificando che la dichiarazione sostitutiva non può sopperire a carenze probatorie in sede giudiziaria, poiché tali prove non presentano quei caratteri di obiettività e di attendibilità capaci di supportare adeguatamente la decisione del giudice, in quanto provenienti da parti direttamente interessate alla soluzione del giudizio (Cass. lav., n. 5594/2001).

Questioni applicative.

1) Quale ruolo assume il testimone nella formazione dell'atto di notorietà?

In dottrina, si riscontrano teorie contrastanti relativamente alla qualificazione giuridica dei testimoni ed al ruolo da essi svolto nella formazione dell'atto di notorietà.

Secondo un primo orientamento, è esclusa la possibilità che i testimoni possano essere considerati parti, in quanto, data la posizione di sostanziale indifferenza nei riguardi dell'atto, essi non intervengono né per il soddisfacimento di un proprio interesse, né per tutelare un proprio diritto (Della Torre, 1217).

In senso contrario, certa dottrina qualifica i testimoni quali parti dell'atto di notorietà, poiché anche se nella prassi si costituisce in atto pure la persona nel cui interesse si è deposto, ciò avviene solo in qualità di richiedente e senza che renda alcuna dichiarazione (Mazzola, 279).

Il primo orientamento è da preferire, in quanto sovente la norma richiede come requisito per testimoniare la mancanza di un interesse all'atto. Si può quindi sostenere la tesi secondo cui proprio la posizione di effettiva indifferenza dei testimoni nei riguardi del contenuto dell'atto, li rende ben lontani dall'esserne causa e di conseguenza parte.

Bibliografia

Aa.Vv., La documentazione amministrativa. Certezze, semplificazione e informatizzazione nel d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, Rimini, 2001; De Paolis, Il procedimento amministrativo. Commento alla legge 7 agosto 1990, n. 241, Padova, 1996, 157; Della Torre, L'azione amministrativa, a cura di Italia, Milano, 2005; Mazzola, Notorietà (atti di), in Digesto priv., Torino, 1995; Pezzola, La nuova disciplina dell'azione amministrativa, a cura di Tomei, Verona, 2005, 831; Proietti, Commentario alla legge sul procedimento amministrativo: l. n. 241 del 1990 e successive modificazioni, a cura di Cogliani, Padova, 2007.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario