Legge - 6/11/2012 - n. 190 art. 1 - Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalita' nella pubblica amministrazione

Olga Toriello

Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalita' nella pubblica amministrazione

 

1. In attuazione dell'articolo 6 della Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dalla Assemblea generale dell'ONU il 31 ottobre 2003 e ratificata ai sensi della legge 3 agosto 2009, n. 116, e degli articoli 20 e 21 della Convenzione penale sulla corruzione, fatta a Strasburgo il 27 gennaio 1999 e ratificata ai sensi della legge 28 giugno 2012, n.110, la presente legge individua, in ambito nazionale, l'Autorita' nazionale anticorruzione e gli altri organi incaricati di svolgere, con modalita' tali da assicurare azione coordinata, attivita' di controllo, di prevenzione e di contrasto della corruzione e dell'illegalita' nella pubblica amministrazione.

2. La Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrita' delle amministrazioni pubbliche, di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.150, e successive modificazioni, di seguito denominata «Commissione», opera quale Autorita' nazionale anticorruzione, ai sensi del comma 1 del presente articolo. In particolare, la Commissione:

a) collabora con i paritetici organismi stranieri, con le organizzazioni regionali ed internazionali competenti;

b) adotta il Piano nazionale anticorruzione ai sensi del comma 2-bis1;

c) analizza le cause e i fattori della corruzione e individua gli interventi che ne possono favorire la prevenzione e il contrasto;

d) esprime parere obbligatorio sugli atti di direttiva e di indirizzo, nonche' sulle circolari del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione in materia di conformita' di atti e comportamenti dei funzionari pubblici alla legge, ai codici di comportamento e ai contratti, collettivi e individuali, regolanti il rapporto di lavoro pubblico2.

e) esprime pareri facoltativi in materia di autorizzazioni, di cui all'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, e successive modificazioni, allo svolgimento di incarichi esterni da parte dei dirigenti amministrativi dello Stato e degli enti pubblici nazionali, con particolare riferimento all'applicazione del comma 16-ter, introdotto dal comma 42, lettera l), del presente articolo;

f) esercita la vigilanza e il controllo sull'effettiva applicazione e sull'efficacia delle misure adottate dalle pubbliche amministrazioni ai sensi dei commi 4 e 5 del presente articolo e sul rispetto delle regole sulla trasparenza dell'attivita' amministrativa previste dai commi da 15 a 36 del presente articolo e dalle altre disposizioni vigenti;

[f-bis) esercita la vigilanza e il controllo sui contratti di cui agli articoli 17 e seguenti del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.] 3

g) riferisce al Parlamento, presentando una relazione entro il 31 dicembre di ciascun anno, sull'attivita' di contrasto della corruzione e dell'illegalita' nella pubblica amministrazione e sull'efficacia delle disposizioni vigenti in materia.

2-bis. Il Piano nazionale anticorruzione e' adottato sentiti il Comitato interministeriale di cui al comma 4 e la Conferenza unificata di cui all'articolo 8, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Il Piano ha durata triennale ed e' aggiornato annualmente. Esso costituisce atto di indirizzo per le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai fini dell'adozione dei propri piani triennali di prevenzione della corruzione, e per gli altri soggetti di cui all'articolo 2-bis, comma 2, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai fini dell'adozione di misure di prevenzione della corruzione integrative di quelle adottate ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, anche per assicurare l'attuazione dei compiti di cui al comma 4, lettera a). Esso, inoltre, anche in relazione alla dimensione e ai diversi settori di attivita' degli enti, individua i principali rischi di corruzione e i relativi rimedi e contiene l'indicazione di obiettivi, tempi e modalita' di adozione e attuazione delle misure di contrasto alla corruzione4.

3. Per l'esercizio delle funzioni di cui al comma 2, lettera f), l'Autorita' nazionale anticorruzione esercita poteri ispettivi mediante richiesta di notizie, informazioni, atti e documenti alle pubbliche amministrazioni, e ordina l'adozione di atti o provvedimenti richiesti dai piani di cui ai commi 4 e 5 e dalle regole sulla trasparenza dell'attivita' amministrativa previste dalle disposizioni vigenti, ovvero la rimozione di comportamenti o atti contrastanti con i piani e le regole sulla trasparenza citati5.

4. Il Dipartimento della funzione pubblica, anche secondo linee di indirizzo adottate dal Comitato interministeriale istituito e disciplinato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri:

a) coordina l'attuazione delle strategie di prevenzione e contrasto della corruzione e dell'illegalita' nella pubblica amministrazione elaborate a livello nazionale e internazionale;

b) promuove e definisce norme e metodologie comuni per la prevenzione della corruzione, coerenti con gli indirizzi, i programmi e i progetti internazionali;

[c) predispone il Piano nazionale anticorruzione, anche al fine di assicurare l'attuazione coordinata delle misure di cui alla lettera a);]6

d) definisce modelli standard delle informazioni e dei dati occorrenti per il conseguimento degli obiettivi previsti dalla presente legge, secondo modalita' che consentano la loro gestione ed analisi informatizzata;

e) definisce criteri per assicurare la rotazione dei dirigenti nei settori particolarmente esposti alla corruzione e misure per evitare sovrapposizioni di funzioni e cumuli di incarichi nominativi in capo ai dirigenti pubblici, anche esterni 7.

5. Le pubbliche amministrazioni centrali definiscono e trasmettono al Dipartimento della funzione pubblica:

a) un piano di prevenzione della corruzione che fornisce una valutazione del diverso livello di esposizione degli uffici al rischio di corruzione e indica gli interventi organizzativi volti a prevenire il medesimo rischio; 8

b) procedure appropriate per selezionare e formare, in collaborazione con la Scuola superiore della pubblica amministrazione, i dipendenti chiamati ad operare in settori particolarmente esposti alla corruzione, prevedendo, negli stessi settori, la rotazione di dirigenti e funzionari.

6. I comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti possono aggregarsi per definire in comune, tramite accordi ai sensi dell'articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241, il piano triennale per la prevenzione della corruzione, secondo le indicazioni contenute nel Piano nazionale anticorruzione di cui al comma 2-bis. Ai fini della predisposizione del piano triennale per la prevenzione della corruzione, il prefetto, su richiesta, fornisce il necessario supporto tecnico e informativo agli enti locali, anche al fine di assicurare che i piani siano formulati e adottati nel rispetto delle linee guida contenute nel Piano nazionale approvato dalla Commissione 9.

7. L'organo di indirizzo individua, di norma tra i dirigenti di ruolo in servizio, il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, disponendo le eventuali modifiche organizzative necessarie per assicurare funzioni e poteri idonei per lo svolgimento dell'incarico con piena autonomia ed effettivita'. Negli enti locali, il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza e' individuato, di norma, nel segretario o nel dirigente apicale, salva diversa e motivata determinazione. Nelle unioni di comuni, puo' essere nominato un unico responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza. Il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza segnala all'organo di indirizzo e all'organismo indipendente di valutazione le disfunzioni inerenti all'attuazione delle misure in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza e indica agli uffici competenti all'esercizio dell'azione disciplinare i nominativi dei dipendenti che non hanno attuato correttamente le misure in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza. Eventuali misure discriminatorie, dirette o indirette, nei confronti del Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza per motivi collegati, direttamente o indirettamente, allo svolgimento delle sue funzioni devono essere segnalate all'Autorita' nazionale anticorruzione, che puo' chiedere informazioni all'organo di indirizzo e intervenire nelle forme di cui al comma 3, articolo 15, decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39 10.

8. L'organo di indirizzo definisce gli obiettivi strategici in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza, che costituiscono contenuto necessario dei documenti di programmazione strategico-gestionale e del Piano triennale per la prevenzione della corruzione. L'organo di indirizzo adotta il Piano triennale per la prevenzione della corruzione su proposta del Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza entro il 31 gennaio di ogni anno e ne cura la trasmissione all'Autorita' nazionale anticorruzione. Negli enti locali il piano e' approvato dalla giunta. L'attivita' di elaborazione del piano non puo' essere affidata a soggetti estranei all'amministrazione. Il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, entro lo stesso termine, definisce procedure appropriate per selezionare e formare, ai sensi del comma 10, i dipendenti destinati ad operare in settori particolarmente esposti alla corruzione. Le attivita' a rischio di corruzione devono essere svolte, ove possibile, dal personale di cui al comma 11 11.

8-bis. L'Organismo indipendente di valutazione verifica, anche ai fini della validazione della Relazione sulla performance, che i piani triennali per la prevenzione della corruzione siano coerenti con gli obiettivi stabiliti nei documenti di programmazione strategico-gestionale e che nella misurazione e valutazione delle performance si tenga conto degli obiettivi connessi all'anticorruzione e alla trasparenza. Esso verifica i contenuti della Relazione di cui al comma 14 in rapporto agli obiettivi inerenti alla prevenzione della corruzione e alla trasparenza. A tal fine, l'Organismo medesimo puo' chiedere al Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza le informazioni e i documenti necessari per lo svolgimento del controllo e puo' effettuare audizioni di dipendenti. L'Organismo medesimo riferisce all'Autorita' nazionale anticorruzione sullo stato di attuazione delle misure di prevenzione della corruzione e di trasparenza12.

9. Il piano di cui al comma 5 risponde alle seguenti esigenze:

a) individuare le attivita', tra le quali quelle di cui al comma 16, anche ulteriori rispetto a quelle indicate nel Piano nazionale anticorruzione, nell'ambito delle quali e' piu' elevato il rischio di corruzione, e le relative misure di contrasto, anche raccogliendo le proposte dei dirigenti, elaborate nell'esercizio delle competenze previste dall'articolo 16, comma 1, lettera a-bis), del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.16513;

b) prevedere, per le attivita' individuate ai sensi della lettera a), meccanismi di formazione, attuazione e controllo delle decisioni idonei a prevenire il rischio di corruzione;

c) prevedere, con particolare riguardo alle attivita' individuate ai sensi della lettera a), obblighi di informazione nei confronti del responsabile, individuato ai sensi del comma 7, chiamato a vigilare sul funzionamento e sull'osservanza del piano;

d) definire le modalita' di monitoraggio del rispetto dei termini, previsti dalla legge o dai regolamenti, per la conclusione dei procedimenti 14;

e) definire le modalita' di monitoraggio dei rapporti tra l'amministrazione e i soggetti che con la stessa stipulano contratti o che sono interessati a procedimenti di autorizzazione, concessione o erogazione di vantaggi economici di qualunque genere, anche verificando eventuali relazioni di parentela o affinita' sussistenti tra i titolari, gli amministratori, i soci e i dipendenti degli stessi soggetti e i dirigenti e i dipendenti dell'amministrazione 15;

f) individuare specifici obblighi di trasparenza ulteriori rispetto a quelli previsti da disposizioni di legge.

10. Il responsabile individuato ai sensi del comma 7 provvede anche:

a) alla verifica dell'efficace attuazione del piano e della sua idoneita', nonche' a proporre la modifica dello stesso quando sono accertate significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti nell'organizzazione o nell'attivita' dell'amministrazione;

b) alla verifica, d'intesa con il dirigente competente, dell'effettiva rotazione degli incarichi negli uffici preposti allo svolgimento delle attivita' nel cui ambito e' piu' elevato il rischio che siano commessi reati di corruzione;

c) ad individuare il personale da inserire nei programmi di formazione di cui al comma 11.

11. La Scuola superiore della pubblica amministrazione, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e utilizzando le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, predispone percorsi, anche specifici e settoriali, di formazione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni statali sui temi dell'etica e della legalita'. Con cadenza periodica e d'intesa con le amministrazioni, provvede alla formazione dei dipendenti pubblici chiamati ad operare nei settori in cui e' piu' elevato, sulla base dei piani adottati dalle singole amministrazioni, il rischio che siano commessi reati di corruzione.

12. In caso di commissione, all'interno dell'amministrazione, di un reato di corruzione accertato con sentenza passata in giudicato, il responsabile individuato ai sensi del comma 7 del presente articolo risponde ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, e successive modificazioni, nonche' sul piano disciplinare, oltre che per il danno erariale e all'immagine della pubblica amministrazione, salvo che provi tutte le seguenti circostanze:

a) di avere predisposto, prima della commissione del fatto, il piano di cui al comma 5 e di aver osservato le prescrizioni di cui ai commi 9 e 10 del presente articolo;

b) di aver vigilato sul funzionamento e sull'osservanza del piano.

13. La sanzione disciplinare a carico del responsabile individuato ai sensi del comma 7 non puo' essere inferiore alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di un mese ad un massimo di sei mesi.

14. In caso di ripetute violazioni delle misure di prevenzione previste dal Piano, il responsabile individuato ai sensi del comma 7 del presente articolo risponde ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, nonche', per omesso controllo, sul piano disciplinare, salvo che provi di avere comunicato agli uffici le misure da adottare e le relative modalita' e di avere vigilato sull'osservanza del Piano. La violazione, da parte dei dipendenti dell'amministrazione, delle misure di prevenzione previste dal Piano costituisce illecito disciplinare. Entro il 15 dicembre di ogni anno, il dirigente individuato ai sensi del comma 7 del presente articolo trasmette all'organismo indipendente di valutazione e all'organo di indirizzo dell'amministrazione una relazione recante i risultati dell'attivita' svolta e la pubblica nel sito web dell'amministrazione. Nei casi in cui l'organo di indirizzo lo richieda o qualora il dirigente responsabile lo ritenga opportuno, quest'ultimo riferisce sull'attivita' 16.

15. Ai fini della presente legge, la trasparenza dell'attivita' amministrativa, che costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, secondo quanto previsto all'articolo 11 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.150, e' assicurata mediante la pubblicazione, nei siti web istituzionali delle pubbliche amministrazioni, delle informazioni relative ai procedimenti amministrativi, secondo criteri di facile accessibilita', completezza e semplicita' di consultazione, nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di segreto d'ufficio e di protezione dei dati personali. Nei siti web istituzionali delle amministrazioni pubbliche sono pubblicati anche i relativi bilanci e conti consuntivi, nonche' i costi unitari di realizzazione delle opere pubbliche e di produzione dei servizi erogati ai cittadini. Le informazioni sui costi sono pubblicate sulla base di uno schema tipo redatto dall'Autorita' per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che ne cura altresi' la raccolta e la pubblicazione nel proprio sito web istituzionale al fine di consentirne una agevole comparazione.

16. Fermo restando quanto stabilito nell'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come da ultimo modificato dal comma 42 del presente articolo, nell'articolo 54 del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, nell'articolo 21 della legge 18 giugno 2009, n. 69, e successive modificazioni, e nell'articolo 11 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, le pubbliche amministrazioni assicurano i livelli essenziali di cui al comma 15 del presente articolo con particolare riferimento ai procedimenti di:

a) autorizzazione o concessione;

b) scelta del contraente per l'affidamento di lavori, forniture e servizi, anche con riferimento alla modalita' di selezione prescelta ai sensi del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163;

c) concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonche' attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati;

d) concorsi e prove selettive per l'assunzione del personale e progressioni di carriera di cui all'articolo 24 del citato decreto legislativo n.150 del 2009.

17. Le stazioni appaltanti possono prevedere negli avvisi, bandi di gara o lettere di invito che il mancato rispetto delle clausole contenute nei protocolli di legalita' o nei patti di integrita' costituisce causa di esclusione dalla gara.

18. Ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, agli avvocati e procuratori dello Stato e ai componenti delle commissioni tributarie e' vietata, pena la decadenza dagli incarichi e la nullita' degli atti compiuti, la partecipazione a collegi arbitrali o l'assunzione di incarico di arbitro unico17.

[ 19. Il comma 1 dell'articolo 241 del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, e' sostituito dal seguente:

«1. Le controversie su diritti soggettivi, derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi, forniture, concorsi di progettazione e di idee, comprese quelle conseguenti al mancato raggiungimento dell'accordo bonario previsto dall'articolo 240, possono essere deferite ad arbitri, previa autorizzazione motivata da parte dell'organo di governo dell'amministrazione. L'inclusione della clausola compromissoria, senza preventiva autorizzazione, nel bando o nell'avviso con cui e' indetta la gara ovvero, per le procedure senza bando, nell'invito, o il ricorso all'arbitrato, senza preventiva autorizzazione, sono nulli» .]  18

[ 20. Le disposizioni relative al ricorso ad arbitri, di cui all'articolo 241, comma 1, del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163, come sostituito dal comma 19 del presente articolo, si applicano anche alle controversie relative a concessioni e appalti pubblici di opere, servizi e forniture in cui sia parte una societa' a partecipazione pubblica ovvero una societa' controllata o collegata a una societa' a partecipazione pubblica, ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, o che comunque abbiano ad oggetto opere o forniture finanziate con risorse a carico dei bilanci pubblici. A tal fine, l'organo amministrativo rilascia l'autorizzazione di cui al citato comma 1 dell'articolo 241 del codice di cui al decreto legislativo n.163 del 2006, come sostituito dal comma 19 del presente articolo .] 19

[ 21. La nomina degli arbitri per la risoluzione delle controversie nelle quali e' parte una pubblica amministrazione avviene nel rispetto dei principi di pubblicita' e di rotazione e secondo le modalita' previste dai commi 22, 23 e 24 del presente articolo, oltre che nel rispetto delle disposizioni del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163, in quanto applicabili.]  20

[22. Qualora la controversia si svolga tra due pubbliche amministrazioni, gli arbitri di parte sono individuati esclusivamente tra dirigenti pubblici .]  21

[23. Qualora la controversia abbia luogo tra una pubblica amministrazione e un privato, l'arbitro individuato dalla pubblica amministrazione e' scelto preferibilmente tra i dirigenti pubblici.

Qualora non risulti possibile alla pubblica amministrazione nominare un arbitro scelto tra i dirigenti pubblici, la nomina e' disposta, con provvedimento motivato, nel rispetto delle disposizioni del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163 .]  22

[ 24. La pubblica amministrazione stabilisce, a pena di nullita' della nomina, l'importo massimo spettante al dirigente pubblico per l'attivita' arbitrale. L'eventuale differenza tra l'importo spettante agli arbitri nominati e l'importo massimo stabilito per il dirigente e' acquisita al bilancio della pubblica amministrazione che ha indetto la gara .] 23

[ 25. Le disposizioni di cui ai commi da 19 a 24 non si applicano agli arbitrati conferiti o autorizzati prima della data di entrata in vigore della presente legge.] 24

26. Le disposizioni di cui ai commi 15 e 16 si applicano anche ai procedimenti posti in essere in deroga alle procedure ordinarie. I soggetti che operano in deroga e che non dispongono di propri siti web istituzionali pubblicano le informazioni di cui ai citati commi 15 e 16 nei siti web istituzionali delle amministrazioni dalle quali sono nominati.

27. Le informazioni pubblicate ai sensi dei commi 15 e 16 sono trasmesse in via telematica alla Commissione.

28. Le amministrazioni provvedono altresi' al monitoraggio periodico del rispetto dei tempi procedimentali attraverso la tempestiva eliminazione delle anomalie. I risultati del monitoraggio sono consultabili nel sito web istituzionale di ciascuna amministrazione.

29. Ogni amministrazione pubblica rende noto, tramite il proprio sito web istituzionale, almeno un indirizzo di posta elettronica certificata cui il cittadino possa rivolgersi per trasmettere istanze ai sensi dell'articolo 38 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n.445, e successive modificazioni, e ricevere informazioni circa i provvedimenti e i procedimenti amministrativi che lo riguardano.

30. Le amministrazioni, nel rispetto della disciplina del diritto di accesso ai documenti amministrativi di cui al capo V della legge 7 agosto 1990, n.241, e successive modificazioni, in materia di procedimento amministrativo, hanno l'obbligo di rendere accessibili in ogni momento agli interessati, tramite strumenti di identificazione informatica di cui all'articolo 65, comma 1, del codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n.82, e successive modificazioni, le informazioni relative ai provvedimenti e ai procedimenti amministrativi che li riguardano, ivi comprese quelle relative allo stato della procedura, ai relativi tempi e allo specifico ufficio competente in ogni singola fase.

[31. Con uno o piu' decreti del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti per le materie di competenza, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono individuate le informazioni rilevanti ai fini dell'applicazione dei commi 15 e 16 del presente articolo e le relative modalita' di pubblicazione, nonche' le indicazioni generali per l'applicazione dei commi 29 e 30. Restano ferme le disposizioni in materia di pubblicita' previste dal codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163.]25

32. Con riferimento ai procedimenti di cui al comma 16, lettera b), del presente articolo, le stazioni appaltanti sono in ogni caso tenute a pubblicare nei propri siti web istituzionali: la struttura proponente; l'oggetto del bando; l'elenco degli operatori invitati a presentare offerte; l'aggiudicatario; l'importo di aggiudicazione; i tempi di completamento dell'opera, servizio o fornitura; l'importo delle somme liquidate. Le stazioni appaltanti sono tenute altresi' a trasmettere le predette informazioni ogni semestre alla commissione di cui al comma 2. Entro il 31 gennaio di ogni anno, tali informazioni, relativamente all'anno precedente, sono pubblicate in tabelle riassuntive rese liberamente scaricabili in un formato digitale standard aperto che consenta di analizzare e rielaborare, anche a fini statistici, i dati informatici. Le amministrazioni trasmettono in formato digitale tali informazioni all'Autorita' per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che le pubblica nel proprio sito web in una sezione liberamente consultabile da tutti i cittadini, catalogate in base alla tipologia di stazione appaltante e per regione. L'Autorita' individua con propria deliberazione le informazioni rilevanti e le relative modalita' di trasmissione. Entro il 30 aprile di ciascun anno, l'Autorita' per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture trasmette alla Corte dei conti l'elenco delle amministrazioni che hanno omesso di trasmettere e pubblicare, in tutto o in parte, le informazioni di cui al presente comma in formato digitale standard aperto. Si applica l'articolo 6, comma 11, del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 16326.

32-bis. Nelle controversie concernenti le materie di cui al comma 1, lettera e), dell'articolo 133 del codice di cui all'allegato 1 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, il giudice amministrativo trasmette alla commissione ogni informazione o notizia rilevante emersa nel corso del giudizio che, anche in esito a una sommaria valutazione, ponga in evidenza condotte o atti contrastanti con le regole della trasparenza 27.

33. La mancata o incompleta pubblicazione, da parte delle pubbliche amministrazioni, delle informazioni di cui al comma 31 costituisce violazione degli standard qualitativi ed economici ai sensi dell'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 20 dicembre 2009, n. 198, ed e' comunque valutata ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni.

Eventuali ritardi nell'aggiornamento dei contenuti sugli strumenti informatici sono sanzionati a carico dei responsabili del servizio.

34. Le disposizioni dei commi da 15 a 33 si applicano alle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, agli enti pubblici nazionali, nonche' alle societa' partecipate dalle amministrazioni pubbliche e dalle loro controllate, ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, limitatamente alla loro attivita' di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell'Unione europea.

35. Il Governo e' delegato ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo per il riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicita', trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, mediante la modifica o l'integrazione delle disposizioni vigenti, ovvero mediante la previsione di nuove forme di pubblicita', nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

a) ricognizione e coordinamento delle disposizioni che prevedono obblighi di pubblicita' a carico delle amministrazioni pubbliche;

b) previsione di forme di pubblicita' sia in ordine all'uso delle risorse pubbliche sia in ordine allo svolgimento e ai risultati delle funzioni amministrative;

c) precisazione degli obblighi di pubblicita' di dati relativi ai titolari di incarichi politici, di carattere elettivo o comunque di esercizio di poteri di indirizzo politico, di livello statale, regionale e locale. Le dichiarazioni oggetto di pubblicazione obbligatoria di cui alla lettera a) devono concernere almeno la situazione patrimoniale complessiva del titolare al momento dell'assunzione della carica, la titolarita' di imprese, le partecipazioni azionarie proprie, del coniuge e dei parenti entro il secondo grado di parentela, nonche' tutti i compensi cui da' diritto l'assunzione della carica;

d) ampliamento delle ipotesi di pubblicita', mediante pubblicazione nei siti web istituzionali, di informazioni relative ai titolari degli incarichi dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, sia con riferimento a quelli che comportano funzioni di amministrazione e gestione, sia con riferimento agli incarichi di responsabilita' degli uffici di diretta collaborazione;

e) definizione di categorie di informazioni che le amministrazioni devono pubblicare e delle modalita' di elaborazione dei relativi formati;

f) obbligo di pubblicare tutti gli atti, i documenti e le informazioni di cui al presente comma anche in formato elettronico elaborabile e in formati di dati aperti. Per formati di dati aperti si devono intendere almeno i dati resi disponibili e fruibili on line in formati non proprietari, a condizioni tali da permetterne il piu' ampio riutilizzo anche a fini statistici e la ridistribuzione senza ulteriori restrizioni d'uso, di riuso o di diffusione diverse dall'obbligo di citare la fonte e di rispettarne l'integrita';

g) individuazione, anche mediante integrazione e coordinamento della disciplina vigente, della durata e dei termini di aggiornamento per ciascuna pubblicazione obbligatoria;

h) individuazione, anche mediante revisione e integrazione della disciplina vigente, delle responsabilita' e delle sanzioni per il mancato, ritardato o inesatto adempimento degli obblighi di pubblicazione (A).

36. Le disposizioni di cui al decreto legislativo adottato ai sensi del comma 35 integrano l'individuazione del livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche a fini di trasparenza, prevenzione, contrasto della corruzione e della cattiva amministrazione, a norma dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, e costituiscono altresi' esercizio della funzione di coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale, di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera r), della Costituzione.

37. All'articolo 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241, al comma 1-ter sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, con un livello di garanzia non inferiore a quello cui sono tenute le pubbliche amministrazioni in forza delle disposizioni di cui alla presente legge».

38. All'articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, al comma 1 e' aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Se ravvisano la manifesta irricevibilita', inammissibilita', improcedibilita' o infondatezza della domanda, le pubbliche amministrazioni concludono il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione puo' consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo».

39. Al fine di garantire l'esercizio imparziale delle funzioni amministrative e di rafforzare la separazione e la reciproca autonomia tra organi di indirizzo politico e organi amministrativi, le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonche' le aziende e le societa' partecipate dallo Stato e dagli altri enti pubblici, in occasione del monitoraggio posto in essere ai fini dell'articolo 36, comma 3, del medesimo decreto legislativo n. 165 del 2001, e successive modificazioni, comunicano al Dipartimento della funzione pubblica, per il tramite degli organismi indipendenti di valutazione, tutti i dati utili a rilevare le posizioni dirigenziali attribuite a persone, anche esterne alle pubbliche amministrazioni, individuate discrezionalmente dall'organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione. I dati forniti confluiscono nella relazione annuale al Parlamento di cui al citato articolo 36, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001, e vengono trasmessi alla Commissione per le finalita' di cui ai commi da 1 a 14 del presente articolo.

40. I titoli e i curricula riferiti ai soggetti di cui al comma 39 si intendono parte integrante dei dati comunicati al Dipartimento della funzione pubblica.

41. Nel capo II della legge 7 agosto 1990, n. 241, dopo l'articolo 6 e' aggiunto il seguente:

«Art. 6-bis. -

(Conflitto di interessi). -

1. Il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale».

42. All'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) dopo il comma 3 e' inserito il seguente:

«3-bis. Ai fini previsti dal comma 2, con appositi regolamenti emanati su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con i Ministri interessati, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, sono individuati, secondo criteri differenziati in rapporto alle diverse qualifiche e ruoli professionali, gli incarichi vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2»;

b) al comma 5 sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «o situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi, che pregiudichino l'esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente»;

c) al comma 7 e al comma 9, dopo il primo periodo e' inserito il seguente:

«Ai fini dell'autorizzazione, l'amministrazione verifica l'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi»;

d) dopo il comma 7 e' inserito il seguente:

«7-bis. L'omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilita' erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti»;

e) il comma 11 e' sostituito dal seguente:

«11. Entro quindici giorni dall'erogazione del compenso per gli incarichi di cui al comma 6, i soggetti pubblici o privati comunicano all'amministrazione di appartenenza l'ammontare dei compensi erogati ai dipendenti pubblici»;

f) al comma 12, il primo periodo e' sostituito dal seguente: «Le amministrazioni pubbliche che conferiscono o autorizzano incarichi, anche a titolo gratuito, ai propri dipendenti comunicano in via telematica, nel termine di quindici giorni, al Dipartimento della funzione pubblica gli incarichi conferiti o autorizzati ai dipendenti stessi, con l'indicazione dell'oggetto dell'incarico e del compenso lordo, ove previsto»; al medesimo comma 12, al secondo periodo, le parole: «L'elenco e' accompagnato» sono sostituite dalle seguenti: «La comunicazione e' accompagnata» e, al terzo periodo, le parole: «Nello stesso termine» sono sostituite dalle seguenti: «Entro il 30 giugno di ciascun anno»;

g) al comma 13, le parole: «Entro lo stesso termine di cui al comma 12» sono sostituite dalle seguenti: «Entro il 30 giugno di ciascun anno»;

h) al comma 14, secondo periodo, dopo le parole: «l'oggetto, la durata e il compenso dell'incarico» sono aggiunte le seguenti: «nonche' l'attestazione dell'avvenuta verifica dell'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi»;

i) al comma 14, dopo il secondo periodo sono inseriti i seguenti:

«Le informazioni relative a consulenze e incarichi comunicate dalle amministrazioni al Dipartimento della funzione pubblica, nonche' le informazioni pubblicate dalle stesse nelle proprie banche dati accessibili al pubblico per via telematica ai sensi del presente articolo, sono trasmesse e pubblicate in tabelle riassuntive rese liberamente scaricabili in un formato digitale standard aperto che consenta di analizzare e rielaborare, anche a fini statistici, i dati informatici. Entro il 31 dicembre di ciascun anno il Dipartimento della funzione pubblica trasmette alla Corte dei conti l'elenco delle amministrazioni che hanno omesso di trasmettere e pubblicare, in tutto o in parte, le informazioni di cui al terzo periodo del presente comma in formato digitale standard aperto»;

l) dopo il comma 16-bis e' aggiunto il seguente:

«16-ter. I dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attivita' lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell'attivita' della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed e' fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti».

43. Le disposizioni di cui all'articolo 53, comma 16-ter, secondo periodo, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, introdotto dal comma 42, lettera l), non si applicano ai contratti gia' sottoscritti alla data di entrata in vigore della presente legge.

44. L'articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, e' sostituito dal seguente:

«Art. 54. -

(Codice di comportamento). -

1. Il Governo definisce un codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni al fine di assicurare la qualita' dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealta', imparzialita' e servizio esclusivo alla cura dell'interesse pubblico. Il codice contiene una specifica sezione dedicata ai doveri dei dirigenti, articolati in relazione alle funzioni attribuite, e comunque prevede per tutti i dipendenti pubblici il divieto di chiedere o di accettare, a qualsiasi titolo, compensi, regali o altre utilita', in connessione con l'espletamento delle proprie funzioni o dei compiti affidati, fatti salvi i regali d'uso, purche' di modico valore e nei limiti delle normali relazioni di cortesia.

2. Il codice, approvato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, previa intesa in sede di Conferenza unificata, e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale e consegnato al dipendente, che lo sottoscrive all'atto dell'assunzione.

3. La violazione dei doveri contenuti nel codice di comportamento, compresi quelli relativi all'attuazione del Piano di prevenzione della corruzione, e' fonte di responsabilita' disciplinare. La violazione dei doveri e' altresi' rilevante ai fini della responsabilita' civile, amministrativa e contabile ogniqualvolta le stesse responsabilita' siano collegate alla violazione di doveri, obblighi, leggi o regolamenti. Violazioni gravi o reiterate del codice comportano l'applicazione della sanzione di cui all'articolo 55-quater, comma 1.

4. Per ciascuna magistratura e per l'Avvocatura dello Stato, gli organi delle associazioni di categoria adottano un codice etico a cui devono aderire gli appartenenti alla magistratura interessata. In caso di inerzia, il codice e' adottato dall'organo di autogoverno.

5. Ciascuna pubblica amministrazione definisce, con procedura aperta alla partecipazione e previo parere obbligatorio del proprio organismo indipendente di valutazione, un proprio codice di comportamento che integra e specifica il codice di comportamento di cui al comma 1. Al codice di comportamento di cui al presente comma si applicano le disposizioni del comma 3. A tali fini, la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrita' delle amministrazioni pubbliche (CIVIT) definisce criteri, linee guida e modelli uniformi per singoli settori o tipologie di amministrazione.

6. Sull'applicazione dei codici di cui al presente articolo vigilano i dirigenti responsabili di ciascuna struttura, le strutture di controllo interno e gli uffici di disciplina.

7. Le pubbliche amministrazioni verificano annualmente lo stato di applicazione dei codici e organizzano attivita' di formazione del personale per la conoscenza e la corretta applicazione degli stessi».

45. I codici di cui all'articolo 54, commi 1 e 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come sostituito dal comma 44, sono approvati entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.

46. Dopo l'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e' inserito il seguente:

«Art. 35-bis. -

(Prevenzione del fenomeno della corruzione nella formazione di commissioni e nelle assegnazioni agli uffici) -

1. Coloro che sono stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per i reati previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale:

a) non possono fare parte, anche con compiti di segreteria, di commissioni per l'accesso o la selezione a pubblici impieghi;

b) non possono essere assegnati, anche con funzioni direttive, agli uffici preposti alla gestione delle risorse finanziarie, all'acquisizione di beni, servizi e forniture, nonche' alla concessione o all'erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari o attribuzioni di vantaggi economici a soggetti pubblici e privati;

c) non possono fare parte delle commissioni per la scelta del contraente per l'affidamento di lavori, forniture e servizi, per la concessione o l'erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonche' per l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere.

2. La disposizione prevista al comma l integra le leggi e regolamenti che disciplinano la formazione di commissioni e la nomina dei relativi segretari».

47. All'articolo 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241, al comma 2, e' aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Gli accordi di cui al presente articolo devono essere motivati ai sensi dell'articolo 3».

48. Il Governo e' delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo per la disciplina organica degli illeciti, e relative sanzioni disciplinari, correlati al superamento dei termini di definizione dei procedimenti amministrativi, secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

a) omogeneita' degli illeciti connessi al ritardo, superando le logiche specifiche dei differenti settori delle pubbliche amministrazioni;

b) omogeneita' dei controlli da parte dei dirigenti, volti a evitare ritardi;

c) omogeneita', certezza e cogenza nel sistema delle sanzioni, sempre in relazione al mancato rispetto dei termini.

49. Ai fini della prevenzione e del contrasto della corruzione, nonche' della prevenzione dei conflitti di interessi, il Governo e' delegato ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o piu' decreti legislativi diretti a modificare la disciplina vigente in materia di attribuzione di incarichi dirigenziali e di incarichi di responsabilita' amministrativa di vertice nelle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, e negli enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico esercitanti funzioni amministrative, attivita' di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici, da conferire a soggetti interni o esterni alle pubbliche amministrazioni, che comportano funzioni di amministrazione e gestione, nonche' a modificare la disciplina vigente in materia di incompatibilita' tra i detti incarichi e lo svolgimento di incarichi pubblici elettivi o la titolarita' di interessi privati che possano porsi in conflitto con l'esercizio imparziale delle funzioni pubbliche affidate28.

50. I decreti legislativi di cui al comma 49 sono emanati nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

a) prevedere in modo esplicito, ai fini della prevenzione e del contrasto della corruzione, i casi di non conferibilita' di incarichi dirigenziali, adottando in via generale il criterio della non conferibilita' per coloro che sono stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per i reati previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale;

b) prevedere in modo esplicito, ai fini della prevenzione e del contrasto della corruzione, i casi di non conferibilita' di incarichi dirigenziali, adottando in via generale il criterio della non conferibilita' per coloro che per un congruo periodo di tempo, non inferiore ad un anno, antecedente al conferimento abbiano svolto incarichi o ricoperto cariche in enti di diritto privato sottoposti a controllo o finanziati da parte dell'amministrazione che conferisce l'incarico;

c) disciplinare i criteri di conferimento nonche' i casi di non conferibilita' di incarichi dirigenziali ai soggetti estranei alle amministrazioni che, per un congruo periodo di tempo, non inferiore ad un anno, antecedente al conferimento abbiano fatto parte di organi di indirizzo politico o abbiano ricoperto cariche pubbliche elettive.

I casi di non conferibilita' devono essere graduati e regolati in rapporto alla rilevanza delle cariche di carattere politico ricoperte, all'ente di riferimento e al collegamento, anche territoriale, con l'amministrazione che conferisce l'incarico. E' escluso in ogni caso, fatta eccezione per gli incarichi di responsabile degli uffici di diretta collaborazione degli organi di indirizzo politico, il conferimento di incarichi dirigenziali a coloro che presso le medesime amministrazioni abbiano svolto incarichi di indirizzo politico o abbiano ricoperto cariche pubbliche elettive nel periodo, comunque non inferiore ad un anno, immediatamente precedente al conferimento dell'incarico;

d) comprendere tra gli incarichi oggetto della disciplina:

1) gli incarichi amministrativi di vertice nonche' gli incarichi dirigenziali, anche conferiti a soggetti estranei alle pubbliche amministrazioni, che comportano l'esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione;

2) gli incarichi di direttore generale, sanitario e amministrativo delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere;

3) gli incarichi di amministratore di enti pubblici e di enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico;

e) disciplinare i casi di incompatibilita' tra gli incarichi di cui alla lettera d) gia' conferiti e lo svolgimento di attivita', retribuite o no, presso enti di diritto privato sottoposti a regolazione, a controllo o finanziati da parte dell'amministrazione che ha conferito l'incarico o lo svolgimento in proprio di attivita' professionali, se l'ente o l'attivita' professionale sono soggetti a regolazione o finanziati da parte dell'amministrazione;

f) disciplinare i casi di incompatibilita' tra gli incarichi di cui alla lettera d) gia' conferiti e l'esercizio di cariche negli organi di indirizzo politico29.

51. Dopo l'articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e' inserito il seguente:

«Art. 54-bis. -

(Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti). -

1. Fuori dei casi di responsabilita' a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile, il pubblico dipendente che denuncia all'autorita' giudiziaria o alla Corte dei conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non puo' essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia.

2. Nell'ambito del procedimento disciplinare, l'identita' del segnalante non puo' essere rivelata, senza il suo consenso, sempre che la contestazione dell'addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione. Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione, l'identita' puo' essere rivelata ove la sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa dell'incolpato.

3. L'adozione di misure discriminatorie e' segnalata al Dipartimento della funzione pubblica, per i provvedimenti di competenza, dall'interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell'amministrazione nella quale le stesse sono state poste in essere.

4. La denuncia e' sottratta all'accesso previsto dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni».

52. Per le attivita' imprenditoriali di cui al comma 53 la comunicazione e l'informazione antimafia liberatoria da acquisire indipendentemente dalle soglie stabilite dal codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e' obbligatoriamente acquisita dai soggetti di cui all' articolo 83, commi 1 e 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 , attraverso la consultazione, anche in via telematica, di apposito elenco di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa operanti nei medesimi settori. Il suddetto elenco e' istituito presso ogni prefettura. L'iscrizione nell'elenco e' disposta dalla prefettura della provincia in cui il soggetto richiedente ha la propria sede. Si applica l' articolo 92, commi 2 e 3 , del citato decreto legislativo n. 159 del 2011 . La prefettura effettua verifiche periodiche circa la perdurante insussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa e, in caso di esito negativo, dispone la cancellazione dell'impresa dall'elenco30.

52-bis. L'iscrizione nell'elenco di cui al comma 52 tiene luogo della comunicazione e dell'informazione antimafia liberatoria anche ai fini della stipula, approvazione o autorizzazione di contratti o subcontratti relativi ad attivita' diverse da quelle per le quali essa e' stata disposta 31.

53. Sono definite come maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa le seguenti attivita':

[a) trasporto di materiali a discarica per conto di terzi;] 32

[b) trasporto, anche transfrontaliero, e smaltimento di rifiuti per conto di terzi;] 33

c) estrazione, fornitura e trasporto di terra e materiali inerti;

d) confezionamento, fornitura e trasporto di calcestruzzo e di bitume;

e) noli a freddo di macchinari;

f) fornitura di ferro lavorato;

g) noli a caldo;

h) autotrasporti per conto di terzi;

i) guardiania dei cantieri;

i-bis) servizi funerari e cimiteriali 34;

i-ter) ristorazione, gestione delle mense e catering35;

i-quater) servizi ambientali, comprese le attivita' di raccolta, di trasporto nazionale e transfrontaliero, anche per conto di terzi, di trattamento e di smaltimento dei rifiuti, nonche' le attivita' di risanamento e di bonifica e gli altri servizi connessi alla gestione dei rifiuti36.

54. L'indicazione delle attivita' di cui al comma 53 puo' essere aggiornata, entro il 31 dicembre di ogni anno, con apposito decreto del Ministro dell'interno, adottato di concerto con i Ministri della giustizia, delle infrastrutture e dei trasporti e dell'economia e delle finanze, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, da rendere entro trenta giorni dalla data di trasmissione del relativo schema alle Camere. Qualora le Commissioni non si pronuncino entro il termine, il decreto puo' essere comunque adottato.

55. L'impresa iscritta nell'elenco di cui al comma 52 comunica alla prefettura competente qualsiasi modifica dell'assetto proprietario e dei propri organi sociali, entro trenta giorni dalla data della modifica. Le societa' di capitali quotate in mercati regolamentati comunicano le variazioni rilevanti secondo quanto previsto dal testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. La mancata comunicazione comporta la cancellazione dell'iscrizione.

56. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e la semplificazione, dell'interno, della giustizia, delle infrastrutture e dei trasporti e dello sviluppo economico, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definite le modalita' per l'istituzione e l'aggiornamento, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, dell'elenco di cui al comma 52, nonche' per l'attivita' di verifica.

57. Fino al sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 56 continua ad applicarsi la normativa vigente alla data di entrata in vigore della presente legge.

[ 58. All'articolo 135, comma 1, del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, dopo le parole: «passata in giudicato» sono inserite le seguenti: «per i delitti previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, dagli articoli 314, primo comma, 316, 316-bis, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater e 320 del codice penale, nonche'».] 37

59. Le disposizioni di prevenzione della corruzione di cui ai commi da 1 a 57 del presente articolo, di diretta attuazione del principio di imparzialita' di cui all'articolo 97 della Costituzione, sono applicate in tutte le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni.

60. Entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, attraverso intese in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, si definiscono gli adempimenti, con l'indicazione dei relativi termini, delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano e degli enti locali, nonche' degli enti pubblici e dei soggetti di diritto privato sottoposti al loro controllo, volti alla piena e sollecita attuazione delle disposizioni della presente legge, con particolare riguardo:

a) alla definizione, da parte di ciascuna amministrazione, del piano triennale di prevenzione della corruzione, a partire da quello relativo agli anni 2013-2015, e alla sua trasmissione alla regione interessata e al Dipartimento della funzione pubblica; 38

b) all'adozione, da parte di ciascuna amministrazione, di norme regolamentari relative all'individuazione degli incarichi vietati ai dipendenti pubblici di cui all'articolo 53, comma 3-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, introdotto dal comma 42, lettera a), del presente articolo, ferma restando la disposizione del comma 4 dello stesso articolo 53;

c) all'adozione, da parte di ciascuna amministrazione, del codice di comportamento di cui all'articolo 54, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come sostituito dal comma 44 del presente articolo.

61. Attraverso intese in sede di Conferenza unificata sono altresi' definiti gli adempimenti attuativi delle disposizioni dei decreti legislativi previsti dalla presente legge da parte delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano e degli enti locali, nonche' degli enti pubblici e dei soggetti di diritto privato sottoposti al loro controllo.

62. All'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, dopo il comma 1-quinquies sono inseriti i seguenti:

«1-sexies. Nel giudizio di responsabilita', l'entita' del danno all'immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilita' illecitamente percepita dal dipendente.

1-septies. Nei giudizi di responsabilita' aventi ad oggetto atti o fatti di cui al comma 1-sexies, il sequestro conservativo di cui all'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, e' concesso in tutti i casi di fondato timore di attenuazione della garanzia del credito erariale».

63. Il Governo e' delegato ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo recante un testo unico della normativa in materia di incandidabilita' alla carica di membro del Parlamento europeo, di deputato e di senatore della Repubblica, di incandidabilita' alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali e di divieto di ricoprire le cariche di presidente e di componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, di presidente e di componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni, di consigliere di amministrazione e di presidente delle aziende speciali e delle istituzioni di cui all'articolo 114 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267, e successive modificazioni, di presidente e di componente degli organi esecutivi delle comunita' montane.

64. Il decreto legislativo di cui al comma 63 provvede al riordino e all'armonizzazione della vigente normativa ed e' adottato secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

a) ferme restando le disposizioni del codice penale in materia di interdizione perpetua dai pubblici uffici, prevedere che non siano temporaneamente candidabili a deputati o a senatori coloro che abbiano riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale;

b) in aggiunta a quanto previsto nella lettera a), prevedere che non siano temporaneamente candidabili a deputati o a senatori coloro che abbiano riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti previsti nel libro secondo, titolo II, capo I, del codice penale ovvero per altri delitti per i quali la legge preveda una pena detentiva superiore nel massimo a tre anni;

c) prevedere la durata dell'incandidabilita' di cui alle lettere a) e b);

d) prevedere che l'incandidabilita' operi anche in caso di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale;

e) coordinare le disposizioni relative all'incandidabilita' con le vigenti norme in materia di interdizione dai pubblici uffici e di riabilitazione, nonche' con le restrizioni all'esercizio del diritto di elettorato attivo;

f) prevedere che le condizioni di incandidabilita' alla carica di deputato e di senatore siano applicate altresi' all'assunzione delle cariche di governo;

g) operare una completa ricognizione della normativa vigente in materia di incandidabilita' alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali e di divieto di ricoprire le cariche di presidente della provincia, sindaco, assessore e consigliere provinciale e comunale, presidente e componente del consiglio circoscrizionale, presidente e componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, presidente e componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni, consigliere di amministrazione e presidente delle aziende speciali e delle istituzioni di cui all'articolo 114 del testo unico di cui al citato decreto legislativo n. 267 del 2000, presidente e componente degli organi delle comunita' montane, determinata da sentenze definitive di condanna;

h) valutare per le cariche di cui alla lettera g), in coerenza con le scelte operate in attuazione delle lettere a) e i), l'introduzione di ulteriori ipotesi di incandidabilita' determinate da sentenze definitive di condanna per delitti di grave allarme sociale;

i) individuare, fatta salva la competenza legislativa regionale sul sistema di elezione e i casi di ineleggibilita' e di incompatibilita' del presidente e degli altri componenti della giunta regionale nonche' dei consiglieri regionali, le ipotesi di incandidabilita' alle elezioni regionali e di divieto di ricoprire cariche negli organi politici di vertice delle regioni, conseguenti a sentenze definitive di condanna;

l) prevedere l'abrogazione espressa della normativa incompatibile con le disposizioni del decreto legislativo di cui al comma 63;

m) disciplinare le ipotesi di sospensione e decadenza di diritto dalle cariche di cui al comma 63 in caso di sentenza definitiva di condanna per delitti non colposi successiva alla candidatura o all'affidamento della carica.

65. Lo schema del decreto legislativo di cui al comma 63, corredato di relazione tecnica, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e' trasmesso alle Camere ai fini dell'espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, che sono resi entro sessanta giorni dalla data di trasmissione dello schema di decreto. Decorso il termine di cui al periodo precedente senza che le Commissioni abbiano espresso i pareri di rispettiva competenza, il decreto legislativo puo' essere comunque adottato.

66. Tutti gli incarichi presso istituzioni, organi ed enti pubblici, nazionali ed internazionali attribuiti in posizioni apicali o semiapicali, compresi quelli, comunque denominati, negli uffici di diretta collaborazione, ivi inclusi quelli di consulente giuridico, nonche' quelli di componente degli organismi indipendenti di valutazione, a magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, avvocati e procuratori dello Stato, devono essere svolti con contestuale collocamento in posizione di fuori ruolo, che deve permanere per tutta la durata dell'incarico. E' escluso il ricorso all'istituto dell'aspettativa. Gli incarichi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge cessano di diritto se nei centottanta giorni successivi non viene adottato il provvedimento di collocamento in posizione di fuori ruolo39.

67. Il Governo e' delegato ad adottare, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo per l'individuazione di ulteriori incarichi, anche negli uffici di diretta collaborazione, che, in aggiunta a quelli di cui al comma 66, comportano l'obbligatorio collocamento in posizione di fuori ruolo, sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi:

a) tener conto delle differenze e specificita' dei regimi e delle funzioni connessi alla giurisdizione ordinaria, amministrativa, contabile e militare, nonche' all'Avvocatura dello Stato;

b) durata dell'incarico;

c) continuativita' e onerosita' dell'impegno lavorativo connesso allo svolgimento dell'incarico;

d) possibili situazioni di conflitto di interesse tra le funzioni esercitate presso l'amministrazione di appartenenza e quelle esercitate in ragione dell'incarico ricoperto fuori ruolo.

68. Salvo quanto previsto dal comma 69, i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, gli avvocati e procuratori dello Stato non possono essere collocati in posizione di fuori ruolo per un tempo che, nell'arco del loro servizio, superi complessivamente dieci anni, anche continuativi. Il predetto collocamento non puo' comunque determinare alcun pregiudizio con riferimento alla posizione rivestita nei ruoli di appartenenza.

69. Salvo quanto previsto nei commi 70, 71 e 72 le disposizioni di cui al comma 68 si applicano anche agli incarichi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge.

70. Le disposizioni di cui ai commi da 66 a 72 non si applicano ai membri di Governo, alle cariche elettive, anche presso gli organi di autogoverno, e ai componenti delle Corti internazionali comunque denominate.

71. Per gli incarichi previsti dal comma 4 dell'articolo 1-bis del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, anche se conferiti successivamente all'entrata in vigore della presente legge, il termine di cui al comma 68 decorre dalla data di entrata in vigore della presente legge.

72. I magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, nonche' gli avvocati e procuratori dello Stato che, alla data di entrata in vigore della presente legge, hanno gia' maturato o che, successivamente a tale data, maturino il periodo massimo di collocamento in posizione di fuori ruolo, di cui al comma 68, si intendono confermati nella posizione di fuori ruolo sino al termine dell'incarico, della legislatura, della consiliatura o del mandato relativo all'ente o soggetto presso cui e' svolto l'incarico. Qualora l'incarico non preveda un termine, il collocamento in posizione di fuori ruolo si intende confermato per i dodici mesi successivi all'entrata in vigore della presente legge.

73. Lo schema del decreto legislativo di cui al comma 67 e' trasmesso alle Camere ai fini dell'espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia, che sono resi entro trenta giorni dalla data di trasmissione del medesimo schema di decreto. Decorso il termine senza che le Commissioni abbiano espresso i pareri di rispettiva competenza il decreto legislativo puo' essere comunque adottato.

74. Entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 67, nel rispetto dei principi e criteri direttivi ivi stabiliti, il Governo e' autorizzato ad adottare disposizioni integrative o correttive del decreto legislativo stesso.

75. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 32-quater, dopo le parole: «319-bis,» sono inserite le seguenti: «319-quater,»;

b) all'articolo 32-quinquies, dopo le parole: «319-ter» sono inserite le seguenti: «, 319-quater, primo comma,»;

c) al primo comma dell'articolo 314, la parola: «tre» e' sostituita dalla seguente: «quattro»;

d) l'articolo 317 e' sostituito dal seguente:

«Art. 317. -

(Concussione). -

Il pubblico ufficiale che, abusando della sua qualita' o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilita' e' punito con la reclusione da sei a dodici anni»;

e) all'articolo 317-bis, le parole: «314 e 317» sono sostituite dalle seguenti: «314, 317, 319 e 319-ter»;

f) l'articolo 318 e' sostituito dal seguente:

«Art. 318. -

(Corruzione per l'esercizio della funzione). -

Il pubblico ufficiale che, per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per se' o per un terzo, denaro o altra utilita' o ne accetta la promessa e' punito con la reclusione da uno a cinque anni»;

g) all'articolo 319, le parole: «da due a cinque» sono sostituite dalle seguenti: «da quattro a otto»;

h) all'articolo 319-ter sono apportate le seguenti modificazioni:

1) nel primo comma, le parole: «da tre a otto» sono sostituite dalle seguenti: «da quattro a dieci»;

2) nel secondo comma, la parola: «quattro» e' sostituita dalla seguente: «cinque»;

i) dopo l'articolo 319-ter e' inserito il seguente:

«Art. 319-quater. -

(Induzione indebita a dare o promettere utilita'). -

Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualita' o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilita' e' punito con la reclusione da tre a otto anni.

Nei casi previsti dal primo comma, chi da' o promette denaro o altra utilita' e' punito con la reclusione fino a tre anni»;

l) all'articolo 320, il primo comma e' sostituito dal seguente:

«Le disposizioni degli articoli 318 e 319 si applicano anche all'incaricato di un pubblico servizio»;

m) all'articolo 322 sono apportate le seguenti modificazioni:

1) nel primo comma, le parole: «che riveste la qualita' di pubblico impiegato, per indurlo a compiere un atto del suo ufficio» sono sostituite dalle seguenti: «, per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri»;

2) il terzo comma e' sostituito dal seguente:

«La pena di cui al primo comma si applica al pubblico ufficiale o all'incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro o altra utilita' per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri»;

n) all'articolo 322-bis sono apportate le seguenti modificazioni:

1) nel secondo comma, dopo le parole: «Le disposizioni degli articoli» sono inserite le seguenti: «319-quater, secondo comma,»;

2) nella rubrica, dopo la parola: «concussione,» sono inserite le seguenti: «induzione indebita a dare o promettere utilita',»;

o) all'articolo 322-ter, primo comma, dopo le parole: «a tale prezzo» sono aggiunte le seguenti: «o profitto»;

p) all'articolo 323, primo comma, le parole: «da sei mesi a tre anni» sono sostituite dalle seguenti: «da uno a quattro anni»;

q) all'articolo 323-bis, dopo la parola: «319,» sono inserite le seguenti: «319-quater,»;

r) dopo l'articolo 346 e' inserito il seguente:

«Art. 346-bis. -

(Traffico di influenze illecite). -

Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319 e 319-ter, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a se' o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio, e' punito con la reclusione da uno a tre anni.

La stessa pena si applica a chi indebitamente da' o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale.

La pena e' aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a se' o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio.

Le pene sono altresi' aumentate se i fatti sono commessi in relazione all'esercizio di attivita' giudiziarie.

Se i fatti sono di particolare tenuita', la pena e' diminuita».

76. L'articolo 2635 del codice civile e' sostituito dal seguente:

«Art. 2635. -

(Corruzione tra privati). -

Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilita', per se' o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedelta', cagionando nocumento alla societa', sono puniti con la reclusione da uno a tre anni.

Si applica la pena della reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto e' commesso da chi e' sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma.

Chi da' o promette denaro o altra utilita' alle persone indicate nel primo e nel secondo comma e' punito con le pene ivi previste.

Le pene stabilite nei commi precedenti sono raddoppiate se si tratta di societa' con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni.

Si procede a querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi».

77. Al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 25:

1) nella rubrica, dopo la parola: «Concussione» sono inserite le seguenti: «, induzione indebita a dare o promettere utilita'»;

2) al comma 3, dopo le parole: «319-ter, comma 2,» sono inserite le seguenti: «319-quater»;

b) all'articolo 25-ter, comma 1, dopo la lettera s) e' aggiunta la seguente:

«s-bis) per il delitto di corruzione tra privati, nei casi previsti dal terzo comma dell'articolo 2635 del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote».

78. All'articolo 308 del codice di procedura penale, dopo il comma 2 e' inserito il seguente:

«2-bis. Nel caso si proceda per uno dei delitti previsti dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, primo comma, e 320 del codice penale, le misure interdittive perdono efficacia decorsi sei mesi dall'inizio della loro esecuzione. In ogni caso, qualora esse siano state disposte per esigenze probatorie, il giudice puo' disporne la rinnovazione anche oltre sei mesi dall'inizio dell'esecuzione, fermo restando che comunque la loro efficacia viene meno se dall'inizio della loro esecuzione e' decorso un periodo di tempo pari al triplo dei termini previsti dall'articolo 303».

79. All'articolo 133, comma 1-bis, delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, dopo le parole: «319-ter» sono inserite le seguenti: «, 319-quater».

80. All'articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n.356, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, dopo le parole: «319-ter,» sono inserite le seguenti: «319-quater,»;

b) al comma 2-bis, dopo le parole: «319-ter,» sono inserite le seguenti: «319-quater,».

81. Al testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 58, comma 1, lettera b), le parole: «(corruzione per un atto d'ufficio)» sono sostituite dalle seguenti: «(corruzione per l'esercizio della funzione)» e dopo le parole: «319-ter (corruzione in atti giudiziari),» sono inserite le seguenti: «319-quater, primo comma (induzione indebita a dare o promettere utilita'),»;

b) all'articolo 59, comma 1, lettera a), dopo le parole: «319-ter» sono inserite le seguenti: «, 319-quater»;

c) all'articolo 59, comma 1, lettera c), dopo le parole: «misure coercitive di cui agli articoli 284, 285 e 286 del codice di procedura penale» sono aggiunte le seguenti: «nonche' di cui all'articolo 283, comma 1, del codice di procedura penale, quando il divieto di dimora riguarda la sede dove si svolge il mandato elettorale».

82. Il provvedimento di revoca di cui all'articolo 100, comma 1, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e' comunicato dal prefetto all'Autorita' nazionale anticorruzione, di cui al comma 1 del presente articolo, che si esprime entro trenta giorni. Decorso tale termine, la revoca diventa efficace, salvo che l'Autorita' rilevi che la stessa sia correlata alle attivita' svolte dal segretario in materia di prevenzione della corruzione.

83. All'articolo 3, comma 1, della legge 27 marzo 2001, n. 97, dopo le parole: «319-ter» sono inserite le seguenti: «, 319-quater».

 

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(A) In riferimento al presente comma vedi: Circolare Presidenza del Consiglio dei Ministri (vari dipartimenti) 19 luglio 2013, n. 33.

[2] Lettera sostituita dall'articolo 54-bis, comma 1, lettera a), del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla Legge 9 agosto 2013, n. 98.

[8]  Per la soppressione degli adempimenti inerenti ai piani di cui alla presente lettera vedi l'articolo 1, comma 1, lettera a) del D.P.R. 24 giugno 2022, n. 81.

[11] A norma dell'articolo 34-bis, comma 4, del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, il termine del 31 gennaio di cui al presente comma e' differito al 31 marzo 2013. Successivamente il presente comma è stato sostituito dall'articolo 41, comma 1, lettera g), del D.Lgs. 25 maggio 2016, n. 97. A norma dell'articolo 10, comma 11-bis, del D.L. 29 dicembre 2022. n.198, convertito con modificazioni dalla Legge 24 febbraio 2023, n. 14, Per l'anno 2023 i termini previsti al presente comma sono differiti al 31 marzo 2023.

[17] Per l'interpretazione del presente comma, vedi la Determinazione dell'Autorita' Nazionale Anticorruzione 10 dicembre 2015, n. 13.

[26] A norma dell'articolo 1, comma 418, della Legge 24 dicembre 2012, n. 228, in sede di prima applicazione, al presente articolo, il termine di cui al secondo periodo e' prorogato al 31 marzo 2013 ed il termine di cui al quarto periodo e' prorogato al 30 giugno 2013. Comma successivamente modificato dall'articolo 8, comma 2, della Legge 27 maggio 2015, n. 69. Da ultimo il presente comma è stato abrogato dall'articolo 226, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, con efficacia a decorrere dal 1° luglio 2023, come stabilito dall'articolo 229, comma 2. Per le disposizioni transitorie vedi l'articolo 225 D.Lgs. 36/2023 medesimo.

[28] Per le disposizioni in materia di inconferibilita' e incompatibilita' di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, di cui al presente comma, vedi il D.Lgs. 8 aprile 2013, n. 39.

[29] Per le disposizioni in materia di inconferibilita' e incompatibilita' di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, di cui al presente comma, vedi il D.Lgs. 8 aprile 2013, n. 39.

[30] Comma sostituito dall'articolo 29, comma 1, del D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla Legge 11 agosto 2014, n. 114.

[31] Comma aggiunto dall'articolo 29, comma 1, del D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla Legge 11 agosto 2014, n. 114.

[32] Lettera abrogata dall'articolo 4-bis. comma 1, lettera a), del D.L. 8 aprile 2020, 23, convertito con modificazioni dalla Legge 5 giugno 2020, n. 40

[33] Lettera abrogata dall'articolo 4-bis. comma 1, lettera a), del D.L. 8 aprile 2020, 23, convertito con modificazioni dalla Legge 5 giugno 2020, n. 40.

[34] Lettera aggiunta dall'articolo 4-bis. comma 1, lettera b), del D.L. 8 aprile 2020, 23, convertito con modificazioni dalla Legge 5 giugno 2020, n. 40.

[35] Lettera aggiunta dall'articolo 4-bis. comma 1, lettera b), del D.L. 8 aprile 2020, 23, convertito con modificazioni dalla Legge 5 giugno 2020, n. 40.

[36] Lettera aggiunta dall'articolo 4-bis. comma 1, lettera b), del D.L. 8 aprile 2020, 23, convertito con modificazioni dalla Legge 5 giugno 2020, n. 40.

[38]  Per la soppressione degli adempimenti inerenti ai piani di cui al presente comma vedi l'articolo 1, comma 1, lettera a) del D.P.R. 24 giugno 2022, n. 81.

[39] Comma modificato dall'articolo 8, comma 1, lettere a) e b), del D.L. 24 giugno 2014, n. 90 , convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 agosto 2014, n. 114. Vedi anche il comma 2 del medesimo articolo 8.

Inquadramento

Il diritto amministrativo è destinato, assai più di altre branche del diritto, ad adeguarsi all'evoluzione sociale ed economica della collettività cui si rivolge, fornendo risposte alle nuove istanze che provengono dalla mutata sensibilità sociale dei consociati.

È quanto è accaduto, in tempi recentissimi, con riferimento alla normativa anticorruzione: la crescente sensibilità verso la repressione di fenomeni corruttivi e dei costi che questa comporta sul sistema economico e politico, hanno richiesto prese di posizione ordinamentali sempre più strutturali e integrate, che, travalicando la materia del contrasto penale a episodi criminosi, costituissero la risposta normativa a fenomeni, pur non penalmente rilevanti, di cattiva gestione della res publica.

Il principale intervento normativo sul tema, recato dalla l. n.190/2012 (nota come Legge Severino), è stato affiancato dal d.lgs. n.33/2013, in materia di trasparenza amministrativa, dal d.lgs. n.39/2013, recante la disciplina sulla incompatibilità e inconferibilità degli incarichi, nonché dal d.P.R. n.62/2013 (il c.d. Codice di comportamento dei dipendenti pubblici), i quali concorrono a costituire il sistema normativo anticorruzione, ovvero l'impianto disciplinatorio complessivo che l'ordinamento ha apprestato come risposta alla c.d. mala admistration.

Si tratta di un insieme eterogeneo e coerente di norme che guarda al sistema amministrativo-burocratico nel suo complesso, imponendo modalità organizzative dell'apparato pubblico, di instaurazione, gestione e cessazione dei rapporti con gli Enti pubblici, tali da prevenire la corruzione attraverso la promozione dell'etica pubblica, della trasparenza completa dell'attività amministrativa e della formazione delle risorse umane che operano nella Pubblica Amministrazione. L'idea sottesa a questo nuovo approccio è che la lotta alla corruzione debba avvenire attraverso strumenti in grado di agire sulle condizioni ambientali che incidono negativamente sull'azione della P.A. e non solo attraverso strumenti repressivi e successivi all'evento corruttivo.

I principali strumenti previsti dalla vigente normativa in materia di prevenzione della corruzione, sono:

– l'adozione del Piano Nazionale Anticorruzione e dei Piani Triennali per la Prevenzione della Corruzione (v., infra);

– gli adempimenti di trasparenza (v., infra);

– i Codici di comportamento (v., infra);

– l'obbligo di astensione in caso di conflitto di interesse (v., infra);

– una disciplina specifica in materia di svolgimento degli incarichi (v., infra);

– una disciplina specifica in materia di conferimento di incarichi dirigenziali in caso di particolari attività o incarichi precedenti (c.d. divieto di pantouflage: v., infra);

- una disciplina in materia di inconferibilità e incompatibilità (v., infra);

- una disciplina specifica in materia di tutela del dipendente che effettua segnalazioni di illecito (cd. whistleblower: v., infra);

- formazione in materia di etica, integrità e altre tematiche attinenti alla prevenzione della corruzione (v., infra).

Il diritto amministrativo e il contrasto alla corruzione

La normativa anticorruzione costituisce attuazione della Convenzione dell'ONU contro la Corruzione, adottata a Merida il 31 ottobre 2003 e ratificata dal Parlamento con l. n. 116/2009, nonché della Convenzione penale sulla corruzione, stipulata a Strasburgo il 27 gennaio 1999 e ratificata con l. n. 110/2012.

Le citate fonti convenzionali obbligano gli Stati membri a elaborare e perseguire politiche di prevenzione della corruzione efficaci e coordinate, che favoriscano la partecipazione della società e rispettino i principi di Stato di diritto, di buona gestione degli affari pubblici e dei beni pubblici, di integrità, di trasparenza e responsabilità. A tal fine, oltre a promuovere tali pratiche, gli Stati membri devono prevedere meccanismi di valutazione periodica dell'efficacia degli strumenti apprestati, collaborando con gli altri Stati e con le organizzazioni internazionali nella promozione di tali sistemi.

Tali finalità vengono perseguite mediante la costituzione di un apparato a tanto specificatamente deputato, costituito da uno più organi incaricati di prevenire la corruzione, nonché mediante l'impegno all'accrescimento e alla diffusione delle conoscenze concernenti la prevenzione della corruzione.

Le indicazioni provenienti dalle organizzazioni sovranazionali evidenziano dunque l'esigenza di perseguire tre obiettivi principali nell'ambito delle strategie di prevenzione:

– ridurre le opportunità che si manifestino casi di corruzione;

– aumentare la capacità di scoprire casi di corruzione;

– creare un contesto complessivamente sfavorevole alla corruzione.

Su tale impianto normativo sovranazionale, si innesta la legge Severino del 6 novembre 2012, n.190, recante «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione», entrata in vigore il 28 novembre 2012 con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Sulla scorta delle indicazioni fornite dalle Convenzioni internazionali, il testo normativo individua strategie di contrasto che prevengano la commissione delle condotte corruttive, anticipando la soglia di tutela mediante strumenti amministrativi e lasciando al diritto penale la repressione delle condotte più gravi, integranti fattispecie di reato.

L'orientamento complessivo, dunque, va nel senso di rafforzare le prassi a presidio dell'integrità del pubblico funzionario e dell'agire amministrativo, secondo un approccio che attribuisce rilievo non solo alle conseguenze delle fattispecie penalistiche, ma anche all'adozione di misure dirette a evitare il manifestarsi di comportamenti corruttivi.

L'impianto normativo della l. n. 190/2012, invero, si fonda su un concetto di corruzione assai più ampio di quello di matrice penalistica, rivolgendosi a tutte le ipotesi di “mala-amministrazione”, ovvero a tutti quei fenomeni che vanno “dai ritardi nell'espletamento delle pratiche, alla scarsa attenzione delle domande dei cittadini, al mancato rispetto degli orari di lavoro, fino alle stesse modalità di trattare le persone senza il dovuto rispetto e la necessaria gentilezza” (Quintiliani).

Essi dunque ricomprendono, come anticipato, anche le situazioni in cui – a prescindere dalla rilevanza penale – venga in evidenza un malfunzionamento dell'Amministrazione a causa dell'uso a fini privati delle funzioni attribuite ovvero dell'inquinamento dell'azione amministrativa ab externo, sia che tale azione abbia successo sia nel caso in cui rimanga a livello di tentativo.

L'ampliamento della nozione di “corruzione” comporta l'individuazione di nuovi strumenti di emersione, contenimento e prevenzione del fenomeno: accanto all'approccio penalistico, connesso alla repressione dei fenomeni corruttivi, si è pertanto afferma un approccio amministrativo volto alla prevenzione della corruzione attraverso la promozione dell'etica pubblica, della trasparenza completa dell'attività amministrativa e della formazione delle risorse umane che operano nell'Amministrazione pubblica. Si è fatta largo l'idea, in definitiva, che la lotta alla corruzione debba avvenire attraverso strumenti in grado di incidere sulle condizioni ambientali che favoriscono fenomeni di mala-administration.

La l. n. 190/2012 consta di due soli articoli. L'art. 1, composto da ben 83 commi, è dedicata a disciplinare i profili preventivi della corruzione, mediante la previsione e l'implementazione delle misure di prevenzione obbligatorie e facoltative, generali e specifiche; la seconda parte della medesima norma completa poi la disciplina amministrativa con l'irrobustimento della risposta ordinamentale a fattispecie corruttive penalmente rilevanti, mediante la modifica di talune fattispecie di reato e/o della relativa risposta sanzionatoria dello Stato.

Va peraltro soggiunto che la portata incisiva dell'impianto normativo in esame viene parzialmente depotenziato dalla cd. “clausola di invarianza finanziaria” di cui all'art. 2 della medesima l. n. 190, a mente del quale dalla attuazione delle nuove misure non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica: lo svolgimento delle nuove attività anticorruttive deve essere garantita dalle Amministrazioni pubbliche con le risorse umane, strumentali e finanziari disponibili a legislazione vigente.

Alla l. n. 190/2012 è seguita la circolare n. 1/2013 del Dipartimento della Funzione pubblica e l'Intesa tra Governo, Regioni ed enti locali del 2013 (Conferenza unificata n. 79/2013), che hanno individuato specifiche modalità applicative e di dettaglio del nuovo impianto normativo.

Come anticipato, inoltre, la l. n. 190/2012 ha conferito al Governo delega per il riordino di alcune discipline in materia di pubblicità e trasparenza, di determinazione di illeciti e dei termini dei procedimenti, di Codice di comportamento dei dipendenti della P.A. e della individuazione dei divieti di autorizzazione e incarichi esterni.

La delega è stata esercitata mediante l'adozione dei seguenti decreti attuativi:

- “Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'art. 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190”, approvato con il d.lgs. n. 235/2012;

- “Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, approvato dal Governo il 15 febbraio 2013, in attuazione di commi 35 e 36 dell'art. 1 della l. n. 190/2012”, recato dal d.lgs. n. 33/2013;

- “Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'art. 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190”, di cui al d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39.

Infine, con d.P.R. n. 62/2013, in attuazione dell'art. 54 del d.lgs. n. 165/2001, a sua volta significativamente inciso dalla l. n. 190/2012, è stato adottato il “Codice di comportamento per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni”.

La nozione di corruzione.

Dall'impianto normativo sopra richiamato emerge, come anticipato, una nuova e più estesa nozione di corruzione, che travalica i confini di un “fenomeno burocratico/pulviscolare, a fenomeno politico-amministrativo sistemico” (Corte dei Conti, inaugurazione dell'anno giudiziario 2013), per assumere consistenza “articolata e sistemica”.

La nozione di corruzione, in definitiva, secondo la definizione che ne fornisce il Dipartimento di Funzione Pubblica, consiste “nell'abuso da parte di un soggetto del potere allo stesso affidato al fine di ottenere vantaggi privati”, atto a ricomprendere anche le situazioni in cui, a prescindere dalla rilevanza penale, venga in evidenza un malfunzionamento dell'Amministrazione a causa dell'uso a fini privati delle funzioni attribuite.

La corruzione, dunque, non consiste più esclusivamente in comportamenti soggettivi impropri di un pubblico funzionario, che, al fine di curare un interesse proprio o un interesse particolare di terzi, assuma o concorra ad assumere una decisione pubblica, deviando, in cambio di un vantaggio economico o meno, dai propri doveri d'ufficio di cura imparziale dell'interesse pubblico affidatogli: questa definizione, invero, tipica del contrasto penalistico ai fenomeni corruttivi, delimita il fenomeno corruttivo in senso proprio. La normativa anticorruzione, viceversa, prende in considerazione una vasta serie di comportamenti devianti, quali il compimento di reati contro la P.A. diversi da quelli corruttivi in senso stretto (Libro II, Titolo II, Capo I, del c.p.), il compimento di altri reati di rilevante allarme sociale, l'adozione di comportamenti contrari a quelli proprio di un funzionario pubblico previsti da norme amministrativo-disciplinari, fino all'assunzione di decisioni “di cattiva amministrazione”, contrarie all'imparzialità, buon andamento ed economicità dell'agere publicum.

La risposta normativa a tali fenomeni non può che essere sistemica, mediante l'individuazione di un insieme organico e strutturato di misure che incidano su condotte, situazioni, condizioni (organizzative e/o individuali) riconducibili a situazioni che potrebbero essere prodromiche – o comunque costituire un ambiente favorevole – alla commissione di fatti di corruttivi in senso proprio.

Gli attori pubblici.

L'attuazione di quanto previsto dalla disciplina anticorruzione ha richiesto, in ossequio alle prescrizioni rinvenienti dalle Convenzioni internazionali, la costituzione ad hoc di taluni organi a tanto deputati.

La scelta del Legislatore italiano è stata più vasta e “di sistema”: oltre a costituire la nuova Autorità Nazionale Anticorruzione, la normativa anticorruzione prevede un coinvolgimento diffuso di tutti gli operatori pubblici, assegnando specifiche funzioni e adempimenti, al fine di attuare concretamente la partecipazione diffusa dell'intera Amministrazione pubblica e la diffusione di un nuovo modello giuridico-culturale di anticorruzione e legalità.

L'Autorità Nazionale Anticorruzione

Originariamente denominata “Commissione Italiana per la valutazione della Trasparenza e dell'Integrità” (breviter C.I.V.I.T.), l'Autorità Nazionale Anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza delle Amministrazioni pubbliche (ANAC a partire dalla l. n. 125/2013), costituisce l'Autorità Indipendente di riferimento in materia, deputata a svolgere una specifica attività di controllo, di prevenzione e di contrasto della corruzione e dell'illegalità nella Pubblica Amministrazione.

In dettaglio, all'ANAC è attribuita la funzione di prevenzione della corruzione nell'ambito delle Amministrazioni pubbliche e nelle società partecipate e controllate, anche mediante l'attuazione della trasparenza in tutti gli aspetti gestionali (vieppiù potenziata dal d.lgs. n. 97/2016), nonché mediante l'attività di vigilanza nell'ambito dei contratti pubblici (specie a seguito della soppressione dell'A.V.C.P. ad opera del d.l. n. 90/2014), degli incarichi e comunque in ogni settore della P.A. che potenzialmente possa sviluppare fenomeni corruttivi, evitando nel contempo di aggravare i procedimenti con ricadute negative sui cittadini e sulle imprese, orientando i comportamenti e le attività degli impiegati pubblici, con interventi in sede consultiva e di regolazione.

Come osservato dalla stessa Autorità nel proprio P.T.P.C. 2021/2023 (delibera ANAC 16 marzo 2021), “la sua mission istituzionale si individua nella prevenzione della corruzione nell'ambito delle amministrazioni pubbliche e delle società partecipate e controllate anche mediante l'attuazione della trasparenza in tutti gli aspetti gestionali, nonché mediante l'attività di vigilanza nell'ambito dei contratti pubblici e degli incarichi, settori particolarmente esposti a forme di mala gestione. Compito dell'Autorità è orientare le scelte e i comportamenti delle Pubbliche Amministrazioni per renderle conformi al dettato normativo e alla strategia globale di prevenzione della corruzione, non solo esplicando l'attività di vigilanza, ma anche operando interventi di tipo consultivo e regolatorio.

Essa si muove, dunque, in un contesto molto esteso, sia per quanto riguarda i soggetti vigilati e regolatori sia per ciò che attiene all'oggetto delle attività, non limitandosi la sua funzione al controllo e alla repressione dei comportamenti illeciti, ma estendendosi ad una verifica di accountability dell'Amministrazione pubblica”.

Fondamentale funzione dell'ANAC è quella di elaborare e approvare il Piano Nazionale Anticorruzione (P.N.A.), di durata triennale e soggetto ad aggiornamento annuale, che costituisce fondamentale atto di indirizzo per le PP.AA. ai fini dell'adozione di misure di prevenzione attuative e integrative a mezzo dei propri Piani Anticorruzione.

Inoltre, l'ANAC:

– collabora con Organismi paritetici internazionali;

– analizza cause e fattori della corruzione e individua interventi di contrasto e prevenzione;

– predispone linee guida in materia di anticorruzione;

– fornisce pareri facoltativi sul conferimento di incarichi extraistituzionali;

– vigila e controlla l'applicazione e l'efficacia delle misure adottate dalle P.A.;

– esercita la vigilanza e il controllo sui contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture;

– riceve notizie e segnalazioni di illeciti anche nelle forme ex art. 54 del d.lgs. n. 165/2001 (whistleblowing);

– riferisce al Parlamento indicando le criticità del quadro normativo e amministrativo in materia e affidamento dei lavori pubblici;

– applica sanzioni amministrative in caso di mancata adozione dei Piani Triennali di Prevenzione della Corruzione, dei Programmi Triennali di Trasparenza o dei Codici di Comportamento (art. 19 d.l. n. 90/2014).

Per l'esercizio delle proprie funzioni, l'Autorità esercita poteri ispettivi mediante richiesta di notizie, informazioni, atti e documenti alle P.A., e ordina l'adozione di atti o provvedimenti richiesti dai Piani e dalle regole sulla trasparenza dell'attività amministrativa, ovvero la rimozione di comportamenti o atti con le stesse contrastanti.

Il Responsabile per la Prevenzione della Corruzione

La Legge Severino attribuisce il coordinamento delle strategie di prevenzione della corruzione a un Responsabile (R.P.C.T.) che deve essere individuato in ciascun ente pubblico dall'organo di indirizzo politico e che ha il compito di dirigere la definizione della strategia anticorruzione all'interno dell'ente stesso.

Il Responsabile, come confermato dal P.N.A. del 2019 (delibera ANAC 13 novembre 2019, n.1064), non può essere individuato in un funzionario posto in posizione di diretta collaborazione dell'organo indirizzo politico; egli inoltre, non deve coincidere con il responsabile dell'Ufficio per i procedimenti disciplinari, né svolgere attività di gestione e amministrazione attiva; non deve essere componente degli organi di valutazione e non può essere soggetto esterno all'amministrazione. Negli enti locali, di norma, tale ruolo viene di norma svolto dal Segretario Comunale o da un dirigente apicale; resta invece esclusa la possibilità che tale funzione sia conferita a dirigenti, Organismi di Valutazione, componenti dell'Ufficio di disciplina o soggetti esterni all'Ente.

Il R.P.C.T. deve tenere una condotta integerrima e non deve essere stato attinto da provvedimenti giudiziali di condanna e da procedimenti disciplinari, al fine di garantire la buona immagine, il decoro e prestigio dell'Amministrazione.

L’ANAC ha fornito sulla nomina del R.P.T.C. puntuali indicazioni di dettaglio, prevedendo all’uopo che sia necessario:

“- mantenere l’incarico di R.P.C.T., per quanto possibile, in capo a dirigenti di prima fascia, o equiparati, i quali, stante il ruolo rivestito nell’amministrazione, hanno poteri di interlocuzione reali con gli organi di indirizzo e con l’intera struttura amministrativa;

-selezionare un soggetto che abbia adeguata conoscenza dell’organizzazione e del funzionamento dell’amministrazione e che sia dotato di competenze qualificate per svolgere con effettività il proprio ruolo;

- scegliere un dipendente dell’amministrazione che assicuri stabilità nello svolgimento dei compiti, in coerenza con il dettato normativo che dispone che l’incarico di R.P.C.T. sia attribuito, di norma, a un dirigente di ruolo in servizio;

- considerare come assoluta eccezione la nomina di un dirigente esterno. Nel caso, tale scelta necessita di una motivazione particolarmente stringente, puntuale e congrua, anche in ordine all’assenza di soggetti aventi i requisiti previsti dalla legge. Questo vale, in particolare, nelle grandi amministrazioni con elevato numero di dipendenti e di dirigenti;

- evitare di nominare un soggetto che si trovi in posizione di comando che, pur prestando servizio presso e nell’interesse dell’amministrazione, non è incardinato nei ruoli della stessa. Potrebbero, infatti, non essere soddisfatti i requisiti di adeguata conoscenza dell’amministrazione, stabilità e durata connessi all’incarico di R.P.C.T.;

- evitare la nomina di un dirigente che provenga direttamente da uffici di diretta collaborazione con l’organo di indirizzo laddove esista un vincolo fiduciario. Ciò al fine di garantire l’imparzialità di giudizio e l’autonomia al R.P.C.T., nonché il ruolo di garanzia sull’effettività del sistema di prevenzione della corruzione;

- valutare di individuare come R.P.C.T. un dipendente con posizione organizzativa o comunque un soggetto con profilo non dirigenziale solo ed esclusivamente in caso di carenza di posizioni dirigenziali, o ove questi siano in numero così limitato da dover essere assegnati esclusivamente allo svolgimento di compiti gestionali nelle aree a rischio corruttivo, circostanza che potrebbero verificarsi in strutture organizzative di ridotte dimensioni. Dovranno comunque essere garantite idonee competenze allo svolgimento della funzione;

- escludere la nomina di dirigenti assegnati ad uffici che svolgono attività di gestione e di amministrazione attiva, nonché quelli assegnati a settori che sono considerati più esposti al rischio della corruzione. A titolo meramente esemplificativo, possono considerarsi tali l’Ufficio contratti, l’Ufficio gestione del patrimonio, l’Ufficio contabilità e bilancio, l’Ufficio personale. Tale commistione potrebbe compromettere l’imparzialità del R.P.C.T., generando il rischio di conflitti di interesse, nonché contrastare con le prerogative allo stesso riconosciute, in particolare di interlocuzione e controllo nei confronti di tutta la struttura, che devono essere svolte in condizioni di autonomia e indipendenza (ex lege 190/2012);

- individuare una figura in grado di garantire la stessa buona immagine e il decoro dell’amministrazione, facendo ricadere la scelta su un soggetto che abbia dato nel tempo dimostrazione di un comportamento integerrimo. Questo sia nell’interesse dell’amministrazione, sia nell’interesse e a tutela del prestigio dello stesso R.P.C.T., che potrà esercitare i propri compiti con maggior autorevolezza. Tale requisito deve essere valutato caso per caso avuto riguardo ad eventuali procedimenti penali e di rinvio a giudizio, a condanne in primo grado del giudice civile e del lavoro, a condanne erariali, a pronunce di natura disciplinare. Le valutazioni sono svolte, ad esempio, in relazione alla natura e alla gravità dell’eventuale condanna, all’elemento soggettivo del dolo, all’incidenza della condanna rispetto allo svolgimento della funzione;

-considerare l’opportunità di introdurre modifiche organizzative finalizzate a consentire, nell’individuazione del R.P.C.T., il pieno rispetto dei criteri indicati nella normativa e negli orientamenti dell’ANAC.

Il provvedimento di nomina, sempre necessario, deve indicare il soggetto cui è conferito l’incarico di Responsabile e, laddove vi siano situazioni organizzative peculiari che non consentano di nominare un R.P.C.T. in base ai principi generali forniti da ANAC, le motivazioni che hanno indotto l’amministrazione a soluzioni diverse” (ANAC, 2 febbraio, 2022, Orientamenti per la pianificazione anticorruzione e trasparenza 2022).

Ogni condanna che attinga il Responsabile Anticorruzione deve essere comunicata all'Amministrazione di appartenenza. Condanne penali o anche solo rinvii a giudizio, comportano, di regola, la decadenza dalla funzione; in caso di condanna erariale, la condotta integerrima manca solo in caso di dolo. Quanto alle condanne, anche di primo grado, del giudice civile o del lavoro, ovvero di sanzioni disciplinari, la eventuale revoca viene valutata dall'Ente case by case.

Le funzioni attribuite al Responsabile della Prevenzione della Corruzione sono di particolare delicatezza e rilievo.

Il R.P.C.T., invero, predispone il Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza, sottoponendolo all'approvazione dell'organo di governo dell'Ente; allo stesso, inoltre, sono demandati specifici compiti di verifica e monitoraggio sull'efficacia e l'idoneità dello stesso, potendo eventualmente proporre modifiche e/o aggiornamenti al Piano; presiede all'applicazione delle misure obbligatorie (in specie la rotazione del personale e la formazione dello stesso sull'anticorruzione); predispone la relazione annuale sul monitoraggio dell'applicazione del Piano da inviare all'ANAC.

Normalmente, il R.P.C.T. svolge altresì le funzioni di Responsabile della Trasparenza e esamina le richieste di accesso civico semplice e le richieste di riesame del diritto di accesso (v., infra).

È inoltre rimesso al Responsabile anticorruzione il procedimento di contestazione dell'inconferibilità e dell'incompatibilità presso le Amministrazioni Pubbliche, non essendo previsti dalla citata normativa poteri di ordine dell'ANAC (T.A.R. Lazio, Roma I, n.5188/2020).

La particolare delicatezza delle funzioni assegnate al R.P.C.T. richiede che lo stesso sia dotato di poteri di interlocuzione con gli organi di indirizzo e con l'intera struttura burocratico-amministrativa. 

“Al fine di garantire che il ruolo di impulso e di coordinamento del R.P.C.T. sia efficace, si raccomanda poi che l’attività di gestione del rischio coinvolga tutti coloro che operano nell’amministrazione […]. A tal riguardo, nel P.T.P.C.T. sono delineate le modalità di interlocuzione, per la predisposizione delle misure di prevenzione, tra il R.P.C.T. e gli uffici/organi interni all’amministrazione (organo di indirizzo, i dirigenti, OIV o Organismi analoghi, organi di controllo interno e dipendenti), ivi inclusi i referenti ove presenti.

Per i soggetti che sono tenuti all’adozione del P.I.A.O. (cfr. infra), è importante che nella sezione anticorruzione siano definite altresì le modalità di coordinamento fra il R.P.C.T. ed i responsabili degli uffici dell’amministrazione che si occupano dell’elaborazione delle altre e sezioni del P.I.A.O.. In particolare, per quanto riguarda la programmazione della rotazione e della formazione del personale, quali misure di prevenzione della corruzione, il RPCT collabora con i responsabili degli uffici dell’amministrazione che si occupano dell’elaborazione delle sezioni del P.I.A.O. che riguardano l’organizzazione e il capitale umano” (ANAC, 2 febbraio 2022, “Orientamenti per la pianificazione anticorruzione e trasparenza 2022”).

Il Responsabile, inoltre, è assistito da specifici poteri istruttori, potendo verificare e chiedere delucidazioni ai singoli dipendenti su comportamenti potenzialmente idonei a intaccare corruzione e illegalità, chiedendo la motivazione dei provvedimenti assunti.

Non compete invece al R.P.C.T. l'accertamento di responsabilità che dovranno essere accertati dai competenti organi, evitando sovrapposizioni e commistioni tra l'attività di monitoraggio e vigilanza anticorruzione – da svolgersi in posizione di terzietà e autonomia rispetto al complesso dell'attività amministrativa – e quella gestionale, sanzionatoria o disciplinare. Ne deriva che, verificato un fumus di fondatezza di eventuali segnalazioni su irregolarità, il R.P.C.T. deve verificare se sussistono misure adeguate a farvi fronte nel P.T.P.C.T. e chiedere informazioni alla struttura competente. Deve quindi attivare le necessarie segnalazioni agli organi competenti – interni o esterni all'Ente – per l'avvio di tutti i procedimenti – penali, disciplinari e/o sanzionatori, che saranno ritenuti opportuni o necessari.

La legge Severino ascrive al Responsabile Anticorruzione l'obbligo di una condotta integerrima, a garanzia dell'immagine della, del decoro e del prestigio della P.A. In caso di violazione delle funzioni e degli obblighi dalle stesse derivanti la normativa prevede specifiche forme di responsabilità. La previsione di dette responsabilità si concreta in tre diverse fattispecie, tutte configurabili in caso di inadempimento alle prescrizioni.

Una prima ipotesi di responsabilità in capo al R.P.C.T. si configura in caso di omessa presentazione della proposta di approvazione del Piano ovvero in ipotesi di violazione dell'obbligo di procedere alla selezione e alla formazione del personale dipendente con conseguente responsabilità dirigenziale ex art. 21 T.U.P.I. (da cui potrà derivare il mancato rinnovo dell'incarico alla scadenza, la revoca dell'incarico e nei casi più gravi, il licenziamento) e disciplinare. In presenza delle condizioni di legge, inoltre, possono configurarsi anche responsabilità per danno erariale e per danno all'immagine della P.A..

Una seconda forma di responsabilità è quella che rende il R.P.C.T. «responsabile» per la condotta altrui. La legge prevede, invero, che, in caso di commissione all'interno dell'Amministrazione, di un reato di corruzione accertato con sentenza passata in giudicato, il Responsabile risponde ai sensi del citato art. 21 T.U.P.I. nonché sul piano disciplinare, oltre che per il danno erariale e all'immagine della Pubblica Amministrazione.

Si tratta, secondo la dottrina, (Quintiliani) di forme di responsabilità oggettive attraverso le quali si ascrive la commissione di un reato da parte di un dipendente al Responsabile sulla base del solo nesso di causalità.

Tale forma di responsabilità oggettiva, peraltro, viene stemperata dalla previsione di specifiche esimenti: il R.P.C.T. che ha regolarmente predisposto il Piano Anticorruzione può andare esente da responsabilità se dimostra di avere individuato aree a rischio e relative misure, previsto obblighi di informazione nei confronti del responsabile chiamato a vigilare funzionamento e osservanza del piano, definito le modalità di monitoraggio del rispetto dei termini di conclusione del procedimento e definito modalità di monitoraggio dei rapporti tra la P.A. e i soggetti che entrano in contatto con essa (contratti, autorizzazioni, contributi, ecc., verificato l'attuazione efficace del piano, proposto eventuali modifiche, verificato d'intesa con il dirigente, la rotazione degli incarichi, individuato il personale da formare e vigliato sul funzionamento e osservanza del piano).

Infine, il R.P.C.T. è responsabile in caso di ripetute violazioni delle misure previste nel piano e nelle ipotesi di «omesso controllo». Tale forma di responsabilità è direttamente connessa all'attività di monitoraggio e verifica dell'attuazione del Piano: si profila pertanto una responsabilità in vigilando da parte del Responsabile che non provi di aver comunicato agli uffici le misure da adottare e le relative modalità, nonché di aver vigilato sull'osservanza del piano (Olivieri, 23).

La Legge, infine, predispone specifiche garanzie a tutela della posizione del R.P.C.T. (art. 1, commi 7 e 82, e art. 15, comma 3, d.lgs. n. 33/2013): eventuali misure discriminatorie dirette o indirette per motivi collegati direttamente o indirettamente allo svolgimento delle sue funzioni devono essere segnalate all'ANAC che può chiedere informazioni all'organo di indirizzo e intervenire.

A tal fine, la giurisprudenza ha chiarito che la ratio legis è quella di evitare che la revoca dell'incarico (specie nel caso in cui tale funzione sia svolta dal Segretario Comunale, in ragione del rapporto fiduciario a tale incarico sotteso, che lega il Segretario agli organi politici dell'Ente attraverso il potere di nomina e revoca), da strumento circoscritto alle ipotesi di violazione dei doveri di ufficio, sia impiegato con finalità ritorsive e di fatto elusive della legge (Cons. St. V, n.1659/2019).

Gli altri soggetti.

Come anticipato, la Legge Severino impone il coinvolgimento di tutti gli operatori pubblici nell'attività anticorruzione, attribuendone il relativo coordinamento al Responsabile Anticorruzione.

In dettaglio, l'organo di indirizzo politico-amministrativo – abbia esso natura politica o meno – assume un ruolo proattivo, definendo gli obiettivi strategici della gestione del rischio corruttivo. La mancanza di tali obiettivi può comportare l'applicazione delle sanzioni pecuniarie di cui all'art. 19 del d.l. n. 90/2014.

A tal fine, il P.N.A. 2016 (delibera ANAC 4 agosto, n. 831) raccomanda di seguire apposite procedure per garantire la più ampia e consapevole conoscenza e condivisione delle misure da parte degli organi di indirizzo, nella fase della loro individuazione, anche in assenza di una specifica normativa che disponga sulla partecipazione degli organi di indirizzo.

L'organo di indirizzo, inoltre, adotta il Piano Triennale per la Prevenzione della Corruzione, su proposta del Responsabile Anticorruzione entro il 31 gennaio di ogni anno e ne cura la trasmissione all'Autorità Nazionale Anticorruzione.

Inoltre, compete al medesimo organo:

– valorizzare lo sviluppo e la realizzazione di un efficace processo di gestione del rischio di corruzione;

– tenere conto, in sede di nomina del R.P.C.T., delle competenze necessarie al corretto svolgimento delle funzioni allo stesso assegnate e ad adoperarsi affinché le stesse siano sviluppate nel tempo;

– assicurare al R.P.C.T. un supporto concreto, garantendo la disponibilità di risorse umane e digitali adeguate, al fine di favorire il corretto svolgimento delle sue funzioni;

– contribuire alla creazione di un contesto istituzionale organizzativo favorevole che sia di reale supporto al R.P.C.T.

Nell'attività anticorruzione viene richiesta ampia partecipazione anche ai dirigenti, che svolgono attività informativa anche nei confronti del Responsabile della Prevenzione della Corruzione, collaborano con il medesimo per l'individuazione delle misure di prevenzione del rischio e nel monitoraggio sull'attività svolta in tema di anticorruzione. I dirigenti assicurano altresì l'osservanza del Codice di comportamento e l'attuazione delle misure di prevenzione programmate nel P.T.P.C.T. anche in tema di formazione.

Il comma 8-bis della Legge Severino pone specifici obblighi in materia di prevenzione della corruzione anche in capo all'Organismo di Valutazione dell'Ente.

Come evidenziato dal P.N.A. 2019 (delibera ANAC n. 1064/2019, cit.), l'Organismo, deve verificare la coerenza dei Piani Triennali per la Prevenzione della Corruzione con gli obiettivi stabiliti nei documenti di programmazione strategico-gestionale dell'Ente, anche ai fini della validazione della Relazione sulla performance, demandato alla valutazione e validazione dell'Organismo di Valutazione istituito presso ciascuna Pubblica Amministrazione.

Il medesimo P.N.A. ha invero messo in evidenza la centralità dell'integrazione tra i piani e le altre fonti di programmazione dell'Ente: “al fine di realizzare un'efficace strategia di prevenzione del rischio di corruzione è, infatti, necessario che i P.T.P.C.T. siano coordinati rispetto al contenuto di tutti gli altri strumenti di programmazione presenti nell'Amministrazione. L'esigenza di integrare alcuni aspetti del P.T.P.C.T. e del Piano della performance è stata chiaramente indicata dal Legislatore e più volte sottolineata dalla stessa Autorità. Così l'art. 1, comma 8, della l. n. 190/2012, nel prevedere che gli obiettivi strategici in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza costituiscono contenuto necessario degli atti di programmazione strategico-gestionale, stabilisce un coordinamento a livello di contenuti tra i due strumenti che le Amministrazioni sono tenute ad assicurare”.

La rilevanza strategica dell'attività di prevenzione della corruzione comporta dunque che le Amministrazioni individuino tra gli strumenti del ciclo della performance, in qualità di obiettivi e di indicatori per la prevenzione del fenomeno della corruzione, i processi e le attività di programmazione posti in essere per l'attuazione delle misure previste nel P.T.P.C.T., la cui attuazione, ai fini della valutazione delle performance, è rimessa, come si è detto, all'O.I.V.; inoltre, l'Organismo esprime un parere obbligatorio su una specifica misura di prevenzione della corruzione, il Codice di Comportamento, che ogni amministrazione adotta ai sensi dell'art. 54, comma 5, d.lgs. n. 165/2001 (v., infra).

L'Organo di Valutazione deve verificare i contenuti della Relazione annuale dal R.P.C.T., anche mediante verifica di informazioni e documenti necessari e audizioni dei dipendenti. L'Organismo, infine, riferisce all'ANAC sullo stato di attuazione delle misure di prevenzione della corruzione e della trasparenza.

Ancora gli Organismi Indipendenti di Valutazione devono offrire un supporto metodologico al R.P.C.T. e agli altri attori del sistema anticorruzione, con riferimento alla corretta attuazione del processo di gestione del rischio corruttivo e fornire, qualora disponibili, dati e informazioni utili all'analisi; verificare le segnalazioni ricevute su eventuali disfunzioni inerenti all’attuazione delle misure; verificare i contenuti della Relazione annuale del R.P.C.T. e la coerenza degli stessi in rapporto agli obiettivi strategici di prevenzione della corruzione e trasparenza definiti nel Piano; suggerire, infine, rimedi e aggiustamenti da implementare per eliminare le criticità ravvisate, in termini di effettività e efficacia della strategia di prevenzione.

La collaborazione tra R.P.C.T. e O.I.V. è stata ulteriormente valorizzata dal P.N.A. 2022, il quale ha evidenziato la necessità di un puntuale confronto dell’Organo di Valutazione con il R.P.C.T. – il quale ha la possibilità di chiedere informazioni e documenti che ritiene necessari – e con i dipendenti pubblici, anche attraverso lo svolgimento di audizioni.

L'impostazione complessiva della normativa Anticorruzione, ispirata alla partecipazione diffusa dell'intera Amministrazione pubblica e alla diffusione di un nuovo modello giuridico-culturale di anticorruzione e legalità, richiede, inoltre, che tutti i dipendenti partecipino attivamente al processo di gestione del rischio corruttivo e, in particolare, alla attuazione delle misure di prevenzione programmate nel P.T.P.C.T.

Infine, il P.N.A. 2016 (delibera ANAC n. 831/2016, cit.) raccomanda alle Amministrazioni di curare, ai fini della predisposizione del Piano, la partecipazione di stakeholders e cittadini, anche attraverso comunicati e/o questionari mirati, nella logica della sensibilizzazione alla cultura della legalità. Chiarisce con maggior sforzo esplicativo il P.N.A. 2019 che “Ai fini della predisposizione del P.T.P.C.T. si raccomanda alle Amministrazioni di realizzare forme di consultazione, da strutturare e pubblicizzare adeguatamente, volte a sollecitare la società civile e le organizzazioni portatrici di interessi collettivi a formulare proposte da valutare in sede di elaborazione del P.T.P.C.T., anche quale contributo per individuare le priorità di intervento. Le consultazioni potranno avvenire, ad esempio, o mediante raccolta dei contributi via web oppure nel corso di appositi incontri. All'esito delle consultazioni è necessario dar conto sul sito internet dell'amministrazione e in apposita sezione del P.T.P.C.T., con l'indicazione dei soggetti coinvolti, delle modalità di partecipazione e degli input generati da tale partecipazione. In via generale, si evidenzia che il ruolo della società civile nel sistema di prevenzione della corruzione e della trasparenza assume rilievo sotto il duplice profilo di diritto e dovere alla partecipazione. L'attivo coinvolgimento e la partecipazione consapevole della società civile sono richiamati in molte norme sulla prevenzione della corruzione e sulla promozione di più alti livelli di trasparenza. Uno dei principali obiettivi perseguiti dal legislatore è quello di tutelare i diritti dei cittadini e attivare forme di controllo sociale sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche. Il d.lgs. n. 33/2013 (art. 1, comma 2), nel riferirsi alla normativa sulla trasparenza sancisce che essa è «condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive nonché dei diritti civili, politi e sociali, integra il diritto ad una buona amministrazione e concorre alla realizzazione di un'amministrazione aperta al servizio del cittadino. In questa ottica, si richiamano a titolo esemplificativo le forme di partecipazione previste dalla normativa quali l'acceso civico, l'accesso civico generalizzato, le giornate della trasparenza (d.lgs. n. 33/2013, la procedura aperta alla partecipazione per l'adozione dei codici di comportamento delle amministrazioni (l. n. 190/2012, art. 1, comma 44), la partecipazione di portatori di interessi attraverso la consultazione pubblica prevista in relazione alla realizzazione di grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale (d.lgs. n. 50/2016 art. 22, comma 1)” (delibera ANAC n.1064/2019, cit.).

Gli strumenti di contrasto alla corruzione: il P.N.A. ...

Il sistema di prevenzione della corruzione introdotto nel nostro ordinamento dalla l. n. 190/2012 si realizza attraverso un'azione coordinata tra un livello nazionale e uno decentrato.

La strategia, a livello nazionale, si realizza mediante l'adozione del Piano Nazionale Anticorruzione da parte dell'ANAC, che costituisce atto di indirizzo per le P.A., ai fini dell'adozione dei propri Piani Triennali per la Prevenzione della Corruzione.

La funzione principale del P.N.A. è quella di assicurare l'attuazione coordinata delle strategie di prevenzione della corruzione nella Pubblica Amministrazione, elaborate a livello nazionale e internazionale.

Il Piano, di durata triennale e soggetto ad aggiornamento annuale, contiene indicazioni strategiche e operative che impegnano le Amministrazioni nella redazione dei propri Piani Triennali, condizionandoli nello svolgimento dell'analisi delle specifiche realtà amministrative e organizzative e nell'adozione delle relative misure di prevenzione.

Secondo quanto precisato dall'ANAC nel P.N.A. 2016 (delibera ANAC n. 831/2016, cit.), si tratta di un modello che deve contemperare «l'esigenza di uniformità nel perseguimento di effettive misure di prevenzione della corruzione con l'autonomia organizzativa delle Amministrazioni nel definire i caratteri delle proprie strutture e, all'interno di esse, le misure gestionali necessarie a prevenire i rischi di corruzione rilevati».

L'aggiornamento annuale del Piano Nazionale avviene previa valutazione dei P.T.P.C.T. adottati dai singoli Enti e sulla base delle osservazioni e richieste dagli stessi pervenute, secondo una modalità di redazione e aggiornamento di tipo circolare.

Il P.N.A. è suddiviso in:

– una parte generale, volta ad affrontare temi e problematiche per la predisposizione di misure anticorruzione che interessano tutte le Pubbliche Amministrazioni e gli altri soggetti tenuti all'adozione del P.T.P.C.T. (quali, ad esempio, gli enti di diritto privato in controllo pubblico);

– una parte speciale dedicata ad una serie di approfondimenti specifici.

Il Piano, inoltre, distingue tra misure organizzative generali e specifiche, chiarendo le loro caratteristiche.

Una parte specifica del Piano, inoltre è dedicata alle delicatissime misure della rotazione del personale e della tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti.

La rotazione del personale deve essere considerata quale misura organizzativa preventiva generale, finalizzata a limitare il consolidarsi di relazioni che possono alimentare dinamiche improprie nella gestione amministrativa, conseguenti alla prolungata permanenza nel medesimo ruolo. Essa si applica a tutti i dipendenti, salve specifiche eccezioni; la misura, al fine di garantire la continuità dell'attività amministrativa, implica una certa gradualità, con il previo avvio di percorsi formativi e periodi di affiancamento. Sono previste due ipotesi di rotazione: una obbligatoria, da effettuarsi al verificarsi di determinate fattispecie corruttive, ed una facoltativa, la cui adozione viene rimessa al prudente apprezzamento dell'Ente.

Al generale obbligo di rotazione fanno eccezione le ipotesi di compatibilità con eventuali diritti individuali dei dipendenti e le ipotesi in cui le prestazioni e capacità professionali siano infungibili, al fine di garantire qualità delle competenze professionali, soprattutto per quelle ad elevato contenuto tecnico. Ove la rotazione non sia praticabile (si pensi agli enti più piccoli, con un numero esiguo di dipendenti, ciascuno dotato di professionalità diverse), il P.N.A. consente di evitarla ricorrendo a misure organizzative alternative alla rotazione, che conducano al medesimo scopo (quali, ad esempio, la condivisione di fasi procedimentali).

Particolare attenzione, poi, è dedicata all'istituto del whistleblowing, ovvero alla tutela del dipendente pubblico che segnala condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro (v., infra, par. 7.4.).

Va soggiunto che le prescrizioni del P.N.A. sono vincolanti per le Pubbliche Amministrazioni, con la conseguente illegittimità di determinazioni difformi da parte degli enti pubblici: così, da ultimo, T.A.R. Liguria, Genova I, n.285/2020, che ha affermato a chiare lettere che l'art. 1, comma 3, della l. n. 190/2012, ove consente “ad ANAC l'annullamento d'ufficio di comportamenti o atti contrastanti con i Piani e le regole sulla trasparenza, presuppone l'illegittimità del provvedimento da rimuovere, fungendo in sostanza da norma interposta” (nel caso di specie, il Tribunale Amministrativo ha dischiarato l'illegittimità della composizione della commissione di concorso a cattedra universitaria, pur rispettosa del regolamento di Ateneo, ma in contrasto con le indicazioni del Piano nazionale anticorruzione e del successivo atto di indirizzo ministeriale).

Il P.N.A. viene affiancato da apposite Linee Guida, con le quali l'ANAC opera una generale ricognizione dell'ambito soggettivo e oggettivo degli obblighi di trasparenza delle Pubbliche Amministrazioni, integrando, parallelamente a quanto accade per i singoli P.T.P.C.T., le misure anticorruttive con specifiche indicazioni in materia di accessibilità dell'agere publicum.

L'ultimo Piano Nazionale Anticorruzione adottato dall'A.N.A.C. è stato approvato il 16 novembre 2022, al dichiarato fine di fornire indicazioni operative che tengano conto dell'introduzione del P.I.A.O.. Il P.N.A. 2022, inoltre, risponde all'esigenza di rafforzare l'integrità pubblica e di programmare efficaci presidi di prevenzione della corruzione nell'ambito del P.N.R.R., onde evitare che i risultati attesi con l'attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza siano vanificati da eventi corruttivi.

In dettaglio, il nuovo Piano è articolato in due parti.

Una prima parte, a vocazione generale, è destinata a supportare le Amministrazioni e i Responsabili Anticorruzione nella pianificazione delle misure di prevenzione della corruzione e della trasparenza; una seconda parte, speciale, è invece dedicata alla disciplina derogatoria in materia di contratti pubblici introdotta per far fronte all'emergenza pandemica. Detta parte, pur se delineata nel quadro del previgente Codice dei contratti pubblici del 2016, è prevalentemente ancorata ai principi generali di derivazione comunitaria contenuti nelle direttive e conserva pertanto una sua propria validità pur con riferimento al nuovo Codice degli appalti, recato dal D.Lgs. n. 36/2023.

...e il P.T.P.C.T.

Il Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza (P.T.P.C.T.) è un documento che deve essere approvato entro il 31 gennaio di ogni anno dall'organo politico, su proposta del Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza. Il R.P.C.T. propone ogni anno un nuovo Piano Triennale, in cui vengono riportati i risultati raggiunti fino a quel momento nonché le possibili correzioni ai Piani precedenti, anche all'esito del monitoraggio dell'attività dell'Ente.

“Finalità del P.T.P.C.T. è quella di identificare le misure organizzative volte a contenere il rischio di assunzione di decisioni non imparziali [...]. Poiché ogni amministrazione presenta differenti livelli e fattori abilitanti al rischio corruttivo per via delle specificità ordinamentali e dimensionali nonché per via del contesto territoriale, sociale, economico, culturale e organizzativo in cui si colloca, per l'elaborazione del P.T.P.C.T. si deve tener conto di tali fattori di contesto. Il P.T.P.C.T., pertanto, non può essere oggetto di standardizzazione” (P.N.A. 2019, approvato condelibera n.1064/2019, cit.).Sul piano soggettivo, il Piano deve essere adottato da tutte le Pubbliche Amministrazioni o soggetti ad essa equiparati: ne deriva che l'obbligo dell'adizione del P.T.P.C.T. grava anche sulle società e dagli enti di diritto privato in controllo pubblico.

Il Piano assume un valore programmatico incisivo, dovendo necessariamente prevedere gli obiettivi strategici per il contrasto alla corruzione fissati dall'organo di indirizzo e si inserisce a pieno titolo nell'attività di programmazione strategico-gestionale dell'Ente.

Il P.T.P.C.T. individua il grado di esposizione delle Amministrazioni al rischio di corruzione e definisce le misure volte a prevenirlo. Il Piano è dunque finalizzato ad adempiere agli impegni internazionali, promuovendo a livello locale l'adozione di standard consolidati a livello internazionale, creando un clima sfavorevole alla corruzione, riducendo le opportunità che si determinino fattispecie corruttive e potenziando la capacità dell'ente di scoprire i casi di corruzione.

La realizzazione di dette finalità strategiche passa attraverso la valutazione e la gestione del rischio corruttivo, secondo una metodologia che comprende l'analisi del contesto – interno ed esterno – dell'Ente, cogliendone e valorizzandone le specificità, la mappatura dei processi interni all'Ente stesse, la valutazione dei relativi rischi e il loro trattamento, mediante l'individuazione delle misure di prevenzione.

Una specifica Sezione del P.T.P.C.T. è dedicata alla definizione delle misure organizzative per l'attuazione degli obblighi di trasparenza, originariamente recato dal “Programma Triennale per la Trasparenza e l'Integrità”. Nella logica di una semplificazione e armonizzazione degli atti programmatici, detto Piano non è più oggetto di un separato atto, ma costituisce parte integrante del Piano Triennale Anticorruzione, organizzato in una apposita Sezione. Quest'ultima deve contenere, dunque, le soluzioni organizzative idonee ad assicurare l'adempimento degli obblighi di pubblicazione di dati e informazioni previsti dalla normativa vigente. Deve altresì identificare chiaramente i Responsabili della trasmissione e della pubblicazione dei dati, dei documenti e delle informazioni.

Il Piano Triennale della Prevenzione della corruzione e della Trasparenza è stato da ultimo assorbito da un nuovo strumento di programmazione, il Piano Integrato di Attività e Organizzazione (breviter P.I.A.O.), destinato, in una logica di semplificazione dell’attività pianificatoria di tutte le P.A. di cui all’art. 1, comma 2, T.U.P.I., ad annettere diversi atti di programmazione.

Il nuovo istituto, introdotto dal D.L. 9 giugno 2021 n. 80, conv., con modif., in L. 6 agosto 2021, n. 113, come si dirà (v. infra), è entrato in vigore solo il 15.07.2022, data di efficacia del Decreto Ministeriale 24.06.2022, di attuazione della normativa primaria, pubblicato in G.U. s.g. n. 151 del 30.06.2022. Ad ogni buon conto, per quanto di interesse in questa sede, la struttura e i contenuti del Piano di Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza, come individuati dalla L. n. 190/2012, non perdono la loro rilevanza normativa e sistematica, in quanto il Piano anticorruzione sembra essere destinato a costituire una specifica sezione del P.I.A.O., senza tuttavia smarrire le proprie specificità contenutistiche e identitarie.

A valle della redazione del piano, poi, è prevista una completa attività di monitoraggio sull'applicazione delle misure previste al piano e sulla relativa efficacia, affidato al R.P.C.T. insieme a tutti i dirigenti/responsabili dell'Ente, che culmina nella redazione di una Relazione anticorruzione, redatta annualmente entro il 15 dicembre, trasmessa all'ANAC e pubblicata sul sito istituzionale dell'Ente, la quale costituisce a sua volta, secondo un procedimento virtuoso, elemento in grado di individuare eventuali criticità nel sistema e adottare azioni correttive e interventi mirati maggiormente incisivi ed efficaci.

Ne consegue che “La relazione costituisce [...] un importante strumento di monitoraggio in grado di evidenziare l'attuazione del P.T.P.C.T., l'efficacia o gli scostamenti delle misure previste rispetto a quelle attuate. Le evidenze, in termini di criticità o di miglioramento che si possono trarre dalla relazione, devono guidare le amministrazioni nella elaborazione del successivo P.T.P.C.T.. D'altra parte, la relazione costituisce anche uno strumento indispensabile per la valutazione da parte degli organi di indirizzo politico dell'efficacia delle strategie di prevenzione perseguite con il P.T.P.C.T. e per l'elaborazione, da parte loro, degli obiettivi strategici” (P.N.A. 2019, delibera ANAC n. 1064/2019).

Il P.N.A. 2022 ha previsto, in una logica di semplificazione per gli Enti di più modeste dimensioni (determinate in base al numero di dipendenti), la possibilità che il Piano venga confermato nel triennio con apposito atto dell’organo di indirizzo. E’ stato così battuto in breccia il precedente orientamento contrario alla possibilità di una mera conferma del Piano, tradizionalmente esclusa in quanto si riteneva incompatibile con l’obbligo, per ciascun Ente, di garantire annualmente l'attività anticorruzione di monitoraggio e aggiornamento del P.T.P.C.T..

La conferma del P.T.P.C.T. è possibile se nel corso dell’anno precedente alla conferma:

- non siano emersi fatti corruttivi o ipotesi di disfunzioni amministrative significative;

- non siano state introdotte modifiche organizzative rilevanti;

- non siano stati modificati gli obiettivi strategici;

- non siano state modificate le altre sezioni del P.I.A.O. in modo significativo tale da incidere sui contenuti della sezione anticorruzione e trasparenza.

La gestione del rischio.

La gestione del rischio corruttivo, concretizzata nel P.T.P.C.T., è articolata in fasi predeterminate dalla Legge, second un approccio di risk management e risk based thinking.

A ) L'analisi del contesto esterno e interno.

La valutazione dei rischi corruttivi di uno specifico Ente passa necessariamente attraverso la preliminare fase di analisi del contesto – interno ed esterno – in cui si rilevano gli elementi utili a individuare l'ambito nel quale opera l'organizzazione, la sua strutturazione, le attività di competenza, i processi gestiti e il livello di controllo rispetto ad essi e quindi a rilevare la tipologia di rischi a cui è soggetta.

In dettaglio, l'analisi del contesto esterno evidenzia “le caratteristiche strutturali e congiunturali dell'ambiente nel quale l'amministrazione si trova ad operare possano favorire il verificarsi di fenomeni corruttivi e, al tempo stesso, condizionare la valutazione del rischio corruttivo e il monitoraggio dell'idoneità delle misure di prevenzione”. Esso si sostanzia, dunque, nella “disamina delle principali dinamiche territoriali o settoriali e influenze o pressioni di interessi esterni cui l'amministrazione può essere sottoposta, che costituisce un passaggio essenziale nel valutare se, e in che misura, il contesto, territoriale o settoriale, di riferimento incida sul rischio corruttivo e conseguentemente nell'elaborare una strategia di gestione del rischio adeguata e puntuale” (P.N.A. 2019, approvato condelibera ANAC n.1064/2019, cit.).

L'analisi del contesto interno è invece finalizzata a conoscere gli aspetti legati all'organizzazione e alla gestione operativa che influenzano la sensibilità della struttura al rischio corruzione, evidenziando il sistema delle responsabilità e il livello di complessità dell'Amministrazione, mettendo in risalto elementi quali la struttura organizzativa, gli obiettivi e le strategie, la cultura organizzativa, i processi decisionali, il sistema di relazioni interne ed esterne. In dettaglio, sono oggetto di analisi la struttura dell'Ente, le politiche, gli obiettivi e le strategie, la quantità e le competenze delle risorse umane, i flussi informativi e le modalità di adozione delle decisioni interne e verso l'esterno.

B ) La mappatura dei processi.

Detta fase consiste nell'individuazione e analisi dei processi organizzativi, che devono essere descritti. La mappatura deve essere funzionale a comprendere dove, all'interno dei processi, si annidano i rischi di corruzione.

La mappatura ai fini dell'anticorruzione permette di legare due variabili (il processo e i rischi) con l'obiettivo di rendere più intellegibile «chi deve fare cosa» e di assegnare più agevolmente le misure di prevenzione all'interno dell'organizzazione.

Nella fase in esame, dunque, si procede ad individuare le c.d. «aree di rischio», intese come raggruppamenti omogenei di processi, comprendendone le modalità di svolgimento e identificandone per ciascuno degli eventi di natura corruttiva che possono potenzialmente verificarsi in relazione ai diversi processi. Il processo cui fa riferimento la Legge Anticorruzione, dunque, non si identifica necessariamente con i singoli procedimenti amministrativi, ma procede per «procedure decisionali uniformi»; sul piano contenutistico, essi vanno descritti analitica, l'individuazione del relativo responsabile, i flussi di input e output, i tempi di sviluppo del processo, i vincoli procedimentali e le risorse a disposizione. Il livello di analiticità della mappatura dei processi, in ogni caso, dipende dalle esigenze organizzative della struttura e dalle sue complessità e dimensioni.

Il P.N.A. individua espressamente talune aree di rischio, quali: le autorizzazioni e le concessioni; la scelta del contraente in caso di affidamenti di cui al Codice dei contratti; le concessioni ed erogazioni di sovvenzioni e contributi; i concorsi e le prove selettive per assunzioni e progressioni di carriera; la gestione delle entrate e delle spese e del patrimonio; incarichi e nomine, affari legali e contenzioso, ecc.. Il catalogo delle aree di rischio potrà essere ulteriormente arricchito – ma non semplificato – a seconda delle specificità dell'Ente.

Va infine segnalato che il P.N.A. 2022 richiede una specifica mappatura dei processi relativi ai procedimenti coinvolti dal P.N.R.R.. Come evidenziato dal P.N.A. 2022, “l'ingente flusso di denaro a disposizione, da una parte, e le deroghe alla legislazione ordinaria introdotte per esigenze di celerità della realizzazione di molti interventi, dall'altra […], richiedono il rafforzamento dell'integrità pubblica e la programmazione di efficaci presidi di prevenzione della corruzione per evita-re che i risultati attesi con l'attuazione del P.N.R.R. siano vanificati da eventi corruttivi, con ciò senza incidere sullo sforzo volto alla semplificazione e alla velocizzazione delle procedure amministrative”.

A tal fine, la parte speciale del P.N.A. è dedicata ai contratti pubblici, caratterizzati da numerosi interventi legislativi in materia, che hanno prodotto una significativa “stratificazione normativa, per via dell'introduzione di specifiche legislazioni di carattere speciale e derogatorio che, in sostanza, hanno reso più che mai composito e variegato l'attuale quadro legislativo di riferimento”.

Per tale ragione, vieppiù alla luce della sopravvenuta entrata in vigore del nuovo codice dei contratti del 2023, è fondamentale mappare specificatamente i processi che coinvolgono la spendita di risorse pubbliche per il raggiungimento degli obiettivi del P.N.R.R. e dei fondi strutturali. “Quanto all'ambito oggettivo del monito-raggio sulle misure, in via preliminare, […] tutte le amministrazioni/enti che impiegano risorse pubbliche connesse agli interventi del P.N.R.R. e ai fondi strutturali svolgono un monitoraggio periodico - la cui cadenza temporale va indicata nello strumento di programmazione adottato - sui processi che coinvolgono la gestione di tali fondi […], così come anche indicato nel documento MEF sulla strategia generale antifrode per l'attuazione del P.N.R.R.”.

C ) L'analisi del rischio.

Tale fase consente una comprensione più approfondita degli eventi rischiosi identificati nella fase precedente e del livello di esposizione al rischio delle attività e dei relativi processi. Essa permette di comprendere le cause del verificarsi degli eventi corruttivi (i c.d. “fattori abilitanti”) e di individuare le modalità più efficaci per prevenirli.

Da un punto di vista metodologico, l'analisi del rischio, per essere efficace, deve considerare sia la probabilità di accadimento dell'evento corruttivo, che l'impatto che produce, in una logica multidimensionale: tale analisi conduce all'elaborazione di un “indice di rischio”.

Ai fini della sua determinazione, il P.N.A. riporta alcuni indicatori comunemente accettati, ampliabili o modificabili a seconda delle specificità dell'Amministrazione, che possono essere utilizzati nel processo valutativo, quali il più o meno alto grado di discrezionalità nel processo decisionale; il livello di trasversalità, inteso come coinvolgimento di più uffici e/o Amministrazioni, il danno sociale e territoriale, verso l'utenza, la comunità o il territorio; il danno reputazionale e di immagine.

La valutazione del rischio deve essere ispirata a un principio di prudenza, al fine di evitare sottostime dei rischi corruttivi e la conseguente inefficacia delle misure previste.

D ) Il trattamento del rischio.

Costituisce la fase di gestione del rischio tesa a individuare le misure correttive e le modalità più idonee a prevenire i rischi, sulla base della mappatura dei processi e delle priorità emerse in sede di valutazione degli eventi rischiosi.

Tali misure devono essere contestualizzate e opportunamente progettate a seconda delle priorità rilevate e delle risorse a disposizione; esse devono essere accuratamente progettate, sostenibili e verificabili e richiedono la definizione di standard di comportamento.

Il P.T.P.C.T. deve distinguere fra misure generali e specifiche. Le prime si incidono sul sistema complessivo della prevenzione della corruzione, intervenendo in materia trasversale sull'intera Amministrazione.

Sono misure generali:

– la formazione;

– i codici di comportamento;

– le regole per assicurare imparzialità;

– l'inconferibilità e l'incompatibilità di incarichi;

– i patti per l'integrità (ovvero patti che specificano obblighi ulteriori di correttezza nello svolgimento delle procedure comparative pubbliche, che devono essere obbligatoriamente sottoscritti dai partecipanti alla gara, a pena di esclusione);

– la trasparenza amministrativa;

– i divieti di post-employment (v. infra);

– la rotazione del personale;

Le misure specifiche, invece, intervengono su ben individuati e circoscritti problemi individuati tramite l'analisi del rischio. Ne consegue che le stesse sono da contestualizzare e dipendono da caso a caso.

Ne costituiscono esempi:

– l'incremento dei sistemi di controllo;

– la semplificazione dell'organizzazione e/o dei procedimenti;

– gli interventi di sensibilizzazione e partecipazione;

– l'ampliamento del numero di soggetti che svolgono una determinata attività.

L'individuazione delle misure di prevenzione non deve essere astratta e generica: l'indicazione della misura non basta, essendo invece necessaria la puntuale individuazione della misura, la tempistica e i responsabili della sua attuazione, gli indicatori di monitoraggio e i valori attesi.

E ) Il monitoraggio e la riponderazione del rischio.

Il ciclo di gestione della corruzione si conclude con il monitoraggio e la conseguente riponderazione del rischio.

Si è detto che il processo di gestione del rischio si sviluppa secondo una logica sequenziale e ciclica che ne favorisce il continuo miglioramento: ne consegue che, in ogni sua ripartenza, il ciclo deve tener conto, in un'ottica migliorativa, delle risultanze del ciclo precedente, utilizzando l'esperienza accumulata e adattandosi agli eventuali cambiamenti del contesto interno ed esterno.

Negli Enti di dimensioni più grandi, il monitoraggio, la cui responsabilità è assegnata in ultima istanza al R.P.C.T. può articolarsi su più livelli, in capo alla struttura organizzativa che è chiamata ad adottare le misure e, successivamente, in capo al Responsabile Anticorruzione, il quale deve svolgere degli audit specifici per reperimento delle informazioni, evidenze e documenti necessari e potrà ricorrere a tecniche di campionamento ove opportuno.

Le risultanze del monitoraggio sulle misure di prevenzione della corruzione costituiscono il presupposto della definizione del successivo Piano Triennale.

A livello operativo, l'ANAC ha puntualizzato che: “Il monitoraggio del P.T.P.C.T. o della sezione apposita del P.I.A.O. va programmato per le misure adottate avendo cura di evidenziare:

- i processi e le attività oggetto del monitoraggio;

- la periodicità delle verifiche;

- le modalità di svolgimento della verifica.

Per chi adotta il P.I.A.O., il monitoraggio della sezione dedicata alle misure di anticorruzione e trasparenza riguarda anche le misure della formazione e della rotazione eventualmente contenute in altre sezioni del P.I.A.O. stesso, anche grazie all'auspicato coordinamento fra il R.P.C.T. e chi si occupa più specificamente delle altre sezioni del P.I.A.O., quali appunto quelle relative al capitale umano e allo sviluppo organizzativo.

Le risultanze del monitoraggio vanno utilizzate per la migliore programmazione delle misure del P.T.P.C.T o della sezione dedicata alla prevenzione della corruzione e alla trasparenza del P.I.A.O., secondo una logica sequenziale e ciclica che favorisca il continuo miglioramento del processo di gestione del rischio”.

Il P.N.A. 2022, consapevole del ruolo strategico del monitoraggio, ha scadenzato tale indispensabile attività di verifica in ragione delle dimensioni dell’Ente (determinate in base al numero di dipendenti), con una previsione minima di uno o due volte l’anno e con diversi sistemi di campionamento per l’individuazione dei processi e delle attività oggetto di verifiche.

Attività diversa ma strettamente collegata al monitoraggio è poi l'attività di riesame periodico, “volta a valutare il funzionamento del sistema di prevenzione della corruzione nel suo complesso, in una prospettiva più ampia. Ciò allo scopo anche di considerare eventuali ulteriori elementi che possano incidere sulla strategia di prevenzione della corruzione e ad indurre a modificare il sistema di gestione del rischio per migliorare i presidi adottati. I risultati dell'attività di monitoraggio sono, in ogni caso, utilizzati per effettuare il riesame. Ogni amministrazione definisce la frequenza con cui procedere al riesame periodico della funzionalità complessiva del sistema e gli organi da coinvolgere nel riesame. Il riesame è infatti un momento di confronto e dialogo tra i soggetti coinvolti nella programmazione dell'amministrazione, affinché vengano riesaminati i principali passaggi e risultati al fine di potenziare gli strumenti in atto ed eventualmente promuoverne di nuovi.

Il riesame deve riguardare tutte le fasi del processo di gestione del rischio al fine di poter individuare rischi emergenti, identificare processi organizzativi tralasciati nella fase di mappatura, prevedere nuovi e più efficaci criteri per analisi e ponderazione del rischio. Tale attività è coordinata dal R.P.C.T. ma dovrebbe essere realizzata con il contributo metodologico degli organismi deputati all'attività di valutazione delle performance (OIV e organismi equivalenti) e/o delle strutture di vigilanza e audit interno. È opportuno che tale attività abbia una frequenza almeno annuale per supportare la programmazione triennale delle misure di prevenzione della corruzione […].

In sintesi, gli elementi essenziali che devono quindi essere contenuti nella parte dedicata al monitoraggio e al riesame sono i seguenti:

- il monitoraggio sull'attuazione delle misure;

- il monitoraggio sull'idoneità delle stesse al trattamento del rischio;

- sia per i soggetti tenuti all'adozione del P.T.P.C.T. che del P.I.A.O., il riesame periodico della funzionalità del sistema di gestione del rischio” (ANAC, 2 febbraio 2022, “Orientamenti per la pianificazione anticorruzione e trasparenza 2022”).

Il Piano Integrato di Attività e Organizzazione (P.I.A.O.).

Come si è anticipato, il Piano Triennale della Prevenzione della corruzione e della Trasparenza è destinato a confluire nel nuovo il Piano Integrato di Attività e Organizzazione.

Ferma restando l’immutata struttura del P.T.P.C.T., che assumerà semplicemente le vesti di una Sezione del P.I.A.O., appare opportuno, per completezza, richiamare brevemente i tratti salienti del nuovo istituto.

Nel nuovo Piano, di durata triennale e aggiornamento annuale da approvarsi entro il 31 gennaio di ogni anno, confluiranno, in particolare:

a) gli obiettivi programmatici e strategici della performance, stabilendo il necessario collegamento della performance individuale con i risultati di quella organizzativa complessiva;

b) la strategia di gestione del capitale umano e di sviluppo organizzativo; gli obiettivi formativi annuali e pluriennali finalizzati ai processi della pianificazione secondo le logiche del project management, al raggiungimento della completa alfabetizzazione digitale, allo sviluppo delle conoscenze tecniche e delle competenze trasversali e manageriali e all'accrescimento culturale e dei titoli di studio del personale, correlati all'ambito d'impiego e alla progressione di carriera del personale; 

c) gli strumenti e gli obiettivi del reclutamento di nuove risorse e della valorizzazione delle risorse interne, con l'individuazione del fabbisogno assunzionale e la percentuale di posizioni disponibili per le progressioni di carriera del personale;

d) la strumentazione per giungere alla piena trasparenza dei risultati dell'attività e dell'organizzazione amministrativa, nonché per raggiungere gli obiettivi in materia di anticorruzione;

e) l'elenco delle procedure da semplificare ogni anno, anche mediante il ricorso alla tecnologia e sulla base della consultazione degli utenti; la pianifica-zione delle attività, inclusa la graduale misurazione dei tempi effettivi di completamento delle procedure, effettuata attraverso strumenti automatizzati; 

f) la modalità e le azioni mirate per la piena accessibilità fisica e digitale alle Amministrazioni, per i cittadini con più di sessantacinque anni di età e per i disabili; 

g) la modalità e le azioni per la piena parità di genere, anche con riguardo alla composizione delle commissioni esaminatrici dei concorsi.

Spetta infine al Piano definire le modalità di monitoraggio degli esiti, con cadenza periodica, inclusi gli impatti sugli utenti.

In dettaglio, il P.I.A.O. sarà strutturato in quattro sezioni:

i. Scheda anagrafica dell’amministrazione, da compilarsi con tutti i dati identificativi dell’amministrazione;

ii. Valore pubblico, performance e anticorruzione;

iii. Organizzazione e capitale umano;

iv. Monitoraggio dell’attuazione del Piano.

Il D.L. n. 80/2021 prevede inoltre un Piano in forma semplificata per le Amministrazioni con meno di 50 dipendenti, demandando a specifico Decreto Ministeriale la redazione delle indicazioni operative per la redazione del P.I.A.O. e la stesura di Piani tipo.

A livello pubblicitario, il P.I.A.O. deve essere pubblicato sul sito istituzionale di ciascuna Amministrazione e sul sito del Dipartimento di Funzione Pubblica.

Il lungo iter di adozione di detto Decreto, in uno con significative criticità rilevate dal Consiglio di Stato in sede consultiva, hanno comportato la ripetuta proroga del termine di prima applicazione del Piano, fissata dapprima nel 30 aprile 2022 dal D.L. 30 dicembre 2021, n. 228, e poi nel 30 giugno 2022 dal D.L. 30 aprile 2022, n. 36. Il Decreto, approvato infine in data 26 maggio 2022, non è stato ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale: tanto rende probabile un nuovo rinvio del termine di prima adozione del nuovo strumento.

L’introduzione del nuovo istitut programmatorio, invero, non è stata salutata con particolare favore dal Consiglio di Stato, il quale, con i pareri 2 marzo 2022, n. 506 e 26 maggio 2022, n. 902 sullo “Schema di decreto del Ministro per la Pubblica Amministrazione concernente la definizione del contenuto del Piano integrato di attività e organizzazione, di cui all’art. 6, comma 6, del D.L.  9 giugno 2021, n.80, conv. con mod., dalla L. 6 agosto 2021, n. 113” ha espresso perplessità in ordine all’effettiva efficacia semplificatoria del Piano.

In dettaglio, il Consiglio di Stato ha rilevato che il P.I.A.O. deve essere “uno strumento che non deve costituire […] ciò che nella pratica internazionale viene definito un ulteriore “layer of bureaucracy”, ovvero un adempimento formale aggiuntivo entro il quale i precedenti piani vanno semplicemente a giustapporsi, mantenendo sostanzialmente intatte, salvo qualche piccola riduzione, le diverse modalità di redazione (compresa la separazione tra i diversi responsabili) e sovrapponendo l’ulteriore onere – layer, appunto – di ricomporli nel più generale P.I.A.O.. Al contrario, il P.I.A.O., nella ratio dell’art. 6, sembra dover costituire uno strumento unitario, “integrato” […], che sostituisce i piani del passato e li “metabolizza” in uno strumento nuovo e omnicomprensivo, crosscutting, che consenta un’analisi a 360 gradi dell’amministrazione e di tutti i suoi obiettivi da pianificare. Pertanto, il P.I.A.O. dovrebbe porsi nei confronti dei piani preesistenti come uno strumento di riconfigurazione e integrazione (necessariamente progressiva e graduale), sia per realizzare in concreto gli obiettivi per i quali è stato concepito […], sia per recepire in pratica i contenuti indicati dalle direttrici di riforma del comma 2” (Cons. Stato, parere 2 marzo 2022, n. 506).

Tanto premesso, “non appare fugato il rischio che il P.I.A.O. si risolva […] in una giustapposizione di Piani, quasi a definirsi come un ulteriore layer of bureaucracy. Nelle disposizioni, volte a definire i contenuti del P.I.A.O. […] si riflettono infatti perduranti differenze fra i Piani destinati ad essere assorbiti in questo nuovo strumento”. Le sezioni e le sottosezioni del P.I.A.O., secondo il Consiglio di Stato, “rinviano infatti, espressamente, a soggetti diversi quanto a predisposizione e a monitoraggio oltre ad alludere a effetti diversi […]” reca “rinvii ai differenti contesti normativi di riferimento dei differenti Piani”: tanto concorre a delineare un contesto normativo disomogeneo e non armonizzato, accrescendo l’eventualità che il Piano possa costituire, in concreto, “un adempimento formale aggiuntivo entro il quale i precedenti Piani vanno semplicemente a giustapporsi, mantenendo sostanzialmente intatte, salvo qualche piccola riduzione, le diverse modalità di redazione (compresa la separazione tra i diversi responsabili) e sovrapponendo l’ulteriore onere – layer, appunto – di ricomporli nel più generale P.I.A.O.”. Di qui, la raccomandazione per un approccio graduale all’innovazione rappresentata dall’introduzione del nuovo istituto (Cons. Stato, parere 26 maggio 2022, n. 902).

Anticorruzione e pubblico impiego

Accanto alla costituzione dell'apparato ordinamentale anticorruzione e alla previsione dei Piani quale specifico strumento di contrasto amministrativo ai fenomeni corruttivi, la Legge Severino e i successivi interventi normativi hanno previsto ulteriori strumenti di contrasto ai fenomeni di mala administration, atti a verificare il «sano dispiegarsi» del rapporto con la P.A., nella sua fase genetica, in costanza del rapporto e al suo termine.

Con riferimento al primo profilo, ci si riferisce, in particolare, agli istituti delle autorizzazioni allo svolgimento degli incarichi, ai sensi dell'art. 53 T.U.P.I., nonché dell'inconferibilità e incompatibilità degli incarichi di cui al d.lgs. n. 39/2013 (meccanismi di pre-employment); in relazione al termine del rapporto, all'istituto del c.d. divieto di pantouflage (meccanismi di post-employment). Quanto, infine, alla regolamentazione del rapporto con la Pubblica Amministrazione in costanza dello stesso (meccanismi di in-employment), il riferimento è agli istituti del conflitto di interessi, disciplinati dall'art. 6-bis della l. n. 241/1990 e da una pletora di disposizioni di settore, nonché del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, di cui al d.P.R. n. 62/2013.

Tali istituti costituiscono elementi fondamentali della strategia di prevenzione dei fenomeni di corruzione e cattiva amministrazione, allo scopo di creare le condizioni per assicurare lo svolgimento dell'attività amministrativa in modo imparziale ed effettivamente orientato al perseguimento dell'interesse pubblico.

I meccanismi di pre-employment

L'incompatibilità nel pubblico impiego è espressione del principio di esclusività del rapporto di lavoro del dipendente con la Pubblica Amministrazione, che trova fondamento nei principi costituzionali di imparzialità, buon andamento ed efficienza (art. 97), e di fedeltà alla Nazione (art. 98).

I principi in questione sono attuati dall'art. 53 del d.lgs. n. 165/2001, che stabilisce l'incompatibilità assoluta tra il pubblico impiego e l'esercizio di specifiche attività, tassativamente individuate dalla medesima norma, compendiata dalla affermazione di una generale incompatibilità relativa tra lo svolgimento del pubblico impiego e quello di altre attività, diverse da quelle specificamente individuate, demandando la verifica delle concrete condizioni di incompatibilità alla valutazione dell'Amministrazione di appartenenza.

Lo svolgimento degli incarichi non incompatibili deve essere autorizzato dall'Amministrazione di appartenenza, che è altresì tenuta a verificare l'insussistenza di situazioni, anche potenziali di conflitto di interessi (v., infra). La disciplina in esame è poi compendiata da meccanismi pubblicitari onde rendere accessibili e trasparenti gli incarichi autorizzati e l'ammontare dei compensi erogati ai dipendenti pubblici.

Uno specifico apparato sanzionatorio, infine, assiste la violazione delle prescrizioni normative in esame.

Per un esame completo dell'istituto si rinvia al commento sub art. 53 T.U.P.I.

La disciplina dettata dall'art. 53 T.U.P.I. è compendiata dal d.lgs. n.39/2013, che costituisce uno degli elementi fondamentali della strategia di prevenzione dei fenomeni di corruzione e cattiva amministrazione, a rafforzamento delle misure, penali e amministrative, di contrasto a detti fenomeni. Il Decreto è stato adottato dottato sulla base di specifica legge conferita al Governo dalla Legge Severino, al fine di dettare una normativa più organica e sistematica nella materia dell'attribuzione di incarichi dirigenziali nella P.A. e negli enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico e delle incompatibilità tra i detti incarichi.

La previsione normativa dettata dal Decreto in argomento costituisce uno degli elementi fondamentali della strategia di prevenzione dei fenomeni di corruzione e cattiva amministrazione, a rafforzamento delle misure, penali e amministrative, di contrasto a detti fenomeni. La grande innovazione rispetto alla disciplina previgente sta nel fatto che la norma, per la prima volta nel nostro ordinamento, considera specificatamente gli incarichi dirigenziali e gli incarichi amministrativi di vertice, allo scopo di creare le condizioni per assicurarne lo svolgimento in modo imparziale (commi 49 e 50 dell'art. 1 della l. n. 190/2012).

Le disposizioni di cui Decreto n. 39 si applicano agli incarichi dirigenziali e di responsabilità amministrativa di vertice nelle Pubbliche Amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti privati di controllo pubblico (le cui definizioni sono riportate nell'art. 1 del medesimo d.lgs. n. 39/2013). In particolare, il Decreto delegato prevede e disciplina una serie articolata di cause di inconferibilità e incompatibilità, con riferimento alle seguenti tipologie di incarichi:

– incarichi amministrativi di vertice;

– incarichi dirigenziali o di responsabilità, interni ed esterni, nelle pubbliche amministrazioni e negli enti di diritto privato in controllo pubblico;

– incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico.

La disciplina recata dalla normazione delegata è poi compendiata dalle Linee Guida ANAC 3 agosto 2016, n. 833, nonché dalla delibera ANAC 18 dicembre 2019, n. 1021, recante «Indicazioni per l'applicazione della disciplina delle inconferibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico in caso di condanna per reati contro la pubblica amministrazione – art. 3 d.lgs. n. 39/2013 e art. 35-bis d.lgs. n. 165/2001».

Segue. Inconferibilità e Incompatibilità

Il d.lgs. n. 39/2013 introduce dunque il concetto di inconferibilità degli incarichi, che consiste nella preclusione, temporanea o permanente a conferire gli incarichi previsti dal decreto medesimo coloro che hanno riportato condanne penali per taluni delitti, tassativamente individuati.

Sono inconferibili incarichi dirigenziali o di vertice a coloro che abbiamo commesso i delitti contro la P.A. di cui al libro II, titolo II, capo I del c.p.

Sul piano soggettivo, la norma si rivolge a tutti coloro che svolgono funzioni amministrative nonché ai dipendenti degli enti che esercitano attività di produzione di beni e servizi o gestione di servizi pubblici a favore di Amministrazioni pubbliche.

Con riferimento alla durata dell'inconferibilità, la stessa è permanente quando è stata inflitta la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici, o sia cessato il rapporto di lavoro a seguito del relativo procedimento disciplinare; ovvero temporanea se l'interdizione è provvisoria, e l'inconferibilità ha la stessa durata dell'interdizione. Nei casi in cui non vi sia stata interdizione, e non vi sia stata cessazione del rapporto per il periodo di inconferibilità (max 5 anni), al soggetto possono essere assegnati incarichi diversi da quelli che riguardano attività di amministrazione e gestione.

Sul piano applicativo, con riferimento al dies a quo dal quale far decorrere il periodo di inconferibilità, l'ANAC ritiene che, in mancanza di previsione espressa sul punto, ove non vi sia stata una dichiarazione tempestiva da parte del dipendente in merito all'intervenuta condanna penale che lo riguarda, sarebbe opportuno ancorare la decorrenza di tale periodo a una data certa, quale potrebbe essere la data di emanazione della sentenza di condanna o quella della comunicazione che la cancelleria del giudicante che ha adottato la decisione deve effettuare nei confronti dell'Amministrazione di appartenenza del dipendente pubblico condannato ai sensi dell'art. 154-ter disp. att. c.p.p. (delibera ANAC 18 dicembre 2019, n. 1021).

In mancanza di comunicazione diretta all'Ente, «l'applicazione della disposizione in esame richiede sempre un'attività di accertamento da parte dell'amministrazione in ordine alla verifica dei presupposti in essa previsti prodromica rispetto al provvedimento con il quale l'inconferibilità è dichiarata, sia esso preventivo rispetto al conferimento dell'incarico, che successivo al conferimento per il caso in cui la situazione di inconferibilità si sia verificata durante lo svolgimento dell'incarico stesso [...]. A nulla rilevano le circostanze occasionali in cui l'amministrazione di riferimento sia venuta a conoscenza della situazione di inconferibilità in cui versa il dipendente, costituendo specifico onere dell'amministrazione medesima attivarsi per acquisire tutti gli elementi necessari per procedere a tale dichiarazione» (delibera ANAC n. 159/2019). Ne consegue che il dies a quo del periodo di inconferibilità è individuabile nel primo atto certo in cui l'Amministrazione manifesta la propria conoscenza in ordine alla situazione di inconferibilità che potrebbe sussistere in relazione al dipendente raggiunto da condanna penale.

Ulteriore ipotesi di inconferibilità è prevista dall'art. 1, lett. g), del d.lgs. n. 39/2013, riferita a coloro che, nei due anni precedenti, hanno svolto incarichi e ricoperto cariche in enti di diritto privato o finanziati dall'Amministrazione conferente l'incarico ovvero a coloro che hanno svolto in proprio attività professionali regolate, finanziate o comunque retribuite dall'Amministrazione. L'inconferibilità nei confronti dei detti soggetti riguarda:

a) gli incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni statali, regionali e locali;

b) gli incarichi di amministratore di ente pubblico, di livello nazionale, regionale e locale;

c) gli incarichi dirigenziali esterni, comunque denominati, nelle pubbliche amministrazioni e negli enti pubblici che siano relativi allo specifico settore o ufficio dell'amministrazione che esercita i poteri di regolazione e finanziamento.

Il d.lgs. n. 39/2013 disciplina anche le fattispecie di incompatibilità, intesa come “obbligo per il soggetto cui viene conferito l'incarico di scegliere, a pena di decadenza, entro il termine perentorio di quindici giorni, tra la permanenza nell'incarico e l'assunzione e lo svolgimento di incarichi e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalla pubblica amministrazione che conferisce l'incarico, lo svolgimento di attività professionali ovvero l'assunzione della carica di componente di organi di indirizzo politico” (art. 1, comma 2).

In particolare, il Decreto individua le cause di incompatibilità tra incarichi di vertice e dirigenziali comunque denominati ricoperti nella P.A., che comportano poteri di vigilanza o controllo sulle attività svolte dagli enti di diritto privato regolati o finanziati dall'Amministrazione che conferisce l'incarico, con l'assunzione e il mantenimento di incarichi e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dall'amministrazione o ente pubblico che conferisce l'incarico.

La medesima incompatibilità nello svolgimento delle funzioni di cui al punto precedente (conseguenti a incarichi dirigenziali e di amministratore) si riscontra quando il soggetto incaricato svolge un'attività professionale regolata, finanziata o comunque retribuita dall'amministrazione o ente che conferisce l'incarico.

Gli artt. 11 e 12 intervengono ad integrare le cause di incompatibilità/ineleggibilità, previste dald.lgs. n.267/2000, in tema di enti locali.

L'art. 11 prevede l'incompatibilità tra incarichi amministrativi di vertice. I primi, conferiti a soggetti interni o esterni all'amministrazione dell'Ente, non comportano l'esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione; i secondi comportano l'esercizio di dette competenze (art. 1, lett. i, j e k). nell'amministrazione provinciale, comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti e forma associativa tra comuni con la stessa popolazione, con la carica di componente della Giunta, del Consiglio o della forma associativa che hanno conferito l'incarico amministrativo.

L'incompatibilità si estende anche alle cariche nei Comuni, Province e forme associative della Regione ove ha sede l'amministrazione locale che ha conferito l'incarico, e riguarda anche la carica di componente di organo di indirizzo di enti privati in controllo pubblico.

L'art. 12 riguarda invece l'incompatibilità tra l'incarico dirigenziale ricoperto nella P.A., con l'assunzione e il mantenimento nel corso dell'incarico delle seguenti cariche:

a) carica di componente dell'organo di indirizzo nella stessa Amministrazione o nello stesso ente pubblico che ha conferito l'incarico;

b) carica di presidente e amministratore delegato dello stesso ente di diritto privato in controllo pubblico che ha conferito l'incarico.

Lo stesso art. 12, prevede inoltre casi di incompatibilità tra incarichi dirigenziali e cariche di componenti di organi di indirizzo nelle amministrazioni statali, regionali e locali, nonché con le cariche di componente di organo di indirizzo negli enti di ritto privato in controllo pubblico.

Segue. Rapporti tra art. 3 d.lgs. 39/2013 e art. 35-bis T.U.P.I.

Strettamente legata dal punto di vista applicativo all'art. 3 del d.lgs. n. 39/2013 è la previsione contenuta nell'art. 35 -bisd.lgs. 165/2001, recante le «Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche». Rinviando all'esame della norma al commento sub art. 35-bis T.U.P.I., in questa sede ci si limita a rammentare che la norma in esame vieta a coloro che sono stati condannati, anche con sentenza non definitiva, per determinati i reati, di far parte di commissioni di concorso possono essere assegnati a determinati uffici (quali quelli preposti alla gestione delle risorse finanziarie, all'acquisizione di beni, servizi e forniture, nonché alla concessione o all'erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari o attribuzioni di vantaggi economici a soggetti pubblici e privati).

La previsione in questione, pertanto, vieta il conferimento delle specifiche mansioni dalla stessa espressamente identificate ai soggetti condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per i medesimi reati indicati dall'art. 3d.lgs. n.39/2013, che abbiano un rapporto di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, individuate dalla previsione contenuta nell'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001.

Il rinvio recato dall'art. 35-bis all'art. 3 del d.lgs. n. 39/2013 ha posto la questione relativa al rapporto tra le due disposizioni, le quali senza dubbio condividono la ratio e la finalizzazione all'anticipazione degli effetti preclusivi del conferimento degli incarichi in esse indicati

Orbene, sul punto deve ritenersi che l'art. 35-bis T.U.P.I. costituisce «una nuova e diversa fattispecie di inconferibilità, atta a prevenire il discredito, altrimenti derivante all'Amministrazione, dovuto all'affidamento di funzioni sensibili a dipendenti che, a vario titolo, abbiano commesso o siano sospettati di infedeltà» (delibera ANAC n. 1292/2016), posto che, diversamente dalla disciplina di cui all'art. 3 d.lgs. n. 39/2013, preclude il conferimento di alcuni specifici uffici o lo svolgimento di predeterminate attività e incarichi particolarmente esposti al rischio corruzione indipendentemente dal fatto che esse attengano ad un incarico dirigenziale o meno.

Il d.lgs. n. 39/2013, viceversa, si rivolge a tutti gli incarichi dirigenziali; esso, inoltre, modula diversamente la durata delle preclusioni (che in base al tenore letterale dell'art. 35-bis sembrerebbe estesa sine die).

Di qui, la contestuale applicabilità delle due disposizioni ove ricorrano nel caso concreto tutti i presupposti di applicabilità previsti da ciascuna di esse: sul punto, si richiama l'orientamento ANAC n. 66/2014, a mente del quale «Il dipendente che sia stato condannato, con sentenza non passata in giudicato, per uno dei reati previsti dal capo I del titolo II del libro II del codice penale, incorre nei divieti di cui all'art. 35-bis del d.lgs. n. 165/2001, anche laddove sia cessata la causa di inconferibilità ai sensi dell'art. 3 del d.lgs. 39/2013, fino a quando non sia pronunciata per il medesimo reato sentenza anche non definitiva di proscioglimento» (delibera ANAC n. 1021/2019, cit.).

Segue. L'ambito oggettivo dell'inconferibilità

Con riferimento all'ambito di applicazione del d.lgs. n. 39/2013, numerose sono state le questioni interpretative emerse nella prassi applicativa dell'impianto normativo in esame.

A fronte di un dettato normativo quantomai generico, invero, si è posto il problema di verificare se, a fronte di talune specificità relative alle fattispecie penali rilevanti ai fini dell'inconferibilità, il Decreto n. 39 dovesse o meno trovare applicazione.

La soluzione sul punto fornita dall'ANAC a fronte delle tante richieste di parere pervenute dagli Enti, è nel senso di interpretare teleologicamente ild.lgs. n.39/2013, la cui natura di strumento amministrativo di prevenzione di ogni fenomeno di mala administration induce verso un'interpretazione estensiva delle fattispecie rilevanti ai fini dell'inconferibilità degli incarichi.

Deve pertanto ritenersi applicabile la disciplina di cui al d.lgs. n. 39/2013 anche nelle ipotesi nelle quali venga invocato il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso ai sensi dell'art. 166 c.p. in occasione della sentenza di condanna («Non rileva ai fini dell'inconferibilità di incarichi in caso di condanna, anche non definitiva, per reati contro la pubblica amministrazione, ex art. 3 del d.lgs. n. 39/2013, la concessione della sospensione condizionale della pena»: orientamento ANAC n. 54/2014), «in considerazione della natura di strumento di prevenzione della corruzione e di garanzia dell'imparzialità dell'Amministrazione» (delibera ANAC n. 1292/2016, cit.).

Analogamente, l'Autorità ha concluso in caso di sentenza di condanna per uno dei reati previsti dald.lgs. n.39/2013 commessi nella forma del tentativo: anche in questo caso l'Autorità Anticorruzione ha ritenuto, alla luce di una lettura del Decreto n. 39 orientata ai principi costituzionali di imparzialità e di buon andamento di cui all'art. 97 Cost., «che il generale riferimento del testo della norma «alla condanna per uno dei reati previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale», pur in assenza della specificazione in ordine a fattispecie consumata piuttosto che a quella tentata, deve essere considerato comprensivo di entrambe le fattispecie di reato (delibera ANAC n. 447/2019). Tanto, «sia in considerazione del bene giuridico tutelato, l'imparzialità e il buon andamento dell'azione amministrativa, che non può ammettere una distinta rilevanza riconosciuta alle fattispecie di reato consumato rispetto a quelle di reato tentato, che della «completezza», dal punto di vista di tutti gli elementi, oggettivi e soggettivi, del delitto tentato rispetto a quello consumato (delibera ANAC n. 1021/2019, cit.).

Ancora, l'Autorità Anticorruzione ha optato per un'interpretazione estensiva in caso di condanne pecuniarie comminate con decreto penale di condanna, in quanto «l'esigenza di tutela dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento dell'agere amministrativo sembra restare ferma anche nel caso in cui un dipendente pubblico risulti destinatario di un decreto penale di condanna per un reato contro la pubblica amministrazione. Infatti, anche in tali casi il dipendente pubblico è ritenuto responsabile, attraverso un atto di accertamento da parte del giudice penale, della violazione di quei principi di fedeltà, imparzialità e buon andamento che l'art. 3 d.lgs. 39/2013 intende tutelare, rendendo inopportuna l'attribuzione allo stesso di incarichi che implicano la spendita di poteri pubblici» (delibera ANAC n. 1021/2019, cit.).

Segue. Il sistema di vigilanza

Il d.lgs. n. 39/2013, al fine di conferire effettività al puntuale quadro normativo in materia di inconferibilità e incompatibilità, individua un preciso sistema di vigilanza sul rispetto delle condizioni per il conferimento degli incarichi, con la previsione di specifiche sanzioni in caso di inosservanza.

Il Decreto, invero, individua un sistema di vigilanza interna, assegnato ai funzionari conferenti gli incarichi e al Responsabile Anticorruzione, affiancato da un sistema di vigilanza esterna, le cui funzioni sono attribuite all'ANAC.

In dettaglio, sulla base di un principio di autoresponsabilità, il funzionario responsabile del procedimento presso l'Amministrazione conferente deve acquisire dall'interessato specifica dichiarazione – che costituisce condizione per l'efficacia dell'incarico – sulla insussistenza di una delle cause di inconferibilità o incompatibilità di cui al d.lgs. n. 39/2013; dichiarazione che andrà poi presentata annualmente nel corso dello svolgimento dell'incarico. Le dichiarazioni in questione vengono pubblicate sul sito istituzionale dell'Ente; eventuali dichiarazioni mendaci accertate dalla stessa Amministrazione comportano, al di là delle specifiche forme di responsabilità penale, l'inconferibilità di qualsivoglia incarico di cui al Decreto in esame per un periodo di cinque anni (art. 20 d.lgs. n. 39/2013).

La funzione di vigilanza sul rispetto delle norme in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi è attribuita al Responsabile per la Prevenzione della Corruzione, che la esercita anche attraverso le disposizioni contenute nel Piano Anticorruzione.

Il R.P.C.T., invero, ha il dovere di accertare le cause di inconferibilità e incompatibilità in capo al soggetto che si vuole nominare, accertando se tale verifica è stata correttamente espletata dal soggetto che conferisce l'incarico (art. 15 d.lgs. n. 39/2013). Qualora il Responsabile venga a conoscenza del conferimento di un incarico conferito in violazione delle norme in esame, deve avviare un procedimento di accertamento, elevando la contestazione sia all'organo che ha conferito l'incarico che al soggetto cui l'incarico è stato conferito ed effettuando un doppio accertamento: uno necessario, di tipo oggettivo relativo alla violazione delle disposizioni sull'inconferibilità, che conduce alla declaratoria di nullità dell'incarico; e uno eventuale, atto a valutare l'elemento psicologico di colpevolezza in capo all'organo che ha conferito l'incarico, al fine di elevare l'eventuale sanzione interdittiva di cui all'art. 18, ovvero l'impossibilità di conferire incarichi per tre mesi.

Il Decreto n. 39 assegna poi all'ANAC, destinataria delle segnalazioni, da parte del R.P.C.T., di casi di possibili violazioni delle disposizioni in materia di anticorruzione, specifiche funzioni in materia di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi: l'art. 16 del medesimo Decreto attribuisce all'Autorità la vigilanza «sul rispetto da parte delle Amministrazioni pubbliche, degli enti pubblici e degli enti di diritto privato in controllo pubblico, delle disposizioni di cui al presente decreto, anche con l'esercizio di poteri ispettivi e di accertamento di singole fattispecie di conferimento degli incarichi».

In caso di accertata violazione della normativa, l'ANAC può sospendere la procedura di conferimento dell'incarico con un proprio provvedimento che contiene osservazioni o rilievi sull'atto di conferimento dell'incarico, nonché segnalare la violazione alla Corte dei conti per l'accertamento di eventuali responsabilità amministrative.

L'Autorità Anticorruzione, inoltre, esprime pareri obbligatori sulle direttive e sulle circolari ministeriali concernenti l'interpretazione delle disposizioni contenute nel d.lgs. n. 39/2013, nonché sull'applicazione di dette disposizioni alle diverse fattispecie di inconferibilità degli incarichi e di incompatibilità.

Sul crinale sanzionatorio, la violazione della disciplina sulle inconferibilità comporta la nullità degli atti di conferimento (art. 15) e l'impossibilità per i tre mesi successivi alla dichiarazione di nullità dell'atto, di conferire gli incarichi di propria competenza (art. 18). Detta sanzione inibitoria si accompagna alle responsabilità per le conseguenze economiche degli atti adottati, espressamente richiamate dalla disposizione in esame. Con riferimento alle ipotesi di incompatibilità, invece, il Decreto prevede la decadenza dall'incarico e la risoluzione del relativo contratto in caso di incompatibilità dell'incarico, decorso il termine perentorio di quindici giorni dalla contestazione all'interessato, da parte del R.P.C.T., dell'insorgere della causa di incompatibilità.

Segue. Il ruolo del Responsabile Anticorruzione: la verifica sulle dichiarazioni

Si è anticipato che ruolo centrale nel sistema di vigilanza sull'osservanza delle disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità è assegnato dal d.lgs. n. 39/2013 al Responsabile Anticorruzione, al quale è innanzitutto attribuita la funzione di verifica delle dichiarazioni in ordine all'insussistenza di cause di inconferibilità e incompatibilità rilasciate – all'atto della nomina e poi con cadenza annuale – da colui al quale l'incarico è conferito.

Una volta accertata la sussistenza di cause ostative al conferimento dell'incarico, le procedure e le conseguenze di tale carenza divergono a seconda che si versi in ipotesi di inconferibilità o di incompatibilità.

Segue. ... l'accertamento delle inconferibilità...

Accertata la sussistenza di una causa ostativa alla nomina, il Responsabile Anticorruzione deve contestare la violazione sia all'organo che ha conferito l'incarico che al soggetto cui l'incarico è stato conferito.

Detta contestazione costituisce solo l'atto iniziale di una attività che può essere ordinariamente svolta esclusivamente dal Responsabile e che comprende due distinti accertamenti: uno, di tipo oggettivo relativo alla violazione delle disposizioni sulle inconferibilità; un secondo, successivo al primo, destinato, in caso di sussistenza della inconferibilità, a valutare l'elemento psicologico della colpevolezzasub specie di dolo o colpa – in capo all'organo che ha conferito l'incarico, ai fini dell'eventuale applicazione della sanzione interdittiva di cui all'art. 18 del decreto.

Accertata, quindi, la sussistenza della causa di inconferibilità dell'incarico, il R.P.C.T. dichiara la nullità della nomina e procede alla verifica dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa dei soggetti che all'atto della nomina componevano l'organo che ha conferito l'incarico, ai fini della applicazione della sanzione inibitoria prevista all'art. 18 del d.lgs. n. 39/2013.

Il Responsabile Anticorruzione è dunque il soggetto cui la legge, secondo l'interpretazione dell'ANAC e della stessa giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Lazio, Roma, 8 giugno 2016, n.6593), riconosce in via esclusiva la titolarità del procedimento di verifica della violazione delle disposizioni in punto di inconferibilità e del potere sanzionatorio nei confronti degli autori della nomina inconferibile dichiarata nulla.

Il procedimento avviato nei confronti del soggetto che ha proceduto alla nomina deve svolgersi nel rispetto del principio del contraddittorio; l'atto di contestazione, oltre a contenere una brevissima indicazione del fatto, della nomina ritenuta inconferibile e della norma che si assume violata, contiene anche l'invito a presentare memorie difensive, in un termine congruo, tale da consentire l'esercizio del diritto di difesa (tendenzialmente, secondo le Linee Guida dell'ANAC n. 833/2016 cit., non inferiore a cinque giorni).

Stante il tenore letterale dell'art. 17, accertata la violazione della disciplina in materia di inconferibilità, il R.C.P.T. è tenuto a dichiarare la nullità dell'atto di conferimento dell'incarico: egli è dunque titolare di un potere vincolato, che non conserva in capo al Responsabile Anticorruzione alcun margine di discrezionalità nella valutazione dell'interesse pubblico alla conservazione dell'incarico conferito in violazione del Decreto n. 39.

A valle della declaratoria di nullità dell'incarico inconferibile, prende avvio il distinto procedimento di accertamento dell'elemento soggettivo della colpevolezza in capo all'organo conferente l'incarico, che deve svolgersi nel rispetto del principio del contraddittorio (in caso di conferimento da parte di organo collegiale, il procedimento coinvolge tutti i componenti, salvo gli astenuti e i dissenzienti, esenti da responsabilità ex art. 18 d.lgs. n. 39/2013).

Nonostante il tenore letterale della disposizione sembri deporre nel senso della natura oggettiva della responsabilità dell'organo conferente l'incarico inconferibile, l'ANAC esclude l'applicazione automatica della sanzione interdittiva, ritenendo necessaria la verifica dell'elemento psicologico sub specie di dolo o colpa, in ossequio ai «principi di razionalità e parità di trattamento con altre sanzioni amministrative», in ossequio ai «principi generali in materia di sanzioni amministrative e [...] del diritto di difesa e del principio di legalità dell'azione amministrativa di cui agli artt., rispettivamente, 24 e 97 Cost.» (Linee Guida ANAC n. 833/2016, cit.). Una diversa soluzione, peraltro, «si porrebbe in evidente contrasto anche con i principi della convenzione EDU, in particolare, con l'art. 6 di detta Convezione, secondo l'interpretazione che più volte ne ha dato la Corte di Strasburgo» (Linee Guida ANAC n. 833/2016, cit.), in quanto la sanzione inibitoria che vieta all'organo conferente di affidare incarichi di propria competenza per tre a mesi, è una sanzione personale, di natura interdittiva, fissa e non graduabile, che non può essere irrogata a prescindere da una indagine sull'elemento psicologico del soggetto che ne viene attinto (ancorché non possa parlarsi di sanzione amministrativa in senso stretto: «Più che di misura sanzionatoria, si tratta di una condizione soggettiva in cui viene a trovarsi colui che è stato condannato, anche se con condanna non passata in giudicato, già riconosciuta dal legislatore nell'esercizio della sua discrezionalità, senza che sia rimesso alcun margine di apprezzamento all'amministrazione»: così delibera ANAC n. 1021/2019, cit.. In termini v. orientamenti ANAC nn. 54 e 58 del 2014; delibere ANAC nn. 159/2019, cit., 447/2019, cit.; parere ANAC n. 78/2015).

Si tratta, a tutta evidenza, di un'indagine assai complessa: in assenza di indicazioni normative, secondo l'ANAC (Linee Guida ANAC n. 833/2016, cit. e delibera ANAC n.67/2015), il R.P.C.T. può desumere l'assenza di dolo e colpa dalla consistenza dell'attività istruttoria svolta ai fini della verifica della dichiarazione, ove il soggetto conferente non si sia limitato a prendere atto di quanto dichiarato dal soggetto incaricato, verificando viceversa se, in base agli atti conosciuti o conoscibili, l'autore del provvedimento di nomina ha verificato – anche mediante un accertamento presso altri uffici o con una richiesta di chiarimenti – quanto dichiarato dal nominato.

Segue. ...e l'accertamento delle incompatibilità

Diversa è l'attività svolta dal Responsabile Anticorruzione in caso di contestazione di una causa di incompatibilità. In tale ipotesi, invero, il R.P.C.T. è tenuto ad avviare un unico procedimento di accertamento della violazione degli obblighi di cui al d.lgs. n. 39/2013, all'esito del quale viene contestato all'interessato l'accertamento compiuto. Dalla data della contestazione decorrono 15 giorni, che impongono, in assenza di una opzione da parte dell'interessato, l'adozione di un atto con il quale viene dichiarata la decadenza dall'incarico e la conseguente risoluzione del relativo contratto, di lavoro subordinato o autonomo. A differenza di quanto previsto in punto di inconferibilità, secondo l'esegesi costituzionalmente orientata fornita dall'ANAC, l'accertamento in esame è di tipo oggettivo: la sanzione della decadenza dall'incarico opera in via oggettiva, per la sola sussistenza di una causa di incompatibilità.

Segue. Ruolo e funzioni dell'ANAC

Il sistema di vigilanza sul rispetto della disciplina in esame è compendiato dalla previsione di specifiche funzioni di vigilanza e accertamento attribuite dal Decreto n. 39 all'ANAC, che si affiancano a quelli generali di regolazione nell'ambito delle generali funzioni anticorruzione.

Nello specifico, il potere riconosciuto all'ANAC dal d.lgs. n. 39/2013 si distingue in due distinte fattispecie.

Innanzitutto, il comma 2 dell'art. 16 attribuisce all'Autorità Anticorruzione un potere cautelare nei procedimenti di conferimento: l'Autorità può sospendere la procedura di conferimento dell'incarico con proprio provvedimento che reca osservazioni e/o rilievi sull'atto di conferimento dell'incarico, nonché segnalare la vicenda alla Corte dei Conti per l'accertamento di eventuali responsabilità amministrative. La P.A. che intenda comunque procedere al conferimento dell'incarico, deve motivare l'atto tenendo conto delle osservazioni dell'Autorità. Si tratta, con tutta evidenza, di una misura di tipo cautelare e collaborativo, atta a richiamare l'Amministrazione sul rispetto della disciplina in materia di inconferibilità, sena tuttavia vincolarla negli esiti procedimentali.

Il comma 1 del medesimo art. 16, inoltre, conferisce all'ANAC il potere di procedere all'«accertamento di singole e specifiche fattispecie di conferimento» di incarichi già conferiti.

L'accertamento è svolto dall'Autorità nel rispetto del principio del contraddittorio, con una interlocuzione che si svolge con il R.P.C.T. dell'Amministrazione interessata, sulla base dei documenti messi a disposizione dell'Autorità, con la possibilità, ove si riveli necessario, di procedere all'audizione degli interessati.

In mancanza di un'espressa previsione normativa sul punto, deve ritenersi che l'accertamento dell'ANAC abbia natura vincolante per l'Amministrazione interessata: deve infatti ritenersi – come peraltro evidenziato dalla stessa Autorità nelle Linee Guida n. 833/2016, cit. – che «L'esplicita attribuzione compiuta dalla disposizione in esame all'ANAC di poteri di «accertamento di singole fattispecie di conferimento degli incarichi» non può che essere interpretata come il conferimento di un potere destinato a superare eventuali diverse valutazioni dell'amministrazione conferente e del suo RPC. Se L'ANAC viene chiamata, per volontà della stessa amministrazione o su segnalazione, ad accertare specifiche fattispecie di incarichi già conferiti, questo accertamento è destinato a fare stato, salva sempre la possibilità di ricorso al giudice amministrativo contro il provvedimento dell'Autorità. Ogni altra interpretazione sarebbe contraria al principio di economicità dell'azione amministrativa e renderebbe inutile l'accertamento dell'ANAC e l'apposito procedimento, adottato con le garanzie del contraddittorio, che l'Autorità svolge».

Ne deriva, pertanto, che il Responsabile Anticorruzione non possa che prendere atto dell'accertamento compiuto dall'ANAC adottando il provvedimento di declaratoria di nullità dell'atto di conferimento in caso di inconferibilità ed eventualmente avviando il procedimento sanzionatorio di cui all'art. 18, ovvero diffidando l'interessato ad optare tra incarichi dichiarati incompatibili.

Ove, viceversa, il R.P.C.T. non provveda ad adottare i provvedimenti necessari in conformità all'accertamento condotto dall'ANAC, si ritiene che l'Autorità possa esercitare il potere di ordine conferitole in via generale dall'art. 1, comma 3, della l. n. 190, «volto a riportare l'azione dell'amministrazione al rispetto della legge, tanto che detto potere, che non ha un contenuto sanzionatorio, né carattere sostitutivo, viene definito come un potere conformativo e dissuasivo a scopo collaborativo.

Ne consegue che ove l'Autorità abbia adottato atti di accertamento di situazioni di inconferibilità e incompatibilità dotati di effetti prevalenti, l'amministrazione interessata e il suo RPC siano obbligati all'adozione degli atti conseguenti all'accertamento. Qualora non vi provvedano, l'Autorità, cui non sono attribuiti poteri di tipo sostitutivo (quali la nomina di commissari ad acta), può esercitare il proprio potere di ordinare all'amministrazione e all'RPC di adottare tali atti» (Linee Guida ANAC n. 833/2016, cit.).

I meccanismi di in-employment (rinvio)

Uno dei profili più delicati inerenti alla tensione dell'attività amministrativa al perseguimento nell'interesse pubblico, nella logica della buona amministrazione, risiede nella disciplina del conflitto di interessi. In linea generale, il conflitto di interessi può essere definito come la situazione in cui l'interesse secondario di una persona tende a interferire con l'interesse primario di un'altra parte, verso cui la prima ha precisi doveri e responsabilità.

Il Legislatore Anticorruzione, invero, dedica particolare attenzione alle ipotesi in cui interessi personali e particolari dei dipendenti pubblici possano interferire con il perseguimento dell'interesse collettivo cui è preordinata l'attività amministrativa, frustrandone le finalità. Di qui la predisposizione di un impianto normativo generale (costituito dal combinato disposto di cui agli artt. 6-bis della l. n. 21/1990 e 7 del d.P.R. n. 62/2013), accompagnato da una serie di disposizioni di settore (artt. 42 e 77 d.lgs. n. 50/2016), ai cui commenti si rinvia per l'esame esaustivo dell'istituto.

In questa sede è invece utile richiamare le indicazioni sul punto fornite dall'ANAC, la quale, in sede di predisposizione degli “Orientamenti per la pianificazione anticorruzione e trasparenza 2022” del 2 febbraio 2022, reca indicazioni operative sulla disciplina dell'istituto nell'ambito del P.T.P.C.T.: “Ferme le disposizioni del codice di comportamento in materia di conflitto di interessi, si raccomanda alle amministrazioni/enti di individuare specifica procedura di rilevazione e analisi delle situazioni di   di interessi, potenziale o reale, con la previsione di apposite misure in relazione alle peculiari funzioni e attività svolte.

Di seguito un elenco esemplificativo e non esaustivo:

- predisposizione di appositi moduli per agevolare la presentazione tempestiva di dichiarazione di conflitto di interessi;

- acquisizione, conservazione e verifica delle dichiarazioni di insussistenza di situazioni di conflitto di interessi rese da parte dei dipendenti al momento dell'assegnazione all'ufficio o della nomina a RUP;

- monitoraggio della situazione, attraverso l'aggiornamento, con cadenza periodica da definire, della dichiarazione di insussistenza di situazioni di conflitto di interessi, ricordando con cadenza periodica a tutti i dipendenti di comunicare tempestivamente eventuali variazioni nelle dichiarazioni già presentate;

- esemplificazione di casistiche ricorrenti di situazioni di conflitto di interessi;

- chiara individuazione dei soggetti che sono tenuti a ricevere e valutare le eventuali situazioni di conflitto di interessi dichiarate dal personale;

- chiara individuazione dei soggetti tenuti a ricevere e a valutare le eventuali dichiarazioni di conflitto di interessi rilasciate dai dirigenti, dai vertici amministrativi e politici, dai consulenti o da altre posizioni della struttura organizzativa dell'amministrazione;

- attività di sensibilizzazione del personale al rispetto di quanto previsto in materia dalla L. 241/1990 e dal codice di comportamento”.

Il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici

Quale ulteriore meccanismo di in-employment, l'art. 54 del d.lgs. n. 165/2001 (T.U.P.I.) ha demandato al Governo la definizione di un Codice di comportamento dei dipendenti pubblici al fine di assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell'interesse pubblico.

Rinviando per l'esame dell'art. 54 T.U.P.I. al relativo commento, in questa sede ci si focalizzerà sul Codice di comportamento nazionale, approvato con d.P.R. n.62/2013 e destinato a trovare applicazione ai dipendenti contrattualizzati; per le altre categorie di personale costituisce invece espressione di principi di comportamento.

Il testo normativo si caratterizza per l'espressa previsione di una specifica responsabilità disciplinare, oltre che civile, amministrativa e contabile, che qualifica la violazione dei doveri di comportamento. A questi fini, l'art. 16 del Codice precisa che «la violazione degli obblighi previsti dal presente Codice integra comportamenti contrari ai doveri d'ufficio», in tal modo stabilendo il necessario collegamento secondo le modalità attuative stabilite dalla contrattazione collettiva. Violazioni gravi o reiterate del codice comportano l'applicazione della sanzione disciplinare del licenziamento.

Il Codice varato a livello nazionale si accompagna ai singoli Codici di comportamento adottati dalle PP.AA.: ai sensi del comma 5 dell'art. 54 T.U.P.I., invero, ciascuna Amministrazione definisce, con procedura aperta e con parere obbligatorio del proprio Organismo Indipendente di Valutazione (che ne assicura altresì il coordinamento con il sistema di misurazione e valutazione della performance), un proprio Codice di comportamento, sulla base di quello recato dal d.P.R. n. 62/2013.

I Codici di comportamento adottati dalle singole Amministrazioni, nell'integrare e specificare le regole del Codice, non possono però scendere al di sotto dei “doveri minimi di diligenza, lealtà, imparzialità e buona condotta che i pubblici dipendenti sono tenuti ad osservare”; sono atti unilaterali di natura pubblicistica contenenti norme destinate ad avere effetti sul rapporto di lavoro, anche se disciplinato dal contratto collettivo. L'attività di integrazione e/o specificazione del Codice nazionale presuppone una mappatura dei processi cui far seguire l'analisi dei rischi e l'individuazione dei doveri di comportamento tale da determinare un sistema completo di valori fondamentali che siano in grado di rappresentare all'esterno quali sono gli standard che l'amministrazione richiede ai propri dipendenti e collaboratori.

L'adozione del Codice e il suo aggiornamento periodico dovranno avvenire con il coinvolgimento degli stakeholder, la cui identificazione è rimessa alle singole Amministrazioni. Il Codice di comportamento viene redatto dal R.P.C.T., il quale si avvale dell'Ufficio di disciplina, e quindi lo sottopone all'organo di indirizzo politico amministrativo per la sua adozione. Una volta adottato, il Codice viene inviato all'Autorità Anticorruzione, unitamente alla relazione illustrativa, ai fini del rilascio del parere obbligatorio prescritto per legge. Il Codice di comportamento è recepito, in allegato, nei contratti collettivi nazionali di lavoro dove deve essere coordinato con le previsioni negoziali in materia di responsabilità disciplinare. Esso è consegnato in copia al dipendente al momento della assunzione in servizio.

Il combinato disposto dell'art. 54 T.U.P.I. e del d.P.R. n. 62/2013 è poi compendiato dalle Linee Guida adottate dall'Autorità Nazionale Anticorruzione, dapprima con delibera n. 75/2013 – sulla cui base sono stati adottati i Codici di comportamento attualmente vigenti – e, successivamente, con delibera n. 177/2020, recante nuove «Linee guida in materia di Codici di comportamento delle Amministrazioni pubbliche» al fine di promuovere un sostanziale rilancio degli atti regolatori in esame presso le PP.AA., orientando le condotte di chi lavora nell'Amministrazione verso il miglior perseguimento dell'interesse pubblico.

Segue. Fondamento costituzionale dei Codici di comportamento

Fonte primaria della disciplina sui Codici di comportamento è la Costituzione, che impone che le funzioni pubbliche siano svolte con imparzialità (art. 97 Cost.), al servizio esclusivo della Nazione (art. 98 Cost.) e con «disciplina e onore» (art. 54, comma 2, Cost.).

Le statuizioni costituzionali sono riempite di contenuto dal d.P.R. n. 62/2013, il quale, in tema di azione amministrativa, detta disposizioni specifiche sulle modalità cui il dipendente pubblico deve ispirare la propria condotta. I principi generali sono improntati, nel rispetto della Costituzione, al servizio della Nazione con disciplina e onore e all'esercizio imparziale dei propri compiti e funzioni nel perseguimento dell'interesse pubblico senza abuso della posizione o del potere di cui si è titolari (art. 3, comma 1, d.P.R. 62/2013). Come osservato dall'ANAC, «I singoli «doveri» imposti dal legislatore per il dipendente pubblico negli articoli dal 4 al 14 del d.P.R. n. 62/2013 traducono [...] i suddetti principi costituzionali in regole e obblighi di condotta che i destinatari del codice sono tenuti ad osservare. Tali doveri consentono di orientare la tipizzazione delle condotte lecite e di quelle illecite e, quindi, di aiutare gli stessi destinatari del codice, oltre a coloro che esercitano la vigilanza, a valutare i comportamenti coerenti o meno rispetto alle previsioni generali. Si pensi a titolo esemplificativo a come il principio costituzionale di imparzialità viene declinato nella prescrizione dettata nel comma 5 dell'art. 3 del codice di comportamento nazionale in base al quale, nei rapporti con i destinatari dell'azione amministrativa, «il dipendente assicura la piena parità di trattamento a parità di condizioni, astenendosi, altresì, da azioni arbitrarie che abbiano effetti negativi sui destinatari dell'azione amministrativa o che comportino discriminazioni basate su sesso, nazionalità, origine etnica, caratteristiche genetiche, lingua, religione o credo, convinzioni personali o politiche, appartenenza a una minoranza nazionale, disabilità, condizioni sociali o di salute, età e orientamento sessuale o su altri diversi fattori»» (delibera ANAC n. 177/2020).

Ulteriori applicazioni del principio di imparzialità si rinvengono nelle disposizioni concernenti la percezione di regali, compensi ed altre utilità (art. 4) al fine di preservare il prestigio e l'imparzialità dell'amministrazione; la partecipazione ad associazioni ed organizzazioni (art. 5); la prevenzione dei conflitti di interessi e gli obblighi di astensione (artt. 6 e 7).

Segue. Collegamenti del Codice di comportamento con il P.T.P.C.T.

Una delle novità di maggior rilievo introdotta dalla disciplina sui Codici di comportamento, è costituita dall'affermazione di un collegamento biunivoco tra i Codici e il Piano Triennale per la Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza di ogni PP.AA..

Il Legislatore anticorruzione, invero, ha dato ampio spazio, nella redazione del Piano, alle misure di tipo soggettivo che ricadono sul singolo funzionario pubblico nello svolgimento delle attività che sono declinate nel Codice di comportamento delle singole Amministrazione.

Sotto quest'ottica prospettica, dunque, anche il Codice di comportamento concorre a creare «un sistema di prevenzione della corruzione che ottimizzi tutti gli strumenti di cui l'amministrazione dispone, mettendone in relazione i contenuti» (delibera ANAC n. 177/2019, cit.). Ciò comporta che la definizione delle misure oggettive di prevenzione della corruzione da inserire nel Piano all'esito della mappatura dei rischi richiede la parallela individuazione dei doveri soggettivi di concorrono alla piena realizzazione delle suddette misure.

Tale stretta connessione è confermata dalla previsione, ai sensi dell'art. 54, comma 3, del d.lgs. n. 165/2001, della responsabilità disciplinare per violazione dei doveri contenuti nel Codice di comportamento, ivi inclusi i doveri relativi all'attuazione del P.T.P.C.T.. Tale previsione generale è poi compendiata dalle specifiche disposizioni del Codice di comportamento nazionale, il quale annovera, tra i doveri che i destinatari del codice sono tenuti a rispettare, quello dell'osservanza delle prescrizioni del Piano Anticorruzione (art. 8) e stabilisce che l'Ufficio Procedimenti Disciplinari delle singole Amministrazioni conformi la propria attività di vigilanza alle eventuali previsioni contenute nel medesimo P.T.P.C.T..

I Piani e i Codici, inoltre, sono trattati unitariamente sotto il profilo sanzionatorio nell'art. 19, comma 5, del d.l. n. 90/2014: in caso di mancata adozione, per entrambi, è prevista una stessa sanzione pecuniaria irrogata dall'ANAC.

L'Autorità Anticorruzione (delibera ANAC n. 177/2019, cit.) ha ritenuto, in analogia a quanto previsto per il P.T.P.C., che la predisposizione del Codice di comportamento spetti al Responsabile Anticorruzione, onerato altresì dell'obbligo di curare la diffusione e l'attuazione di entrambi gli strumenti (si v. art. 1, comma 10, l. n. 190/2012 e art. 15, comma 3, d.P.R. n. 62/2013).

La stretta connessione tra i due strumenti – P.T.P.C.T. e Codici di comportamento – non elide in ogni caso la sostanziale differente funzione e i conseguenti effetti giuridici che producono. Le misure declinate nel Piano Anticorruzione, invero, «sono di tipo oggettivo e incidono sull'organizzazione dell'Amministrazione; i doveri declinati nel Codice di comportamento operano, invece, sul piano soggettivo, in quanto sono rivolti a chi lavora nell'amministrazione ed incidono sul rapporto di lavoro del funzionario, con possibile irrogazione, tra l'altro, di sanzioni disciplinari in caso di violazione.

Anche sotto il profilo temporale si evidenzia che mentre il P.T.P.C.T. è adottato dalle amministrazioni ogni anno ed è valido per il successivo triennio, i codici di amministrazioni sono tendenzialmente stabili nel tempo, salve le integrazioni o le modifiche dovute all'insorgenza di ripetuti fenomeni di cattiva amministrazione che rendono necessaria la rivisitazione di specifici doveri di comportamento in specifiche aree o processi a rischio. È, infatti, importante che il sistema di valori e comportamenti attesi in un'amministrazione si consolidi nel tempo e sia così in grado di orientare il più chiaramente possibile i destinatari del codice. Se i cambiamenti fossero frequenti si rischierebbe di vanificare lo scopo della norma. È poi rimessa alla scelta discrezionale di ogni amministrazione la possibilità che il codice di comportamento, anche se non modificato nei termini di cui sopra, sia allegato al P.T.P.C.T.» (delibera ANAC n. 177/2019, cit.).

Segue. I principi del Codice

Gli ambiti generali previsti dal Codice nazionale entro cui le Amministrazioni definiscono i doveri, avuto riguardo alla propria struttura organizzativa, possono essere ricondotti a cinque:

a) i rapporti col pubblico;

b) la correttezza e buon andamento del servizio;

c) la collaborazione attiva dei dipendenti e degli altri soggetti cui si applica il codice per prevenire fenomeni di corruzione e di malamministrazione;

d) il comportamento nei rapporti privati;

e) la prevenzione dei conflitti di interesse, reali e potenziali.

La magna pars del Codice è dedicata ai principi etici dell'esclusività e onorabilità del servizio alla Nazione, del rispetto della legalità, del perseguimento esclusivo dell'interesse pubblico, della totale indipendenza ed imparzialità. Tra di essi il d.P.R. annovera tra gli obblighi fondamentali quello di generare rapporti di fiducia e di collaborazione con i cittadini, favorendone l'esercizio dei diritti attraverso l'informazione, la semplificazione delle procedure ed ogni altro atteggiamento di disponibilità.

Particolare attenzione viene prestata ad alcuni profili comportamentali, diffusi nel costume e nelle abitudini.

Si pensi all'accettazione di compensi da terzi per le prestazioni d'ufficio: sul punto, il d.P.R. reca il divieto assoluto di fare od accettare regali od altre utilità che non siano di modico valore (c.d. munuscula), in ragione del rapporto di lavoro.

Tra i comportamenti censurati dal Codice, inoltre, vi è quello di sfruttare la propria posizione in seno alla P.A. per ottenere benefici o utilità non spettanti e di usare attrezzature e materiali dell'Amministrazione per scopi privati, come l'uso del telefono, ammesso solo in casi di urgenza.

L'obbligo di lealtà è sancito dal divieto di rendere dichiarazioni pubbliche a detrimento dell'immagine della P.A., salvo l'esercizio dei diritti costituzionalmente garantiti.

Infine, l'art. 4 del D.L. 30 aprile 2022, n. 36, conv. con mod. in L. 79/2022, e il d.P.R. n. 81/2023 che ne garantito il recepimento del Codice di Comportamento nazionale, ha introdotto specifiche previsioni in materia di utilizzo delle tecnologie informatiche, dei mezzi di informazione e dei social media: la loro capillare diffusione, invero, ha indotto il Legislatore della riforma a dedicare una specifica sezione del Codice di comportamento al corretto utilizzo delle citate tecnologie da parte dei dipendenti pubblici, anche al fine di tutelare l'immagine della P.A..

Segue. Il conflitto di interessi

Uno dei profili più delicati inerenti alla tensione dell'attività amministrativa al perseguimento nell'interesse pubblico, nella logica della buona amministrazione, risiede nella disciplina del conflitto di interessi. Il Legislatore Anticorruzione, invero, dedica particolare attenzione alle ipotesi in cui interessi personali e particolari dei dipendenti pubblici possano interferire con il perseguimento dell'interesse collettivo cui è preordinata l'attività amministrativa, frustrandone le finalità. Di qui la predisposizione di un impianto normativo generale (costituito dal combinato disposto di cui agli artt. 6-bis della l. n. 21/1990 e 7 del d.P.R. n. 62/2013), accompagnato da una serie di disposizioni di settore.

In linea generale, il conflitto di interessi può essere definito come la situazione in cui l'interesse secondario di una persona tende a interferire con l'interesse primario di un'altra parte, verso cui la prima ha precisi doveri e responsabilità.

Il conflitto di interessi “non consiste in comportamenti dannosi per l'interesse funzionalizzato, ma in una condizione giuridica o di fatto dalla quale scaturisce un rischio di siffatti comportamenti, un rischio di danno. L'essere in conflitto e abusare effettivamente della propria posizione sono due aspetti distinti» (Cons. St. parere n. 667/2019). Secondo tale interpretazione, dunque, si può ritenere sussistente il conflitto di interessi ogni volta che le decisioni che richiedono imparzialità e genuinità di giudizio siano adottate da un soggetto che abbia, anche solo potenzialmente, interessi privati in contrasto col preminente interesse pubblico al quale è preposto.

Il conflitto di interessi può avere ad oggetto sia utilità materiali che immateriali, patrimoniali e non, purché riconducibili al soggetto preposto a quella determinata funzione pubblica che verrebbe compromessa dal soddisfacimento dell'interesse privato del soggetto o di terzi.

A livello concettuale, il conflitto di interessi può essere:

a) attuale, ovvero presente al momento dell'azione o decisione del dipendente pubblico;

b) potenziale, ovvero che potrà diventare attuale in un momento successivo;

c) apparente, ovvero che può essere percepito dall'esterno come tale;

d) diretto, ovvero che comporta il soddisfacimento di un interesse del dipendente pubblico;

e) indiretto, ovvero che attiene a entità o individui diversi dal dipendente pubblico, ma allo stesso collegati.

La disciplina del conflitto di interessi nella Pubblica Amministrazione rinviene la sua fonte primaria nei costituzionali di imparzialità e buon andamento.

Sul pubblico dipendente, invero non gravano solo doveri di erogare la propria prestazione lavorativa alla P.A. dalla quale dipende: sullo stesso incombono altresì doveri connessi alle funzioni pubbliche svolte, esigibili dall'Amministrazione di appartenenza ma cui il funzionario è tenuto anche nei confronti della società e dei cittadini.

La necessità dell'adozione di una specifica disciplina deriva dal rischio che un'azione viziata da conflitto di interessi da parte del dipendente possa ripercuotersi negativamente sull'andamento del procedimento amministrativo, compromettendone, anche solo potenziale, l'imparzialità di giudizio nei confronti dei destinatari dell'attività amministrativa e dei terzi.

L'istituto in esame è stato generalizzato, come anticipato, dalla Legge Severino, che ha introdotto l'art. 6 -bis nel corpus dellal. n.241/1990. La nuova disposizione prevede un generale obbligo di astensione del dipendente pubblico, nel corso del procedimento amministrativo, al ricorrere di una situazione di conflitto di interessi che possa interessarlo. La presenza di un conflitto «anche potenziale» valorizza la ratio normativa, volta a impedire ogni situazione di interferenza, rendendo «assoluto» il vincolo di astensione, a fronte di qualsiasi posizione che possa, anche in astratto, comprimere la libertà di determinazione imparziale.

In particolare, a mente della citata norma “Il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale”.

Rinviando per l'esame dell'istituto al commento subart. 6-bis l. n. 241/1990, in questa sede preme soffermare l'attenzione sul disposto di cui all'art. 7 del Codice di comportamento di cui ald.P.R. n.62/2013, che soccorre alla mancanza di una definizione normativa di conflitto di interesse da parte della Legge sul procedimento amministrativo. La citata disposizione, invero impone a sua volta l'obbligo di astensione del dipendente dalla partecipazione all'adozione di decisioni o attività (in parte qua «doppiando» le prescrizioni di cui all'art. 6-bis l. n. 241/1990) che possano coinvolgere gli interessi “propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero i soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull'astensione decide il responsabile dell'ufficio di appartenenza”. In tutti questi casi, dunque, al dipendente compete un dovere di informare dell'esistenza di taluno di questi casi di conflitto il proprio dirigente, al quale spetta decidere se le ragioni esposte siano effettivamente tali da trasferire ad altro collaboratore l'istruttoria di quella specifica pratica o meno. Se il dirigente non ritenesse fondate le supposte dichiarate ragioni di conflitto, il dipendente sarà tenuto ad uniformarsi e a provvedere a svolgere l'attività richiesta.

Va precisato, peraltro, che la giurisprudenza ha enfatizzato il carattere “anche potenziale” del conflitto di interessi, ravvisandone la sua configurabilità anche in ipotesi in cui sia ininfluente che esso si sia nel concreto realizzato, ove si consideri che gli obblighi imposti al pubblico dipendente mirano a garantire la trasparenza e l'imparzialità dell'azione amministrativa e, ad un tempo, a prevenire fenomeni di corruzione (Cons. St. n. 22683/2018).

Si è detto che la disciplina generale recata dal combinato disposto di cui agli artt. 6-bis l. n. 241/1990 e 7 del d.P.R. n. 62/2013, è accompagnata da numerose disposizioni che disciplinano specifiche fattispecie di conflitto di interesse.

Tra le tante, merita particolare attenzione la disciplina del conflitto di interessi nelle procedure a evidenza pubblica, recata dall' art. 16 del D.Lgs. n. 36/2023. Tale disposizione è finalizzata a preservare la contrattualistica pubblica dal rischio di ingerenze, garantendo l'uguaglianza delle posizioni, la parità di trattamento, e la conseguente tutela della concorrenza, l'immagine imparziale del potere pubblico, e, dunque, il prestigio della Pubblica Amministrazione (A. Lalli). Per l'esame esaustivo della disposizione si rinvia al commento sub art. 16 d.lgs. n. 36/2023.

Segue. Codice di comportamento e performance

L'elaborazione di un sistema anticorruzione organico impone il «dialogo», come rilevato dalla medesima ANAC, tra il Codice di comportamento e il sistema di misurazione e valutazione della performance, in guisa che il dipendente, nel raggiungimento degli obiettivi fissati dal Piano degli obiettivi, «assicuri, anche attraverso il proprio stile operativo, un'azione rispettosa sia dei principi di buon andamento e imparzialità di cui all'art. 97 della Costituzione, sia dei doveri contenuti nei codici di comportamento» (delibera ANAC n. 177/2019, cit.).

Di qui la necessità che si tenga conto di tale «osmosi» nella predisposizione dei Codice di comportamento delle PP.AA., mediante la previsione dell'incidenza negativa della sua violazione sulla valutazione della performance, a prescindere dal livello di raggiungimento degli altri risultati, ovvero individuando il livello di osservanza del Codice quale elemento rilevante ai fini della valutazione della performance.

Segue. La vigilanza

Particolare attenzione è destinata all'attività di vigilanza sul rispetto del Codice. Anche con riferimento al Codice di comportamento, la normazione anticorruzione individua un doppio livello di controllo, interno ed esterno.

Innanzitutto, la vigilanza è attribuita ai dirigenti responsabili di ciascuna struttura (art. 54, comma 6, T.U.P.I.; artt. 13 e 15 d.P.R. n. 62/2013), che ricevono le comunicazioni dei dipendenti assegnati all'ufficio, riguardanti i rapporti intercorsi con soggetti privati e le situazioni di conflitto di interesse e decide sull'obbligo di astensione (artt. 6 e 7 del d.P.R. 62/2013), segnalandoli all'Ufficio di Disciplina o attivando egli stesso i procedimenti disciplinari nei casi consentiti dalla legge (art. 55-bis ss. d.lgs. n. 165/2001), oltre che tenendone conto in sede di valutazione della performance individuale dei dipendenti. Di qui l'obbligo, in capo ai dirigenti di promuovere e favorire la corretta interpretazione e attuazione del Codice di comportamento.

Funzioni di vigilanza possono essere attribuiti anche alle strutture di controllo interno, tra le quali l'Organismo di Valutazione, che svolge attività di supervisione sull'applicazione del Codice, riferendone nella relazione annuale sul funzionamento complessivo del Sistema di valutazione, trasparenza e integrità dei controlli interni.

Ove invece la violazione al Codice di comportamento venga perpetrata dai titolari di posizione dirigenziale e/o di vertice, le PP.AA. individuano nel medesimo Codice la struttura idonea all'accertamento, in contradditorio con l'interessato, e alla comunicazione all'ufficio o all'organo che ha conferito l'incarico ai fini della valutazione e risoluzione del contratto (ad avviso dell'Autorità Anticorruzione, tale compito potrebbe essere affidato all'UPD o a una struttura di controllo interno: delibera ANAC n. 177/2019, cit.).

Il potere esterno di vigilanza sull'osservanza del Codice di comportamento è invece rimesso dal Legislatore anticorruzione all'ANAC (art. 19, comma 5, lett. b), d.l. n. 90/2014), la quale, all'esito di specifico procedimento sanzionatorio disciplinato dal «Regolamento per l'esercizio del potere sanzionatorio dell'Autorità per la mancata adozione dei P.T.P.C. e dei Codici dii comportamento» del 7 ottobre 2014, irroga a ciascuno dei soggetti obbligati una sanzione pecuniaria in misura correlata alle responsabilità accertate nella omessa adozione, definita entro i limiti minimi e massimi indicati dal citato art. 19 e con l'applicazione dei criteri generali di cui alla l. n. 689/1981.

L'Autorità è altresì titolare di un potere consultivo sulle problematiche generali relative ai comportamenti dei dipendenti pubblici, potendo esprimere, «parere obbligatorio sugli atti di direttiva e di indirizzo, nonché sulle circolari del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione in materia di conformità di atti e comportamenti dei funzionari pubblici alla legge, ai codici di comportamento e ai contratti, collettivi e individuali, regolanti il rapporto di lavoro pubblico», ai sensi dell'art. 1, comma 2, lett. d), della l. n. 190/2012.

Il whistleblower (rinvio)

L'art. 54-bis del d.lgs. n. 165/2001, anch'esso introdotto dalla Legge Severino nella nota logica di individuazione di strumenti efficaci di repressione e prevenzione dei fenomeni corruttivi e di cattiva amministrazione, prevede che il pubblico dipendente che, nell'interesse dell'integrità della P.A., segnala al R.P.C.T. o all'ANAC, ovvero denuncia all'autorità giudiziaria ordinaria o contabile condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione. L'adozione di misure ritenute ritorsive nei confronti del segnalante è comunicata in ogni caso all'ANAC dall'interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell'Amministrazione nella quale le stesse sono state poste in essere e sono oggetto di specifica disciplina sanzionatoria.

La norma, inoltre, garantisce l'anonimato del segnalante; per tali ragioni, la segnalazione è sottratta all'accesso di cui alla l. n. 241/1990.

La disciplina recata dalla norma in parola è completata dalle «Linee guida in materia di tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza in ragione di un rapporto di lavoro, ai sensi dell'art. 54-bis, del d.lgs. n. 165/2001 (cd. whistleblowing), dettate dall'ANAC condelibera n.469/2021.

La disciplina in esame è stata da ultimo novellata dal D.Lgs. 10 marzo 2023, n. 24, il quale, in attuazione della direttiva comunitaria n. 2019/1937, ha introdotto le c.d. “segnalazioni esterne”. Il nuovo Decreto prevede, oltre alla ordinaria facoltà, in capo ai segnalanti, di rivolgere segnalazioni attraverso canali interni all'organizzazione, anche la possibilità di rivolgere all'A.N.A.C. segnalazioni esterne. Si tratta di un canale di comunicazione indipendente e autonomo rispetto all'Ente di appartenenza, a ulteriore garanzia dell'efficacia della disciplina e di tutela del segnalante. L'Autorità Nazionale Anticorruzione è l'unico soggetto competente a valutare tali segnalazioni esterne e a decidere l'eventuale applicazione delle sanzioni amministrative.

Per un esame completo dell'istituto in commento si rinvia al commento sub art. 54-bis T.U.P.I.

La formazione dei pubblici dipendenti

Tra le principali misure di prevenzione della corruzione da disciplinare e programmare nell'ambito del P.T.P.C.T. rientra la formazione dei dipendenti in materia di etica, integrità e altre tematiche inerenti al rischio corruttivo.

In effetti, il ruolo centrale nel contrasto ai fenomeni corruttivi della formazione del personale, è stata da sempre, ben prima della Legge Severino, considerata una leva fondamentale per l'attuazione dei principi di buona amministrazione di cui all'art. 97 Cost. (in tal senso v. Circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica n. 14/1995). Di qui, la necessità di piani programmatici formativi, annuali e triennali, che garantisca l'aggiornamento e la formazione, anche “etica” dei dipendenti pubblici (così la Direttiva 13 dicembre 2001 del Ministro per la Funzione Pubblica su «Formazione e valorizzazione del personale delle Pubbliche Amministrazioni», cd. “Direttiva Frattini”). I Piani formativi devono essere ispirati ad un processo ciclico di miglioramento progressivo, basato sull'analisi dei fabbisogni formativi dei dipendenti, sulla individuazione delle diverse iniziative formative e delle risorse disponibili, nonché sulla valutazione della loro efficacia, in vista dell'aggiornamento del Piano formativo triennale.

E tuttavia, non può tacersi come, in controtendenza con l'affermata centralità della formazione, le politiche di spending rewiew degli ultimi anni ha introdotto significativi tagli ai costi della formazione, con la conseguente necessità della centralizzazione del sistema formativo (art. 7, comma 13, d.l. n. 78/2010), il che, come rilevato dal P.N.A. 2016 (delibera ANAC n. 831/2016), comporta inevitabilmente il sacrificio delle insopprimibili esigenze di personalizzazione della domanda formativa in ragione delle specificità dei singoli Enti.

Di tali criticità, peraltro, si è fatto carico lo stesso Legislatore, che ha alfine escluso le spese per la formazione obbligatoria dai limiti della spending rewiew (v. d.lgs. n. 124/2019).

Come rilevato dal P.N.A. 2019 (delibera ANAC n. 1064/2019, cit.), “l'incremento della formazione dei dipendenti, l'innalzamento del livello qualitativo e il monitoraggio sulla qualità della formazione erogata in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza possono costituire obiettivi strategici che gli organi di indirizzo dell'amministrazione sono tenuti ad individuare quale contenuto necessario del P.T.P.C.”.

La Legge Severino, infatti, stabilisce, infatti, che il Piano debba prevedere, per le attività a più elevato rischio di corruzione, percorsi e programmi di formazione, anche specifici e settoriali, dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni sui temi dell'etica e della legalità (art. 1, comma 9, lett. b) e c).

L'attenzione del Legislatore alla formazione dei dipendenti è stata da ultimo confermata dalla riforma dell'art. 54 T.U.P.I. ad opera dell'art. 4 del D.L. 30 aprile 2022, n. 36, conv. con mod. in L. 79/2022, il quale ha espressamente introdotto l'obbligo, per le Pubbliche Amministrazioni, di prevedere "lo svolgimento di un ciclo formativo obbligatorio, sia a seguito di assunzione, sia in ogni caso di passaggio a ruoli o a funzioni superiori, nonché di trasferimento del personale, le cui durata e intensità sono proporzionate al grado di responsabilità, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente, sui temi dell'etica pubblica e sul comportamento etico".

La responsabilità della formazione del personale è attribuita al Responsabile Anticorruzione, che ne garantisce l'effettiva realizzazione, prevedendo percorsi formativi differenziati per i dipendenti assegnati a settori “sensibili” ai rischi corruttivi. A tal fine, il R.P.C.T. individua, in raccordo con i dirigenti responsabili delle risorse umane e con l'organo di indirizzo, i fabbisogni e le categorie di destinatari degli interventi formativi.

I meccanismi di post-employment: il divieto di pantouflage (rinvio)

La Legge Severino ha altresì introdotto il comma 16 -ter nell'art. 53, T.U.P.I., che reca il cd. divieto di pantouflage (o “incompatibilità successiva”), un istituto particolarmente innovativo, introdotto nel nostro ordinamento al fine di contenere il rischio di situazioni di corruzione connesse all'impiego del dipendente successivo alla cessazione del rapporto di lavoro con la Pubblica Amministrazione.

La previsione di misure in materia di post-employment è invero preordinata a ridurre i rischi connessi all'uscita del dipendente dalla sfera pubblica e al suo passaggio, per qualsivoglia ragione, al settore privato. Come chiarito già nel P.N.A. del 2013, “il rischio valutato dalla norma è che durante il periodo di servizio il dipendente possa artatamente precostituirsi delle situazioni lavorative vantaggiose e così sfruttare a proprio fine la sua posizione e il suo potere all'interno dell'amministrazione per ottenere un lavoro presso l'impresa o il soggetto privato con cui entra in contatto. La norma prevede quindi una limitazione della libertà negoziale del dipendente per un determinato periodo successivo alla cessazione del rapporto per eliminare la «convenienza» di accordi fraudolenti”.

Per un esame completo dell'innovativo istituto si rinvia al commento sub art. 53 TUPI.

La trasparenza quale strumento anticorruzione

L'adozione della l. n. 190/2012 ha segnato il passo anche in materia di trasparenza amministrativa, la quale diviene nella Legge Severino strumento importante per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella Pubblica Amministrazione.

Invero, il Legislatore ha inteso affermare il generale principio di trasparenza, intesa come accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle Pubbliche Amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini e promuovere la partecipazione degli interessati all'attività amministrativa, in attuazione del principio democratico e i canoni costituzionali di eguaglianza, imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell'utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla nazione. Essa è condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, dei diritti civili, politici e sociali, integra il diritto ad una amministrazione aperta, al servizio del cittadino. La riforma risponde e concretizza, dunque, l'idea di Amministrazione quale «casa di vetro», il cui operato è completamente intellegibile dai consociati, nell'attuazione di forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche.

La l. n. 120/2012 ha pertanto delegato il Governo a provvedere al complessivo riordino della disciplina degli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione delle informazioni da parte delle PP.AA., che diviene asset principale nell'attività anticorruzione. La delega è stata attuata con il d.lgs. n.33/2013, poi profondamente rivista e semplificata dalle disposizioni del d.lgs. n. 97/2016 (c.d. FOIA), che disciplinato organicamente la materia, introducendo altresì gli innovativi istituti dell'accesso civico e dell'accesso universale.

Rinviando al commento subd.lgs. n. 33/2013 per l'esame puntuale della disciplina recate dalla d.lgs. n. 33, in questa sede preme evidenziare la stretta connessione tra trasparenza e anticorruzione, della quale la prima costituisce uno degli strumenti nevralgici più significativi.

Tanto è testimoniato dalla particolare attenzione che sia il Dipartimento della Funzione Pubblica che l'ANAC hanno dedicato alla materia, con l'adozione di una serie di circolari, indicazioni e Linee Guida atte a garantirne – e chiarirne – la portata applicativa. Tra le tanta, merita di essere segnalata la circolare n. 2/2017 del D.F.P., recante «Attuazione delle norme sull'accesso civico generalizzato (c.d. FOIA)», con la quale ha fornito alle Amministrazioni pubbliche chiarimenti operativi, riguardanti il rapporto con i cittadini e la dimensione organizzativa e procedurale interna ritenuta necessaria, adattandola alla dimensione dell'ente, esprimendo nella stessa circolare raccomandazioni operative riguardanti i seguenti profili: modalità di presentazione della richiesta; uffici competenti; tempi di decisione; controinteressati; rifiuti non consentiti; dialogo con i richiedenti, registro degli accessi.

Con riferimento all'ANAC, di particolare importanza è la delibera n. 1309/2016 con la quale l'Autorità ha adottato le «Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti di accesso civico». Il documento è stato pubblicato sulla G.U. s.g. n. 7 del 10 gennaio 2017 e ha fornito una prima serie di indicazioni relative alle esclusioni e ai limiti all'accesso civico generalizzato, disciplinati dall'art. 5-bis del d.lgs. n. 33/2013.

I soggetti responsabili della trasparenza

Il principale momento di raccordo tra obblighi di trasparenza e attività anticorruzione è individuato dal d.lgs. n. 33 nelle funzioni assegnate al Responsabile e al Piano Anticorruzione.

Con riferimento al primo, l'art. 43 del Decreto assegna al Responsabile Anticorruzione le funzioni di Responsabile per la Trasparenza, richiedendone la relativa indicazione nel Piano Triennale per la Prevenzione della Corruzione.

Ha sul punto chiarito l'Autorità Anticorruzione, nel P.A. 2019 che “solo laddove esistano obiettive difficoltà organizzative da giustificare la distinta attribuzione dei ruoli, è possibile mantenere separate le figure di R.P.C.T. e di R.T.. Ciò si può verificare, ad esempio, in organizzazioni particolarmente complesse ed estese sul territorio e al solo fine di facilitare l'applicazione effettiva e sostanziale della disciplina sull'anticorruzione e sulla trasparenza. È comunque necessario che le amministrazioni chiariscano espressamente le motivazioni di questa eventuale scelta nei provvedimenti di nomina del R.P.C. e R.T. e garantiscano il coordinamento delle attività svolte dai due responsabili, anche attraverso un adeguato supporto organizzativo” (delibera ANAC n.1064/2019, cit.).

Il Responsabile svolge stabilmente un'attività di controllo sull'adempimento da parte dell'Amministrazione degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente, assicurando la completezza, la chiarezza e l'aggiornamento delle informazioni pubblicate, nonché segnalando all'organo di indirizzo politico, all'Organismo Indipendente di Valutazione, all'ANAC e – nei casi più gravi – all'ufficio di disciplina i casi di mancato o ritardato adempimento degli obblighi di pubblicazione.

Al Responsabile sono inoltre attribuiti specifici poteri istruttori: egli può chiedere agli uffici informazioni sull'esito delle istanze ed è dotato di un generale potere di riesame, su istanza di parte, in caso di diniego totale o parziale dell'accesso civico o di mancata risposta entro il termine di legge. Nel caso in cui la richiesta di accesso civico riguardi informazioni o documenti oggetto di pubblicazione obbligatoria, il R.P.C.T. ha l'obbligo di effettuare le segnalazioni di cui si è detto in precedenza all'organo di indirizzo politico, all'Organismo di Valutazione e all'Ufficio di disciplina.

Con riferimento al Piano Triennale Anticorruzione, il d.lgs. n. 97/2016 ha semplificato la pianificazione in materia, rendendo il Piano per la Trasparenza una sezione del P.T.P.C.T.

Pur se semplificata nella forma, la Sezione Trasparenza del Piano non ha perso la sua natura di atto di programmazione in materia di trasparenza, dovendo indicare i responsabili della trasmissione e della pubblicazione dei documenti, delle informazioni e dei dati nonché individuare le misure organizzative che l'Ente intende attuare per adempiere ai propri obblighi ostensivi. Come per il Piano Anticorruzione, sia la predisposizione che l'attuazione della Sezione Trasparenza avviene con il coinvolgimento di tutti i Responsabili, sotto il coordinamento e la sorveglianza del R.P.C.T.

L'efficace attuazione delle misure di trasparenza, peraltro, suggerirebbe, anche per tale profilo, il collegamento con il ciclo di valutazione della performance individuale e organizzativa, della quale potrebbe costituirne uno specifico obiettivo.

In punto di vigilanza e sanzioni, infine, va precisato che l'inadempimento agli obblighi di pubblicazione stabiliti dalle norme vigenti o la mancata predisposizione del P.T.P.C.T., costituiscono elementi di valutazione della responsabilità dirigenziale e possono essere ritenuti causa di responsabilità erariale per danno all'immagine della P.A. Sono inoltre valutati ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei responsabili.

La violazione degli obblighi di pubblicazione comporta altresì una sanzione amministrativa pecuniaria, irrogata dall'Autorità Nazionale Anticorruzione, che ne disciplina con proprio regolamento, nel rispetto della l. n. 689/1981, il relativo procedimento.

Il Responsabile per la Trasparenza non risponde dell'inadempimento degli obblighi predetti se prova che lo stesso è dipeso da causa a lui non imputabile.

La comunicazione istituzionale e la trasparenza dell'azione amministrativa

Merita infine un cenno l'ultima frontiera dell'attività comunicativa della P.A. La comunicazione istituzionale, pur non concretandosi in uno strumento di trasparenza amministrativa in senso tecnico, può senz'altro costituirne una modalità di implementazione, potenziando e ampliando i canali comunicativi pubblici verso l'esterno, secondo il paradigma della «libertà di informazione», rafforzando la capacità di interazione tra Istituzioni e cittadini.

La comunicazione pubblica istituzionale si può definire come «il tipo di comunicazione realizzata in modo organizzato da un'Istituzione o dai suoi rappresentanti e diretta ai cittadini e ai gruppi dell'ambiente sociale in cui svolge la sua attività con l'obiettivo di stabilire relazioni di qualità tra l'istituzione stessa e il pubblico con cui si relaziona» (La Porte, 18).

La comunicazione di una Pubblica Amministrazione ha come finalità principali quelle di far conoscere l'Amministrazione, i servizi e i progetti dell'ente; facilitare l'accesso ai servizi e agli atti della P.A.; conoscere e rilevare i bisogni dell'utenza; migliorare l'efficacia e l'efficienza dei servizi; favorire i processi di sviluppo sociale, economico e culturale; accelerare la modernizzazione di apparati e servizi; svolgere azioni di sensibilizzazione.

A livello di normazione positiva, la necessità di definire azioni coerenti e programmate nell'ambito della comunicazione istituzionale è stata recepita e disciplinata dalla l. n.150/2000, che ne stabilisce contenuti e modalità, confermando in modo netto e definitivo il carattere obbligatorio della comunicazione istituzionale.

A mente della citata normativa, le Amministrazioni pubbliche devono elaborare annualmente il «Programma delle iniziative di comunicazione» che intendono realizzare nell'anno successivo, da trasmettersi al Dipartimento per l'informazione e l'editoria, che redigerà il piano di comunicazione nazionale sottoposto all'approvazione del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Il Piano di comunicazione rappresenta dunque lo strumento fondamentale per garantire l'efficacia delle azioni di comunicazione, La stesura e la gestione del piano può essere affidata ad un soggetto esterno specializzato, quale, ad esempio, a un'agenzia di comunicazione, la quale si avvale di professionalità diverse per trasformare in soluzioni concrete le necessità di comunicazione dell'Ente.

L'ultima frontiera della comunicazione istituzionale è caratterizzata dalla diffusione di nuove e ulteriori forme di divulgazione, consistenti nella redazione di «bilanci» tematici che espongano, secondo la cultura della rendicontazione, l'operato delle P.A. su tematiche di particolare interesse socio-culturale.

Ne costituiscono esempi il «Bilancio Sociale» e il «Bilancio di Genere». Si tratta di strumenti redatti annualmente, in quanto si riferiscono allo stesso periodo amministrativo del bilancio d'esercizio, e sono finalizzati a «rendere conto in una prospettiva consuntiva e programmatica dei risultati prodotti e delle attività realizzate nel corso dell'anno, nei confronti dei portatori d'interessi» (Meli), rispettivamente, in materia dell'eliminazione delle disparità sociali connesse alla situazione socio-economica o al genere.

Merita menzione, inoltre, anche il «Bilancio Ambientale», che attraverso un sistema di «conti ambientali» consente di valutare gli impatti sull'ambiente delle politiche settoriali, sociali e di sviluppo attuate o da attuare da parte dell'Amministrazione.

Infine, va soggiunto, a riprova della centralità della comunicazione con i cittadini nelle condotte pubbliche, che di tale tema si occupa – sia pur indirettamente – anche il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici.

Si pensi, a titolo esemplificativo, all'art. 9, il quale prevede che: «1. Il dipendente assicura l'adempimento degli obblighi di trasparenza previsti in capo alle pubbliche amministrazioni secondo le disposizioni normative vigenti, prestando la massima collaborazione nell'elaborazione, reperimento e trasmissione dei dati sottoposti all'obbligo di pubblicazione sul sito istituzionale.

La tracciabilità dei processi decisionali adottati dai dipendenti deve essere, in tutti i casi, garantita attraverso un adeguato supporto documentale, che consenta in ogni momento la replicabilità».

L'art. 12, inoltre, è dedicato poi espressamente ai rapporti con il pubblico: «1. Il dipendente in rapporto con il pubblico si fa riconoscere attraverso l'esposizione in modo visibile del badge od altro supporto identificativo (...). Qualora non sia competente per posizione rivestita o per materia, indirizza l'interessato al funzionario o ufficio competente della medesima amministrazione. Il dipendente, fatte salve le norme sul segreto d'ufficio, fornisce le spiegazioni che gli siano richieste in ordine al comportamento proprio e di altri dipendenti dell'ufficio dei quali ha la responsabilità od il coordinamento».

Questioni applicative

1) Le norme attuative della legge «Severino», in materia di sospensione automatica dalle cariche elettive e di Governo, si pongono in contrasto con le competenze costituzionali delle regioni?

Negativa la risposta della Corte Costituzionale con le sentenze Corte cost. n. 236/2015 e Corte cost. n. 35/2021.

Con quest'ultima pronuncia la Corte delle Leggi risponde alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 8del d.lgs. 31 dicembre 2012, n.235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'art. 1, comma 63, della l. n. 190/2012) nella parte in cui prevede la sospensione automatica dalla carica di chi sia stato condannato in via non definitiva per reati di particolare gravità o commessi contro la pubblica amministrazione.

Con la sentenza n. 35 del 2021, la Corte costituzionale dichiara le questioni non fondate in quanto la sospensione automatica «non contrasta con l'art. 3 del Protocollo addizionale alla CEDU sulla tutela del diritto di voto attivo e passivo, come interpretato dalla Corte di Strasburgo», in quanto, in base alla giurisprudenza della Corte EDU, «i legislatori nazionali godono di un ampio margine di apprezzamento nella disciplina del diritto di elettorato passivo, in particolare quando viene in gioco la peculiare esigenza di garantire stabilità ed effettività di un sistema democratico nel quadro del concetto di «democrazia capace di difendere se stessa».

È questo è il caso «della disposizione censurata che, con la previsione di determinati requisiti di onorabilità degli eletti, mira a garantire l'integrità del processo democratico nonché la trasparenza e la tutela dell'immagine dell'amministrazione. Pertanto, la previsione dell'applicazione automatica della misura non contrasta con il citato art. 3 del Protocollo CEDU solo perché non affida ai giudici nazionali il potere di individualizzarla. In base alla giurisprudenza di Strasburgo, infatti, gli Stati contraenti possono scegliere se affidare al giudice la valutazione sulla proporzionalità della misura o incorporare questo apprezzamento nel testo della legge, attraverso un bilanciamento a priori degli interessi in gioco».

Il Tribunale rimettente aveva lamentato che la disposizione censurata – pur incidendo su una «materia almeno estremamente affine» a quella dell'eleggibilità e dell'incompatibilità dei consiglieri regionali, attribuita alla potestà delle regioni dall'art. 122,primo comma, Cost. – fosse stata adottata senza il previo raccordo con le regioni in sede di Conferenza unificata, in violazione del principio di leale collaborazione. Come visto, secondo il rimettente la disposizione censurata, pur espressione della competenza statale esclusiva in materia di «ordine pubblico e sicurezza», avrebbe inciso anche su una materia di competenza regionale, sicché il legislatore delegato avrebbe potuto adottarla solo dopo aver previamente coinvolto le regioni. A sostegno dell'assunto il giudice a quo aveva evocato la sentenza n. 251 del 2016, con cui questa Corte ha affermato che, quantunque il principio di leale collaborazione non si imponga al procedimento legislativo, «là dove [...] il legislatore delegato si accinge a riformare istituti che incidono su competenze statali e regionali, inestricabilmente connesse, sorge la necessità del ricorso all'intesa», la quale «si impone quale cardine della leale collaborazione anche quando l'attuazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale è rimessa a decreti legislativi adottati dal Governo sulla base dell'art. 76 Cost.», che finiscono «con l'essere attratti nelle procedure di leale collaborazione, in vista del pieno rispetto del riparto costituzionale delle competenze».

Non apparteneva al thema decidendum, invece, la censura di invasione della sfera di competenza regionale ex art. 122 Cost, anch'essa dedotta dal ricorrente nel giudizio principale, ma non condivisa dal rimettente, che ne aveva criticato la fondatezza, richiamando la tesi secondo cui la disciplina della sospensione dalle cariche elettive regionali non si inquadra negli istituti dell'eleggibilità e dell'incompatibilità, bensì in quello dell'incandidabilità, riconducibile alla diversa materia dell'ordine pubblico e sicurezza, di competenza esclusiva dello Stato.

Nel rispondere alla censura, la Corte osserva che il giudice rimettente, nel richiamare il citato precedente di cui alla sentenza n. 2521/2016, aveva omesso tuttavia di verificare se la disposizione statale censurata, che esso stesso riconduce a un titolo di competenza esclusiva dello Stato, incidesse effettivamente su ambiti materiali nei quali concorrono competenze statali e regionali legate da un intreccio inestricabile, non risolubile tramite un criterio di prevalenza di una materia sulle altre. Solo in un'ipotesi di questo tipo, infatti, «deve trovare applicazione il principio generale, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, sentenza n. 140/2015), secondo il quale in ambiti caratterizzati da una pluralità di competenze [...] e, qualora risulti impossibile comporre il concorso di competenze statali e regionali, tramite un criterio di prevalenza, non è costituzionalmente illegittimo l'intervento del legislatore statale, purché agisca nel rispetto del principio di leale collaborazione che deve in ogni caso permeare di sé i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie (ex plurimis, sentenze n. 44/2014, n. 237/2009, n. 168 e n. 50/2008) e che può ritenersi congruamente attuato mediante la previsione dell'intesa» (sentenza n. 1/2016). Impostazione, questa, sulla cui linea si pone la stessa evocata sentenza n. 251/2016, che, nel considerare applicabili le procedure di leale collaborazione all'iter di formazione dei decreti delegati nel caso di incidenza dell'intervento legislativo su competenze statali e regionali inestricabilmente connesse, la condiziona all'impossibilità di operare una «valutazione circa la prevalenza di una materia su tutte le altre», poiché solo ricorrendo questo presupposto la concorrenza di competenze rende necessario addivenire a un'intesa.

Occupandosi della disciplina che si è succeduta nel tempo in tema di incandidabilità alle cariche elettive, di decadenza di diritto da esse a seguito di condanna definitiva per determinati reati, nonché di sospensione automatica in caso di condanna non definitiva (istituto che viene qui specificamente in rilievo), la Corte Costituzionale ha più volte affermato che si tratta di misure «dirette «ad assicurare la salvaguardia dell'ordine e della sicurezza pubblica, la tutela della libera determinazione degli organi elettivi, il buon andamento e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche allo scopo di fronteggiare una situazione di grave emergenza nazionale coinvolgente gli interessi dell'intera collettività» (sentenze n. 352/2008 e n. 288/1993)» (sentenza n. 118/2013, in relazione all'art. 15 della l. n. 55/1990, recante «Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale», i cui contenuti risultano attualmente trasfusi, per la parte che interessa, negli artt. 7 e 8 del d.lgs. n. 235/2012).

In ragione di questa sua finalità, il «nucleo essenziale» della disciplina qui segnatamente in esame è stato ricondotto all'ambito della materia «ordine pubblico e sicurezza», di competenza legislativa statale esclusivaex art. 117, comma 2, lettera h), Cost. (sentenza n. 118/2013; nello stesso senso, sentenze n. 218/1993 e n. 407/1992, ancora in relazione all'art. 15 della l. n.55/1990), materia che, come questa Corte ha sottolineato, presenta carattere prevalente pur quando essa interferisca con la competenza regionale ex art. 122, comma 1, Cost. (sentenze n. 36/2019 e n. 118/2013).

Infatti, anche ritenendo che quest'ultima competenza «comprenda la disciplina delle decadenze connesse alla sopravvenienza delle cause di ineleggibilità dopo l'assunzione del mandato, come pure la disciplina delle ipotesi di sospensione automatica dalla carica collegate, in funzione cautelare e preventiva, alle cause di decadenza», resta «dirimente il rilievo che le ragioni che stanno [...] alla base della prevista sospensione di diritto [...] ascrivono comunque il nucleo essenziale della disciplina, sulla base del criterio della prevalenza, alla già indicata materia di competenza statale esclusiva «ordine pubblico e sicurezza»» (sentenza n. 118/2013). Né contrasta con la riconduzione della sospensione in esame a questa materia la circostanza che si tratti della disciplina delle condizioni per la permanenza in carica di un eletto, giacché in questo caso è proprio attraverso la previsione di requisiti di onorabilità degli eletti che si perviene all'obiettivo di garantire, attraverso l'integrità del processo democratico, nonché la trasparenza e la tutela dell'immagine dell'amministrazione, l'ordine pubblico e la sicurezza.

In conclusione si deve dunque escludere che, nel caso della sospensione automatica disciplinata dal censurato art. 8, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 235/2012, si versi in un'ipotesi di intreccio inestricabile di materie, di competenza statale e regionale, non risolvibile con il criterio della prevalenza e, di conseguenza, che sia stato violato il principio di leale collaborazione per mancato coinvolgimento delle regioni nella formazione del decreto legislativo in cui la disposizione

2) Le norme attuative della legge «Severino», in materia di sospensione automatica dalle cariche elettive e di Governo, si pongono in contrasto con la garanzia convenzionale in materia i «diritto alle libere elezioni» (art. 3 prot. addizionale CEDU)?

Negativa anche in questo caso la risposta di Corte cost. n. 35/2021.

Il giudice rimettente aveva dubitato della legittimità dell'art. 8, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 235/2012, nella parte in cui prevede l'applicazione della misura cautelare della sospensione come automatica conseguenza della condanna penale non definitiva per determinati reati e preclude così al giudice chiamato a pronunciarsi sul provvedimento sospensivo di valutare in concreto la proporzionalità «tra i fatti oggetto di condanna» e la stessa sospensione. Secondo la prospettazione del giudice a qui, sarebbe stato così violato l'art. 3Prot. add.CEDU, alla cui stregua, sotto la rubrica «Diritto a libere elezioni», «[l]e Alte Parti contraenti si impegnano a organizzare, a intervalli ragionevoli, libere elezioni a scrutinio segreto, in condizioni tali da assicurare la libera espressione dell'opinione del popolo sulla scelta del corpo legislativo». Ad avviso del rimettente, la disposizione convenzionale, come interpretata dalla Corte EDU, consentirebbe di limitare il diritto di elettorato passivo solo a condizione che le eventuali restrizioni derivino «da un «processo decisorio individualizzato» [...] tendenzialmente di natura giurisdizionale», perché solo in questo modo sarebbe possibile valutare la proporzionalità della misura e verificare l'esistenza di un collegamento tra il fatto commesso e l'impossibilità di ricoprire la carica elettiva.

Secondo la Consulta, i termini in cui è prospettata impongono un preliminare riferimento all'interpretazione dell'art. 3 Prot. addiz. CEDU ad opera dalla Corte EDU e ai principi dalla stessa formulati sulla portata generale della garanzia in esso prevista e sulle limitazioni che gli Stati possono introdurre in ragione della particolare natura del diritto di elettorato, in specie di quello passivo.

In via generale, la Corte di Strasburgo ha affermato che la disposizione contenuta nell'art. 3Prot. addiz.CEDU, pur formulata in termini di impegno degli Stati contraenti «a organizzare elezioni [...] in condizioni tali da assicurare la libera espressione dell'opinione del popolo sulla scelta del corpo legislativo», deve essere interpretata – alla luce dei lavori preparatori e nel quadro della Convenzione considerata nel suo insieme – nel senso che essa garantisce diritti soggettivi, comprendenti il diritto di voto (che ne rappresenta l'aspetto «attivo») e il diritto di presentarsi alle elezioni (costituente l'aspetto «passivo») (ex plurimis, Corte EDU, grande camera, sentenza 6 ottobre 2005, Hirst contro Regno Unito, n. 2, paragrafi 56 e 57; sentenza 2 marzo 1987, Mathieu-Mohin e Clearfayt contro Belgio, paragrafi da 46 a 51).

Ha precisato ancora che il diritto di presentarsi alle elezioni copre anche il periodo post-elettorale, convertendosi nel diritto di esercitare il mandato come membro del corpo legislativo (Corte EDU, sentenza 24 maggio 2016, Paunović and Milivojević contro Serbia, paragrafo 58), e che quest'ultima nozione, a sua volta, deve essere interpretata alla luce della struttura costituzionale del singolo Stato (Corte EDU, sentenza Mathieu-Mohin e Clearfayt contro Belgio, paragrafo 53), includendo in particolare, per quanto riguarda il nostro Paese, i consigli regionali, in quanto dotati di attribuzioni e di poteri sufficientemente ampi da essere qualificabili come elementi del corpo legislativo dello Stato nel suo complesso (Corte EDU, sentenza luglio 2004, Vito Sante Santoro contro Italia, paragrafo 52).

Quanto alle limitazioni apportabili dal legislatore nazionale ai diritti di elettorato attivo e passivo, la Corte EDU ha precisato che si tratta di diritti non assoluti, che possono essere fatti oggetto di «limitazioni implicite», rispetto alle quali gli Stati contraenti godono di un ampio margine di valutazione, in ragione, tra l'altro, delle peculiarità storiche, politiche e culturali di ciascun ordinamento (ex plurimis, Corte EDU, sentenza 15 giugno 2006, Lykourezos contro Grecia, paragrafo 51; sentenza Hirst contro Regno Unito, n. 2, paragrafi 61 e 62; sentenza Mathieu-Mohin e Clearfayt contro Belgio, paragrafo 52).

Il carattere «implicito» delle limitazioni ammissibili consente agli Stati contraenti di introdurre misure restrittive di tali diritti anche per finalità non incluse in elenchi precisi, come quelle enumerate agli articoli da 8 a 11 della CEDU , purché nelle particolari circostanze del caso concreto sia dimostrata la compatibilità del fine perseguito con il principio del primato della legge e con gli obiettivi generali della Convenzione. Per la stessa ragione, nel vagliare la compatibilità delle possibili limitazioni con le garanzie assicurate dalla Convenzione, la Corte EDU non applica i test tradizionali usati nella verifica del rispetto degli stessi articoli da 8 a 11 della Convenzione, basati sui criteri della necessità o dell'urgente bisogno sociale, ma fa riferimento a criteri diversi e specifici. In base ad essi, in particolare: le limitazioni del diritto di voto e del diritto di candidarsi non devono violarne la sostanza, né privarli di effettività; le restrizioni devono perseguire un fine legittimo, compatibile con il principio del primato della legge e con gli obiettivi generali della CEDU, e segnatamente con la protezione dell'indipendenza dello Stato, dell'ordine democratico e della sicurezza nazionale; i mezzi impiegati non devono essere sproporzionati (ex plurimis, Corte EDU, grande camera, sentenza 27 aprile 2010, Tănase contro Moldavia, paragrafo 161; sentenza 6 novembre 2009, Etxeberria e altri contro Spagna, paragrafo 47; sentenza 5 aprile 2007, Kavakçi contro Turchia, paragrafo 41; sentenza Lykourezos contro Grecia, paragrafo 52; sentenza Vito Sante Santoro contro Italia, paragrafo 54; sentenza Hirst contro Regno Unito, n. 2, paragrafo 62).

Quanto in particolare alle restrizioni al diritto di voto nel suo aspetto «passivo», il controllo della Corte EDU è poi ancora più prudente, sul dichiarato presupposto che al legislatore nazionale deve essere riconosciuto il potere di disciplinare il diritto di presentarsi alle elezioni, circondandolo di cautele rigorose, anche più stringenti di quelle predisposte per il diritto di elettorato attivo (Corte EDU, grande camera, sentenza 16 marzo 2006, Ždanoka contro Lettonia, paragrafo 115; sentenza Hirst contro Regno Unito, n. 2, paragrafi da 57 a 62). In questa ipotesi viene infatti in gioco la peculiare esigenza di garantire stabilità ed effettività di un sistema democratico nel quadro del concetto, del quale la stessa Corte ha riconosciuto la legittimità, di «democrazia capace di difendere se stessa» (Corte EDU, sentenza Ždanoka contro Lettonia, paragrafo 100).

A tale riconosciuta possibilità per gli Stati contraenti di imporre in questi casi requisiti più stringenti corrisponde dunque in sostanza, nella valutazione della Corte di Strasburgo ex art. 3 Prot. addiz. CEDU, una minore severità nel sindacato sulla proporzionalità dei mezzi impiegati nella limitazione, nel senso che, mentre quando si tratti del diritto di elettorato attivo la verifica consiste normalmente in un'approfondita valutazione della proporzionalità delle previsioni che escludono una persona o un certo gruppo di persone, quella operata sulle limitazioni al diritto di elettorato passivo è mantenuta nei limiti dell'accertamento della non arbitrarietà delle misure nazionali che privano un individuo dell'eleggibilità (ex plurimis, Corte EDU, sentenza Etxeberria e altri contro Spagna, paragrafo 49; sentenza Ždanoka contro Lettonia, paragrafo 115).

Ciò premesso, e venendo allo scrutinio del merito della censura, la Consulta osserva dunque che, eccezion fatta per un'isolata pronuncia (Corte EDU, sentenza 8 aprile 2010, Frodl contro Austria, paragrafi 34 e 35), nei suoi sviluppi più recenti e compiuti, la giurisprudenza della Corte EDU non postula affatto la necessità che l'applicazione in concreto delle misure restrittive del diritto di voto avvenga attraverso un provvedimento giurisdizionale, come sostiene il rimettente, e afferma invece che gli Stati contraenti possono scegliere se affidare alla giurisdizione la valutazione del carattere proporzionale della misura o se «incorporare» tali apprezzamenti nel testo delle loro leggi, con la precisa definizione, direttamente in esse, delle circostanze in cui la misura stessa può essere applicata. In questo secondo caso, il legislatore può bilanciare a priori gli interessi in gioco, con il limite del divieto di introdurre restrizioni generali e indiscriminate. Spetterà poi in ogni caso alla Corte EDU di stabilire se, in una determinata ipotesi, il risultato sia stato raggiunto, se il limite sia stato rispettato e se, in generale, la soluzione regolativa prescelta ovvero, nell'altro caso, la decisione giudiziale siano conformi all'art. 3 Prot. addiz. CEDU (Corte EDU, sentenza Scoppola contro Italia, n. 3, paragrafo 102).

Alla luce di quanto esposto si deve pertanto escludere che la disposizione censurata contrasti con l'art. 3Prot. addiz.CEDU solo perché non affida ai giudici nazionali il potere di individualizzare pienamente la sua applicazione alla luce della specifica situazione di un soggetto e delle circostanze particolari del caso concreto (Corte EDU, sentenza Ždanoka contro Lettonia, paragrafo 125). Essa costituisce invero legittimo esercizio, da parte dell'ordinamento nazionale, del margine di apprezzamento che la Convenzione lascia agli Stati nella disciplina della materia, in ragione del fatto che le particolari condizioni di sviluppo storico, di diversità culturale e di pensiero politico che caratterizzano le singole esperienze nazionali modellano, per ciascuna, una sua propria visione democratica (Corte EDU, sentenza Scoppola contro Italia, n. 3, paragrafo 102). La soluzione adottata in concreto nell'ordinamento nazionale, di individuare legislativamente le condizioni per l'applicazione della restrizione e di riservare ai giudici solo la verifica della loro sussistenza – in particolare se un determinato soggetto appartenga alla categoria o al gruppo contemplato nella previsione legislativa – senza apprezzamenti da operare nel caso specifico, non risulta priva di ragioni, attese la portata e la delicatezza, anche in termini di conseguenze politiche, del giudizio sulla permanenza in carica degli eletti, così come, nelle altre ipotesi disciplinate nella medesima normativa del 2012, sulla loro candidabilità. Si tratta in ogni caso di una scelta legislativa che supera agevolmente il controllo di non arbitrarietà, stante che la prevista restrizione del diritto di elettorato passivo non presenta portata né generalizzata né indiscriminata, essendo circoscritta a una precisa e alquanto limitata categoria di soggetti, costituita da coloro che hanno subito condanne per determinati tipi di reati – la cui individuazione ad opera del legislatore resta comunque estranea alle censure del rimettente – particolarmente gravi o di specifico rilievo in funzione dell'attitudine a incidere sull'immagine e l'onorabilità della pubblica amministrazione, come si dirà appresso.

Nella sua sostanza, infine, la scelta operata con il censuratoart. 8, comma 1, lett. a ), del d.lgs. n.235/2012 si pone in linea con le finalità che, secondo la stessa giurisprudenza della Corte EDU, possono legittimare misure di questo tipo, come quella di proteggere l'integrità del processo democratico mediante l'esclusione dalla partecipazione all'attività degli organi rappresentativi di individui che possono pregiudicarne il corretto funzionamento (Corte EDU, sentenza Ždanoka contro Lettonia, paragrafo 122).

Si deve ancora escludere che la norma censurata contrasti con l'art. 3 Prot. addiz. CEDU sotto il diverso – e in parte concorrente – profilo della mancata previsione in essa di un collegamento tra la sospensione e i fatti oggetto della condanna penale, tenuto conto della loro gravità nonché della loro connessione con la carica esercitata al momento della sospensione. Ciò che più precisamente il giudice a quo lamenta è il carattere potenzialmente sproporzionato della misura, derivante dalla presunzione assoluta di pericolo operata dalla norma, pericolo che potrebbe in concreto non sussistere, «come ad esempio nel caso in cui l'illecito fosse relativo ad una carica pregressa e mutata, con impossibilità nella nuova carica di reiterare la condotta».

Secondo il costante orientamento della Corte costituzionale – che si colloca nel solco tracciato da sentenze su analoghe disposizioni previgenti – le misure dell'incandidabilità, della decadenza e della sospensione dalle cariche elettive previste nel d.lgs. n. 235/2012, ancorché collegate alla commissione di un illecito, non hanno carattere sanzionatorio e rappresentano solo conseguenze del venir meno di un requisito soggettivo per l'accesso alle cariche pubbliche considerate. La sospensione dalla carica, in particolare, «risponde ad esigenze proprie della funzione amministrativa e della pubblica amministrazione presso cui il soggetto colpito presta servizio» e costituisce, per la sua natura provvisoria, «misura sicuramente cautelare» (ex plurimis, Corte cost. n. 276/2016 e n.236/2015). Il legislatore ha infatti considerato che la permanenza in carica di chi sia stato condannato anche in via non definitiva per determinati reati che offendono la pubblica amministrazione – come il peculato, per il quale è stato condannato il ricorrente nel giudizio principale – può comunque incidere sugli interessi costituzionali protetti dall'art. 97, comma 2, Cost., che affida al legislatore il compito di organizzare i pubblici uffici in modo che siano garantiti il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione, e dall'art. 54, comma 2, Cost., che impone ai cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche il dovere di adempierle con disciplina ed onore (sentenzaCorte cost. n.36/2019, resa sull'art. 11, comma 1, lettera a, del d.lgs. n. 235/2012, ma con argomenti estensibili all'analoga misura prevista dalla norma qui censurata).

Se questo è il fine perseguito dal legislatore – la cui legittimità non è dubitabile, come visto, ai sensi dell'art. 3 Prot. addiz. CEDUla modalità prescelta per realizzarlo non è in contrasto con il criterio della proporzionalità, costituendo invece il frutto di un ragionevole bilanciamento tra gli interessi che vengono in gioco nella disciplina dei requisiti per l'accesso e il mantenimento delle cariche in questione, e quindi tra il diritto di elettorato passivo, da un lato, e il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione, dall'altro.

Come già osservato, la sospensione cautelare in esame non trova applicazione generalizzata e indifferenziata, ma è riservata a una platea delimitata di soggetti, costituita dai condannati in via non definitiva per reati direttamente connessi alle funzioni che sarebbero chiamati ad assumere, perché di particolare gravità (ex art. 7, comma 1, lettere a) e b), del d.lgs. n. 235/2012) o perché commessi contro la pubblica amministrazione (ex art. 7, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 235/2012). In ordine a tali reati le esigenze di tutela del buon andamento e della legalità della pubblica amministrazione, anche sotto il profilo della perdita di immagine degli apparati pubblici, sono di immediata evidenza e non richiedono indagini o apprezzamenti ulteriori rispetto a quelli operati dal legislatore.

In secondo luogo, si tratta di una misura caratterizzata da una strutturale provvisorietà e dalla gradualità nel tempo dei propri effetti, in attesa che l'accertamento penale si consolidi nel giudicato, determinando la decadenza dalla carica (art. 8, comma 6, del d.lgs. n. 235/2012). La sospensione, infatti, cessa di diritto di produrre effetti decorsi diciotto mesi, salvo che entro questo termine la sentenza di condanna sia confermata in appello, nel quale caso decorre un ulteriore periodo di sospensione di dodici mesi (art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 235/2012). Come questa Corte ha già osservato con riguardo all'analoga previsione dell'art. 11, comma 4, del d.lgs. n. 235/2012 (sentenza n. 36/2019, punto 4.1. del Considerato in diritto), la disciplina richiamata è il risultato di un ulteriore bilanciamento delle descritte esigenze di tutela della pubblica amministrazione, da un lato, e dell'eletto condannato, dall'altro, diretto a temperare gli effetti automatici della sentenza di condanna non definitiva in ragione del trascorrere del tempo e della progressiva stabilizzazione della stessa pronuncia, con l'obiettivo di evitare un'eccessiva compressione del diritto di elettorato passivo.

Inoltre, le esigenze cautelari che la sospensione mira ad assicurare non vanno identificate nel pericolo di reiterazione del reato, come erroneamente ritiene il giudice a quo, ma, come visto, nella mera possibilità che la permanenza dell'eletto nell'organo elettivo determini una lesione dell'interesse pubblico tutelato. La misura non assolve invero a funzioni sanzionatorie o di cautela penale, ma è semplicemente diretta a garantire l'oggettiva onorabilità di chi riveste la carica pubblica di cui si tratta, sicché nei suoi riguardi – come questa Corte ha più volte affermato – se un'esigenza di proporzionalità è prospettabile, questa non è rispetto al reato commesso (e, si deve precisare qui, al pericolo della sua reiterazione, di cui la norma censurata non si occupa), ma rispetto all'esigenza cautelare perseguita (ex plurimis,Corte cost. n.276/2016 eCorte cost. n.25/2002, quest'ultima sull'analoga sospensione già prevista dall'art. 15 della l. n. 55/1990, recante «Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale»), in una logica che prescinde dalla gravità del fatto di reato e dalla pena in concreto irrogata.

Se perciò il collegamento tra sospensione e condanna è operato all'esclusivo scopo di realizzare le esigenze cautelari costituenti il fine legittimo della misura, la sospensione non dipende dalla concreta gravità dei fatti per i quali vi è stata condanna, ma solo da quest'ultima, che costituisce l'oggettivo presupposto perché si produca l'effetto ulteriore e distinto previsto dalla norma, destinato a operare in modo autonomo ed «esterno» rispetto all'azione pubblica di repressione penale (sentenza n. 276/2016). Né, per le medesime ragioni, rileva che il fatto di reato accertato abbia una qualche incidenza, anche temporale, sull'esercizio del mandato.

Esaminata da questo angolo visuale, la sospensione dalla carica, rigorosamente circoscritta nel tempo e destinata a cessare immediatamente nel caso di sopravvenuti non luogo a procedere, proscioglimento o assoluzione dell'eletto, non può essere considerata inadeguata o eccedente rispetto al fine perseguito.

In conclusione, anche tenuto conto dell'ampio margine di apprezzamento riconosciuto al legislatore nazionale nella disciplina del diritto di elettorato passivo, si deve ritenere che la concreta regolazione della misura della sospensione cautelare contenuta nella norma censurata operi – per la platea delimitata di soggetti ai quali si applica, per la temporaneità e la gradualità dei suoi effetti, per la legittimità dei suoi fini e per la sua adeguatezza rispetto alle specifiche esigenze cautelari perseguite – un non irragionevole bilanciamento degli interessi in gioco e in ogni caso non presenti sintomi di arbitrarietà tali da determinarne il contrasto con l'art. 3 Prot. addiz. CEDU come interpretato dalla Corte EDU.

3) Le norme attuative della legge «Severino» in materia di ineleggibilità e decadenza dalle cariche elettive si pongono in contrasto con le garanzie di cui agli articoli 7 e 13 CEDU?

Negativa la riposta di Corte EDU, Sez. I, 17 giugno 2021, Galan c. Italia, secondo cui il d.lgs. n.235/2012, attuativo della c.d. Legge Severino (l. 28 novembre 2012, n. 190), nella parte in cui prevede l'ineleggibilità e la decadenza da cariche elettive a causa dell'intervento di una condanna definitiva per una certa categoria di reati, non contrasta con gli artt. 7 e,13CEDU, laddove prevedono il divieto di retroattività sfavorevole della legge penale e il diritto dell'accusato a un ricorso effettivo. La Corte di Strasburgo ha anzitutto rilevato che ineleggibilità e decadenza appaiono coerenti con l'obiettivo del legislatore di estromettere i soggetti condannati per reati gravi dalle istituzioni (nel caso di specie, dal Parlamento).

Inoltre, richiamando e aderendo alla giurisprudenza costituzionale (in particolare, le sentenze n. 236/2015, n. 276/2016, n. 35/2021), i Giudici hanno ritenuto che il divieto di candidarsi e la decadenza dalla carica non hanno natura di sanzione penale o sostanzialmente penale, né di effetti penali della condanna, sicché la loro applicazione può avere luogo per fatti precedenti all'entrata in vigore della legge, senza incorrere nell'infrazione convenzionale. Questa prospettiva di retroattività, inoltre, è coerente con l'obiettivo del legislatore di impedire ai condannati per reati di particolare allarme sociale di far parte delle istituzioni.

Da ultimo, la Corte ha ritenuto che nel caso di specie (i.e. la decadenza dalla carica di deputato) il meccanismo di adozione e convalida della decisione sulla decadenza, che vede l'intervento del Comitato permanente per le incompatibilità, le interdizioni e i decaduti, della Commissione elettorale e della Camera di appartenenza, impedisca di ravvisare la violazione dell'art. 13 (diritto a un ricorso effettivo), giacché, in virtù di una riserva di competenza costituzionale, il controllo giudiziario di una decisione adottata dal Parlamento appare inesigibile (para. 142-154). Sul piano dell'effettività del ricorso, in definitiva, si sottolinea che la procedura prevista dal sistema interno, per cui la decisione sulla decadenza del parlamentare viene prima adottata da un organo interno all'istituzione e poi convalidata dalla Camera di appartenenza, non consente di considerare ineffettivo il controllo né, si aggiunge, il difetto di un intervento giurisdizionale in questa materia conduce ad altra conclusione, considerando le prerogative costituzionali esistenti.

4) Qual è ratio della gestione commissariale prevista dall'art. 32,d.l. n.90/2014?

Secondo Cons. St. III, n. 867/2019, la gestione commissariale prevista dall'art. 32, d.l. n. 90/2014 – espressamente qualificata come attività di pubblica utilità poiché essa risponde, primariamente, all'interesse generale di assicurare la realizzazione dell'opera – è volta, attraverso l'intervento del Prefetto, non soltantoa garantire l'interesse pubblico alla completa esecuzionedell'appalto,ma anche a sterilizzare la gestione del contratto «oggetto del procedimento penale» dal pericolo di acquisizione delle utilità illecitamente captate in danno della Pubblica amministrazione

L'art. 32, d.l. n. 90/2014 – detto anche d.l. anticorruzione – si propone l'ambizioso obiettivo di contemperare due opposte esigenze e, cioè, garantire, da un lato, la completa esecuzione degli appalti e neutralizzare, dall'altro, il rischio derivante dall'infiltrazione criminale nelle imprese, introducendo un originale e innovativo meccanismo di commissariamento.

Ha chiarito la Sezione che l'istituto si manifesta come uno strumento di autotutela contrattuale previsto direttamente dalla legge. Questa speciale forma di commissariamento, in altri termini, riguarda soltanto il contratto (e la sua attuazione) e non la governance dell'impresa in quanto tale ed in ciò si distingue dalle misure di prevenzione patrimoniali disposte ai sensi del d.lgs. n. 159/2011 (c.d. codice antimafia). In tal senso depone lo stesso tenore letterale della norma laddove si afferma che il commissariamento ha luogo «limitatamente alla completa esecuzione del contratto o della concessione». Ciò è, inoltre, confermato dall'intera struttura della disposizione, che consente la gestione commissariale del contratto in evidente alternativa alle regole generali che ne imporrebbero la caducazione. Una misura, dunque, ad contractum, secondo l'espressione riportata anche nelle relative Linee guida dell'ANAC.

La ratio della disposizione, dunque, è quella di consentire il completamento dell'opera nell'esclusivo interesse dell'amministrazione concedente mediante la gestione del contratto in regime di «legalità controllata» (Cons. St. III, n. 93/2018).

5) Quali sono i presupposti per le misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese?

Secondo Cons. St. III, n. 4406/2020, il fumus richiesto per l'applicazione delle misure di cui all'art. 32, d.l. n. 90/2014, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 114/2014, si avvicina, proprio in ragione della doppia previsione (che ammette la possibilità di prescindere dal procedimento penale), alla «qualificata probabilità» che sorregge l'adozione delle informative prefettizie.

Ha ricordato la Sezione che l'art. 32, d.l. n. 90/2014, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 114/2014, dispone una gradualità delle misure chiaramente orientata, da un lato alla salvaguardia dell'esecuzione del contratto e, dall'altro, alla tutela del lavoro; mentre i commi 1 e 2 della predetta norma sono finalizzati unicamente alla esecuzione del contratto, la misura di cui al comma 8 è diretta al monitoraggio dell'impresa, che può trovare applicazione in fattispecie connotate da minore gravità dei fatti e con minore livello di infiltrazione criminale nei meccanismi vitali dell'impresa.

Diversa è la conclusione contenuta nelle prime Linee Guida ANAC, laddove si fa riferimento agli organi «propriamente» titolari dei poteri di amministrazione, che, dunque sembra far riferimento a quanto previsto dal codice civile, secondo cui gli organi societari sono – per la società di capitali – l'assemblea, l'organo amministrativo (c.d.a. o amministratore unico) e il collegio sindacale. Tuttavia, in maniera chiarificatrice, le seconde Linee Guida ANAC hanno ritenuto valido l'orientamento – espresso dalla prima dottrina elaboratasi sulla questione – che questa tipologia più soft di gestione (quella di cui al comma 8), possa più frequentemente essere attivata nei casi in cui il vulnus coinvolga figure societarie apicali ma diverse dagli organi di amministrazione in senso proprio (ad es. il direttore tecnico, ovvero organi societari di imprese diverse dalla aggiudicataria come ad esempio gli amministratori della controllante).

Da siffatta ricostruzione emergono alcuni dati: l'art. 32 dispone una gradualità delle misure chiaramente orientata alla salvaguardia dell'esecuzione del contratto da un lato e, dall'altro, alla tutela del lavoro; la lettera del comma 8 non è chiara in quanto sicuramente manca il termine di raffronto nel comma 1, come evidenziato dall'appellante, sicché se ne impone una lettura sistematica; esiste una differenza delle misure con riguardo all'ambito cui sono dirette; infatti mentre i commi 1 e 2 sono finalizzati unicamente alla esecuzione del contratto, appare palese che quella di cui al comma 8 è diretta al monitoraggio dell'impresa. La forma più morbida di tutorship nei confronti delle imprese, definita «di sostegno e monitoraggio» non ha carattere propriamente sanzionatorio, ma è volta a promuovere un percorso di revisione virtuosa dell'impresa, costituendo un valido presidio che trascende il singolo appalto, che ha dato origine alla sua applicazione.

Con riferimento alle misure di cui all'art. 32,d.l. n.90/2014 il potere del Prefetto consiste nella verifica dei presupposti previsti dalla norma, prodromici all'attivazione della misura soft (intimazione di sostituzione del soggetto coinvolto) o della misura hard (amministrazione prefettizia), nella valutazione della gravità dei fatti sintomatici dell'illecito, e nella conseguente graduazione della misura da applicare in relazione alla gravità riscontrata e determina la durata della misura in ragione delle «esigenze funzionali» legate alla prestazione o all'oggetto del contratto. L'art. 32 esaminato prevede che il Prefetto si attivi a seguito della proposta) da parte del Presidente dell'ANAC, in presenza di “fatti gravi ed accertati”, relativi alle fattispecie di reato ivi indicate o all'emersione di “situazioni anomale o comunque sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali” attribuibili ad un aggiudicatario di un appalto per la realizzazione di opere pubbliche, servizi o forniture, ad un concessionario o ad un contraente generale”.

Il potere del Prefetto consiste, dunque, nella verifica dei presupposti previsti dalla norma, prodromici all'attivazione della misura soft (intimazione di sostituzione del soggetto coinvolto) o della misura hard (amministrazione prefettizia), come è avvenuto nel caso di specie. Spetta, infatti, al Prefetto la valutazione della gravità dei fatti sintomatici dell'illecito, e la conseguente graduazione della misura da applicare in relazione alla gravità riscontrata e determina la durata della misura in ragione delle «esigenze funzionali» legate alla prestazione o all'oggetto del contratto.

Il fumus richiesto, si avvicina, proprio in ragione della doppia previsione (che ammette la possibilità di prescindere dal procedimento penale), dunque, alla « qualificata probabilità » che sorregge l'adozione delle informative prefettizie.

Al Prefetto, sulla base della proposta del Presidente dell'ANAC spetta la valutazione della sussistenza dei presupposti per la nomina gli amministratori, che subentrano pienamente nei poteri di disposizione e gestione dell'impresa oppure se intimare all'impresa di provvedere al rinnovo degli organi sociali, provvedendo alla sostituzione del soggetto coinvolto nelle indagini. In questo caso la straordinaria e temporanea gestione dell'impresa è configurata quale sanzione per l'inottemperanza prefettizia di provvedere al rinnovo degli organi sociali.

Diversa è – per come si è già detto – la misura meno ‘dura' del monitoraggio, che è oggetto del presente giudizio. Dunque, nella fattispecie che occupa, in vero, non possono essere ritenuti elementi dirimenti – a differenza di quanto sostenuto dall'appellata – né l'avvenuta sostituzione dell'amministratore, per quanto già evidenziato con riferimento ai legami parentali con il titolare rimasto come amministratore unico e alla titolarità dell'impresa. Tali constatazioni valgono ovviamente anche a smentire la rilevanza del trascorrere del tempo dalla commissione dei fatti imputati. Né possono assumere significato le censure attinenti alla cessazione dalla carica del coimputato.

6) Quali sono i presupposti per la nomina dei commissari straordinari di una società colpita da interdittiva antimafia?

Secondo T.A.R. Napoli, I, n. 2800/2018, per l'applicazione delle misure straordinarie di cui al comma 10 dell'art. 32, d.l. n. 90/2014, convertito con l.n. 114/2014, è sufficiente l'adozione di un'informazione antimafia, nulla dovendo aggiungere il Prefetto in punto di elementi indiziari, mentre un'adeguata puntualità della motivazione è attesa in corrispondenza della lata discrezionalità che la legge riconosce dal punto di vista della concreta funzione cautelare; carattere, quest'ultimo, che presenta connotazioni di discrezionalità pura, in quanto incentrata sul raggiungimento di obiettivi di interesse pubblico connessi all'esecuzione del contratto che la norma ha avuto cura di individuare con puntualità; corollario di tale considerazione, dal punto di vista del sindacato giurisdizionale, è rappresentato dai ristretti confini entro cui deve contenersi l'accertamento del Giudice amministrativo, non estensibile oltre un apprezzamento che riguardi la manifesta irrazionalità, sproporzione del errore di fatto nell'adozione della misura.

Ha chiarito il T.A.R. che i commi 1 e 10 dell'art. 32,d.l. n.90/2014, convertito con l. n. 114/2014, hanno introdotto due ipotesi di applicazione di misure straordinarie per società oggetto di attività di indagine giudiziaria per specifici delitti contro l'amministrazione pubblica o colpite da interdittiva antimafia.

La prima fattispecie (comma 1) di applicazione di tali misure straordinarie, muove dal duplice presupposto dell'esistenza di attività di indagine giudiziaria per specifici delitti contro l'amministrazione pubblica e dell'accertamento di una situazione di anomalia o di condotte illecite o eventi criminali, che impongono di intervenire sulla gestione di un'impresa aggiudicataria di un contratto pubblico di lavori, servizi o forniture; in tal caso, l'iniziativa procedimentale è del Presidente dell'ANAC che, informatone il Procuratore della Repubblica, chiede al Prefetto del luogo ove ha sede la stazione appaltante, alternativamente, che sia imposta la rinnovazione degli organi sociali o che egli provveda direttamente alla gestione straordinaria e temporanea gestione dell'impresa limitatamente alla completa esecuzione del contratto di appalto; le due misure si pongono in relazione di consecutività la prima rispetto alla seconda, quest'ultima avente carattere di maggiore invasività, salvi casi di particolare gravità.

L'altra fattispecie (comma 10), invece, presenta connotazioni affatto peculiari nei presupposti applicativi, in quanto assume a proprio fondamento l'adozione di un'informazione antimafia e la sussistenza di ragioni di urgenza connesse alla tutela di specifici interessi pubblici da soddisfare attraverso l'esecuzione del contratto affidato all'impresa colpita dalla misura interdittiva antimafia.

La differenza tra le due fattispecie è netta, al punto da indurre l'interprete a preferire una soluzione interpretativa che le collochi entrambe sul piano equivalente della generalità, piuttosto che della specialità.

In proposito, mentre la fattispecie di cui al comma 1 è funzionale alla tutela di sole esigenze di trasparenza amministrativa, in quanto l'istituto opera in compresenza di accertamenti giudiziari per delitti contro la pubblica amministrazione e di una situazione di forte antigiuridicità nella conduzione dell'impresa, l'altra ipotesi si colloca nell'area delle misure di prevenzione amministrativa antimafia, supponendo, invece, l'adozione di un'informazione interdittiva nei confronti del contraente e la tutela di esigenze di pubblico interesse da assicurarsi con la prosecuzione del rapporto contrattuale. In tal senso, il disallineamento sistematico tra le due fattispecie suggerisce di qualificare l'ipotesi di cui al comma 10, più propriamente, come eccezionale rispetto all'effetto interdittivo integrale dell'informazione antimafia – di cui, tra l'altro, già esistono esempi nel d.lgs. n. 159/2011 – assumendo pertanto, connotazioni proprie ed autonome rispetto all'ipotesi descritta nel primo comma del citato art. 32; tale autonomia è altresì rintracciabile nel diverso meccanismo di attivazione procedimentale, nel primo caso affidato al Presidente dell'ANAC, in qualità di affidatario del controllo sulla trasparenza e sulla lotta alla corruzione, nel secondo rimesso integralmente al Prefetto, quale titolare della competenza statale a livello locale in materia di pubblica sicurezza. Tratti comuni tra i due modelli restano l'identità delle misure applicabili e la relazione intercorrente di sussidiarietà, predicato dell'alternatività di cui alla lettera della legge.

7) I proventi dei reati di corruzione contestati devono essere confiscati per intero?

Secondo Cons. St. III, n. 5563/2017, i commissari straordinari – che, dopo il provvedimento emesso dal Prefetto di Roma su richiesta dell'ANAC, gestiscono la prosecuzione dei lavori per la realizzazione del sistema Mose – devono accantonare gli utili delle imprese consorziate e quelli di spettanza del Consorzio Venezia Nuova, titolare della concessione, in vista della conclusione dei processi penali in corso.

I Giudici di palazzo Spada hanno così dichiarato legittimo il provvedimento adottato dal Prefetto di Roma che – in applicazione della misura della straordinaria e temporanea gestione del contratto, prevista dall'art. 32, comma 1, lett. b), d.l. n. 90/2014aveva ordinato ai commissari ad acta di accantonare tutti gli utili derivanti dall'esecuzione commissariale del contratto, anche se spettanti alle imprese consorziate che non erano parti del contratto di concessione.

Ha chiarito la Sezione che «la ratio della norma è quella di consentire il completamento dell'opera nell'esclusivo interesse dell'amministrazione concedente mediante la gestione del contratto in regime di ‘legalità controllata'. Ciò al fine di scongiurare il paradossale effetto di far percepire, proprio attraverso il commissariamento che gestisce l'esecuzione del contratto, il profitto dell'attività criminosa».

Se questa è la ratio – conclude il Consiglio di Stato – la separazione giuridica tra il Consorzio e le imprese che ne fanno parte non è circostanza in grado di paralizzare l'effetto anticorruttivo della disposizione di legge ed il conseguente congelamento degli utili, che deve necessariamente estendersi a tutti coloro che eseguono i lavori per conto del Consorzio Venezia Nuova (concessionario dei lavori per la realizzazione del MOSE).

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