Decreto legislativo - 14/03/2013 - n. 33 art. 47 - Sanzioni per la violazione degli obblighi di trasparenza per casi specifici1 2
1. La mancata o incompleta comunicazione delle informazioni e dei dati di cui all'articolo 14, concernenti la situazione patrimoniale complessiva del titolare dell'incarico al momento dell'assunzione in carica, la titolarità di imprese, le partecipazioni azionarie proprie, del coniuge e dei parenti entro il secondo grado, nonché tutti i compensi cui da diritto l'assunzione della carica, dà luogo a una sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 10.000 euro a carico del responsabile della mancata comunicazione e il relativo provvedimento è pubblicato sul sito internet dell'amministrazione o organismo interessato. 1-bis. La sanzione di cui al comma 1 si applica anche nei confronti del dirigente che non effettua la comunicazione ai sensi dell'articolo 14, comma 1-ter, relativa agli emolumenti complessivi percepiti a carico della finanza pubblica. Nei confronti del responsabile della mancata pubblicazione dei dati di cui al medesimo articolo si applica una sanzione amministrativa consistente nella decurtazione dal 30 al 60 per cento dell'indennità di risultato, ovvero nella decurtazione dal 30 al 60 per cento dell'indennità accessoria percepita dal responsabile della trasparenza, ed il relativo provvedimento è pubblicato nel sito internet dell'amministrazione o dell'organismo interessati. La stessa sanzione si applica nei confronti del responsabile della mancata pubblicazione dei dati di cui all'articolo 4-bis, comma 23. 2. La violazione degli obblighi di pubblicazione di cui all'articolo 22, comma 2, dà luogo ad una sanzione amministrativa in carico al responsabile della pubblicazione consistente nella decurtazione dal 30 al 60 per cento dell'indennità di risultato ovvero nella decurtazione dal 30 al 60 per cento dell'indennità accessoria percepita dal responsabile della trasparenza. La stessa sanzione si applica agli amministratori societari che non comunicano ai soci pubblici il proprio incarico ed il relativo compenso entro trenta giorni dal conferimento ovvero, per le indennità di risultato, entro trenta giorni dal percepimento 4. 3. Le sanzioni di cui al presente articolo sono irrogate dall'Autorità nazionale anticorruzione. L'Autorità nazionale anticorruzione disciplina con proprio regolamento, nel rispetto delle norme previste dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, il procedimento per l'irrogazione delle sanzioni5. [2] Rubrica sostituita dall'articolo 38, comma 1, lettera a), del D.Lgs. 25 maggio 2016, n. 97. [3] Comma inserito dall'articolo 38, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 25 maggio 2016, n. 97 e, da ultimo, sostituito dall'articolo 1, comma 163, lettera b), n. 1), della Legge 27 dicembre 2019, n. 160. [4] Comma sostituito dall'articolo 1, comma 163, lettera b), n. 2), della Legge 27 dicembre 2019, n. 160. [5] Comma sostituito dall'articolo 38, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 25 maggio 2016, n. 97 e, da ultimo, modificato dall'articolo 1, comma 163, lettera b), n. 3), della Legge 27 dicembre 2019, n. 160. InquadramentoGli artt. 46 e 47 del decreto trasparenza compongono, unitamente agli artt. 15, 22 e 28, il regime sanzionatorio predisposto dal legislatore per i casi di violazione delle disposizioni in materia di trasparenza. In particolare, tali norme costituiscono attuazione del criterio direttivo previsto dall'art. 1, comma 35, lett. h), della l. n. 190/2012 che delegava il Governo alla «individuazione, anche mediante revisione e integrazione della disciplina vigente, delle responsabilità e delle sanzioni per il mancato, ritardato o inesatto adempimento degli obblighi di pubblicazione». Dal combinato disposto degli artt. 46 e 47 emerge come il legislatore delegato, in ossequio ai principi e criteri direttivi contenuti nella suddetta legge delega, abbia previsto, da un lato, che l'inadempimento degli obblighi di pubblicazione e il rifiuto, il differimento e la limitazione dell'accesso civico al di fuori delle ipotesi previste dall'art. 5-bis del decreto trasparenza, costituiscono elementi di valutazione negativa ai fini della configurazione della responsabilità dirigenziale, nonché cause di responsabilità per danno all'immagine dell'amministrazione e, dall'altro, sanzioni amministrativo-pecuniarie per i casi di violazione di alcuni specifici obblighi di pubblicazione, vale a dire quelli relativi alla mancata o incompleta comunicazione delle informazioni di cui agli articoli 4-bis (dati relativi all'utilizzo delle risorse pubbliche), 14 (documenti e informazioni relativi ai titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo e dirigenziali) e 22, comma 2 (dati relativi agli enti pubblici vigilati, agli enti di diritto privato in controllo pubblico e alle partecipazioni in società di diritto privato) del d.lgs. n. 33/2013. L'espressa previsione di specifiche forme di responsabilità e la predisposizione di un regime sanzionatorio ad hoc per i casi di violazione degli obblighi di trasparenza completa l'impianto normativo generale sugli strumenti di apertura dell'amministrazione verso l'esterno e di partecipazione democratica e controllo diffuso dei consociati sull'operato, l'organizzazione e l'utilizzo delle risorse da parte degli enti pubblici, rendendolo cogente. In particolare, il sistema delle responsabilità delineato dal legislatore si innesta su istituti preesistenti – responsabilità dirigenziale e responsabilità erariale – che caratterizzano l'attuale modello di amministrazione pubblica, sempre più caratterizzato dalla valutazione delle performance dei dipendenti pubblici nell'ottica del raggiungimento dei risultati fissati in sede di programmazione strategica dagli organi che svolgono funzioni di indirizzo politico. Tale scelta risulta coerente con l'analoga scelta operata dal legislatore nell'ambito della disciplina in materia di prevenzione della corruzione e mira a coniugare il fine della legalità dell'azione dei pubblici poteri (rispetto al quale la trasparenza amministrativa gioca un ruolo di primo rilievo) con l'esigenza di garantire il buon andamento dei pubblici uffici, declinato in termini di efficacia, efficienza ed economicità in ossequio all'attuale paradigma dell'amministrazione di risultato. Le forme di responsabilità previste dall'art. 46 del decreto trasparenzaLa responsabilità dirigenziale La prima forma di responsabilità prevista dall'art. 46 del d.lgs. n. 33/2013 per i casi di inadempimento degli obblighi di pubblicazione e il rifiuto, differimento e limitazione dell'accesso civico al di fuori delle ipotesi previste dall'art. 5-bis del d.lgs. n. 33/2013, è quella di carattere dirigenziale. Più in particolare, l'inadempimento di tali obblighi costituisce elemento di valutazione negativa ai fini della configurabilità di tale forma di responsabilità, al ricorrere della quale il legislatore ha previsto l'applicazione della sanzione prevista dall'art. 47, comma 1-bis, del decreto trasparenza. Vale ricordare che l'istituto della responsabilità dirigenziale è disciplinato, in termini generali, dall'art. 21 del d.lgs. n. 165/2001 il quale prevede che, ferma restando la responsabilità disciplinare, il mancato raggiungimento degli obiettivi strategici previsti dall'art. 5 del d.lgs. n. 150/2009 – da accertare sulla scorta delle risultanze del sistema di valutazione disciplinato dal Titolo II del d.lgs. n. 150/2009, con il quale è stata data attuazione alla l. n. 15/2009 in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni – ovvero l'inosservanza delle direttive imputabili al dirigente, comporta l'impossibilità di rinnovo dell'incarico e, nei casi più gravi, la revoca dell'incarico o il recesso dal rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo. La responsabilità dirigenziale va inquadrata nell'attuale modello di amministrazione che a differenza di quello tradizionale – basato sull'accentramento gerarchico dei poteri decisionali in capo agli organi espressione del potere esecutivo, in primis i Ministri, quindi legati al potere politico da un rapporto fiduciario come previsto dalla Costituzione – si basa sulla distinzione tra funzione di indirizzo politico, riservata agli organi apicali, ed attività di gestione, rientrante tra i compiti della dirigenza. Il cambio di paradigma si è avuto anche grazie a una lettura coordinata e sistematica delle norme costituzionali che informano il complesso rapporto tra funzioni politiche e amministrative quali, da un lato, gli artt. 97 e 98 dai quali si inferisce il principio dell'autonomia gestionale dei dirigenti, in quanto in forza dei principi di imparzialità e buon andamento l'attività dei pubblici uffici non può essere preordinata agli interessi di una determinata maggioranza politica (Bassanini, 1 ss.), e, dall'altro, l'art. 95 che sancisce il principio della responsabilità ministeriale per gli atti dei rispettivi Dicasteri. Come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. St., sezione consultiva, parere n. 2113/2016) e da quella costituzionale (C.cost., n. 81/2013), la relazione tra organi politici e dirigenziali non poggia sulla logica della separazione o della divisione gerarchica delle funzioni, risultando invece informata ai canoni della complementarità e differenziazione; è per questo, dunque, che i vertici politici e i dirigenti esercitano sì attività diverse, ma coordinate verso il raggiungimento di obiettivi comuni in ossequio ai principi di imparzialità e buon andamento, quest'ultimo declinato secondo criteri di efficacia, efficienza ed economicità dell'azione amministrativa, nonché nel rispetto degli ulteriori principi sanciti dagli artt. 28 e 54, comma 2, della Costituzione. Anche la dottrina (ex multis, Celone, 30; Spedicato, 4), sulla scorta dell'impianto costituzionale e delle previsioni dettate dal legislatore ordinario in materia di pubblico impiego c.d. privatizzato (artt. 4,14,16 e 17 del d.lgs. n. 165/2001), ha evidenziato che l'attuale modello di pubblica amministrazione si caratterizza per la presenza di un livello di indirizzo politico – nel quale si realizza la programmazione e si definiscono gli indirizzi e gli obiettivi da perseguire, in forza del principio democratico che impone un necessario raccordo tra corpo elettorale, Parlamento e Governo, spettando poi a quest'ultimo organo costituzionale il compito di tradurre in termini giuridico-amministrativi le scelte politiche espresse dalle forze di maggioranza (Fragale, 104) – e un livello gestionale – caratterizzato dall'attuazione degli indirizzi politici e dal perseguimento degli obiettivi mediante il concreto svolgimento dell'azione amministrativa –. È all'interno del quadro sin qui brevemente tratteggiato, nonché alla luce della cornice dei principi costituzionali innanzi richiamati, che va inquadrata la figura dei dirigenti pubblici. Infatti, la funzionalizzazione dell'attività amministrativa alla cura di interessi pubblici e la necessità di verificare il raggiungimento degli obiettivi fissati in sede di programmazione strategica passa, giocoforza, per l'individuazione dei soggetti responsabili dei compiti di gestioni affidati ad ogni singolo ufficio pubblico; i dirigenti, pertanto, dal momento del conferimento dell'incarico, assumono l'obbligo di perseguire tali obiettivi, rispondendo del loro mancato raggiungimento nei termini previsti dagli organi di indirizzo politico-amministrativo. Dunque, come ben argomentato dalla dottrina (Spedicato, 7; Tassone, 1 ss.), l'attuale modello di amministrazione rinviene nell'istituto della responsabilità dirigenziale il tassello che assicura coerenza e completezza all'intero impianto sistematico, ponendo disincentivi che scoraggiano modalità di gestione che non garantiscano la congruenza dei risultati dell'azione amministrativa rispetto al perseguimento degli obiettivi definiti in sede di programmazione. La responsabilità dirigenziale, definita anche responsabilità per risultati (Corso, 573; Pinelli, 385; Torchia, 567 ss.), afferisce anche al più recente paradigma dell'amministrazione di risultato, proprio perché essa consegue alla valutazione delle performance rese dai dirigenti. Rientra nell'archetipo della responsabilità per risultati anche la ulteriore fattispecie generale della inosservanza delle direttive prevista dall'art. 21, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001; invero, nonostante la legge non preveda espressamente che tale species di responsabilità dirigenziale sia legata alla valutazione della performance dei dirigenti, in quanto le direttive degli organi apicali dell'amministrazione sono volte a definire gli obiettivi strategici e a fornire indicazioni operative in ordine alle previsioni contenuti nei piani e programmi da attuare. Vale inoltre aggiungere che la responsabilità dirigenziale ha rilevanza interna all'amministrazione e la competenza ad adottare i provvedimenti (revoca dell'incarico e recesso dal rapporto) e le sanzioni conseguenti al suo accertamento varia a seconda della collocazione rivestita dal dirigente all'interno dell'amministrazione (ossia, a seconda che si tratti di un dirigente di vertice o meno), ancorché la legge non lo preveda espressamente. Come chiarito anche dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost., n. 103/2007), l'accertamento della responsabilità dirigenziale deve necessariamente avvenire nell'ambito di uno specifico procedimento amministrativo e nel rispetto delle guarentigie del giusto procedimento, tra le quali vale annoverare, oltre alle garanzie del contraddittorio, del diritto di difesa e dell'obbligo di motivazione della decisione finale, anche l'intervento di un organo consultivo, denominato «Comitato dei garanti», che ai sensi dell'art. 22 del d.lgs. n. 165/2001 deve rendere un parere non vincolante nel termine di quarantacinque giorni dalla richiesta. La responsabilità dirigenziale, inoltre, è una forma ulteriore di responsabilità – come tale distinta da quella disciplinare e da quella erariale – che presenta una caratteristica peculiare, data dal fatto che essa si configura a prescindere dalla produzione di un danno, patrimoniale o non patrimoniale, all'amministrazione (Celone, 130). Accanto alla fattispecie generale prevista dall'art. 21 del d.lgs. n. 165/2001, il legislatore ha introdotto ulteriori figure speciali di responsabilità dirigenziale. Tra le ulteriori figure di responsabilità dirigenziale vale richiamare: i) l'ipotesi di responsabilità per omessa vigilanza sul rendimento dei dipendenti di cui all'art. 21, comma 1-bis, del d.lgs. n. 165 del 2001 (introdotto dall'art. 41, comma 1, lett. b), del d.lgs. 150/2009); ii) l'ipotesi di cui all'art. 55-sexies, comma 3, del d.lgs. n. 165/2001 (che prevede che determinate condotte, aventi rilevanza disciplinare, sono valutate anche ai fini della responsabilità dirigenziale nei confronti del personale con qualifica dirigenziale o titolare di funzioni o incarichi dirigenziali); iii) le ipotesi previste dalla l. n. 190/2012 con riferimento alla figura del Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT) quali, segnatamente, quella di cui all'art. 1, comma 12 (in forza del quale si configura la responsabilità dirigenziale del RPCT in caso di commissione, all'interno dell'amministrazione, di un reato di corruzione accertato con sentenza passata in giudicato) e quella di cui all'art. 1, comma 14 (in forza del quale si configura la responsabilità dirigenziale del RPCT in caso di ripetute violazioni delle misure di prevenzione previste dal Piano triennale di prevenzione della corruzione e per la trasparenza); iv) l'ipotesi prevista dall'art. 22 del d.l. n. 76/2020, convertito con modificazioni dalla l. n. 120/2020, in forza del quale la Corte dei conti, in sede di controllo concomitante sui principali piani, programmi e progetti relativi agli interventi di sostegno e di rilancio dell'economia nazionale ai sensi dell'art. 11, comma 2, della l. n. 15/2009, ove accerti gravi irregolarità gestionali, ovvero rilevanti e ingiustificati ritardi nell'erogazione di contributi secondo le vigenti procedure amministrative e contabili, deve immediatamente trasmetterne copia all'amministrazione competente ai fini della responsabilità dirigenziale. Infine, tra le ulteriori figure speciali di responsabilità dirigenziale figura quella disciplinata dall'art. 46,comma 1, del d.lgs. n.33/2013 (in combinato disposto con l'art. 43, comma 5, di tale corpo normativo) che, come anticipato, prevede che l'inadempimento degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente e il rifiuto, il differimento e la limitazione dell'accesso civico, al di fuori delle ipotesi previste dall'articolo 5-bis del decreto trasparenza, costituiscono elemento di valutazione negativa della responsabilità dirigenziale. Si tratta, invero, di una figura speciale di responsabilità dirigenziale introdotta sulla scorta delle previsioni contenute dall'art. 1, comma 33, della l. delega n. 190/2012. Con riferimento a tali ulteriori figure di responsabilità, una parte della dottrina (Boscati, 51; Spedicato, 15; Bolognino, D'Alessio, 26 ss.) ha osservato che la riconduzione delle stesse nell'alveo della responsabilità dirigenziale ha dato luogo a un indissolubile intreccio tra la stessa e le responsabilità di tipo disciplinare ed erariale, foriero di problemi applicativi laddove la condotta contestata riguardi aspetti che afferiscono, contemporaneamente, a più forme di responsabilità. Ciò è confermato dal fatto che il legislatore, con la l. n. 124/2015, aveva delegato il Governo, tra l'altro, a riordinare le disposizioni legislative relative alle ipotesi di responsabilità dirigenziale, amministrativo-contabile e disciplinare dei dirigenti. La delega, tuttavia, non è stata attuata in quanto la Corte costituzionale (Corte cost., n. 251/2016) ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 11 della legge delega (per violazione del principio di leale collaborazione sancito dagli artt. 5 e 120 della Costituzione). Vale, in ogni caso, ricordare che la giurisprudenza amministrativa (Cons. St., sezione consultiva, parere n. 2113/2016), in sede di esame dello schema preliminare di decreto legislativo recante «Disciplina della dirigenza della Repubblica», si era espressa in maniera favorevole in merito alla necessità di un riordino delle varie fattispecie di responsabilità, in ragione della loro complessità e della mancanza di chiarezza circa il novero delle condotte effettivamente riconducibili all'ambito della responsabilità dirigenziale. Alla luce del breve excursus sin qui svolto in ordine alla matrice, finalità e disciplina dell'istituto generale della responsabilità dirigenziale disciplinato dal d.lgs. n. 165/2001 emerge che le previsioni dell'art. 46 del d.lgs. n. 33/2013 vanno ad innestarsi su tale modello di responsabilità, in quanto le condotte prese in considerazione dal decreto trasparenza divengono parametro di valutazione dell'attività dirigenziale nel più ampio contesto di misurazione e valutazione della performance delineato dald.lgs. n.150/2009. Il fatto che il legislatore abbia fatto confluire l'inadempimento degli obblighi di trasparenza nell'alveo della responsabilità dirigenziale costituisce un tassello fondamentale dell'intero impianto normativo della trasparenza amministrativa. Infatti, l'istituto della responsabilità dirigenziale rappresenta lo strumento più adeguato per garantire la cogenza degli obblighi di trasparenza, in un modello di pubblica amministrazione, quale quello attuale, sempre più caratterizzato dalla centralità dei risultati, alla cui valutazione sono collegate conseguenze sia premiali sia penalizzanti (infra). Inoltre, nella più ampia prospettiva della legalità dell'azione dei pubblici poteri, l'operatività dell'istituto della responsabilità dirigenziale in materia di trasparenza amministrativa risulta coerente con le analoghe previsioni dettate in materia di prevenzione della corruzione (vale in proposito richiamare il già citato art. 1, commi 12 e 14 della l. n. 190/2012). La dottrina (Dinelli, 510) ha osservato che nonostante l'art. 46 non effettui alcuna gradazione, in termini di gravità, tra le distinte violazioni degli obblighi di pubblicazione e le condotte che frappongono ostacoli all'esercizio del diritto di accesso civico, cionondimeno l'importanza dell'inadempimento va necessariamente apprezzata, quale elemento qualitativo di determinazione della gravità della condotta realizzata dal dirigente. In proposito, tra l'altro, vale ricordare che la stessa l. delega n. 190/2012, all'art. 1, comma 35, lett. h), distingue espressamente le ipotesi di mancato, ritardato e inesatto adempimento, in funzione delle quali il Governo avrebbe dovuto individuare le forme di responsabilità e il regime sanzionatorio. Ancorché il legislatore delegato abbia inteso declinare tali principi e criteri direttivi facendo riferimento, in via generica, all'inadempimento dei suddetti obblighi, propende nel senso del necessario apprezzamento dell'importanza della violazione delle previsioni normative recate dal d.lgs. n. 33/2013 anche il fatto che all'art. 43 di tale corpo normativo è stato previsto che il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT) segnali, unicamente nei casi più gravi, l'inadempimento (e il ritardato adempimento) degli obblighi di pubblicazione all'ufficio di disciplina per l'attivazione del procedimento disciplinare, nonché al vertice politico dell'amministrazione e all'Organismo indipendente di valutazione ai fini dell'attivazione delle altre forme di responsabilità. Come anticipato in precedenza, l'accertamento della responsabilità dirigenziale si realizza nell'ambito di un apposito procedimento amministrativo, nel quale sono garantite al dirigente le facoltà procedimentali e l'esercizio del diritto di difesa e di contraddittorio. La procedimentalizzazione della fase di accertamento risulta di fondamentale importanza ai fini dell'applicazione dell'art. 46, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013 che stabilisce che «[I]l responsabile non risponde dell'inadempimento degli obblighi di cui al comma 1 [ossia, gli obblighi di pubblicazione e le condotte che limitano l'esercizio del diritto di accesso civico al di fuori dei casi contemplati dall'art. 5-bis del decreto trasparenza, n.d.r.] se prova che tale inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile». Da tale norma, in particolare, si evince che il legislatore, nell'introdurre una figura speciale di responsabilità dirigenziale in materia di compliance agli obblighi di trasparenza, ha escluso forme di responsabilità oggettiva. Tuttavia, come evidenziato da una parte della dottrina (Dinelli, 512), il dirigente difficilmente riuscirà a fornire la prova della non imputabilità dell'inadempimento degli obblighi di trasparenza in quanto, per legge, è chiamato a rispondere dell'operato degli uffici posti alle sue dipendenze e, proprio in funzione del suo ruolo, può anche esercitare poteri sostitutivi in caso di inerzia del personale che presta servizio sotto la sua sfera di controllo e supervisione. Le conseguenze sanzionatorie che l'art. 46 del d.lgs. n. 33/2013 ricollega all'accertamento della responsabilità dirigenziale sono essenzialmente due, quella prevista dall'art. 47, comma 1-bis, del decreto trasparenza – consistente in una sanzione amministrativo-pecuniaria da definirsi, in base alla gravità dell'inadempimento, nell'ambito del range 500-10.000 euro, irrogata dall'ANAC, come disposto ai sensi del successivo comma 3 – nonché in una ulteriore sanzione consistente nella decurtazione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio. Il regime sanzionatorio previsto dall'art. 46 del d.lgs. n. 33/2013 per l'inadempimento degli obblighi di trasparenza si attaglia pienamente alla scelta operata in ordine alla tipologia di responsabilità in quanto, in seguito alla riforma della dirigenza pubblica e del pubblico impiego in generale, il sistema degli incentivi e delle sanzioni risulta funzionalmente collegato al ciclo di gestione delle performance. Come posto in evidenza dalla dottrina (Mattarella, 939 ss.), la valutazione delle prestazioni dei dipendenti pubblici costituisce il presupposto tanto per l'applicazione di meccanismi premianti – che vanno a incidere sulla componente variabile della retribuzione – quanto per l'applicazione di sanzioni, anche di carattere disciplinare. Più in particolare la conseguenza sanzionatoria prevista dall'art. 46 del d.lgs. n. 33/2013, nella parte in cui prevede che la violazione degli obblighi di trasparenza è valutata ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio, rappresenta una ipotesi di responsabilità dirigenziale che si configura solo nel caso in cui il dirigente abbia omesso di vigilare sull'adempimento dei predetti obblighi da parte del personale che presta servizio presso l'ufficio nel quale svolge l'incarico dirigenziale (Dinelli, 514), in congruenza con quanto disposto dall'art. 21, comma 1-bis, del d.lgs. n. 165/2001. Tale ultima norma, invero, ancora la responsabilità dirigenziale alla «colpevole violazione del dovere di vigilanza sul rispetto, da parte del personale assegnato ai propri uffici, degli standard quantitativi e qualitativi fissati dall'amministrazione, conformemente agli indirizzi deliberati dalla Commissione di cui all'art. 13 del decreto legislativo di attuazione della l. n. 15/2009, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni», prevedendo una misura sanzionatoria che va a incidere unicamente sulla retribuzione di risultato. Ciò si spiega con il fatto che è unicamente la retribuzione di risultato a costituire una componente specifica del trattamento accessorio dei dirigenti, come previsto dagli artt. 19, comma 2, e 24, comma 1-bis, del d.lgs. n. 165/2001, mentre il trattamento accessorio è funzionalmente collegato alle prestazioni individuali di tutti gli altri dipendenti ai sensi dell'art. 45 del d.lgs. n. 165/2001. Pertanto, in ossequio alle previsioni normative di carattere generale sul trattamento economico dei dirigenti, la previsione di cui all'art. 46 del d.lgs. n. 165/2001 deve interpretarsi nel senso che, ove venga a configurarsi una responsabilità dirigenziale per mancata vigilanza sull'adempimento degli obblighi di trasparenza, la sanzione applicabile va a colpire unicamente la retribuzione di risultato del dirigente. Per converso, la valutazione dell'inadempimento ai fini della corresponsione del trattamento accessorio va riferita solamente al personale non dirigenziale nei termini previsti dal d.lgs. n. 150/2009. La responsabilità per danno all'immagine dell'amministrazione L'art. 46, comma 1, del d.lgs. n. 33/2013 ricollega all'inadempimento degli obblighi di trasparenza anche l'ulteriore forma di responsabilità per danno all'immagine dell'amministrazione. Si tratta, pertanto, di una fattispecie di responsabilità per danno erariale, il cui accertamento rientra nella competenza giurisdizionale della Corte dei conti. In termini generali, «la responsabilità amministrativo-contabile – o responsabilità erariale – è la responsabilità del pubblico dipendente, o del soggetto che comunque in rapporto di servizio con l'amministrazione, per il danno patrimoniale a questa cagionato nell'esercizio delle proprie funzioni, o in situazioni di ‘occasionalità necessarià con lo svolgimento di dette funzioni, come conseguenza della violazione di propri obblighi» (Caringella, 1485 ss.). La giurisprudenza contabile (C. conti, sez. reg. Siciliana, del. n. 80/A/2013; C. contiI, n. 501/2007) ha chiarito che il danno all'immagine dell'amministrazione comporta la lesione del buon andamento e consiste nella perdita di prestigio, credibilità e affidabilità verso l'esterno (posto che il c.d. clamor fori costituisce elemento costitutivo della fattispecie), ingenerando nel corpo sociale la convinzione che la realizzazione di comportamenti patologici costituisca il proprium dell'azione amministrativa. La responsabilità erariale ha natura risarcitoria (C. conti, sez. riun., n. 10/QM/2003) e il danno all'immagine rientra nell'alveo del danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 del codice civile (C. cost., n. 355/2010). Come noto, fino all'entrata in vigore del d.l. n. 78/2009, convertito dalla l. n. 102/2009, non vi erano norme di legge che prevedessero in maniera espressa limiti e presupposti di tale forma di responsabilità. Con tale provvedimento normativo – come successivamente modificato dall'art. 1, comma 1, lett. c), n. 1), del d.l. n. 103/2009, convertito dalla l. n. 141/2009 – era stato stabilito che le procure regionali potessero agire per il risarcimento del danno erariale nei soli casi e modi previsti dall'art. 7 della l. n. 97/2001 che, a sua volta, disponeva che l'autorità giudiziaria ordinaria comunicasse al pubblico ministero dinanzi alla Corte dei conti le sentenze irrevocabili di condanna emesse nei confronti di dipendenti pubblici per taluno dei delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale, ossia i delitti dei pubblici ufficiali nei confronti della pubblica amministrazione. Tale norma aveva suscitato numerose perplessità in dottrina (Iadecola, 256; Tenore, 296), in quanto la previsione di una condizione di proponibilità dell'azione contabile si poneva in contrasto con il principio dell'autonomia tra magistratura contabile e magistratura ordinaria. Sul punto si è anche espressa la Corte costituzionale (C. cost., n. 355/2010;C. cost., ordd. nn.219/2011, 220/2011 e 221/2011) che ha affermato la legittimità costituzionale della norma sulla scorta della circostanza per cui la delimitazione delle ipotesi di risarcibilità del danno erariale costituisce esercizio, non manifestamente irragionevole, della discrezionalità del legislatore. La Corte dei conti (C. conti, sez. riun.,n. 8/2015) ha poi riconosciuto che gli uffici di Procura potevano agire per il risarcimento del danno all'immagine solo per i delitti commessi dai pubblici ufficiali nei confronti dell'amministrazione. In seguito all'abrogazione dell'art. 7 della l. n. 97/2001 è stata dettata una nuova disciplina dei flussi informativi intercorrenti tra il giudice penale e il pubblico ministero contabile, sancita dall'art. 51, comma 7, del d.lgs. n. 174/2016. Tale norma ricalca sostanzialmente la precedente previsione normativa, come chiarito anche di recente dalla giurisprudenza contabile (C. conti, sez. reg. Toscana, n. 272/2020). Pertanto, in forza dell'attuale impianto normativo ai fini della configurazione della responsabilità amministrativo-contabile risulta pregiudiziale la sussistenza di una precedente sentenza irrevocabile di condanna per uno dei delitti contro la pubblica amministrazione espressamente individuati dal legislatore – occorre comunque dar conto dell'esistenza di un diverso orientamento all'interno della giurisprudenza contabile (C. conti, sez. reg. Lombardia, nn. 113/2017 e 201/2016; C. conti, sez. giur. app. reg. Siciliana, n. 183/2016), in forza del quale è stato ritenuto che l'azione di risarcimento del danno all'immagine potrebbe essere esercitata in presenza di una sentenza irrevocabile di condanna per qualsivoglia reato commesso a danno della pubblica amministrazione (quindi, non limitatamente ai reati di cui al capo I, titolo II, libro II, del Codice penale). Tratteggiati nei termini sinteticamente esposti i caratteri salienti della responsabilità amministrativo-contabile, la dottrina (Dinelli, 520 ss.) si è interrogata sulla riconducibilità della fattispecie prevista dall'art. 46 del d.lgs. n. 33/2013 nell'alveo dell'istituto generale. In particolare, ci si è chiesti se possa configurarsi una responsabilità erariale per il solo fatto dell'inadempimento degli obblighi di trasparenza, ossia a prescindere dalla commissione di taluno dei reati menzionati dall'art. 51, comma 7, del d.lgs. n. 174/2016. La risposta, alla quale riteniamo di aderire, è stata negativa, propendendo in tal senso tanto il dato letterale – posto che il legislatore non prevede alcuna deroga espressa al regime ordinario, né la stessa pare evincibile dalla interpretazione sistematica dell'art. 46 del decreto trasparenza – quanto dal fatto che i principi e i criteri contenuti nella legge delega non conferivano alcun potere in ordine all'introduzione di una forma di responsabilità erariale eccentrica rispetto al regime generale attualmente previsto dal Codice di giustizia contabile. Il richiamo alla responsabilità per danno all'immagine dell'amministrazione, dunque, risulta del tutto superfluo rispetto alla proponibilità dell'azione contabile, essendo a ciò sufficiente il meccanismo previsto dall'art. 51, comma 7, del d.lgs. n. 174/2016. L'apparato sanzionatorio delineato dall'art. 47 del d.lgs. n. 33/2013L'art. 47 del d.lgs. n. 33/2013 completa l'apparato sanzionatorio della disciplina normativa in materia di trasparenza amministrativa. In particolare, accanto alle forme di responsabilità individuate dall'art. 46, con tale norma il legislatore delegato ha previsto l'applicazione di sanzioni amministrativo-pecuniarie in relazione a casi specifici (art. 47, commi 1, 1-bis e 2), affidando all'ANAC la competenza ad irrogarle (art. 47, comma 3). In primo luogo, ai sensi dell'art. 47, comma 1, al responsabile della mancata o incompleta comunicazione delle informazioni previste dall'art. 14 del decreto trasparenza viene irrogata una sanzione amministrativo-pecuniaria di importo compreso nel range 500-10.000 euro. Più in particolare, la norma fa riferimento alla mancata o incompleta comunicazione delle informazioni concernenti la situazione patrimoniale complessiva del titolare dell'incarico al momento dell'assunzione in carica, la titolarità di imprese, le partecipazioni azionarie proprie, del coniuge e dei parenti entro il secondo grado, nonché tutti i compensi cui dà diritto l'assunzione della carica. Tuttavia, l'art. 47, comma 1, del decreto trasparenza va applicato alla luce della pronuncia con la quale la Corte costituzionale ( C. cost. n. 20/2019 ) ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 14,comma 1- bis , del d.lgs. n.33/2013, nella parte in cui prevede che le pubbliche amministrazioni pubblicano i dati di cui all'art. 14, comma 1, lett. f ) anche per tutti i titolari di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo attribuiti, ivi inclusi quelli conferiti dall'organo di indirizzo politico senza procedure selettive pubbliche. Come evidenziato in precedenza (cfr. supra sub Capo II) in seguito alla pronuncia della Corte costituzionale, l'art. 14, comma 1- bis, lett. f ), del decreto trasparenza trova applicazione solo nei confronti dei titolari di incarichi dirigenziali apicali, per i quali è stato ritenuto ragionevole l'assoggettamento agli obblighi di pubblicazione previsti per i titolari di incarichi politici. L'art. 47, comma 1, del d.lgs. n. 33/2013 prevede, inoltre, la pubblicazione del provvedimento di irrogazione della sanzione sul sito Internet dell'amministrazione o dell'ente pubblico interessato. Come ben evidenziato dalla dottrina (Dinelli, 522), la ratio dell'art. 47, comma 1, del decreto trasparenza risiede nel fatto che le forme di responsabilità previste dall'art. 46 (e, in particolare, quella dirigenziale) non sarebbero efficaci in quanto la loro attivazione spetta agli organi di indirizzo politico. Questi ultimi, invero, versano in una situazione di conflitto di interessi rispetto alla tipologia di informazioni prevista dall'art. 14 del d.lgs. n. 33/2013, con la conseguenza che non solo non dispongono di adeguati incentivi a sanzionare la loro mancata pubblicazione, ma potrebbero addirittura operare per evitarne la disclosure, facendo leva sul rapporto fiduciario che li lega alla dirigenza. In secondo luogo, l'art. 47, comma 1-bis, dispone l'applicazione della medesima sanzione amministrativo-pecuniaria (oltre alla pubblicazione del relativo provvedimento nei medesimi termini innanzi esposti) prevista dall'art. 47, comma 1, nei confronti del dirigente e del responsabile della mancata comunicazione delle informazioni di cui all'art. 14, comma 1- ter, nonché della mancata pubblicazione delle informazioni di cui all'art. 4- bis, comma 2, del decreto trasparenza (si tratta di informazioni relative agli emolumenti percepiti dai titolari di incarichi e, più in generale, di informazioni concernenti l'utilizzo delle risorse pubbliche). Inoltre, la norma prevede anche l'applicazione di una ulteriore sanzione amministrativa, consistente nella decurtazione dal 30 al 60 per cento dell'indennità di risultato, ovvero nella decurtazione dal 30 al 60 per cento dell'indennità accessoria percepita dal RPCT. La ratio di tale scelta legislativa è intimamente connessa alle finalità della trasparenza, in quanto la conoscibilità dei dati relativi all'utilizzo delle risorse pubbliche giocano un ruolo cruciale nel garantire la partecipazione democratica dei consociati all'attività amministrativa e nel consentire agli stessi un esercizio effettivo del controllo sull'operato dell'amministrazione. Come evidenziato in precedenza, ciò ha condotto alla creazione di un portale telematico ad hoc per la diffusione di tali informazioni, nel quale le amministrazioni sono tenute a inserirle in formato aperto, al fine di consentire ai consociati un loro rapido e agevole riutilizzo, e ad aggiornarle costantemente. Pertanto, la specifica sanzione prevista dall'art. 47, comma 1-bis, del d.lgs. n. 33/2013, trova la sua intrinseca giustificazione nel fatto che la mancata pubblicazione dei dati inerenti all'utilizzo delle risorse pubbliche risulta suscettibile di minare alle basi l'intero impianto normativo della trasparenza amministrativa, andando ad intaccare uno dei pilastri informativi sui quali si regge il processo di apertura dell'amministrazione verso l'esterno. Infine, l'art. 47, comma 2, del decreto trasparenza, prevede l'applicazione di una sanzione amministrativa identica a quella enucleata dal precedente comma 1-bis, consistente nella decurtazione dal 30 al 60 per cento dell'indennità di risultato, ovvero nella decurtazione dal 30 al 60 per cento dell'indennità accessoria percepita dal RPCT. In particolare, tale sanzione viene irrogata, da un lato, nel caso in cui il responsabile della pubblicazione violi gli obblighi di disclosure sanciti dall'art. 22, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013 (si tratta delle informazioni relative agli enti vigilati, quelli in controllo pubblico, nonché ai dati inerenti alle partecipazioni in società di diritto privato) e, dall'altro, nel caso in cui gli amministratori societari non comunichino ai soci pubblici il proprio incarico e il compenso entro trenta giorni dal conferimento. La ratio che sorregge l'introduce di tali misure sanzionatorie è da ricercarsi, tra l'altro, nella esigenza di coerenza tra l'ampliamento dell'ambito soggettivo di applicazione della disciplina in materia di trasparenza (art. 2-bis del d.lgs. n. 33/2013) e la portata della disclosure che il legislatore ha inteso garantire per tale tipologia di informazioni. Invero, il legislatore ha avvertito la necessità di consentire, nella maniera più capillare e ampia possibile, il controllo diffuso da parte dei consociati sugli enti vigilati, controllati e partecipati dai soggetti pubblici, in ragione del ruolo svolto dagli attori privati all'interno della realtà economica, anche in virtù del loro coinvolgimento nei processi di autoproduzione pubblica di beni e servizi. Giova, inoltre, ricordare che ai sensi dell'art. 22, comma 4, del decreto trasparenza, in caso di violazione degli obblighi di pubblicazione di cui all'art. 22, comma 2, vige il divieto di erogare somme a qualsiasi titolo, da parte della pubblica amministrazione interessata, in favore degli enti pubblici vigilati, degli enti di diritto privato in controllo pubblico e delle società partecipate. Infine, l'art. 47, comma 3, del decreto trasparenza attribuisce all'ANAC la competenza ad irrogare le sanzioni amministrativo-pecuniarie per i casi specifici di violazione degli obblighi di trasparenza. L'attribuzione di tale competenza all'Autorità nazionale anticorruzione costituisce una novità introdotta con le modifiche apportate al testo dell'art. 47 dapprima dall'art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 97/2016 e, successivamente, dall'art. 1, comma 163, lett. b), n. 3), della l. n. 160/2019. La modifica più rilevante ha riguardato l'individuazione dell'autorità competente ad irrogare le suddette sanzioni, in quanto la precedente formulazione dell'art. 47 faceva genericamente riferimento «all'autorità amministrativa competente in base a quanto previsto dalla l. n. 689/1881». Pertanto, in passato, l'individuazione dell'autorità competente doveva essere realizzata sulla scorta di quanto disposto dall'art. 17 della l. n. 689/1981 che, facendo applicazione del criterio della materia alla quale si riferisce la violazione, attribuiva la competenza ad adottare l'ordinanza-ingiunzione all'ufficio periferico del Ministero competente, in mancanza del quale la competenza si radicava in capo al Prefetto. L'ANAC, con la delibera n. 66/2013, aveva chiarito che in forza delle previsioni della l. n. 689/1981 ciascuna pubblica amministrazione ha una propria autonoma competenza ad applicare le sanzioni previste dall'art. 47 del decreto trasparenza, previa adozione di un apposito regolamento di disciplina del relativo procedimento amministrativo. La dottrina (Dinelli, 525), invece, nella vigenza della precedente formulazione dell'art. 47, aveva sostenuto che per l'irrogazione delle sanzioni per violazione degli obblighi sanciti dal d.lgs. n. 33/2013, risultava competente il Prefetto, sulla scorta del fatto che la trasparenza non costituirebbe una vera e propria materia, bensì un principio generale applicabile a tutte le funzioni amministrative. L'ANAC, con una successiva delibera (n. 10/2015), ha poi mutato indirizzo chiarendo che, dalla lettura sistematica della normativa in materia di trasparenza e della l. n. 689/1981 l'autorità amministrativa competente ad applicare le sanzioni amministrative di cui all'art. 47 era quella prefettizia. In forza di tale delibera, alla luce delle modifiche apportate all'art. 47 del decreto trasparenza dall'art. 19, comma 7, del d.l. n. 90/2014 – che aveva attribuito al Presidente dell'ANAC il compito di segnalare all'autorità competente (cioè quella prefettizia) le ipotesi di violazione degli obblighi di trasparenza ai fini dell'esercizio del potere sanzionatorio – è stato adottato il «Regolamento in materia di esercizio del potere sanzionatorio ai sensi dell'art. 47 del d.lgs. n. 33/2013». Con le modifiche apportate all'art. 47 a partire dalla novella del 2016, come innanzi precisato, il quadro normativo è definitivamente mutato, posto che l'attuale formulazione di tale norma attribuisce espressamente all'ANAC il compito di irrogare le sanzioni amministrativo-pecuniarie per la violazione degli obblighi di trasparenza richiamati dal medesimo art. 47. L'ANAC, pertanto, ha cessato di svolgere solo il ruolo di soggetto deputato a trasmettere all'autorità prefettizia la comunicazione in ordine alla violazione di tali obblighi ed è divenuta, a tutti gli effetti, l'autorità amministrativa competente ad esercitare il potere sanzionatorio. A tal fine l'ANAC ha modificato, nel novembre 2016, il suddetto Regolamento per tener conto delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 97/2016, poi più volte modificato e, da ultimo, con la delibera n. 438/2021. Il procedimento sanzionatorio prevede una fase di accertamento (art. 4) nella quale l'Ufficio competente a svolgere funzioni di vigilanza sul rispetto degli obblighi di pubblicazione, anche su segnalazione di parte, rilevi l'esistenza di fattispecie sanzionabili, chiede al RPCT di fornire le motivazioni del mancato adempimento, inviando tale richiesta anche all'Organismo indipendente di valutazione (Oiv). Qualora dalle informazioni ricevute l'Ufficio rilevi la sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto per l'applicazione della sanzione avvia il procedimento trasmettendo la relativa comunicazione nel rispetto di quanto previsto dallal. n.689/1981 (art. 5) e, ove ritenga necessario acquisire ulteriori elementi, svolge anche una attività istruttoria (art. 6). Il procedimento può concludersi con il pagamento della sanzione in misura ridotta (art. 5, comma 3) oppure con l'archiviazione o la irrogazione della sanzione amministrativo-pecuniaria, entro i limiti edittali previsti dalla legge e in funzione della gravità dell'inadempimento, mediante l'adozione di un provvedimento motivato (art. 7). La disciplina del procedimento sanzionatorio, come si evince dal sintetico richiamo alle norme del Regolamento adottato dall'ANAC ratione materiae, è conforme alla disciplina generale sulle sanzioni amministrative, stante l'espresso richiamo che l'art. 47 del decreto trasparenza opera nei confronti della l. n. 689/1981, rispetto alla quale trovano applicazione i principi di legalità, irretroattività, determinatezza, personalità, colpevolezza e giusto procedimento (Travi, 25 ss.; Cerbo, 32 ss.). BibliografiaBassanini, Indirizzo politico, imparzialità della P.A. e autonomia della dirigenza. 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