Decreto del Presidente della Repubblica - 28/12/2000 - n. 445 art. 34 - (L) Legalizzazione di fotografie (A)(L) Legalizzazione di fotografie (A) 1. Le amministrazioni competenti per il rilascio di documenti personali sono tenute a legalizzare le prescritte fotografie presentate personalmente dall'interessato. Su richiesta di quest'ultimo le fotografie possono essere, altresí, legalizzate dal dipendente incaricato dal Sindaco. 2. La legalizzazione delle fotografie prescritte per il rilascio dei documenti personali non è soggetta all'obbligo del pagamento dell'imposta di bollo. --------------- (A) In riferimento al presente articolo vedi: Circolare Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti 15 maggio 2013 n. 12278. InquadramentoIn linea generale, come evidenziato nella Relazione, la rilevanza delle disposizioni contenute nella sezione VI del Capo II del TUDA, che concernono i vari aspetti l'istituto della legalizzazione (delle firme e delle fotografie), si connota più per la loro valenza sistematizzante e semplificatoria che per la loro vis innovativa del quadro pregresso (artt. 15,17 e 18 l. n. 15/1968 e 2 l. n. 127/1997), rispetto al quale si pone in una linea di sostanziale continuità. Non è mancato in dottrina chi ha osservato che, anche in questo ambito, il Testo Unico ha offerto la possibilità di semplificare alcuni adempimenti, quantomeno per i certificati prodotti da cittadini comunitari, che dovrebbero essere presentati con firma legalizzata e corredati da traduzione, ma che possono invece essere sostituiti, ai sensi dell'art. 3 del TUDA (v. Par. 2 del relativo commento) da dichiarazioni sostitutive redatte con le stesse modalità previste per i cittadini italiani (Bombardelli, 661). In particolare, quanto alla legalizzazione delle firme sugli atti amministrativi, la disciplina in commento conserva la distinzione fra atti adottati in Italia e da far valere in Italia; atti adottati in Italia e da far valere all'estero e atti adottati all'estero e da far valere in Italia, che vanno anche corredati con una traduzione ufficiale. In tema di legalizzazione di fotografie, poi, l'art. 34 riscrive il comma 7 dell'art. 2 della l. n. 127/1997, privilegiando le modalità più snelle della legalizzazione delle fotografie e riporta, al comma 2, l'esenzione dell'imposta di bollo, prevista dal collegato alla legge finanziaria di cui alla l. n. 342/2000. La legalizzazione di firme.L'art. 30 disciplina le modalità per la legalizzazione delle firme apposte sui documenti. In linea generale può osservarsi che – come esplicita anche la definizione dell'art. 1, lett. l) del TUDA che, a sua colta recepiva quella della l. n. 1700/1942 – la legalizzazione, appartenente al genus delle certificazioni, consiste nell'attestazione ufficiale della legale qualità di chi ha posto la propria firma su atti o certificati e sull'autenticità della firma stessa. È effettuata da un pubblico ufficiale o un pubblico funzionario, il quale indica il nome e il cognome della persona che ha apposto la propria firma, oltre al proprio nome e cognome, qualifica, la propria firma, la data e il luogo della legalizzazione. La ratio dell'istituto è quella di attribuire maggiore solennità all'atto pubblico, specialmente quando questo deve valere nei rapporti con una Pubblica Amministrazione straniera (v. commento all'art. 33). Come rilevato in dottrina, la materia era di particolare importanza specialmente in passato, essendo la legalizzazione prescritta da numerose disposizioni legislative, progressivamente ridottesi nel tempo a tal punto da far ritenere l'istituto come «recessivo» rispetto al passato, anche alla luce della sempre maggiore diffusione della firma digitale di documenti informatici, ormai assorbente rispetto alla produzione degli effetti della legalizzazione (Aa.Vv., 157 e 161). In passato, l'ipotesi più ricorrente di legalizzazione, eliminata dal d.P.R. n. 678/1957, era quella relativa agli atti di uffici ed enti locali, che volessero essere utilizzati fuori dall'ambito territoriale proprio di quegli uffici o enti, presso altri uffici pubblici dislocati ed operanti fuori dalla giurisdizione territoriale, dalla circoscrizione o dal comune di residenza di chi li avesse formati e sottoscritti. In altri termini, l'istituto costituiva un onere ovvero una condizione per la fruibilità, da parte dei privati, di atti o documenti rilasciati da autorità locali, la cui firma non era conosciuta né riconoscibile al di fuori dell'ambito spaziale soggetto alla giurisdizione di tali autorità. Come già accennato, la dottrina prevalente colloca la legalizzazione nella categoria delle certificazioni, qualificandola come «dichiarazione di scienza in funzione partecipativa» (Valentini, 703 ss., Sala). La legalizzazione, quale formalità idonea a perseguire lo scopo certificativo della provenienza di un documento da un'autorità determinata, ha sempre costituito un elemento accessorio dell'atto. In particolare, la mancanza di uno solo degli elementi elencati dall'articolo in esame (nome e cognome del soggetto la cui firma si provvede a legalizzare; luogo e data dell'atto di legalizzazione; nome, cognome e qualifica del pubblico ufficiale che procede alla legalizzazione; infine, firma per esteso dell'autore della legalizzazione e timbro del suo ufficio) rende la legalizzazione invalida, senza tuttavia inficiare il contenuto dell'atto legalizzato. In giurisprudenza si è ritenuto che allorquando la lex specialis preveda a pena di esclusione la legalizzazione della polizza fideiussoria relativa alla cauzione nei modi previsti all'art. 30 del TUDA, è legittima l'esclusione disposta a carico della ditta che produce una polizza fideiussoria, sottoscritta dall'agente principale con autodichiarazione dello stesso, in calce al documento, recante la dicitura che le firme sono state apposte in sua presenza e che si è accertato dell'identità e dei poteri dei firmatari, il tutto suffragato da separata dichiarazione sostitutiva di certificazione con fotocopia del documento di riconoscimento del medesimo soggetto (T.A.R. Calabria, Catanzaro II, n. 284/2009; Par. AVCP n. 214/2011). L'autenticazione della sottoscrizione prevista dall'art. 21 del d.P.R. n. 445/2000 si distingue dalla legalizzazione in quanto con la prima il pubblico ufficiale o il pubblico funzionario verifica l'identità della persona che sottoscrive, con la seconda lo stesso certifica la qualità, la carica pubblica ricoperta dal titolare dell'ufficio che ha firmato l'atto. Le differenze riguardano, quindi, prevalentemente l'aspetto soggettivo: la legalizzazione riguarda atti propri di pubblici ufficiali, mentre l'autenticazione riguarda gli atti di privati. Inoltre, la legalizzazione contiene un quid pluris rispetto all'autenticazione: mentre la certificazione si limita a verificare l'identità del sottoscrittore, la legalizzazione certifica anche la qualità del titolare dell'ufficio del soggetto che ha formato e firmato l'atto, certificandone, quindi, la provenienza. La Sezione VI prosegue con l'art. 31 che conferma – in continuità con il d. P. R. n. 678/1957, prima e con l'art. 18 l. n. 15/1968 dopo – l'esclusione della legalizzazione delle firme apposte dai pubblici funzionari o dai pubblici ufficiali su atti, certificati, copie ed estratti da essi rilasciati, ritenendo la norma in esame sufficiente garanzia di pubblica certezza l'apposizione della firma per esteso del funzionario, con l'indicazione della qualifica rivestita e il timbro del loro ufficio. Un'applicazione interessante di tale norma si è registrata in tema di validità della querela, avendo la giurisprudenza penale ritenuto che sono esenti dalla legalizzazione le firme apposte dai pubblici funzionari dello Stato «purché siano chiaramente individuabili i dati relativi alla persona del firmatario ed all'ufficio di appartenenza, con la conseguenza che per la querela presentata dal pubblico funzionario, tramite posta o incaricato ad hoc, non è richiesta né l'autenticazione né la legalizzazione della sottoscrizione» (Cass. Pen., VI, n.8925/2008;Cass. Pen., II,5239/2009,Cass. Pen., VI,n.22779/2001). In tal caso, l'adempimento dell'obbligo di specificare la fonte dei poteri di rappresentanza e l'apposizione del sigillo dell'ufficio garantiscono l'autenticità della firma, in vista degli scopi sottesi alla disciplina dell'art. 337 c.p.p., vale a dire l'accertamento dell'identità e la legittimazione processuale del soggetto che propone la querela (Nuzzo, 2450 ss.). L'art. 32 – in continuità con il previgente art. 16, l. n. 15/1968 – impone la legalizzazione da parte del provveditore agli studi delle firme di presidi di scuole parificate o legalmente riconosciute sui diplomi originali o sui certificati di studio, nel caso in cui gli stessi debbano essere utilizzati fuori della provincia in cui ha sede la scuola. Si tratta di un'ipotesi derogatoria rispetto alla regola generale prevista dall'art. 31. Nel caso dell'art. 32 le esigenze di certezza e garanzia della provenienza dei titoli di studio possono essere soddisfatte solo mediante assegnazione da parte del Provveditorato agli studi della legale qualità del sottoscrittore e dell'autenticità della sua firma (Aa.Vv., 164). Ciò in quanto, come evidenziato in giurisprudenza, le scuole non statali, anche se parificate o pareggiate, nonostante il sistema di controllo cui sono sottoposte da parte dell'amministrazione statale, conservano comunque carattere privato ancorché gestite da enti pubblici, i quali nell'espletamento di quest'attività agiscono come enti privati ai quali è stata concessa l'autorizzazione di gestire una scuola (Cons. St., VI, n.1281/1995). La legalizzazione delle firme di atti da e per l'estero.La disciplina della legalizzazione di firme in campo internazionale, già contenuta nella l. n. 1700/1942 prima, poi nel d. P. R. n. 678/1957, e, infine, nell'art. 17 l. n. 15/1968, è stata completamente trasfusa nell'articolo 33. Come rilevato in dottrina, la legalizzazione di atti da utilizzare all'estero o formati all'estero e da utilizzare nello Stato, risponde all'esigenza di far valere oltre i propri confini gli atti e i documenti formati dalle proprie autorità, nell'interesse dei privati richiedenti e dell'amministrazione (Aa.Vv., 164). L'art. 33 in commento disciplina le ipotesi relative alla legalizzazione di firme di atti da e per l'estero, secondo il regime di seguito compendiato: a) le firme sugli atti e documenti formati nello Stato e da utilizzare all'estero davanti ad autorità estere sono, ove da queste richiesto, legalizzate a cura dei competenti organi, centrali o periferici, del Ministero competente, o di altri organi e autorità delegati dallo stesso (comma 1). Nella sua formulazione originaria l'art. 17, c. 1 l. n. 15/1968 prevedeva la doppia legalizzazione della firma da parte del Ministro competente e del Ministro degli affari esteri; la disciplina è stata poi semplificata ad opera della l. n. 390/1971. Con decreto del Ministero di Grazia e Giustizia del 10 luglio 1971, la competenza è stata attribuita ai procuratori della Repubblica. Con la Circolare dello stesso Ministro del 6 febbraio 1978, prot. n. 1/1-36 (65) 705, è stata attribuita alle medesime procure la competenza a deliberare le apostille. In relazione a ciò, la procura della Repubblica di Pistoia sollevò dinanzi alla Consulta il conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato, non ritenendo coerente con la posizione costituzionale riconosciuta alla magistratura la delega di funzioni amministrative e il correlativo potere di ingerenza che il Dicastero delegante poteva esercitare. Il conflitto sollevato è stato dichiarato inammissibile con ordinanza dellaCorte Costituzionale, n.366/2008, per difetto del requisito soggettivo, in quanto il conflitto è stato promosso da un magistrato della Procura nell'esercizio di funzioni non giurisdizionali e di quello oggettivo, in quanto le norme di carattere organizzativo e ordinamentale in questione non sono state ritenute tali da attingere e menomare le attribuzioni costituzionali riservate alla magistratura dalla carta costituzionale; b) le firme sugli atti e documenti formati all'estero da autorità estere e da far valere nello Stato sono legalizzate dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane all'estero (comma 2). L'art. 17 l. n. 15/1968 aveva già innovato in tal senso rispetto alla legislazione anteriore, la quale, invece, sembrava ammettere la legalizzazione delle firme dei rappresentanti diplomatici e consolari italiani all'estero e non quella delle firme delle autorità estere che avevano formato l'atto (cfr. artt. 10, l. n. 1700/1942 e 11, d. P. R. n. 678/1957). Le firme apposte su atti e documenti dai competenti organi delle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane o dai funzionari da loro delegati non sono soggette a legalizzazione. Per la legalizzazione di tali atti, redatti in lingua straniera, occorre allegare una traduzione in lingua italiana certificata conforme al testo straniero dalla competente rappresentanza diplomatica o consolare, ovvero da un traduttore ufficiale (comma 3); c) le firme su atti formati nello Stato e da utilizzare nello Stato, ma rilasciati da rappresentanza diplomatica o consolare estera residente nello Stato sono legalizzati a cura delle prefetture (comma 4). La procedura di legalizzazione prevede che l'ufficio della Prefettura controlli che la firma che appare sul documento da legalizzare sia depositata in un apposito registro. In caso affermativo, viene subito apposto il timbro di legalizzazione. In caso negativo, viene richiesto via fax all'ente che ha emanato l'atto il nominativo della persona autorizzata alla firma e, una volta conosciute le informazioni necessarie, viene disposta la legalizzazione del documento. Si sottolinea che la formulazione della norma è generica riguardo alle categorie degli atti di cui viene richiesta la legalizzazione: il legislatore ha, infatti, appositamente escluso un'elencazione in modo da permettere di ritenere suscettibili di legalizzazione gli atti di stato civile, gli atti pubblici formati nello Stato, le procure alle liti rilasciate all'estero fatte, salve le esenzioni dall'obbligo della legalizzazione e della traduzione stabilite da leggi o da accordi internazionali (Aa.Vv., 166). Nel silenzio della legge circa le conseguenze della mancata legalizzazione, deve ritenersi che essa rappresenti un onere a carico della parte che intende avvalersi dell'atto per conseguire l'utilizzabilità di quest'ultimo, cioè la possibilità di farlo valere, senza alcuna conseguenza per la perfezione e la validità dell'atto non legalizzato. Con particolare riferimento agli atti esteri da valere in Italia, lo Studio Consiglio Nazionale del Notariato, n. 7-2021/A, definisce la legalizzazione un requisito indispensabile e insostituibile per l'utilizzazione in Italia degli atti esteri, salvo nei casi in cui vi siano dei trattati, bilaterali o multilaterali, che ne prevedano l'esenzione. In linea generale, un atto mancante della legalizzazione non è idoneo a produrre effetti nel sistema giuridico italiano, in quanto la legalizzazione costituisce condizione obbligatoria e tassativa per l'efficacia degli atti esteri in Italia, pur rimanendo un atto perfettamente valido ed efficace per l'ordinamento straniero. La legalizzazione produce effetto ex nunc, cioè a far tempo da quando essa è compiuta. La traduzione del documento sottoposto a legalizzazione. Agli atti e documenti formati all'estero da autorità estere e da valere nello Stato, se redatti in lingua straniera, deve essere allegata una traduzione in lingua italiana conforme al testo straniero dalla competente rappresentanza diplomatica o consolare, ovvero da un traduttore ufficiale. Per le traduzioni asseverate, è normalmente richiesta la legalizzazione della firma del funzionario, che certifica la fedeltà nella trasposizione dei contenuti da una lingua all'altra. La traduzione ha la funzione di rendere immediatamente comprensibile il testo dell'atto straniero a chi parla la lingua italiana, evitando a chi prende visione del documento il problema della comprensione dei contenuti del medesimo; inoltre, attribuisce particolari requisiti di certezza circa la rispondenza della traduzione al testo straniero. Pertanto, secondo l'orientamento giurisprudenziale consolidato, l'onere della traduzione, certificata conforme, forma parte integrante del relativo procedimento di legalizzazione rappresentandone una fase necessaria, ancorché accessoria (Cass. Civ., I, n. 12398/2000). In tal senso, in giurisprudenza si è avuto modo di rigettare la domanda di assegno sociale presentata da un cittadino extracomunitario che a comprova del possesso dei requisiti per la prestazione abbia prodotto certificazioni rilasciate da enti di Stati esteri non legalizzate dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane all'estero e non tradotte (Trib. Parma S. L., n.132/2020). La legge ha abilitato alla qualità di traduttori i rappresentanti diplomatici o consolari all'estero, i quali offrono una garanzia di serietà, insita nella loro qualifica, che fa escludere la possibilità di una traduzione non corrispondente all'originale. In tal ottica, in giurisprudenza si è ritenuto utilizzabile il testo – anche parziale – tradotto di una legge o di una Costituzione straniera proveniente dal consolato di quel paese che ne attesti la conformità all'originale, senza che – in difetto di qualsiasi specifica contestazione di divergenza tra traduzione acquisita e la norma nel suo testo originale – si renda necessaria la traduzione giurata di un interprete italiano abilitato, non essendo al riguardo applicabile la disciplina sulla legalizzazione di atti dall'estero di cui all'art. 33 del d. P. R. n. 445/2000. (Cass. Civ., III, n. 14777/2009). Nel Testo Unico non si fornisce la definizione di «traduttore ufficiale»; pertanto, nel silenzio legislativo, si deve ritenere che permangano in vigore tutte quelle norme che attribuiscono ad un soggetto la facoltà di compiere «traduzioni ufficiali». Tra gli altri, l'art. 54 della legge notarile (l. n. 89/1913) autorizza il notaio (ma anche i funzionari consolari in quanto facenti le veci del notaio) a ricevere atti pubblici in lingua straniera da lui conosciuta. A sua volta, l'art. 68 del regolamento notarile (r. d. n. 1326/1914) dispone che gli atti redatti in lingua straniera, ricevuti in deposito dal notaio debbano essere accompagnati dalla traduzione in lingua italiana, fatta e firmata dal notaio, se questi conosce la lingua straniera, o in caso contrario da un perito scelto dalle parti. Le convenzioni internazionali. L'art. 33, comma 5, infine, fa espressamente salve le esenzioni dall'obbligo della legalizzazione e della traduzione stabilite da leggi o accordi internazionali. In relazione a ciò vengono subito in rilievo apposite convenzioni internazionali, in luogo della legalizzazione, prevedono l'apposizione della c.d. «apostille» (postilla) da parte delle competenti autorità, secondo le previsioni della Convenzione dell'Aja 5 ottobre 1961, ratificata dall'Italia con lal. n.1253/1966, che ha sostituito tutto il pregresso insieme di trattati, convenzioni e accordi recanti semplificazioni in materia. Dal punto di vista sostanziale, l'apostille è un tipo di legalizzazione in quanto consiste nell'attestazione dell'autenticità della firma e della qualità del firmatario rilasciata dall'autorità competente dello stesso Stato che ha formato l'atto, attestazione che può essere apposta sotto forma di timbro, di foglio allegato, di adesivo o altro ancora (purché esista una congiunzione materiale fra l'atto o documento e la relativa apostille o la stessa venga apposta in forma elettronica: c.d. e-apostille o e-APP). Da un punto di vista formale, invece, si è voluto semplificare la procedura di legalizzazione, unificandone la formula e stabilendo che il documento munito della postilla, può essere immediatamente recepito nel territorio di tutti gli Stati della Convenzione senza bisogno di un'altra legalizzazione. È lo stesso Stato che forma l'atto pubblico che ne attesta la provenienza e l'autenticità, senza necessità di ulteriori conferme da parte dell'Autorità dell'altro Stato. Naturalmente solo gli Stati aderenti alla Convenzione dell'Aja del 1961 sono abilitati a rilasciare atti e documenti con la postilla ed a considerare validi gli atti provenienti da altri Stati aderenti alla Convenzione. Attualmente l'Italia ha delegato ai sensi dell'art. 6, legge n. 1253/1966: a) Procura della Repubblica presso il Tribunale al quale appartiene la giurisdizione, per gli atti giudiziari sottoscritti da funzionari del Tribunale e della Procura e gli atti notarili sottoscritti dai notai del circondario di competenza (che abbiano depositato la firma); b) la Prefettura-Ufficio territoriale del Governo territorialmente competente, per tutti gli altri atti. Per quanto concerne il problema, che talvolta si presenta, di un atto che pur provenendo da uno Stato contraente della Convenzione dell'Aia del 1961 è provvisto di legalizzazione e non di apostille, si ritiene che, essendo la legalizzazione un majus rispetto alla postilla la assorba e la sostituisca. Sulla portata della Convenzione in discorso la giurisprudenza ha avuto modo di puntualizzare che per gli atti pubblici stranieri, la dispensa dalla legalizzazione è condizionata al rilascio, da parte dell'autorità designata dallo Stato di formazione dell'atto, di specifica apostille, da apporre sull'atto stesso, o su un suo foglio di allungamento, secondo il modello allegato alla Convenzione, con la conseguenza che, in assenza di tale forma legale di autenticità del documento, il giudice italiano non può attribuire efficacia validante a mere certificazioni provenienti da un pubblico ufficiale di uno Stato estero (Cass. Civ., II, n.27282/2008). Su questa falsariga, in relazione ad una procura ad litem rilasciata all'estero, si sono ritenuti necessari, oltre all'autenticazione della firma da parte dell'autorità preposta a tale funzione nel luogo di residenza del conferente (secondo la lex loci), la traduzione in lingua italiana, la legalizzazione del documento da parte dei competenti uffici consolari italiani ovvero, qualora si tratti di Paese che ha ratificato la Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961, resa esecutiva in Italia con legge n. 1253 del 1966, quanto meno la formalità della c.d. apostille. Ne consegue che, ove detti incombenti non vengano rispettati, si versa in ipotesi di carenza, in capo al difensore, dello ius postulandi per mancanza di una valida procura speciale, richiesta dalla legge per l'introduzione di un ricorso dinnanzi ai TAR, con conseguente improcedibilità del gravame per sopravvenienza di una ragione ostativa alla pronuncia sul merito (T.A.R. Lazio, (Roma), III-ter, n. 4173/2021; T.A.R. Lazio, (Roma), III-ter, n. 20604/2019). Per semplificare ulteriormente l'intelligibilità della formula legalizzatrice, la Convenzione ne ha fissato lingua, forma e contenuto. L'apostille può essere redatta o nella lingua francese (lingua della Convenzione) o nella lingua ufficiale dell'autorità che l'ha rilasciata; in ogni caso l'intitolazione della legalizzazione deve essere sempre espressa nella forma francese di «apostille». Il fatto che la lingua, il contenuto e la struttura dell'a apostille trovano compiuta disciplina legislativa induce a ritenere non necessaria la traduzione della stessa. In tema di contenuto dell'apostille, in giurisprudenza si è evidenziato che essa deve essere esattamente conforme al modello allegato alla Convenzione; e si noti che la Convenzione non si è limitata a prescrivere ciò che la formula deve contenere, ma si è spinta a standardizzare la stessa struttura fisica dell'apostille, ponendo una numerazione progressiva delle righe di cui si compone e stabilendo quali parole devono essere riportate su ciascuna riga (Cass. Civ., III, n.7089/2006). Giova, poi, rilevare che – come evidenziato dallo Studio Consiglio Nazionale del Notariato, n. 7-2021/A – alcune convenzioni internazionali hanno previsto la soppressione di ogni forma di legalizzazione e apostille per i documenti provenienti da Germania (Convenzione di Roma del 7 giugno 1969, eseguita dall'Italia con l. n. 176/1973), Austria (Convenzione di Vienna del 30 giugno 1975, eseguita dall'Italia con l. n. 342/1977), Belgio, Danimarca, Francia, Irlanda e Lettonia (Convenzione di Bruxelles del 25 maggio 1987, eseguita dall'Italia con l. n. 106/1990). A ciò si aggiunga la Convenzione di Vienna dell'8 settembre 1976 esenta da legalizzazione i certificati rilasciati tramite modulo plurilingue in Austria, Belgio, Bosnia e Erzegovina, Croazia, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Macedonia, Montenegro, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Serbia, Slovenia, Spagna, Turchia e Svizzera; in parte detta Convenzione è stata superata dal Regolamento (UE)2016/1191 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 2016 appresso citato. Il Regolamento (UE) 2016/1191 prevede la semplificazione dei requisiti per la presentazione di alcuni documenti pubblici nell'Unione europea, menzionando espressamente, tra questi, anche gli atti notarili, in determinati settori, abolendo la necessità di legalizzazione o l'obbligo di apostille per tali documenti pubblici. Il Regolamento ha istituito dei moduli standard multilingue, che possono essere adottati, su richiesta degli interessati, per alcuni documenti pubblici relativi a stati soggettivi delle persone. Preme, sul punto, sottolineare che nel sistema del Regolamento l'esenzione dall'obbligo di legalizzazione o di apostille non è obbligatoria, poiché rimane comunque possibile ricorrere ai sistemi di legalizzazione o di altre formalità analoghe applicabili in uno Stato membro. In materia di immigrazione nella legislazione italiana (art. 6, comma 2 d. P. R. n. 394/1999) è stata introdotta anche la c.d. «validazione» come ulteriore requisito degli atti, ai fini del ricongiungimento familiare e per altre formalità dell'immigrazione. Essa costituisce un ulteriore controllo delle autorità consolari e degli Uffici italiani dell'immigrazione ai fini dell'ingresso degli stranieri in Italia, che si giustappone alla legalizzazione e alle apostille, al fine di verificare che la certificazione prodotta sia conforme alle condizioni e ai requisiti stabiliti in tema di ricongiungimento familiare dall'art. 29 d. lgs n. 286/1998. In particolare, come evidenziato in giurisprudenza, la validazione ha ad oggetto la verifica dei presupposti di parentela, coniugio, minore età o inabilità al lavoro e di convivenza, da intendersi non solo nel senso di presupposti di identità o di qualità soggettiva della persona destinataria del visto, ma anche di sussistenza della condizione economica della “vivenza a carico” del richiedente il ricongiungimento (Cass. Civ., I, n.209/2005). Legalizzazione di fotografie.A chiusura della Sezione VI del Capo II, l'articolo 34 riscrive il comma 7 dell'articolo 2, l. n. 127/1997 come modificato dall'articolo 55, c. 3, L. n. 342/2000 (c. d collegato alla finanziaria del 1999). Fino all'introduzione specifica di questo istituto, il diritto amministrativo conosceva l'istituto dell'autenticazione della fotografia, come tale soggetta fin dall'origine all'imposta di bollo. Ad esempio, alla fotografia autenticata facevano riferimento all'abrogato articolo 73 del r. d. n. 297/1911, (che individuava la competenza o nel Sindaco o nel notaio), l'art. 3 del r. d. n. 829/1914, (dove era presente la formula: «fotografia legalmente autenticata»), l'articolo 10 del r. d. n. 1953/1926, (che prevedeva al n. 9) fotografia vidimata da un «notaro, con la firma autenticata dell'aspirante»), l'articolo 2 del r. d. n. 1209/1930 (che prevedeva: «fotografia degli assegnatari stessi, autenticata dal console»), l'articolo 53 del r. d. n. 704/1933 e l'articolo 19 del r. d. n. 37/1934. Con la legge n. 127/1997 è stata adottata una terminologia più appropriata, dato che la legalizzazione attiene all'attività dei soggetti pubblici con cui si attesta la legale qualità di un soggetto o l'autenticità della sottoscrizione apposta da questi su un determinato atto o documento (v. commento all'art. 30). Successivamente, il ministero dell'Interno, con circolare n. 11 del 22 luglio 1997, nel dettare istruzioni operative conseguenti all'entrata in vigore della legge citata, mirate a dirimere i dubbi che avrebbero potuto vanificare il conseguimento degli obiettivi voluti dalla riforma, ribadiva che nella legalizzazione di foto si collega l'immagine del soggetto alle sue generalità, che devono essere limitate nel documento a cognome, nome, luogo e data di nascita, così provvedendo alla sua tipizzazione. Aggiungeva, inoltre, che la legalizzazione deve essere effettuata dagli operatori degli uffici destinatari della foto, non escludendo peraltro il ricorso agli uffici comunali «per procedimenti connessi con la pubblica amministrazione». Come precisato in sede di definizioni dal TUDA, la legalizzazione di fotografie consiste nell'attestazione fatta da un pubblico ufficiale che la fotografia riproduce le sembianze della persona che la presenta (art. 1, comma 1, lett. m), d. P. R. n. 445/2000). Le amministrazioni competenti al rilascio dei documenti personali (Questura per il passaporto o il porto d'armi, ecc.) devono legalizzare direttamente le fotografie. L'interessato può anche rivolgersi ad un qualsiasi comune, anche diverso da quello di residenza. L'art. 34 prescrive modalità semplificate per la legalizzazione di fotografie, chiarendo che la legalizzazione delle fotografie è esente da bollo. La finalità della legalizzazione di fotografia è, dunque, diversa da quella della legalizzazione di firma, alla quale essa è accomunata solo dal nome. Mentre uno degli obiettivi propri di quest'ultima implica che essa integri una attività di autenticazione di firma e conduce ad assimilare la legalizzazione all'autenticazione sotto il profilo degli obblighi di pagamento dell'imposta di bollo, lo stesso scopo non è predicabile nella legalizzazione di fotografie che, dunque, non può in nessun caso essere equiparata all'autenticazione di firma nemmeno in tema di pagamento del bollo (Aa.Vv., 159 ss.). La relazione illustrativa del Governo al TUDA chiarisce, inoltre, che la titolarità della competenza per il rilascio delle cosiddette fotografie autenticate è attribuita espressamente anche in capo al sindaco (rectius, a un dipendente da questo incaricato), con l'espressa avvertenza che non dovrà più parlarsi di foto autenticate, ma legalizzate (Aa.Vv., 167); per le differenze tra autenticazione e legalizzazione si veda il commento all'articolo 30). BibliografiaAa.Vv., La documentazione amministrativa, Milano, 2001, 159 ss.; Aa.Vv., La documentazione amministrativa, Rimini, 2001, 155 ss.; Bombardelli, Il testo unico delle disposizioni sulla documentazione amministrativa – Commento, in Giornale di Diritto Amministrativo, n. 7/2001; Nuzzo, Sulla sottoscrizione della querela proposta dal pubblico ufficiale, in Cass. pen., 2002, 2450 ss.; Sala, Certificati e attestati, in Dig. Disc. Pubbl., 1987; Valentini, Legalizzazione, in Enciclopedia del diritto, vol. XXIII, Milano, 1973, 703 ss. |