Decreto del Presidente della Repubblica - 28/12/2000 - n. 445 art. 76 - (L) Norme penali (A)(L) Norme penali (A) 1. Chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal presente testo unico è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia. La sanzione ordinariamente prevista dal codice penale e' aumentata da un terzo alla meta'1. 2. L'esibizione di un atto contenente dati non più rispondenti a verità equivale ad uso di atto falso. 3. Le dichiarazioni sostitutive rese ai sensi degli articoli 46 e 47 e le dichiarazioni rese per conto delle persone indicate nell' articolo 4, comma 2, sono considerate come fatte a pubblico ufficiale. 4. Se i reati indicati nei commi 1, 2 e 3 sono commessi per ottenere la nomina ad un pubblico ufficio o l'autorizzazione all'esercizio di una professione o arte, il giudice, nei casi più gravi, può applicare l'interdizione temporanea dai pubblici uffici o dalla professione e arte. 4-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle attestazioni previste dall'articolo 840-septies, secondo comma, lettera g), del codice di procedura civile2. --------------- (A) In riferimento al presente articolo vedi: Circolare CNR 22 aprile 2013 n. 16/2013; Circolare CNR - Consiglio Nazionale delle Ricerche 27/02/2020 n. 2 [1] Comma modificato dall'articolo 264, comma 2, lettera a), n. 3) del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla Legge 17 luglio 2020, n. 77. [2] Comma aggiunto dall'articolo 3, comma 1, della Legge 12 aprile 2019, n. 31, a decorrere dal 19 maggio 2021, come stabilito dall'articolo 7, comma 1 della legge 31/2019 medesima, modificato dall'articolo 8, comma 5, del D.L. 30 dicembre 2019, n. 162, convertito, con modificazioni dalla Legge 28 febbraio 2020, n. 8 e successivamente modificato dall'articolo 26, comma 1, del D.L. 9 novembre 2020, n. 149. Successivamente il D.L. 149/2020 è stato abrogato dall'articolo 1, comma 2, della Legge 18 dicembre 2020, n. 176, e la data di decorrenza della presente modifica, ribadita dall'articolo 31-ter, del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla Legge 18 dicembre 2020, n. 176. InquadramentoL'art. 73 apre il Capo VI del d.P.R. n.445/2000, dedicato alle sanzioni derivanti dalla violazione delle norme in materia di documentazione amministrativa. La norma, in sostanziale continuità con l'art. 24 l. n. 15/1968, reca la clausola di salvaguardia a lume della quale non possono farsi gravare sulla Pubblica Amministrazione o sui suoi dipendenti le conseguenze dannose o illegittime dovute a false dichiarazioni dei soggetti che si avvalgono degli strumenti di semplificazione forniti dalla legge. Tuttavia, l'esenzione da responsabilità non è assoluta, essendo esclusa per i casi di dolo e colpa grave dei dipendenti. Quanto alla prima fattispecie, viene in rilievo la compartecipazione dolosa del funzionario ricevente, nella formazione della falsa dichiarazione resa dal privato, responsabilità che – secondo il criterio di imputazione del fatto illecito fatto proprio dalla Cassazione (cfr. Cass., S.U., n.13246/2019) – si estende anche alla pubblica amministrazione se commesso dal funzionario nell'ambito delle attribuzioni connesse all'impiego (c.d. nesso di occasionalità necessaria). Quanto alla seconda fattispecie, essa si invera nei casi in cui il funzionario ricevente, con negligenza inescusabile, ometta di rilevare la manifesta falsità della dichiarazione resa consentendo al privato il conseguimento del relativo beneficio. Fuori da questi casi, il funzionario e l'amministrazione di appartenenza non possono essere chiamati a rispondere: a) né civilmente, per i danni subiti da un terzo per effetto del provvedimento favorevole emanato nei confronti del richiedente che ha falsificato la dichiarazione o il documento; b) né in via amministrativa, per l'eventuale esborso di denaro conseguente all'emanazione del provvedimento positivo. Si tratta, in definitiva, di una norma di tutela, quanto mai opportuna esistendo il principio dell'obbligo di emanare il provvedimento amministrativo prima dell'effettuazione dei controlli. Per quanto concerne la responsabilità della pubblica amministrazione, la norma in commento deroga alla disciplina generale che vede di norma pubblica amministrazione rispondere anche in presenza di colpa lieve, secondo il paradigma generale previsto dall'art. 2043c.c.. Essa, dunque, tiene conto della peculiarità della fattispecie imperniata sul rilievo per cui: a) la dichiarazione, la cui non veridicità non è spesso agevolmente riconoscibile; b) è posta in essere dal privato che se ne assume la responsabilità; c) è rimesso all'amministrazione un controllo successivo all'emanazione del provvedimento che attribuisce il beneficio divisato dal dichiarante. In tal ottica ben si spiega, anche in vista dell'obiettivo di garanzia del buon andamento dell'azione amministrativa, la limitazione della responsabilità dell'amministrazione a gravi e inescusabili lacune nella fase di controllo. Nel quadro della medesima ratio si può inquadrare anche il regime di responsabilità previsto dall'art. 73 per i funzionari, con l'avvertenza che detto regime non costituisce una deroga all'ordinario regime bensì un'applicazione in subiecta materia di quello previsto dal d.P.R. n.3/1957 nonché da quello sulla responsabilità contabile previsto dall'art. 1 l. n.20/1994. Non a caso in dottrina si è parlato, con riferimento a tale ultima fattispecie, di disposizione è meramente ricognitiva della disciplina della responsabilità delle pubbliche amministrazioni e dei dipendenti pubblici (v. Ciccia, 121 ss.). A ciò si aggiunga che il funzionario ricevente non è più obbligato ad ammonire espressamente il dichiarante sull'esistenza della responsabilità penale per quanto dichiarato, dovendo la relativa ammonizione essere contenuta nei moduli predisposti dall'amministrazione ai sensi dell'articolo 48. Come evidenziato in dottrina, dunque, l'obbligo del dipendente che riceve la dichiarazione sostitutiva rimane soltanto quello di accettarla ed eventualmente, in quanto pubblico ufficiale, quello di denunciare all'autorità giudiziaria i reati commessi con la presentazione di dichiarazioni il cui contenuto sia risultato essere falso (v. Bombardelli, 45). Quanto alla più compiuta identificazione del funzionario ricevente, le responsabilità sono strettamente connesse alle competenze specifiche di ciascun dipendente nell'ambito della struttura organizzativa in cui presta servizio. Così, fermo restando il caso di documentazione acquisita direttamente allo sportello, per la quale la responsabilità non può che ricadere sull'addetto, l'imputabilità tende nella generalità dei casi a concentrarsi sul responsabile del procedimento, ogniqualvolta non sia alternativamente riscontrabile un profilo di responsabilità in capo al soggetto incaricato della trattazione della pratica, ovvero dell'organo responsabile dell'adozione del provvedimento finale ove diverso dal responsabile del procedimento. D'altronde fra le competenze del responsabile del procedimento ai sensi dell'art. 6 della l. n.241/1990, è espressamente annoverata quella di ricevere la documentazione relativa procedimento e di curare l'istruttoria del procedimento medesimo. Violazione dei doveri d'ufficio.L'art. 74, avente il suo referente in alcune norme contenute nella l. n. 127/1997 e nel d.P.R. n. 403/1998, riunisce e sistematizza il catalogo delle varie fattispecie connesse alla mancata applicazione delle norme in materia di autocertificazione, qualificandole espressamente, anche ai fini dell'applicazione delle conseguenze in capo ai responsabili, quali violazione dei doveri d'ufficio. La disposizione, avente l'obiettivo di accrescere l'effettività della normativa in tema di autocertificazione, intende contrastare una delle cause principali della mancata applicazione del pregresso corpus normativo (l. n. 15/1968 e l. n. 127/1997), consistente nella resistenza opposta dai funzionari e dai dipendenti della Pubblica Amministrazione a dare applicazione alle norme che prevedevano forme di semplificazione documentale e ad accettare le dichiarazioni sostitutive. In questo senso la norma in commento, sanzionando le principali fattispecie di inattuazione del d.P.R. n. 445/2000 come violazione dei doveri d'ufficio, è volta ad assicurare l'applicazione e il pieno utilizzo degli strumenti di semplificazione della documentazione amministrativa. Come evidenziato in dottrina, la semplificazione del contatto tra cittadini ed amministrazione è un valore assoluto, da tutelare in maniera rafforzata. Per tale ragione, la responsabilità disciplinare scatta nelle ipotesi di comportamenti ostruzionistici nei confronti del cittadino con l'impedimento della facoltà di fare uso delle dichiarazioni sostitutive e degli altri istituti di semplificazione, ovvero con la persistente richiesta di atti e certificati all'interessato (v. Ciccia, 122). In particolare, l'art. 74 in commento evoca, per le fattispecie surrichiamate, la responsabilità disciplinare, che colpisce il dipendente pubblico per inosservanza di doveri imposti dal rapporto di lavoro. Più in dettaglio la norma, profondamente novellata dalla l. n. 183/2011, qualifica come violazione dei doveri d'ufficio: – la mancata accettazione delle dichiarazioni sostitutive di certificazione o di atto di notorietà rese in ossequio a quanto disposto dal T.U. medesimo. – la richiesta e l'accettazione di certificati o di atti di notorietà; – il rifiuto da parte del dipendente addetto di accettare l'attestazione di stati, qualità personali e fatti mediante l'esibizione di un documento di riconoscimento; – la richiesta e la produzione, da parte rispettivamente degli ufficiali di stato civile e dei direttori sanitari, del certificato di assistenza al parto ai fini della formazione dell'atto di nascita; – il rilascio di certificati non conformi a quanto previsto all'articolo 40, comma 02, secondo cui – si rammenta – sulle certificazioni da produrre ai soggetti privati deve essere apposta, a pena di nullità, la dicitura: «Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi». Non veridicità delle dichiarazioni e decadenza dai benefici.Per quanto riguarda le responsabilità gravanti su chi fornisce dichiarazioni mendaci, l'art. 75, in sostanziale continuità con quanto già previsto dal d.P.R. n. 403/1998, prevede l'applicabilità della decadenza dei benefici, economici e di altra natura, eventualmente conseguiti nelle more del completamento delle procedure di controllo. La norma è stata recentemente modificata dall'art. 264, comma 1, lett. a ) d l. n. 34/2020 conv. in l. n. 77/2020 (c.d. decreto rilancio) che come contraltare della diffusione della possibilità di utilizzo delle autocertificazioni, ha irrobustito l'apparato dei controlli e inasprito quello sanzionatorio, attraverso l'aumento delle sanzioni penali previste per il caso delle false dichiarazioni nonché con l'introduzione di un nuovo comma (il comma 1-bis) all'art. 75. Tale disposizione prevede espressamente, per il caso di falsa autocertificazione, ferma restante l'applicazione delle sanzioni penali, oltre alla decadenza dai benefici che conseguono al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera, anche la revoca degli eventuali benefici già erogati nonché – a titolo di sanzione interdittiva (argumentum ex relazione illustrativa d.l. n. 34/2020) – il divieto di accesso a contributi, finanziamenti e agevolazioni per un periodo di 2 anni decorrenti da quando l'amministrazione ha adottato l'atto di decadenza. È, infine, sancita – avuto riguardo alla particolarità della fattispecie e alla delicatezza delle relative esigenze in rilievo – la non revocabilità di benefici connessi ad interventi, anche economici, in favore dei minori e per le situazioni familiari e sociali di particolare disagio. Orbene, ove all'esito dei controlli previsti dall'art. 71 emerga la non veridicità delle dichiarazioni, spetta al responsabile del procedimento formalizzare la denuncia del fatto penalmente rilevante. Il legislatore usa, infatti, il termine «veridicità» e non quello di «falsità». La circostanza è significativa del fatto che per procedere alla decadenza dal beneficio non è necessario il riscontro della falsità con sentenza definitiva. In altri termini, non esiste pregiudiziale penale al procedimento amministrativo di decadenza dal beneficio. In giurisprudenza si è avuto modo di confermare tale conclusione in relazione alla condotta dello straniero che, al fine di ottenere il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno, abbia presentato documentazione falsa. In relazione a tal caso si è rilevato che deve ritenersi non determinante il fatto che si abbia certezza circa il reato di falsificazione, considerato che l'ordinamento generale prevede, sic et simpliciter, la decadenza dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera, nelle ipotesi di non veridicità delle dichiarazioni sostitutive di cui agli artt. 46 e 47 del d.P.R. n. 445/2000 (T.A.R. Lazio, Roma I, 19 febbraio 2021, n.2059). Resta inteso che, nel caso in cui la p.a. pronunci la decadenza, si assume la responsabilità di asseverare la non veridicità delle dichiarazioni e qualora successivamente l'interessato ottenesse una sentenza penale di assoluzione per insussistenza del fatto o per non aver commesso il fatto, potrebbe residuare il rischio di un'azione risarcitoria qualora ricorrano le condizioni di cui all'art. 74 del testo unico in commento in caso di dolo o colpa grave del dipendente, ferma restante la proponibilità dell'istanza di autotutela per rimuovere il provvedimento di decadenza dai benefici adottato. In assenza di elementi rivenienti dalla norma in esame, non essendo possibile per la p.a. una delibazione dell'elemento soggettivo del reato di falsificazione tipica della sede processuale penale, la stessa potrà limitarsi a valutare, in sede amministrativa, sul piano oggettivo non solo la difformità fra quanto dichiarato e la realtà ma anche la presenza o meno di un collegamento causale fra il dato errato o mancante e il conseguimento del beneficio. Solo se tale collegamento è del tutto assente si potrà parlare di mera irregolarità rilevabile d'ufficio dall'amministrazione e sanabile dall'interessato ai sensi dell'art. 71, comma 3. Quanto all'accertamento delnesso causale, in giurisprudenza si è avuto modo di ritenere che l'art. 75 del d.P.R. n. 445/2000 non prevede un automatismo tra dichiarazione mendace e perdita dei benefici, prevedendo testualmente la stessa che la decadenza possa colpire soltanto i benefici conseguenti alla dichiarazione non veritiera. Pertanto, è necessario accertare l'esistenza di un nesso causale tra la dichiarazione non veritiera ed il conseguimento dei benefici che, in mancanza del mendacio, l'aspirante non avrebbe ottenuto (App.Perugia, S.L., n.148/2020). Inoltre, con particolare riferimento alle dichiarazioni non veritiere in occasione dell'accesso al pubblico impiego, si è ritenuto che esse sono causa di licenziamento (cioè determinano decadenza ai sensi dell'art. 75 dall'impiego) se tali infedeltà comportino la carenza di un requisito che avrebbe in ogni caso impedito l'instaurazione del rapporto di lavoro con la P.A. Nelle altre ipotesi, le produzioni o dichiarazioni false effettuate in occasione o ai fini dell'assunzione possono comportare, una volta instaurato il rapporto, il licenziamento in esito al relativo procedimento disciplinare ed a condizione che, valutate tutte le circostanze del caso concreto, la misura risulti proporzionata rispetto alla gravità dei comportamenti tenuti (Trib. Terni, S.L., n.63/2020). Sulla portata del concetto di non veridicità ha avuto modo di pronunciarsi la giurisprudenza, con riferimento ad una fattispecie particolare in cui l'amministrazione aveva rilasciato una certificazione favorevole al privato confidando su un'omissione dichiarativa di quest'ultimo commessa molti anni prima, peraltro relativa a circostanze pianamente accertabili dall'amministrazione (presenza o meno di vincoli). In tale fattispecie si è puntualizzato che altro è fornire una descrizione non veritiera dell'opera che si intende realizzare o si è realizzata, alterandone, ad esempio, le dimensioni, le caratteristiche o l'epoca di realizzazione; altro è, invece, non indicare una serie di circostanze inerenti al regime amministrativo rilevante, che il privato potrebbe ignorare o sul quale egli potrebbe aver maturato una convinzione diversa dalla situazione reale. Ne consegue che nella specie viene in rilievo al più un'ipotesi di induzione in errore dell'amministrazione ma non una dichiarazione falsa (Cons. St. II, n.8004/2020). Ancor più chiaramente si è ritenuto – in relazione alle conseguenze delle dichiarazioni false/erronee/incomplete sul possesso dei titoli valutabili nel concorso per il reclutamento di volontari nelle forze armate in merito al possesso del brevetto FISE – che i princìpi di giustizia sostanziale, di ragionevolezza e proporzionalità assumono valore prevalente rispetto a quello di autoresponsabilità (anche penale) per le dichiarazioni dei candidati, in considerazione della formulazione del modulo predisposto dall'amministrazione, suscettibile di indurre in errore il compilatore frettoloso, che l'ha ritenuto identico a quello degli anni precedenti (cfr. T.A.R. Lazio, Roma I, n. 6117/2018; T.A.R. Lazio,Roma I-bis, n.11496/2017; n. 1940/2018; n. 1838/2018; n. 1836/2018; n. 701/2018; n. 8/2018). Nello stesso tempo – a fronte dell'orientamento giurisprudenziale secondo cui la veridicità delle dichiarazioni rese in gara costituisce un valore in sé, e può giustificare l'esclusione del concorrente a prescindere dal contenuto intrinseco della circostanza falsamente dichiarata (T.A.R. Lazio,RomaII, n.3024/2019;T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, Trieste I, n.678/2014;T.A.R. Campania, Napoli VIII, n.16605/2010) – si pone l'opposto orientamento volto a distinguere in base alla necessità della dichiarazione tacciata di falsità ai fini della partecipazione alla gara. In particolare la ratio dell'art. 75 d.P.R. n. 445/2000 non trova applicazione ogniqualvolta la dichiarazione tacciata di falsità non sia necessaria. Ciò in quanto in tale ipotesi, infatti, viene meno quella stretta correlazione tra il beneficio (l'aggiudicazione) e la dichiarazione, che impone di rilevare la falsità di quest'ultima (Cons. St. V,n. 3446/2016;Cons. St. III, n.5240/2015). Diversamente, le dichiarazioni certamente irrilevanti ai fini della partecipazione non soltanto sono inidonee ad arrecare indebiti vantaggi al dichiarante, ma neppure necessitano – per legittimare la partecipazione alla gara – di essere classificate come falso “innocuo”, proprio perché estranee all'ambito delle dichiarazioni richieste a pena di esclusione (Cons. St. V, n.1812/2016;T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna II, n.958/2018). Natura della decadenza e ricadute applicative. La natura della decadenza sancita dall'art. 75 è stata oggetto di un articolato dibattito in dottrina e in giurisprudenza. In particolare, in giurisprudenza, pur essendosi ricondotto l'art. 75 del d.P.R. n. 445/2000 ai casi normativi di autotutela doverosa, si è marcata la distinzione del potere di dichiarare la decadenza ai sensi dell'art. 75 d.P.R. n. 445/2000 da quello di riesame per vizi di legittimità ex art. 21-nonies l. n. 241/1990. In particolare, si è sancita la non correttezza di una lettura del quadro normativo che subordina l'esercizio del primo alle condizioni previste per il secondo. Si è così affermato che l'art. 75 configura una forma di autotutela doverosa, posta a garanzia di supremi valori ed interessi dell'ordinamento contro la consolidazione degli effetti d'un atto illegittimo ed ingiusto e non tempestivamente revocato o annullato. Ciò è tanto vero che l'art. 21-nonies, comma 2, recato dalla novella ex art. 6, comma 1, lett. d), n. 2) della l. n. 124/2015, ha fatto salve, tra le altre, le sanzioni previste dal capo VI del d.P.R. n. 445/2000, tra cui, appunto, quelle dettate dall'art. 75. Sulla base di tale presupposto è stato sancito in capo alla P.A. l'obbligo di provvedere a fronte di un'istanza di un terzo diretta all'applicazione del citato art. 75 (Cons. St. VI, n.8920/2019). È stato, nello stesso senso precisato che la disposizione di cui all'art. 75 del d.P.R. n. 445/2000 non lascia alcuna discrezionalità alle Amministrazioni che si avvedano della non veridicità delle dichiarazioni, e prescinde, per la sua applicazione, dalla condizione soggettiva del dichiarante, attestandosi sul dato oggettivo della non veridicità, rispetto al quale sono irrilevanti il complesso delle giustificazioni addotte dal medesimo dichiarante (Cons. St. V, n.3934/2014). Ancora, si è osservato che l'art. 75 non richiede alcuna valutazione circa il dolo o la grave colpa del dichiarante, facendo invece leva sul principio di auto-responsabilità (Cons. St. V, n.404/2016). Un altro filone giurisprudenziale, in caso di benefici conseguiti per effetto di dichiarazioni non veritiere, non fa riferimento all'applicazione dell'art. 75 ma al potere di annullamento d'ufficio, specificando che: a) in tal caso all'amministrazione è consentito esercitare il proprio potere di autotutela ritirando l'atto concesso senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse; b) la falsa rappresentazione dei fatti da parte del privato (configurabile anche in presenza del solo silenzio su circostanze rilevanti) comporta l'inapplicabilità del termine per l'annullamento d'ufficio introdotto, nell'art. 21-nonies l. n. 241/1990 e perciò senza neppure richiedere alcun accertamento processuale penale (T.A.R. Campania, Salerno II, 4 febbraio 2019 n.217, in Foro Amm.-TAR, 2019, 1056; T.A.R. Lombardia, Brescia I, 12 giugno 2018 n.574, in Foro Amm.-TAR, 2018, 1100). Quanto al comma 2-bis dell'art. 21-nonies, si è chiarito che la costruzione sintattica e l'interpretazione logico sistematica della citata norma implicano una chiara distinzione tra il caso in cui il provvedimento sia conseguito in funzione di una semplice «falsa rappresentazione dei fatti» – intesi questi ultimi anche come condizione dei luoghi e loro relazioni spaziali – e l'ipotesi in cui il rilascio del provvedimento sia fondato (anche) su «dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci». A tale conclusione deve pervenirsi non tanto e non solo per l'uso della disgiuntiva «o», che separa e differenzia le due fattispecie, bensì e soprattutto perché soltanto alle dichiarazioni e all'atto di notorietà è riferita la proposizione «...false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato», e solo a queste ultime, appunto in quanto effetto di condotte costituenti reato, è ricollegabile il successivo inciso «accertate con sentenza passata in giudicato». A tale stregua, qualora, in spregio alla peculiare efficacia probatoria che è riconosciuta dall'ordinamento alle dichiarazioni e all'atto di notorietà, esse siano false o mendaci – e in effetti false in quanto mendaci, ossia dirette a attestare fatti insussistenti o diversamente esistenti in rerum naturae – al fine di superarne tale efficacia è imprescindibile l'accertamento in sede penale; diversamente la mera falsa rappresentazione, che può limitarsi anche al solo silenzio su circostanze rilevanti o al riferimento solo parziale delle medesime, si impone nella sua oggettività e non richiede alcun accertamento processuale penale. (Cons. St. III, n.3422/2020; IV, n. 4374/2018; V, n. 3940/2018;T.A.R. Campania, Salerno II,n.18/2021,T.A.R. Lombardia, Milano II, n.728/2020). Un ulteriore filone ritiene l'art. 75 sussumibile nell'alveo dell'autotutela e come tale soggetto alle condizioni di cui all'art. 21-nonies, l. n. 241/1990, introdotto dalla l. n. 15/2005, secondo il quale il mero ripristino della legalità violata non è sufficiente a sorreggere gli atti di annullamento d'ufficio di provvedimenti illegittimi, richiedendosi a tal fine anche l'apprezzamento delle ragioni di interesse pubblico all'annullamento dell'atto, degli interessi dei destinatari e dei controinteressati (T.A.R. Lazio, Roma I, n.8622/2020). Alla medesima stregua, si è affermata l'illegittimità del provvedimento inibitorio della s. c. i. a. adottato dopo aver fatto scadere invano il termine di 30 giorni stabilito dalla legge per rilevare la carenza dei requisiti e dei presupposti per l'integrazione della fattispecie (T.A.R. Lazio,RomaII-bis, n. 9248/2020). È stato, poi, rilevato che la disciplina in tema di soccorso istruttorio, volta a evitare, in sede di ammissione alla gara pubblica, esclusioni da essa per mere carenze documentali, compresa la mancanza assoluta delle dichiarazioni, non esclude l'applicazione dell'art. 75 d.P.R. n. 445/2000 per il caso di dichiarazione non veritiera, con conseguente applicazione in tal caso della decadenza nella forma dell'esclusione (Cons. St. V, n.2106/2016). Premessa tale varietà di posizioni, risulta preferibile qualificare l'art. 75 d.P.R. n. 445/2000 come norma non recante una sanzione di carattere afflittivo, in quanto la decadenza dal beneficio si pone quale mero effetto, sul piano causale, dell'assenza, successivamente accertata, dei requisiti per conseguire il beneficio stesso. La sua natura e la sua operatività possono comprendersi appieno solo ove si consideri che esse sono strettamente connesse al nucleo concettuale che permea il d.P.R. n. 445/2000, basato sulla diade semplificazione-autoresponsabilità. L'applicazione della decadenza ivi prevista, ha carattere obiettivo e vincolato, cioè, privo di margini di valutazioni discrezionali, emergendo dalla sola circostanza in fatto della dichiarazione non coerente con la realtà una fattispecie di esclusione del tutto autonoma che concretizza, per ciò solo, un'ipotesi di violazione rilevante, ostativa all'erogazione dei benefici richiesti. In particolare, nel sistema del d.P.R. n. 445/2000 dalla dichiarazione non veritiera, resa in sede di autocertificazione, scaturiscono due conseguenze in relazione alle quali l'Amministrazione procedente non ha alcuna discrezionalità: sul piano amministrativo, ai sensi dell'art. 75, la decadenza dal beneficio ottenuto rendendo la dichiarazione mendace; sul piano penale, ai sensi dell'art. 76, una specifica responsabilità per falsa dichiarazione. La predetta responsabilità e le connesse conseguenze non sono escluse dal fatto di aver delegato l'adempimento ad un soggetto terzo e dal comportamento illegittimo e/o scorretto tenuto da quest'ultimo. Pertanto, non rileva la condizione soggettiva di buona o mala fede del soggetto che ha reso la dichiarazione, basandosi le norme recanti la semplificazione nell'attività amministrativa sul principio di autoresponsabilità, con un ribaltamento sull'interessato dell'onere di acquisire piena consapevolezza della propria effettiva condizione, in modo da rendere pienamente affidabile l'autocertificazione, laddove l'affidabilità delle autocertificazioni rappresenta un presupposto essenziale per la diffusione degli strumenti di semplificazione nell'attività amministrativa. In tal ottica, In un contesto di positivo rinnovamento della legislazione in tema di rapporti tra cittadino e pubblici poteri, e quindi in tema di certificazioni e di autocertificazione, è indispensabile che il cittadino stesso sia anche responsabile (e responsabilizzato) delle dichiarazioni che rilascia, all'evidente scopo di evitare che un importante strumento di civiltà giuridico-amministrativa, quale l'autocertificazione, possa finire con l'essere comodo mezzo per aggirare ben precisi precetti di legge Tale costruzione, oltre tutto, è connaturale alla funzione riconosciuta alle dichiarazioni sostitutive di certificazione, alle quali è annessa funzione non certificatoria, ma solo di allegazione infraprocedimentale di affermazione circa fatti o stati di cui si domanda la dimostrazione. A tale stregua, l'amministrazione non solo ha la piena facoltà di verificare la veridicità del dichiarato, in quanto, in ragione della finalità semplificatoria che l'istituto persegue, il contenuto dell'autocertificazione resta sempre necessariamente esposto alla prova contraria ma anche – una volta acquisita la certezza della non veridicità del dichiarato – ha il dovere di trarne le necessarie conseguenze, nella corretta e doverosa applicazione del principio generale di buona amministrazione. In definitiva, l'art. 75 d.P.R. n. 445/2000positivizza il precipitato logico del principio di autoresponsabilità, cardine fondamentale dell'intera disciplina in materia di dichiarazioni sostitutive, in forza del quale al privato è precluso di trarre qualsivoglia vantaggio da dichiarazioni obiettivamente non rispondenti al vero. Non sono mancati a tal proposito, tentativi di ricondurre le conseguenze previste dalla disposizione in esame all'ambito della decadenza siccome riconnessa alla mancanza (successivamente accertata) dei requisiti richiesti per la concessione dell'agevolazione (Trib. L'Aquila n.438/2020) o addirittura alla potestà sanzionatoria amministrativa, argomento oggi corroborato dalle citate modifiche apportate dall'art. 264, comma 1, lett. a) del decreto rilancio che, dopo aver parlato di «revoca» dei benefici, ha aggiunto un'ulteriore misura interdittiva biennale per il dichiarante. Sul punto autorevole dottrina, facendo perno sull'assoluta singolarità della fattispecie normativa in commento, sfuggente rispetto alle categorie tradizionali, ha posto la questione della congruità del termine per disporre la decadenza, specie nelle ipotesi di dichiarazione non dovuta a dolo o colpa del dichiarante e di affidamento maturato sul vantaggio incolpevolmente conseguito. Ciò soprattutto alla luce della temporaneità dell'esercizio del potere di autotutela ormai consacrato e rafforzato dal decreto rilancio (M.A. Sandulli, 189 ss.) A fronte di tale ricostruzione si è contrapposto l'orientamento giurisprudenziale prevalente volto a disconoscere la rilevanza di qualsiasi affidamento del privato basato su dichiarazioni non veritiere, se non altro in quanto non legittimo e a ritenere esercitabile il potere di declaratoria della decadenza anche oltre i termini legislativi previsti per l'esercizio dei poteri di autotutela. In definitiva, si ritiene l'art. 75 diretta e coerente espressione del principio di autoresponsabilità e norma chiave in un'ottica di enforcement per il corretto funzionamento dell'intero meccanismo legale dell'autocertificazione. Sotto un connesso profilo, l'obiettività, la perentorietà e l'automatismo sottesi all'operatività della norma in commento hanno indotto a sollevare dubbi e perplessità, sotto il piano della legittimità costituzionale della stessa. Si sono, infatti, susseguite alcune ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzione dell'art. 75d.P.R. n.445/2000, in relazione alla violazione dell'art. 3 Cost.; ciò nella parte in cui, con riferimento alle false dichiarazioni sostitutive di atto notorio o di certificazioni, l'automatica decadenza dal beneficio – eventualmente conseguente al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera – e l'impedimento a conseguirlo, quali conseguenze lato sensu sanzionatorie della dichiarazione mendace, colpirebbero in maniera indiscriminata condotte di rilievo differente, risultando preclusa qualsiasi valutazione circa la gravità del fatto, il suo disvalore e l'elemento soggettivo del dolo o della colpa del dichiarante. In relazione a ciò la Corte Costituzionale ha avuto modo di esprimersi recentemente dapprima con la sentenza n. 199/2019, con cui la questione è stata dichiarata inammissibile per incompleta descrizione della fattispecie e per difetto di motivazione sulla rilevanza della questione. La medesima questione è stata riproposta dal T.A.R. Puglia, Lecce III, con l'ord. n.92/2020, con cui si nuovamente denunciato l'art. 75 per contrasto con l'art. 3 Cost., nella parte in cui introduce un automatismo legislativo, decontestualizzato e senza eccezioni, tra la non veridicità della dichiarazione resa dall'interessato e la perdita dei benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera; ciò in relazione ai principi di proporzionalità, ragionevolezza e uguaglianza sostanziale. Si è, poi, evidenziato che, pur volendo valorizzare l'art. 75 del d.P.R. n. 445/2000 quale norma generale di semplificazione amministrativa, la sua applicazione automatica e obiettiva porta ad uno sbilanciamento fra il principio di buon andamento dell'azione amministrativa e i vari diritti costituzionalmente tutelati emergenti nel procedimento. Anche con riferimento a tale ordinanza, è seguita la pronuncia della CorteCostituzionale n.190/2021 che ha dichiarato ancora una volta inammissibile la questione per difetto di motivazione sulla rilevanza della questione, in quanto il giudice rimettente, ritenendo assorbente il rilievo della falsità della dichiarazione, ha escluso l'applicazione un'altra disciplina di rango regolamentare applicabile nella fattispecie e suscettibile di definire il contenzioso instaurato dal ricorrente. Norme penali.Per quanto riguarda le responsabilità gravanti su chi fornisce dichiarazioni mendaci, l'art. 76, in sostanziale continuità con l'art. 26 l n. 15/1968, conferma e rafforza, specie alla luce delle modifiche apportate dal decreto sviluppo nel 2020, l'apparato sanzionatorio nei confronti dei trasgressori. L'art. 76 comma 1 prevede delle fattispecie penali per i casi in cui l'espletamento delle attività di controllo evidenzi la non veridicità del contenuto della dichiarazione sostitutiva, evocando le fattispecie sanzionatorie previste dal codice penale e dalle leggi speciali in materia. Si rileva la mancata riproduzione, nella disciplina relativa alle sanzioni penali, dell'ammonimento previsto dal comma 4 dell'art. 26 l. n. 16/1968 che era onere del pubblico ufficiale che autenticava le sottoscrizioni o al quale erano esibiti gli atti, in merito alla responsabilità penale prevista in caso di dichiarazione mendace o di esibizione di atto falso o contenente dati non più rispondenti a verità. Il riferimento all'ammonimento è tuttavia presente in due disposizioni del testo unico: il comma 4 dell'art. 3 e l'art. 48, inerente alla modulistica predisposta dalle singole amministrazioni e relativa alle dichiarazioni sostitutive. L'art. 264, comma 1, lett. a) del decreto rilancio inasprisce la risposta repressiva prevedendo un aumento da un terzo alla metà (aggravante ad effetto speciale) della pena prevista. Un'ulteriore fattispecie penale, introdotta dalla l. n. 127/1997, ed ora riprodotta nel comma 2 dell'art. 76, equipara l'esibizione di un atto contenente dati non più rispondenti a verità equivale ad uso di atto falso. Si fa riferimento all'ipotesi dell'esibizione di un documento in sostituzione di certificati relativi ai dati attestati nel documento stesso, nonostante i dati medesimi abbiano subito variazioni dalla data del rilascio (cfr. art. 45, comma 1, d.P.R. n. 445/2000). Qualora tale documento contenga elementi modificati successivamente alla data di rilascio e l'interessato se ne sia giovato indebitamente, si configura l'ipotesi di reato di cui all'art. 489 c.p. (uso di atto falso). Inoltre, ai sensi del comma 3 dell'art. 76, le dichiarazioni sostitutive rese ai sensi degli artt. 46 e 47, così come quelle rese ai sensi dell'art. 4, comma 2 (dichiarazioni rese per conto dei soggetti che versano in una situazione di temporaneo impedimento per ragioni di salute) sono considerate come fatte a un pubblico ufficiale. Questo significa ricondurre la fattispecie in parola nell'ambito dell'art. 495 c.p. (falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sull'identità o su qualità personali proprie o di altri). Infine, il comma 4 dell'art. 76 stabilisce che se i reati indicati nei commi 1, 2 e 3 sono commessi per ottenere la nomina ad un pubblico ufficio o l'autorizzazione all'esercizio di una professione o arte, il giudice, nei casi più gravi, può applicare l'interdizione temporanea dai pubblici uffici o dalla professione e arte. BibliografiaAa.Vv., La documentazione amministrativa, Milano, 2001, 279 ss.; Aa.Vv., La documentazione amministrativa, Rimini, 2001, 160 ss.; Bombardelli, Le parole chiave, in Semplifichiamo. Guida alle novità del testo unico sulla documentazione amministrativa, a cura di S. Paparo, Catanzaro, 2001, 41; Ciccia, Il testo unico della documentazione amministrativa, teoria e prassi, Matelica, 2003, 125 ss. Sandulli, La semplificazione della produzione documentale mediante le dichiarazioni sostitutive di atti e documenti e l'acquisizione d'ufficio, in Principi e regole dell'azione amministrativa, a cura di M.A. Sandulli, Milano, 2020, 189 ss. |