Legge Pinto: è possibile proporre ricorso per l'eccessiva durata del processo prima della sentenza definitiva?

Michele Liguori
25 Maggio 2022

La Convenzione EDU deve essere interpretata e applicata in modo da garantire diritti concreti ed effettivi. La violazione del diritto a un processo entro un termine ragionevole implica una situazione continua che può causare al richiedente notevoli disagi e un'incertezza prolungata...
Massima

La Convenzione EDU deve essere interpretata e applicata in modo da garantire diritti concreti ed effettivi.

La violazione del diritto a un processo entro un termine ragionevole implica una situazione continua che può causare al richiedente notevoli disagi e un'incertezza prolungata. Il richiedente, pertanto, qualora ritenga che la durata del procedimento sia stata eccessiva, deve avere la possibilità di presentare ricorso al tribunale nazionale in qualsiasi fase del procedimento principale.

Il rimedio previsto dall'art. 4 L. n. 89/2001, nel testo modificato nel 2012 e fino alla sentenza della Corte costituzionale del 2018 (Corte Cost. 26/4/2018 n. 88), non può essere considerato un rimedio effettivo ai sensi dell'art. 13 Convenzione EDU.

Il caso

Sedici cittadini italiani (da qui in poi ricorrenti) presentano innanzi alla Corte EDU, tra il 2013 ed il 2015, vari ricorsi contro la Repubblica italiana ex art. 34 Convenzione EDU.

I ricorrenti lamentano:

  • l'eccessiva lunghezza dei rispettivi procedimenti pendenti davanti ai Tribunali nazionali (oscillante tra 9 e 24 anni);
  • l'impossibilità di proporre in sede nazionale la domanda di equa riparazione per l'irragionevole durata dei procedimenti prima delle decisioni definitive atteso che, in seguito alla modifica dell'art. 4 L. n. 89/2001 - articolo sostituito dall'art. 55, comma 1, lett. d), D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012 n. 134 - la domanda non può più essere presentata durante il procedimento in cui la violazione si è realizzata ma soltanto dopo che la decisione che lo conclude è diventata definitiva.

Il governo italiano resiste e, a sua volta, sostiene che:

  • i ricorrenti non hanno soddisfatto il requisito dell'esaurimento dei rimedi interni;
  • il rimedio previsto in sede nazionale è sempre stato considerato un rimedio efficace;
  • i ricorrenti in seguito alla sentenza della Corte costituzionale (Corte Cost. 26/4/2018 n. 88) potrebbero nuovamente proporre un'azione di risarcimento durante i rispettivi procedimenti principali o dopo la loro conclusione.

La Corte EDU, data l'affinità dell'oggetto delle domande, riunisce i ricorsi, li esamina insieme e con sentenza 28 aprile 2022:

  • rigetta l'eccezione del governo italiano di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne;
  • dichiara ammissibili le domande;
  • dichiara che v'è stata una violazione degli artt. 6, par. 1, e 13 della Convenzione EDU;
  • condanna lo Stato italiano a pagare ai ricorrenti, entro tre mesi dalla data di passaggio in giudicato della sentenza, a titolo di danno non patrimoniale importi oscillanti tra € 11.000,00 ed € 22.000,00 oltre interessi semplici, dalla data di scadenza del termine concesso e fino al pagamento, ad un tasso pari alle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo maggiorato di tre punti percentuali.
La questione

Le questioni giuridiche sono relative:

  • alla possibilità di proporre la domanda di equa riparazione per l'irragionevole durata del procedimento prima della decisione definitiva;
  • all'effettività dei rimedi preventivi volti ad accelerare i procedimenti previsti dalla L. n. 89/2001.
Le soluzioni giuridiche

La Corte EDU rileva che:

  • l'art. 4 L. n. 89/2001, nel testo originario presente in Gazzetta Ufficiale, prevedeva che “La richiesta di riparazione può essere presentata durante il procedimento in base al quale si presume la violazione o, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla data in cui la decisione che conclude il suddetto procedimento è diventata definitiva”;
  • l'art. 4 L. n. 89/2001, nel testo modificato nel 2012 ed applicabile ratione temporis, prevede che “La domanda di risarcimento può essere presentata entro sei mesi dalla data in cui la decisione che conclude il procedimento in cui si presume la violazione è diventata definitiva”.

La Corte EDU rileva ancora che all'indomani della modifica dell'art. 4 L. n. 89/2001 il Comitato dei ministri, nella riunione dei ministri delegati tenuta dal 4 al 6 dicembre 2012, ha adottato una decisione (CM/Del/Dec(2012)1157) in cui ha rilevato “con preoccupazione che i recenti emendamenti alla legge Pinto, che subordinano l'accesso al rimedio previsto da questa legge alla risoluzione definitiva del procedimento principale...potrebbero sollevare questioni di compatibilità con i requisiti della Convenzione e la giurisprudenza della Corte sull'efficacia dei rimedi e i criteri di compensazione”.

La Corte EDU rileva ancora che la Corte costituzionale:

  • con una prima decisione (Corte Cost. 25/2/2014 n. 30), seppur ha respinto la questione di costituzionalità del nuovo art. 4 L. n. 89/2001:
    • ha tuttavia ritenuto che il rinvio della presentazione della domanda di risarcimento alla fine del procedimento in cui si è verificato il ritardo ha avuto un impatto sull'efficacia del rimedio in questione;
    • ha, pertanto, invitato il legislatore italiano ad adottare misureper raggiungere uno scopo costituzionalmente necessario”;
    • ha sottolineato che un'inerzia prolungata da parte del legislatore non può essere tollerata;
  • con una successiva decisione (Corte Cost. 26/4/2018 n. 88), rilevata l'inerzia del legislatore italiano:
    • ha ritenuto che i rimedi preventivi introdotti nel 2015 non avessero alcun effetto reale sullo svolgimento del procedimento, in quanto, da un lato, i giudici non avevano alcun obbligo di accelerare il procedimento e, dall'altro, la legge Pinto prevedeva espressamente che l'ordine di priorità nella trattazione delle cause, determinato da altre disposizioni, non fosse intaccato dal rimedio preventivo introdotto dalla parte ricorrente;
    • ha ritenuto che il rimedio risarcitorio è l'unico rimedio disponibile e che obbligare l'interessato ad aspettare la conclusione della procedura “significava sovvertire la logica per la quale [il rimedio] è stato concepito”, il che era incompatibile con la Costituzione;
    • ha, pertanto, dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 L. n. 89/2001 nella parte in cui non prevede che la domanda di equa riparazione possa essere proposta in pendenza del procedimento presupposto.

La Corte EDU rileva ancora, in via generale, che:

  • un rimedio, per essere considerato efficace, deve essere in grado di porre direttamente rimedio alla situazione lamentata e avere una ragionevole prospettiva di successo;
  • i mezzi di ricorso a disposizione di un contendente a livello nazionale sono “efficaci” ai sensi dell'art. 13 Convenzione EDU se consentono al contendente:
    • di ottenere una decisione anticipata da parte dei giudici interessati;
    • di fornire un adeguato risarcimento per i ritardi già subiti;
  • il miglior rimedio in assoluto è, come in molti settori, la prevenzione;
  • un rimedio mirato unicamente ad accelerare i procedimenti, anche se auspicabile per il futuro, può non essere sufficiente a porre rimedio ad una situazione in cui è chiaro che il procedimento si è già protratto per un periodo eccessivo.

La Corte EDU rileva ancora, in relazione ai casi esaminati, che:

  • l'efficacia di un “rimedio” ai sensi dell'art. 13 Convenzione EDU non dipende dalla certezza di un esito favorevole per il richiedente;
  • la disposizione impugnata non lascia dubbi sull'assenza di prospettive di successo dei ricorsi e sull'esito sfavorevole di qualsiasi domanda di ricorso presentata prima della conclusione del procedimento principale;
  • la Convenzione EDU deve essere interpretata e applicata in modo da garantire diritti concreti ed effettivi;
  • la violazione del diritto a un processo entro un termine ragionevole implica una situazione continua che può causare al richiedente notevoli disagi e un'incertezza prolungata;
  • il richiedente, pertanto, qualora ritenga che la durata del procedimento sia stata eccessiva, deve avere la possibilità di presentare ricorso al tribunale nazionale in qualsiasi fase del procedimento principale;
  • i rimedi preventivi volti ad accelerare i procedimenti sono stati introdotti dalla L. n. 89/2001 solo nel 2015;
  • il rimedio previsto dall'art. 4 L. n. 89/2001, nel testo modificato nel 2012 e fino alla sentenza della Corte costituzionale del 2018 (Corte Cost. 26/4/2018 n. 88), non può essere considerato un rimedio effettivo ai sensi dell'art. 13 Convenzione EDU.

La Corte EDU rileva ancora, in particolare, che:

  • la ragionevolezza della durata del procedimento va valutata alla luce delle circostanze del caso e tenendo conto dei seguenti criteri:
    • la complessità del caso;
    • il comportamento del richiedente;
    • il comportamento delle autorità competenti;
    • la rilevanza della posta in gioco per l'interessato;
  • la durata dei procedimenti davanti ai tribunali nazionali ha avuto una durata variabile tra i nove e ventiquattro anni;
  • tale durata è eccessiva e non soddisfa il requisito del “tempo ragionevole” previsto dall'art. 6, par. 1, Convenzione EDU.
Osservazioni

La decisione in commento - che sanziona nuovamente l'Italia per i ritardi dei processi ma a sua volta perviene a distanza di molti anni dalla presentazione dei ricorsi - è senz'altro condivisibile.

Essa, infatti, correttamente rileva l'illegittimità dell'art. 4 L. n. 89/2001, nel testo modificato nel 2012, per le stesse ragioni per le quali la Corte costituzionale ne ha dichiarato l'illegittimità costituzionale nella parte in cui non prevede che la domanda di equa riparazione possa essere proposta in pendenza del procedimento presupposto (Corte Cost. 26/4/2018 n. 88).

La decisione, però, si segnala anche per aver posto nuovamente in evidenza l'insufficienza dei rimedi preventivi che non sono effettivi e, cioè, quelli che non garantiscono alcuna efficacia acceleratoria al processo (conf. Corte EDU, grande Camera, 29/3/06, Scordino c/ Italia) e porta a mettere in dubbio la bontà della decisione della Corte costituzionale che, pronunciatasi sui rimedi preventivi previsti per il processo civile, ha dichiarato “non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1-bis, comma 2, 1-ter, comma 1, e 2, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del codice di procedura civile), sollevata, in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848” (Corte Cost. 23/6/2020 n. 121).

La decisione, ancora, si segnala anche per le liquidazioni effettuate a titolo di danno non patrimoniale per la durata irragionevole del processo (importi oscillanti tra € 11.000,00 ed € 22.000,00 per processi durati tra 9 e 24 anni) che corrispondono ad oltre € 1.000,00 per ciascun anno di durata del processo (e non per ciascun anno di ritardo del processo).

La decisione e gli importi liquidati - che sono in linea con quelli liquidati dalla stessa Corte EDU da oltre tre lustri che sono compresi in un importo oscillante tra € 1.000,00 ed € 1.500,00 per ciascun anno di durata del processo (per tutte: Corte EDU, Grande Camera, 29/3/2006, Scordino/Italia) - portano a mettere in dubbio la bontà e la tenuta dell'art. 2 bis, comma 1, L. 24/3/2001 n. 89 - articolo aggiunto dall'art. 55, comma 1, lett. b), D.L. 22/6/2012 n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012 n. 134 e comma successivamente sostituito dall'art. 1, comma 777, lett. e), L. 28/12/2015 n. 208 - nella parte in cui prevede che “Il giudice liquida a titolo di equa riparazione, di regola, una somma di denaro non inferiore a euro 400 e non superiore a euro 800 per ciascun anno, o frazione di anno superiore a sei mesi, che eccede il termine ragionevole di durata del processo” e, quindi, importi di gran lunga inferiori.

La decisione, infine, si segnala anche per la liquidazione degli interessi ed in particolare:

  • per la decorrenza, non dalla data delle domande bensì da quella di scadenza del termine concesso e fino al pagamento;
  • per il tasso, non quello legale bensì quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea - e, cioè, il tasso di interesse corrisposto dalle banche quando assumono prestiti dalla BCE overnight - maggiorato di tre punti percentuali.

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