Decreto del Presidente della Repubblica - 28/12/2000 - n. 445 art. 2 - (L) Oggetto

Massimiliano Scalise

(L) Oggetto

1. Le norme del presente testo unico disciplinano la formazione, il rilascio, la tenuta e la conservazione, la gestione, la trasmissione di atti e documenti da parte di organi della pubblica amministrazione; disciplinano altresí la produzione di atti e documenti agli organi della pubblica amministrazione nonché ai gestori di pubblici servizi nei rapporti tra loro e in quelli con l'utenza, e ai privati [che vi consentono ] 1.

[1] Comma modificato dall'articolo 75 del D.LGS. 7 marzo 2005, n. 82 con effetto a decorrere dal 1 gennaio 2006 e successivamente dall'articolo 30-bis, comma 1, lettera a), del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 settembre 2020, n. 120.

Inquadramento

L'art. 2 perimetra, con valenza chiarificatrice e sistematizzante, l'ambito di applicazione oggettivo e – in parte – quello soggettivo del TUDA.

Quanto al primo aspetto la disposizione sintetizza il contenuto della legge, facendo riferimento a tutte le attività di gestione e di utilizzazione dei documenti amministrativi che intercorrono fra la loro formazione e la loro conservazione.

La logica sottesa al TUDA è quella di abbinare alla semplificazione sul piano normativo, realizzata attraverso la codificazione che ha consentito di eliminare disposizioni ridondanti o contraddittorie ed armonizzare le altre, quella amministrativa, perseguita attraverso la razionalizzazione dell'uso degli strumenti di certezza (Arena, 15; Pedaci, 24).

Venendo all'ambito soggettivo, è il caso di puntualizzare che la norma affronta un profilo specifico rispetto allo spettro soggettivo di applicazione del TUDA, cioè quello della «legittimazione passiva», relativo ai soggetti tenuti all'applicazione della disciplina relativa alla «produzione di atti e documenti» recata dal citato Testo Unico.

L'attuale formulazione è frutto di una graduale evoluzione e stratificazione normativa che ha portato ad ampliare via via la platea dei «legittimati passivi» allo scopo di favorire l'applicazione sempre più effettiva e generalizzata del testo unico.

Così, a fronte nucleo originario ante testo unico della norma in commento, rinvenibile nell'art. 1 l. n.15/1968 che limitava l'ambito di applicazione della relativa disciplina ai soli rapporti con gli organi dell'amministrazione, erano intervenute la l. n.127/1997 che aveva consentito di estendere detto ambito ai gestori di pubblico servizio e poi la l. n.340/2000 (c.d. legge di semplificazione per l'anno 1999) che aveva previsto un'ulteriore estensione ai privati che vi acconsentissero. Dunque l'articolo originario dell'art. 2 aveva recepito questo approdo.

Su questo quadro, è recentemente intervenuto l'art. 30- bis del d.l. n.76/2020, conv. inl. n.120/2020 (c. d. decreto semplificazioni) che, sopprimendo la condizione del consenso dei privati destinatari dei documenti per l'applicazione delle disposizioni del TUDA sulla «produzione di atti e documenti», ha introdotto un obbligo generalizzato di applicazione degli istituti di semplificazione recati dal Testo Unico, superando tutta una serie di dubbi interpretativi che erano insorti.

Contestualmente, per i privati che intendano effettuare controlli sulle informazioni ricevute, all'art. 71, comma 4, d.P.R. n. 445/2000, è stata abolita la condizione della previa definizione di appositi accordi con le amministrazioni interessate.

In definitiva, con il nuovo Decreto Semplificazioni, chiunque (pubblici e privati) è tenuto ad accettare le autocertificazioni e ha la facoltà di effettuare controlli sulla veridicità dei dati e delle informazioni ricevute dai privati.

Ne consegue che – ricomprendendo oggi l'alveo dei soggetti tenuti all'applicazione disposizioni del TUDA sulla «produzione di atti e documenti» le pubbliche amministrazioni, i gestori di pubblici servizi e i privati, a tal punto che potrebbe dirsi che la «legittimazione passiva» sia divenuta «assoluta» – assume rilievo chiave ai fini dell'applicazione della citata normativa non già la natura del soggetto o le funzioni esercitate, bensì unicamente il profilo relativo alla ricorrenza dei presupposti oggettivi a tal fine (si pensi, con riferimento alle autocertificazioni, alla necessità di certificazioni surrogabili con autocertificazioni).

Circa l'estensione applicativa dell'art. 2, si rileva che taluna dottrina, fa leva su un'interpretazione letterale del riferimento alle norme sulla «produzione di atti e documenti», per ritenere l'obbligo di applicazione delle norme del TUDA come circoscritto alle sole autocertificazioni e su questa base predica la necessità dell'autentica di firma per le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà rivolte ai privati (Aa.Vv., 39). In tal senso parrebbe indurre a ritenere anche l'esame della rubrica dell'art. 30-bis del citato d.l. 76/2020 conv. in l. n. 120/2020 che fa riferimento alle «misure di semplificazione in materia di autocertificazione».

A conclusioni opposte sembrerebbe indurre, invece, un'interpretazione logica e funzionale del citato riferimento, da cui non è dato evincere alcun elemento limitante, con conseguente estensione dell'obbligo di applicazione a tutti gli istituti di semplificazione recati dal TUDA non limitandosi alle autocertificazioni.

Sotto tale profilo, autorevole dottrina ha avuto modo di rilevare, con riferimento alle autocertificazioni «hanno assunto un ruolo sempre più «centrale» nel sistema dei rapporti tra privati e amministrazioni e, travalicando l'originaria funzione di sostituire le «certificazioni» amministrative e gli «atti di notorietà» (consentendo agli amministrati di certificare essi stessi alle amministrazioni dati, circostanze e informazioni chiaramente risultanti da documenti amministrativi o comunque «notori»), sono state impropriamente chiamate anche a «supplire» alle inefficienze dei poteri pubblici, implicando di fatto il trasferimento in capo ai privati di responsabilità di ricostruzione e valutazione di un quadro normativo e tecnico sempre più farraginoso e complesso che i dipendenti pubblici non si sentono in grado di assumere» (M. A. Sandulli, 320).

Le singole ipotesi di legittimazione passiva: le pubbliche amministrazioni.

L'art. 2, nel delineare il perimetro dei «legittimati passivi», fa, innanzitutto, riferimento alla produzione di atti e documenti agli organi della «pubblica amministrazione», senza fornire alcuna definizione di pubblica amministrazione o un'elencazione, come ad esempio si riscontra nell'art. 2, comma 2 del d.lgs. n. 82/2005, né recare un riferimento ad altra norma definitoria recata in altra legge (ad es. d.lgs. n. 165/2001, che definisce l'ambito in relazione alla disciplina del rapporto di pubblico impiego). Del resto manca nell'ordinamento una definizione generale di pubblica amministrazione, per cui in assenza di referenti specifici come nel caso di specie, è rimessa all'interprete la ricostruzione in chiave ermeneutica del concetto, avuto riguardo alle caratteristiche e alle finalità della normativa da applicare di volta in volta.

Come confermato in giurisprudenza nel nostro ordinamento non è rinvenibile una nozione unitaria di pubblica amministrazione o di ente pubblico idonea a definire tali concetti a tutti gli effetti di legge. Risultano, per converso, desumibili innumerevoli nozioni, ciascuna plasmata in relazione alle caratteristiche della materia normata (Cons. St. VI, n. 2660/2015).

Su tali basi, avuto riguardo alla valenza generalizzante della normativa in commento e dei suoi obiettivi di semplificazione dell'azione amministrativa nei rapporti con gli amministrati – obiettivo quest'ultimo tanto cruciale da essere annoverato dall'art. 29, comma 2- bisl. n. 241/1990 (come novellato dal d.l. n. 76/2020 conv. in l. n. 120/2020), con specifico riferimento agli istituti dell'autocertificazione, fra i livelli essenziali delle prestazioni, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. m) Cost. – deve optarsi per una nozione ampia e inclusiva di pubblica amministrazione, non limitata a quella recata dall'art. 1,comma 2 d.lgs. n.165/2001; quest'ultimo, infatti, disciplina il diverso caso del perimetro soggettivo della privatizzazione del rapporto di impiego pubblico. Ne consegue che detta nozione ricomprende nel suo ambito anche tutti quei soggetti pubblici non menzionati nel citato art. 1 (si considerino, ad. es. le autorità amministrative indipendenti).

È, poi, il caso di specificare che, il TUDA si riferisce esclusivamente alle pubbliche amministrazioni italiane, non trovando applicazione a quelle estere (ciò, ad esempio, è rilevante ai fini dell'applicazione della decertificazione prevista dall'art. 40 cfr. infra).

Sempre avuto riguardo alla ratio della normativa in commento come testé compendiata, giova puntualizzare che gli istituti di semplificazione siano destinati a trovare applicazione esclusivamente nell'ambito dell'attività amministrativa.

In giurisprudenza è consolidato l'orientamento volto a ritenere, con riferimento agli istituti dell'autocertificazione, che gli stessi esplicano la loro efficacia, a norma dell'art. 2 del medesimo d.P.R. n. 445/2000esclusivamente nell'ambito dei procedimenti amministrativi quale meccanismo di allegazione infraprocedimentale di affermazioni circa fatti o stati di cui è richiesta la dimostrazione (ex multis: Cass. III, n. 18599/2013; Cons. St. IV, n. 3143/2018; Cons. St. VI, n. 4195/2011, Cons. St. VI, n. 2781/2011, Cons. St. IV, n. 6948/2009T.A.R. Lombardia, Milano III, n. 458/2015)

I privati esercenti pubbliche funzioni.

La modifica legislativa intervenuta con l'art. 30- bisdel d.l. n. 76/2020, conv. inl. n.120/2020 (c.d. decreto semplificazioni), che ha generalizzato l'obbligo di applicare gli istituti di semplificazione, estendendolo ai privati anche a prescindere dal loro consenso, consente di risolvere la questione dell'applicazione delle citate disposizioni anche particolari categorie di soggetti che svolgono funzioni pubbliche, pur essendo giuridicamente soggetti privati. È questo il caso, ad esempio, dei notai, i quali, fino all'emanazione del d.P.R. n. 445/2000, in assenza di supporto normativo, erano completamente fuori dal novero dei soggetti legittimati.

Sul punto – premessa l'applicazione della normativa in commento tanto ai consigli notarili, in quanto enti pubblici quanto ai collegi notarili, in quanto organi dei consigli (D'orio, Studio n. 2393, Semplificazione delle certificazioni amministrative ed attività notarile, in Studi e materiali, 1998-2000, vol. 6-1, 487) – lo Studio del Consiglio Nazionale del Notariato n. 2-2012 concludeva per la sottrazione alla stessa del notaio in quanto: a) quest'ultimo è un ufficio pubblico ma non fa parte della pubblica amministrazione; b) è sprovvisto dei poteri di controllo per verificare l'attendibilità delle autocertificazioni e garantire per questa via quel bilanciamento fra le esigenze di semplificazione e quelle di certezza sottostanti al TUDA.

Oggi con la citata modifica normativa intervenuta con il c.d. decreto semplificazioni anche i notai, come gli altri privati investiti di pubbliche funzioni, devono ritenersi ricompresi nel novero dei soggetti tenuti all'applicazione dei succitati istituti di semplificazione. Va, in particolare, rilavato che il Legislatore all'ampliamento dei «legittimati passivi» ha abbinato una serie di modifiche e misure volte a semplificare e velocizzare i controlli sul contenuto delle autocertificazioni, fra l'altro, attraverso la modifica dell'art. 71, comma 4 cui si è già accennato nonché attraverso una spinta decisa, con una novella al d.lgs. n. 82/2005, alla digitalizzazione delle amministrazioni.

I gestori di pubblici servizi e le società partecipate.

L'art. 2 prosegue nell'enucleazione dei sui destinatari, facendo riferimento ai «gestori di pubblici servizi nei rapporti fra loro e in quelli con l'utenza», a prescindere dalla loro natura che può essere pubblica o privata.

È il caso, ad esempio, di enti o aziende quali l'Enel, le Ferrovie, la Rai, le Poste, così come, in ambito locale, le aziende che gestiscono i servizi pubblici di rilevanza economica, i quali coinvolgono interessi primari della collettività o connotati dalla soggezione della loro attività ad una qualche forma di controllo di diritto pubblico (ad es., concessione amministrativa).

Difatti, secondo la teoria oggettiva, il «servizio pubblico» va inteso nella sua accezione generale di attività svolta per la soddisfazione di un interesse generale, regolata in parte dal diritto pubblico, rilevando la concreta attività svolta piuttosto che la forma giuridica del soggetto agente. Da questo assunto, si è arrivati ad affermare che la gestione di servizi pubblici non è di esclusiva pertinenza della P.A., potendo essere esercitata anche da privati. Pertanto, gli esercenti di pubblici servizi possono essere soggetti diversi dalla P.A., titolati allo svolgimento di particolari attività di carattere generale, per esempio dietro concessione amministrativa o secondo altra modalità (società mista, azienda partecipata, ecc.), potendo il loro ruolo essere, così, equiparato a quello di una Pubblica Amministrazione.

Considerata, dunque, la natura sostanzialmente «pubblicistica» dell'attività svolta dai gestori di pubblici servizi, il legislatore ha voluto considerare il rapporto dei cittadini con questi soggetti equivalente al rapporto tra cittadini e Pubblica Amministrazione, specie per ciò che attiene alla presentazione di documenti e certificati.

Ne consegue che il Testo Unico trova applicazione obbligatoria soltanto nei loro rapporti reciproci ed in quelli con l'utenza, cioè nelle attività connesse con la gestione del servizio.

Al di fuori di quest'ambito, nelle attività aventi natura interamente privatistica, i gestori di pubblici servizi sono considerati al pari di tutti gli altri soggetti privati e quindi – prima della modifica recata dall'art. 30-bis d.l. n. 76/2020 conv. in l. n. 120/2020 – non erano considerati come obbligati ad applicare le norme del TUDA.

Conclusioni analoghe valgono per le società con totale o prevalente capitale pubblico. Difatti, l'art. 29, comma 1, l. n.241/1990, così come modificato in un'ottica sostanzialistica dalla l n. 69/2009, ha esteso le disposizioni della legge generale sul procedimento amministrativo – e quindi gli istituti di semplificazione documentale menzionati al Capo IV (autocertificazione e accertamento d'ufficio) – a tale categoria di società, limitatamente all'esercizio delle funzioni amministrative.

Tale conclusione è stata confermata in giurisprudenza. Così, si è avuto modo di ritenere integrato il reato di falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico, con la condotta di colui che, in una autocertificazione sostitutiva diretta ad un gestore di telefonia, abbia dichiarato di aver smarrito la scheda SIM, in quanto le dichiarazioni sostitutive rese ai sensi degli artt. 46 e47 del d.P.R. n.445/2000, in base all'art. 76 del medesimo decreto, sono considerate come fatte ad un pubblico ufficiale. Si è, difatti, rilevato che nei rapporti con i gestori di pubblici servizi e, dunque, anche con quelli di telefonia, i certificati e gli atti di notorietà sono sostituiti dalle dichiarazioni di cui agli artt. 46 e 47 del medesimo d.P.R. (Cass. pen. III,n. 6347/2018).

Inoltre, in occasione di alcune vicende che hanno interessato Poste Italiane S.p.A. ed alcuni istituti di credito, si è affermato che detta società, sebbene diventata società per azioni, continua a svolgere servizi di natura pubblicistica, quale quello relativo alla gestione del servizio postale. Pertanto, solo a quest'ultimo si è ritenuto applicabile il d.P.R. n. 445/2000, e non invece al servizio bancario – bancoposta – e di intermediazione finanziaria (Cass. pen. n. 11654/2006).

Nello stesso senso ha avuto modo di esprimersi anche il parere del Dipartimento della Funzione Pubblica, 18 dicembre 2006, in merito «all'applicabilità alla società Poste Italiane S.p.a. del T.U. in materia di documentazione amministrativa».

Anche in dottrina si è cercato di tracciare una distinzione fra le attività riconducibili al servizio pubblico da quelle di tipo privatistico, addivenendosi alla conclusione per cui: a) le norme sulle dichiarazioni sostitutive si applicano a Poste italiane soltanto nella gestione del servizio postale e non anche nell'espletamento dei servizi bancari e d'intermediazione finanziaria; b) gli istituti di credito sono assoggettati alla normativa in commento solo nello svolgimento di un'attività di riscossione dei tributi o del servizio di tesoreria per conto di un ente pubblico (G. Bausilio, 31).

La distinzione così operata, fra attività strettamente connessa allo svolgimento del servizio pubblico ed attività «neutra», in quanto non specificatamente qualificata da un rapporto di assunzione di pubblico servizio, pur comprensibile sul piano sistematico e calzante sotto il profilo della tutela della concorrenza (in relazione alle attività di tipo privatistico svolte dai gestori di pubblici servizi), ha tuttavia creato problemi operativi nell'applicazione delle norme del TUDA in relazione alla riconducibilità di determinate attività soggette al regime pubblicistico ovvero alle attività neutre. Si pensi, ad esempio, al caso in cui il gestore di pubblico servizio opera sì in forma privatistica, ma come intermediario di un ente pubblico: questo è il caso dell'Ente Poste nell'erogazione di servizi di bancoposta, laddove questa si esplichi per il pagamento delle pensioni per conto di un ente pubblico. In questo caso la considerazione del collegamento funzionale dell'attività esplicata, pur formalmente privatistica, con un'attività pubblicistica dovrebbe giustificare l'applicazione delle norme del TUDA (M. Bombardelli, 664 e ss.; Aa.Vv., 38).

Come già anticipato, la modifica recata dall'art. 30- bisd.l. n. 76/2020 conv. inl. n.120/2020, nella parte in cui ha generalizzato l'utilizzo degli istituti di semplificazione anche nei rapporti fra privati, ha permesso di risolvere la surrichiamata disputa, atteso che ad oggi i gestori di pubblico servizio sono tenuti a fare applicazione dei citati istituti sia che agiscano nell'ambito di attività di rilevanza pubblicistica (cioè nei rapporti fra loro e con l'utenza, ciò già ai sensi del dettato dell'art. 2 ante modifica) sia che agiscano come privati, per effetto della modifica in commento. Lo stesso è a dirsi per le società con totale o prevalente capitale pubblico. A tanto, anche prima della cennata modifica, poteva comunque pervenirsi in via ermeneutica dell'art. 40, comma 01 del TUDA, come modificato dall'art. 15 l. n. 183/2011 in relazione alla decertificazione, interpretando funzionalmente e logicamente la formulazione secondo cui «Nei rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi i certificati e gli atti di notorietà sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni di cui agli artt. 46 e 47».

I privati.

L'ultimo inciso dell'art. 2, che consentiva di applicare il T.U. in esame all'attività dei privati, purché questi vi consentissero e che trovava originariamente la propria fonte nell'art. 2 della l. n. 340/2000 (legge di semplificazione annuale per l'anno 1999), è stato oggetto di una radicale modifica ad opera del più volte citato art. 30- bis d.l. n.76/2020 conv. inl. n.120/2020 (c. d. decreto semplificazioni), nella parte in cui ha eliminato il consenso dei privati quale condizione per l'utilizzo degli istituti di semplificazione previsti dal TUDA, con una contestuale semplificazione delle modalità per l'effettuazione dei controlli sull'attendibilità del contenuto delle autocertificazioni.

Ne consegue che, ad oggi, tutti i privati, a prescindere dal loro consenso, sono tenuti a far applicazione della disciplina relativa alla «produzione di atti e documenti» recata dal citato Testo Unico.

In relazione al pregresso regime il fondamento giuridico dell'istituto in esame poteva identificarsi nel consenso delle parti, che è necessario al fine dell'utilizzo dei modelli legali di semplificazione previsti dal TUDA e pertanto propedeutico alla loro stessa efficacia giuridica, potendosi parlare di un accordo a contenuto normativo del rapporto contrattuale. La necessità di tale consenso non assurgeva tuttavia ad obbligo, giacché prevale sempre la libertà contrattuale di cui all'art. 1322 c.c.

Si riteneva che l'accettazione della dichiarazione sostitutiva, da parte del privato, mettesse quest'ultimo nella condizione di aver diritto ad una conferma, da parte dell'amministrazione certificante, di quanto dichiaratogli, ma tale richiesta doveva essere supportata dall'esistenza di due presupposti: 1) il consenso scritto del dichiarante a che tale controllo venisse effettuato; 2) la definizione di appositi accordi da parte della pubblica amministrazione con i privati (G. Fiorillo, C. Lombardi).

In relazione al regime pregresso erano state rilevate alcune criticità che avevano impedito l'applicazione diffusa degli istituti di semplificazione nei rapporti interprivati. In particolare, le autocertificazioni erano ritenute meno «certe» rispetto, appunto, al certificato presentato in quanto in esse potevano essere riportati, anche in buona fede, dei dati inesatti o non coerenti.

D'altro canto eccessivamente farraginose erano le condizioni per l'effettuazione dei controlli sul contenuto delle autodichiarazioni avuto riguardo all'obbligo per i privati di farsi rilasciare autorizzazione scritta dell'interessato per procedere al citato controllo e la previa definizione, allo stesso fine, di accordi con l'amministrazione (G. Fiorillo, C. Lombardi).

In questo quadro è intervenuto – come già anticipato- l'art. 30-bis del decreto semplificazioni eliminando a monte il consenso dei privati come condizione per l'applicazione degli istituti di semplificazione e a valle gli elementi che rendevano difficoltosi i controlli sul contenuto delle autocertificazioni, non prevedendo alcuna autorizzazione scritta dell'interessato e dall'altro consentendo ai privati che intendessero procedere a controllo di procedervi anche in assenza di accordi con l'amministrazione.

Questioni applicative.

1) Gli istituti di semplificazione trovano applicazione a tutte le attività degli Uffici Giudiziari?

In relazione all'attività degli Uffici Giudiziari, in cui in capo al medesimo soggetto sono intestate anche funzioni non amministrative, si è rilevato che gli istituti di semplificazione previsti dal TUDA trovino applicazione in relazione: a) ai procedimenti strettamente amministrativi (ad es. gestione del personale ed evidenza pubblica); b) alle attività di natura sostanzialmente amministrativa pur connesse all'esercizio della funzione giurisdizionale (ad es. l'iscrizione all'albo dei consulenti e il gratuito patrocinio); c) alle attività del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie a carattere non giurisdizionale (ad es. atti notori, rinuncia all'eredità, accettazione dell'eredità con beneficio di inventario) (Caglioti, 2 e 3).

Nello stesso senso, con riferimento alla disciplina in materia di autocertificazione (all'epoca) recata dalla l. n. 15/1968 la Circ. Min. Funz. Pubbl. 20 dicembre 1988, n. 2677 aveva avuto modo di puntualizzare che «tali norme non riguardano la presentazione di atti e documenti all'autorità giudiziaria nell'espletamento delle funzioni giurisdizionali, per cui continuano ad osservarsi le disposizioni contenute nei codici o in leggi speciali». Tale impostazione, è stata, poi, confermata dal Ministero della Giustizia, nelle Circolari n. 578fU/99 del 25 febbraio 1999, e n 2153/99/1 del 2 settembre 1999, nelle quali si sono ritenute applicabili le norme in materia di semplificazione documentale al procedimento di iscrizione all'albo dei consulenti tecnici, sul presupposto che si trattava di un procedimento avente carattere amministrativo e non giurisdizionale.

Del resto, già qualche anno prima, il d.m. 22 maggio 1995, n.431 aveva già ritenuto applicabile gli istituti in discorso ai procedimenti concernenti la tenuta all'albo dei periti e consulenti tecnici presso gli uffici giudiziari e agli albi degli ordini professionali.

2) Quale efficacia si riconosce alle autocertificazioni nelle varie tipologie di giudizi?

In giurisprudenza, con riguardo all'efficacia degli istituti in commento nel processo civile, è consolidato l'orientamento secondo cui l'autocertificazione può essere idonea ad attestare, sotto la responsabilità del dichiarante, fatti a sé favorevoli esclusivamente nel rapporto con una P.A. e nei relativi procedimenti amministrativi. Viceversa nessun valore probatorio, neanche indiziario, può esserle riconosciuto nell'ambito del giudizio civile, in quanto caratterizzato dal principio dell'onere della prova, tenuto conto che la parte non può derivare da proprie dichiarazioni elementi di prova a proprio favore e che solo la non contestazione o l'ammissione di controparte possono esonerare dall'onere della prova (cfr. ex multis: Cass. III,n. 18599/2013;Cass., sez. lav.,n. 17358/2010;Cass., sez. lav.,n. 15486/2007;Cass., sez. lav.,n. 12999/2003;Trib. Perugia, sez. lav.,n. 152/2019;Trib. Civitavecchia, sez. lav.,n. 55/2019;Trib. Roma V,n. 18442/2018). Le fattispecie decise riguardano, per lo più, di contenziosi in materia previdenziale, in cui era insorta la questione della possibilità per parte attrice di comprovare in giudizio la propria situazione reddituale per il tramite delle autocertificazioni.

Diversamente, agli atti sostitutivi di notorietà provenienti da terzi, in quanto assimilabili alla dichiarazione scritta proveniente da terzi, è stata annessa l'efficacia di meri indizi sottoposti alla valutazione del giudice (Cass. I,n. 11223/2014). Per converso, ove l'atto sostitutivo di notorietà rechi una dichiarazione contra confitentem è ritenuto idoneo ad integrare una dichiarazione confessoria a natura stragiudiziale e, come tale, è liberamente valutabile dal giudice quale prova, ai sensi dell'art. 2735, comma 1,c.c. (Cass. VI,n. 19708/2020). In questi casi, a ben vedere, non può parlarsi di rilievo giuridico di tali dichiarazioni nel processo civile in virtù della loro valenza nel procedimento amministrativo, bensì deve ritenersi che il loro contenuto viene apprezzato e valutato secondo le norme del processo civile.

Al citato orientamento se ne contrappone un altro, volto ad annettere alla dichiarazione sostitutiva di notorietà, anche dal contenuto favorevole all'interessato, valore di indizio o comunque elemento da valutarsi ad opera del giudice anche alla luce del comportamento di controparte. Così, con particolare riguardo alla prova della qualità di erede, si è affermato che la citata dichiarazione – pur essendo considerata da alcune specifiche norme di legge come prova sufficiente delle qualità di erede e di legatario allorché queste siano fatte valere a fini esclusivamente amministrativi – nel processo civile e nell'ambito della giurisdizione ordinaria non hanno nessuna rilevanza quando vengano prodotte in giudizio in funzione probatoria di una delle suddette qualità. In tal caso, detta dichiarazione non dà luogo ad una presunzione legale, sia pure juris tantum, circa la spettanza delle indicate qualità di erede o di legatario, ma integra un mero indizio, che deve essere comprovato da altri elementi di giudizio (Cass., S.U., n. 12065/2014, con nota di Fasano, in La Nuova Procedura Civile, n. 4/2014; Cass. VI,n. 29830/2011).

Analogamente, nel processo tributario l'efficacia probatoria dell'autodichiarazione del contribuente è esclusa dal principio secondo cui l'autocertificazione ha attitudine certificativa e probatoria esclusivamente in alcune procedure amministrative; essa è, invece, priva di efficacia nel processo tributario, in quanto in quest'ultimo viene esclusa la prova testimoniale. Diversamente opinando, infatti, verrebbe facilmente eluso il divieto della prova testimoniale previsto dall'art. 7, comma 4, d.lgs. 546/1992, in assenza peraltro delle «garanzie» che sono connesse con la prova testimoniale, fra cui spiccano le osservazioni delle parti sull'attendibilità del teste, la richiesta di chiarimenti e le annesse sanzioni penali (Cass., sez. trib.,n. 18374/2019;Cass., sez. trib.,n. 6755/2010,Cass., sez. trib.,n. 703/2007).

Nel giudizio amministrativo, vi è concordia nel ritenere che le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà non sono utilizzabili e non rivestono alcun effettivo valore probatorio, sostanziandosi in un mezzo surrettizio per introdurre la prova testimoniale, con la conseguenza che le stesse possono al più costituire solo un mero indizio (o un principio di prova) che, in mancanza di altri elementi gravi, precisi e concordanti, non è idoneo a scalfire l'attività istruttoria dell'Amministrazione (così, ad esempio, è stato statuito con riferimento alla prova di realizzazione dell'opera in tema di abuso edilizio) (Cons. St. II,n. 1109/2021,Cons. St. VI,n. 4267/2020; Cons. St. VI, n. 1476/2019; Cons. St. VI, n. 903/2019; Cons. St. VI, n. 4168/2018; Cons. St. VI, n. 2179/2016; Cons. St. VI, n. 6/2015; T.A.R. Trentino-Alto Adige, Trento I, n. 88/2020; T.A.R. Basilicata, Potenza I, n. 201/2020; T.A.R. Lombardia, Milano II, n. 1944/2019).

Un po' più articolato è l'orientamento nella speciale materia del giudizio elettorale. Così, con riferimento alle controversie relative alla fase preparatoria del procedimento elettorale e nello specifico in una vertenza relativa all'esclusione di una lista elettorale per mancanza del numero delle sottoscrizioni previste per legge, si è ritenuta l'autodichiarazione del ricorrente circa il numero delle sottoscrizioni raccolte inidonea a contestare l'esatto numero di firme raccolte, perché proveniente dalla stessa parte in causa; tutto ciò senza tuttavia escludere che analoghe dichiarazioni sostitutive dell'atto di notorietà provenienti da parti estranee al giudizio avrebbero potuto costituire un valido principio di prova (T.A.R. Campania, Napoli II,n. 3295/2018).

In relazione alle controversie relative allo svolgimento delle operazioni elettorali, con particolare riguardo a quelle nelle quali si chieda il riconteggio o la revisione delle schede, secondo l'orientamento prevalente, avverso le determinazioni valutative prese dal seggio elettorale e risultanti dal relativo verbale, con il ricorso elettorale può essere dedotta la sussistenza di vizi rispetto ai quali le dichiarazioni sostitutive di atti notori costituiscano principi di prova, tali da legittimare l'esercizio dei poteri istruttori del giudice, pur se i rappresentanti di lista non abbiano verbalizzato le loro contestazioni, purché contengano riferimenti circostanziati, necessari tanto a suffragarne l'attendibilità, quanto consentirne il riscontro di veridicità. In particolare, si è richiesto che le dichiarazioni sostitutive rechino quanto meno la descrizione delle anomalie o delle irregolarità che il dichiarante era in grado di conoscere e ritiene di aver riscontrato: non si richiede che il dichiarante individui il parametro di legge che si assume violato, ma semplicemente che rappresenti i fatti per come li ha potuti percepire direttamente (Cons. St. III, n. 727/2019; T.A.R.Toscana, Firenze II,n. 1254/2019;T.A.R. Lombardia, Brescia I,n. 860/2019;T.A.R. Abruzzo, L'Aquila I,n.315/2018). È comunque il caso di specificare che – ove i vizi dedotti con le sostitutive di atti notori siano volti a contrastare le circostanze di fatto documentate nel verbale sezionale – il contenuto di quest'ultimo è fidefacente e può essere validamente contrastato solo mediante querela di falso. Per converso, in assenza di risultanze documentali dai verbali sezionali, l'onere probatorio minimo può considerarsi soddisfatto da parte del ricorrente allorquando quest'ultimo esibisca in giudizio quantomeno una dichiarazione sostitutiva di atto notorio rilasciata dal rappresentante di lista presente alle operazioni elettorali, con i requisiti contenutistici in precedenza compendiati. Ove poi, vengano allegate le dichiarazioni dei terzi elettori (di aver votato scheda bianca o nulla o di aver dato questa o quella preferenza), le stesse non possono ritenersi ammissibili perché violative del valore costituzionale della segretezza del voto ex art. 48, comma 2, Cost. (T.A.R. Sicilia, Catania IV, n. 2840/2016).

Non manca, comunque, un orientamento più rigoroso e tradizionale, volto a negare ogni rilevanza alle dichiarazioni spontanee stragiudiziali dei rappresentanti di lista in ordine a fatti avvenuti in loro presenza ma non immediatamente verbalizzati, essendo ritenute inaffidabili in quanto agevolmente rilasciabili e/o acquisibili in esito a pressioni d'ordine politico o per effetto di condizionamenti d'ordine psicologico. Per tale ragione dette dichiarazioni – configurando una non consentita forma surrettizia di testimonianza, inidonea a superare la fede privilegiata che assiste i verbali delle operazioni elettorali – non sono state ritenute meritevoli di alcuna considerazione ai fini del decidere neppure ai fini imporre al giudice procedente di attivarsi in via istruttoria (T.A.R. Sicilia, Palermo III,n. 2411/2018). Nello stesso senso si consideri che la Corte Costituzionale, con la sentenzan. 85/2004, ha, fra l'altro, puntualizzato che nello stesso giudizio amministrativo elettorale, la presentazione di dichiarazioni sostitutive non è ammessa al fine di comprovare fatti, stati o qualità dedotti a sostegno della domanda o dell'eccezione.

Con riguardo, infine, al processo penale, in tema di riabilitazione, si è ritenuta inidonea alla dimostrazione, da parte del condannato, dell'impossibilità di adempimento delle obbligazioni civili nascenti dal reato, l'autocertificazione generica, di contenuto valutativo, con la quale si faccia riferimento a un concetto di sufficienza delle entrate limitata al mantenimento della famiglia, implicante un giudizio meramente soggettivo tale da non consentire al tribunale un controllo di conformità al vero (Cass. pen. I,n. 10556/2018;Cass. pen. I,n. 7269/2006).

3) Gli istituti di semplificazione trovano applicazione a tutte ai procedimenti elettorali?

A dispetto della valenza ampia del concetto di pubblica amministrazione, non sono mancati casi di procedimenti amministrativi – come quelli elettorali relativamente alla presentazione delle liste e all'accettazione di candidature, nonché nel caso dei procedimenti referendari – in cui la considerazione della loro specialità e della prevalenza delle esigenze di certezza pubblica e del rigore degli adempimenti amministrativi nella relativa disciplina, ha giustificato la loro impermeabilità rispetto agli istituti di semplificazione recati dal TUDA.

Si consideri, in questo senso, quanto spiegato dal Ministero dell'Interno nella pubblicazione n. 5/2015 in materia di istruzioni per la presentazione e l'ammissione delle candidature in relazione all'elezione diretta del sindaco e del consiglio comunale. Secondo il Dicastero, in coerenza con quanto affermato dal Consiglio di Stato nel parere n. 1232/2000, «non si applicano...nella fase di presentazione delle candidature, i principi di semplificazione in materia di documentazione amministrativa di cui al d.P.R. n. 445/2000. Non sono, pertanto, ammesse: 1) l'autocertificazione (articolo 46 del d.P.R. n. 445/2000); non è, quindi, possibile autocertificare l'iscrizione nelle liste elettorali; 2) la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà (art, 47 del d.P.R. n. 445/2000); 3) la proroga della validità del certificato di iscrizione nelle liste elettorali mediante autodichiarazione dell'interessato in calce al documento (l'art. 41, comma 2, del citato d.P.R. n. 445/2000 si riferisce ai soli certificati anagrafici e a quelli di stato civile, con esclusione, quindi, dei certificati elettorali); 4) la presentazione di documenti alla pubblica amministrazione mediante fax o posta elettronica».

Tale approdo risulta coerente – giusta quanto già accennato – con l'orientamento giurisprudenziale consolidato nel ritenere che, in virtù dei principi di specialità strutturale e funzionale, in materia di operazioni elettorali non si applicano i principi di semplificazione amministrativa di cui ald.P.R. n.445/2000. Ciò in particolare con riguardo all'impossibilità di sostituire con un'autocertificazione la dichiarazione con firma autenticata relativa all'accettazione così come alla rinuncia della candidatura (T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, Trieste I,n.159/2014;T.A.R. Campania, Napoli II,n. 1724/2012;T.A.R. Lombardia, Brescia I,n. 1135/2007; T.A.R. Lazio,RomaII, n. 4420/2003).

Quanto alle modalità di autenticazione delle firme poi, a fronte di un orientamento volto a predicare a pena di invalidità la pedissequa osservanza degli adempimenti e dei requisiti ad opera del pubblico ufficiale autenticatore, si è ammesso che le modalità di autenticazione, in materia elettorale, potessero essere quelle semplificate dell'art. 38,comma 3, del d.P.R. n.445/2000, così da non richiedere a pena di nullità, ad esempio, l'indicazione della data e del luogo in cui il pubblico ufficiale appone la propria dichiarazione autenticante. Tuttavia, si è al contempo avuto cura di puntualizzare che – anche nel caso della modalità semplificata – l'autenticazione non possa venire meno alla sua funzione essenziale e precipua, che è quella, appunto, di attestazione, da parte di un pubblico ufficiale, che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza. A tale stregua, l'identificazione del sottoscrittore ad opera del pubblico ufficiale così come l'indicazione della modalità di identificazione dello stesso assumono la rilevanza di elementi essenziali dell'autenticazione, senza i quali essa non può assolvere la sua funzione certificativa (Cons. St. III, n. 5261/2020; Cons. St. III, n. 2941/2019; Cons. St. III, n. 3019/2019; Cons. St. III, n. 2470/2017).

Bibliografia

Aa.Vv., La documentazione amministrativa, Milano, 2001, 36 ss.; Bausilio, L'autocertificazione, profili giurisprudenziali, Padova, 2015; Arena, Autocertificazione e amministrazione «per interessi», in Scritti in onore di M.S. Giannini, I, Milano, 1988, 37 ss.; Bombardelli, Il testo unico delle disposizioni sulla documentazione amministrativa Commento, in Giornale di Diritto Amministrativo, n. 7/2001; Caglioti, Documentazione amministrativa: gli istituti di semplificazione negli uffici giudiziari, in Diritto & Diritti (in Diritto.it), 2012; Fiorillo, Lombardi, La semplificazione amministrativa, in filodiritto.it, 9 marzo 2021; Martorano (a cura di), L'onda lunga della semplificazione, in Guida enti loc., n. 9/2005, 17 ss.; Pedaci, Documentazione amministrativa e p.a. digitale, Napoli, 2019; M. A. Sandulli, La semplificazione della produzione documentale mediante le dichiarazioni sostitutive di atti e documenti e l'acquisizione d'ufficio, in “Principi e regole dell'azione amministrativa”, Milano, 2020.

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