Legge - 24/11/1981 - n. 689 art. 18 - Ordinanza-ingiunzione1.Ordinanza-ingiunzione1. Entro il termine di trenta giorni dalla data della contestazione o notificazione della violazione, gli interessati possono far pervenire all'autorità competente a ricevere il rapporto a norma dell'articolo 17 scritti difensivi e documenti e possono chiedere di essere sentiti dalla medesima autorità. L'autorità competente, sentiti gli interessati, ove questi ne abbiano fatto richiesta, ed esaminati i documenti inviati e gli argomenti esposti negli scritti difensivi, se ritiene fondato l'accertamento, determina, con ordinanza motivata, la somma dovuta per la violazione e ne ingiunge il pagamento, insieme con le spese, all'autore della violazione ed alle persone che vi sono obbligate solidalmente; altrimenti emette ordinanza motivata di archiviazione degli atti comunicandola integralmente all'organo che ha redatto il rapporto. Con l'ordinanza-ingiunzione deve essere disposta la restituzione, previo pagamento delle spese di custodia, delle cose sequestrate, che non siano confiscate con lo stesso provvedimento. La restituzione delle cose sequestrate è altresì disposta con l'ordinanza di archiviazione, quando non ne sia obbligatoria la confisca. Il pagamento è effettuato all'ufficio del registro o al diverso ufficio indicato nella ordinanza-ingiunzione, entro il termine di trenta giorni dalla notificazione di detto provvedimento, eseguita nelle forme previste dall'articolo 14; del pagamento è data comunicazione, entro il trentesimo giorno, a cura dell'ufficio che lo ha ricevuto, all'autorità che ha emesso l'ordinanza. Il termine per il pagamento è di sessanta giorni se l'interessato risiede all'estero. La notificazione dell'ordinanza-ingiunzione può essere eseguita dall'ufficio che adotta l'atto, secondo le modalità di cui alla legge 20 novembre 1982, n. 8902. L'ordinanza-ingiunzione costituisce titolo esecutivo. Tuttavia l'ordinanza che dispone la confisca diventa esecutiva dopo il decorso del termine per proporre opposizione, o, nel caso in cui l'opposizione è proposta, con il passaggio in giudicato della sentenza con la quale si rigetta l'opposizione, o quando l'ordinanza con la quale viene dichiarata inammissibile l'opposizione o convalidato il provvedimento opposto diviene inoppugnabile o è dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso la stessa (A).
--------------- (A) In riferimento alle disposizioni di cui al presente articolo, vedi: Nota INL - Ispettorato nazionale del lavoro 1° giugno 2020 n. 152. [1] A norma dell'articolo 1, comma 1288, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 le ordinanze-ingiunzioni emesse a norma del presente articolo, in applicazione dell'articolo 1, comma 333, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, sono inefficaci. Vedi, anche, i commi 1287 e 1289 del medesimo articolo 1. [2] Comma aggiunto dall'articolo 10 della legge 3 agosto 1999, n. 265. InquadramentoLa legge di depenalizzazione in commento introduce la possibilità per gli interessati di poter instaurare una prima forma di difesa che si estrinseca nella possibilità di esternare le proprie ragioni all'Autorità competente che poi deciderà se emettere ordinanza-ingiunzione o ordinanza di archiviazione. La presentazione di scritti difensivi e memorie, che gli interessati hanno facoltà di presentare e non certo l'obbligo, rappresenta uno strumento utile per poter esprimere le proprie ragioni in merito al verbale di illecito amministrativo a loro notificato a seguito di accertamento ispettivo. Il legislatore ha voluto così, con l'emanazione dell'art. 18, commi 1 e 2 della l. 689/1981, introdurre una possibilità di dialogo tra il cittadino e la Pubblica Amministrazione che prima, in vigenza del sistema penalistico sanzionatorio in materia di legge e legislazione sul lavoro, era impossibile e nemmeno prevedibile. In particolare, gli «interessati» legittimati a presentare memorie e scritti difensivi sono i destinatari di tale verbale e, dunque: il trasgressore cioè l'autore materiale della violazione; coloro che hanno concorso alla violazione amministrativa ai sensi dell'art. 5 della l. n. 689/1981; gli obbligati solidali di cui all'art. 6 della medesima legge. Il termine per la presentazione di memorie e scritti difensiviAi sensi dell'articolo in commento, gli interessati possono, entro il termine di trenta giorni dalla contestazione o notificazione della violazione, far pervenire all'autorità competente memorie e scritti difensivi e chiedere di essere sentiti dalla medesima autorità. Sia la dottrina (Bartolini, 395) che la giurisprudenza (cfr. Cass. n. 1344/1992) sono concordi nel ritenere che il termine è imposto a pena di decadenza e che il rispetto di esso costituisce un onere per l'interessato. Prima dell'emanazione del provvedimento sia esso di ordinanza-ingiunzione che di ordinanza di archiviazione, l'Autorità amministrativa ha l'obbligo di prendere in considerazione le difese dell'interessato, ma tuttavia sembrerebbe escludersi che in capo all'Amministrazione vi sia il dovere di svolgere una vera e propria istruttoria relativamente alle argomentazioni difensive presentate. Invero, l'art. 18 della l. 689/1981 impone all'autorità amministrativa competente a ricevere il rapporto di ascoltare gli interessati che ne abbiano fatta richiesta e di tenere conto dei documenti dagli stessi inviati e degli argomenti esposti negli scritti difensivi, ma non attribuisce al presunto responsabile il diritto a pretendere una vera e propria istruttoria e una sorta di anticipazione del processo, rientrando nell'ambito delle facoltà discrezionali della stessa autorità amministrativa quella di assumere ulteriori informazioni sui fatti (anche tramite l'audizione di testimoni), il cui esame e controllo sono consentiti agli interessati nel corso del giudizio di opposizione all'ordinanza-ingiunzione e restano soggetti alla valutazione da parte del giudice (Cass. I, n. 7811/1997). Per il cittadino non sussiste, dunque, alcun diritto a pretendere una vera e propria istruttoria o una sorta di processo, fermo restando che potrà pretendere che gli sia comunicato il giorno in cui dovrà avvenire la sua audizione e che delle sue dichiarazioni venga stesa una verbalizzazione da allegarsi alla pratica. La norma in questione si limita ad affermare che l'Autorità competente, qualora ritenga fondato l'accertamento, determina, con ordinanza, l'ammontare della sanzione, «sentiti gli interessati ed esaminati i documenti inviati e gli argomenti esposti negli scritti difensivi». Pertanto si ritiene che solo le suddette attività sono richieste, dal legislatore, alla Pubblica Amministrazione, che ha quindi il compito di determinare l'ammontare della pene pecuniaria sulla base dell'accertamento effettuato dall'organo di vigilanza. L'Autorità amministrativa, per contro, rispettando il principio dell'economia processuale e il principio dell'autotutela, avrà il dovere di prendere in considerazione l'attività difensiva del cittadino, e nell'esercizio delle sue facoltà discrezionali può anche sentire gli accertatori per avere chiarimenti in merito al verbale, dando luogo ad una sorta di contradditorio fra trasgressore ed organo di vigilanza. L'obbligo di motivazioneL'art. 18, comma 2, della l. n. 689/1981 impone all'autorità amministrativa di motivare l'atto che dispone la sanzione; la disposizione, pur avendo il merito di aver anticipato il principio fondamentale dell'art. 3 della l. n. 241/1990, non specifica il contenuto di tale obbligo. Per precisare la portata del dovere motivazionale gravante sull'organo pubblico, è necessario rinvenirne il profilo strutturale e quello funzionale. A tal proposito, appare utile il richiamo all'art. 3 della l. n. 241/1990, il quale stabilisce che la motivazione consiste nell'esposizione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche del provvedimento. Il precetto della legge in commento pone il problema di verificare se la motivazione dell'ordinanza debba avere lo stesso contenuto imposto dall'articolo 3 della l. n. 241/1990, ovvero se, in ragione della specialità della l. n. 689/1981, possa contemplarne uno diverso. Tale questione impone di considerare le caratteristiche essenziali dell'atto ingiuntivo, il quale è adottato a seguito di una valutazione positiva dell'accertamento ex art. 18, comma 2, della l. n. 689/1981, e del ricorso ai criteri di quantificazione della misura punitiva ai sensi dell'art. 11 della medesima legge. In considerazione di detti caratteri, può affermarsi che la struttura della motivazione dell'ordinanza va ricercata nei due fondamentali momenti di discrezionalità del provvedimento, cioè nel rendere espliciti gli elementi ritenuti rilevanti nella valutazione della fondatezza dell'accertamento, ed i criteri presi in considerazione ai fini della quantificazione della sanzione. Pertanto, sul piano strutturale la motivazione deve adeguarsi, più che alle ragioni giuridiche, ai presupposti di fatto emersi nel corso dell'accertamento ispettivo. Sul piano funzionale, la ratio dell'obbligo di rendere manifesti i motivi del provvedimento è comunemente rinvenuta nell'esigenza di trasparenza dell'azione amministrativa, e conseguentemente di assicurare l'esercizio del diritto di difesa dell'incolpato (cfr., Cass. n. 6901/2009; Cass. n. 10478/2006). In ordine, poi, agli indici di commisurazione della sanzioneexart. 11 della l. n. 689/1981, altro momento di discrezionalità dell'ordinanza-ingiunzione, l'impostazione giurisprudenziale adotta un'interpretazione ancora più riduttiva dell'obbligo motivazionale della PA, non considerando necessaria una dettagliata indicazione degli elementi ritenuti rilevanti nel caso concreto. In questa ottica, basta che l'autorità faccia richiamo a quelli tra essi, ad esempio gravità del fatto, adottati di volta in volta, senza necessità di specificarne l'effettiva consistenza. Secondo recenti pronunce non è affatto necessario che la parte motiva si estenda alla concreta determinazione della sanzione, cioè ai criteri adottati da parte dell'autorità ingiungente per liquidare l'obbligazione, atteso che al giudice dell'opposizione, eventualmente investito della questione della congruità della sanzione, è espressamente attribuito il potere di determinare quest'ultima, applicando direttamente i criteri di legge (Cass. 20 marzo 2009, cit.; Cass. n. 6417/2007; Cass. n. 20189/2008). La giurisprudenza ha stabilito il principio secondo il quale il contenuto motivazionale imposto all'autorità deve dispiegarsi in funzione di consentire l'esercizio di difesa all'incolpato; in tale ottica, non è necessaria un'analitica esposizione delle ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento dell'atto (Cfr., Cass. n. 11351/2005; Cass. n. 16203/2003). È invece necessario che l'incolpato conosca i fatti di cui viene accusato e le norme che ha violato, ed a tale scopo si rivela adeguato il richiamo agli atti accertativi, verbali in primis. A ogni modo, il prevalente orientamento giurisprudenziale non ritiene il difetto di motivazione causa di annullamento giudiziale dell'ordinanza, giacché il diritto di difesa dell'ingiunto può essere fatto efficacemente valere in giudizio. Ciò perché il rito speciale di opposizione a sanzione amministrativa ha ad oggetto l'intera pretesa sanzionatoria della P.A. e non è limitato ai profili di illegittimità dell'atto impugnato. La conclusione cui perviene la giurisprudenza è che i vizi di motivazione non possono avere rilievo invalidante, perché ad essi è possibile porre rimedio in giudizio. Il ragionamento «sostanzialista» della Suprema Corte (Cass. S.U., n. 1786/2010) richiama il disposto dell'art. 21-octies della l. n. 241/1990, che ha stabilito la regola fondamentale dell'irrilevanza dei vizi formali, quando sia palese che la parte contenutistica del provvedimento non avrebbe potuto essere diversa. In questi termini, si rivela decisiva l'individuazione della natura del giudizio di opposizione alle sanzioni amministrative di cui agli artt. 22 e 23 della l. n. 689/1981. Ebbene, nessuno più dubita che trattasi di rito non già sull'atto amministrativo impugnato, atto che ha la sola funzione di introdurre il giudizio, ma giudizio sul rapporto sanzionatorio intercorso tra P.A. e privato. In siffatta prospettiva, concentrarsi sui vizi intrinseci e formali del provvedimento è fuorviante, perché il giudice deve conoscere dell'intera pretesa punitiva dell'amministrazione, come risultante dall'intero iter procedimentale amministrativo. Riguardo alla motivazione – ragiona la Corte – quand'anche essa fosse carente sotto il profilo della considerazione delle difese dedotte dall'interessato, non può per ciò solo essere causa di annullamento giurisdizionale dell'atto gravato. Invero, il diritto di difesa non è leso, giacché le argomentazioni difensive trascurate in sede amministrativa ben possono essere riproposte innanzi al giudice. Il giudice supremo aggiunge che la tesi contraria rischia seriamente di incentivare il contenzioso in materia, atteso che ciascuno può sperare nell'annullamento giurisdizionale di un atto scarsamente motivato, pur senza quell'esame del merito dell'azione sanzionatoria pubblica concretamente esercitata che costituisce l'autentico oggetto del giudizio speciale di cui alla l. n. 689/1981. La motivazione per relationem L'art. 3 della l. n. 241/1990 ha previsto l'istituto della motivazione per relationem, in virtù del quale l'esternazione dei motivi della determinazione della PA può essere desunta dal mero richiamo ad un ulteriore atto amministrativo. In particolare, l'art. 3, comma 3, stabilisce che se la motivazione risulta da un altro atto, quest'ultimo deve essere richiamato e reso disponibile. In virtù del menzionato disposto normativo, dunque, il provvedimento amministrativo motivato con un semplice rinvio ad altro atto del procedimento assolve all'obbligo di motivazione previsto dal medesimo art. 3, al primo comma, ed è pertanto pienamente legittimo. In considerazione dell'orientamento della giurisprudenza, può sostenersi che quanto più il verbale sarà adeguatamente supportato da ragioni, sia giuridiche quando necessario, sia soprattutto relative alle concrete circostanze di fatto e agli elementi di prova emersi nel corso dell'accertamento, tanto più l'ordinanza che faccia ad esso mero rinvio sarà legittima, in quanto sufficientemente motivata ai sensi dell'art. 18, comma 2, della l. n. 689/1981. L'analisi della copiosa giurisprudenza in argomento conferma la legittimità dell'atto amministrativo motivato per relationem con riguardo agli accertamenti ispettivi: deve ritenersi legittima la motivazione che faccia espresso rinvio agli atti accertativi, ad esempio verbali ispettivi, purché questi siano conosciuti dal destinatario (Cass. 30 maggio 2005, cit.; Cass. 28 ottobre 2003, cit.). Peraltro, la motivazione per relationem, oltre ad essere legittima e corretta, è anche conforme al principio di speditezza dell'azione amministrativa, allorquando l'autorità intende confermare le conclusioni cui sono pervenuti gli organi accertatori nell'attività di verbalizzazione (Cass. n. 871/2007). Anche in materia di verifiche tributarie, costituisce principio giurisprudenziale consolidato l'affermazione della legittimità della motivazione degli atti di accertamento con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale della Guardia di finanza (Cass. n. 793/2000; Cass., sez. trib., n. 2780/2001). Invero, non può avere rilievo, secondo la Suprema Corte, la mancanza di autonoma valutazione dell'ufficio procedente, poiché questo ha realizzato un'economia di scrittura, facendo proprie le conclusioni dell'organo verificatore (Cass., sez. trib., n. 15379/2002). L'audizione dell'interessatoIl destinatario del verbale di contestazione o di notifica ha facoltà di presentare, entro trenta giorni dal ricevimento dell'atto, richiesta di essere sentito personalmente dall'autorità competente a ricevere il rapporto di cui all'art. 17. Tale facoltà può essere esercitata in alternativa, o in aggiunta, a quella della produzione degli scritti difensivi, purché entro il termine previsto. Oltre che tempestiva, la richiesta deve essere incondizionata e inequivoca, non deve cioè contenere limiti, condizioni o formule dubitative, come ad es. subordinare l'istanza all'eventuale necessità di chiarimenti da parte dell'amministrazione; ove le memorie riportino tali formule, l'autorità procedente avrebbe facoltà di prescindere dalla richiesta e non disporre l'audizione, senza che si produca alcuna conseguenza sulla legittimità della sanzione irrogata.A fronte di tale facoltà, si riteneva sussistere – fino all'intervento delle Sezioni Unite della Cassazione di cui si dirà meglio nel prosieguo – l'obbligo della P.A. di ascoltare le ragioni del richiedente, a tutela del diritto di partecipazione e difesa procedimentale del privato, ed in omaggio al principio del giusto procedimento. Peraltro, con riguardo a questa forma di partecipazione-tutela la legge non specifica le modalità di espletamento, né risultano documenti di prassi ministeriale in argomento, per cui deve ritenersi che l'autorità goda di una certa discrezionalità nello scegliere i tempi della convocazione, nel rispetto del termine prescrizionale di cui all'art. 28 della legge 689, e nel concentrare, o meno, l'audizione in una sola seduta. Nella prassi l'interessato viene invitato ad esporre le sue ragioni, delle quali è redatto verbale, che è consegnato in copia al richiedente. È consentita la comparizione del professionista di fiducia, appositamente delegato, in rappresentanza o in assistenza all'interessato. Si ritiene che il richiedente possa addurre un legittimo impedimento a presenziare, che tuttavia per vincolare l'amministrazione a rinviare la seduta deve essere adeguatamente dimostrato, ad es. con certificato medico. Viceversa, l'impegno lavorativo non costituisce causa giustificativa della mancata comparizione, atteso che esso è condizione del tutto normale dell'individuo. Lo scopo dell'audizione è quello di consentire al presunto trasgressore di esporre di persona i propri motivi, in modo tale da rendere, attraverso il contatto diretto con i funzionari chiamati a decidere sul caso, più efficace la strategia difensiva. In virtù di ciò, la giurisprudenza è sempre stata tradizionalmente rigida nel trarre le conseguenze dell'omessa audizione sulla successiva ordinanza d'ingiunzione: la mancata audizione produce un vizio procedimentale, lesivo del diritto di difesa del richiedente nella fase amministrativa, con conseguente illegittimità dell'ordinanza ingiunzione emessa al termine del procedimento. E invero, la convocazione degli interessati costituisce, si è notato, obbligo dell'amministrazione in quanto posta a tutela dei diritti di difesa degli stessi, ma anche della possibile definizione della questione in sede amministrativa in funzione deflativa del contenzioso giurisdizionale. Con la soprarichiamata sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 1786/2010) è stato, per la prima volta, ritenuta irrilevante l'omessa audizione rispetto alla sorte del provvedimento sanzionatorio. In particolare, la Suprema Corte, dopo aver esposto i vari indirizzi, ha affermato che si rivela decisiva l'individuazione della natura del giudizio di opposizione alle sanzioni amministrative di cui agli artt. 22 e 23 della l. n. 689/1981. In un quadro generale nel quale la Corte ha affermato che il diritto di difesa non è leso se le argomentazioni del privato non sono state adeguatamente considerate dall'amministrazione ben potendo esse essere riproposte innanzi al giudice, il giudice supremo ha anche superato il consolidato orientamento pretorio sopra esposto sull'ipotesi di omessa audizione dell'interessato. In virtù di tale presa di posizione, l'autorità non solo non è più vincolata a prendere in considerazione gli argomenti dell'accusato, ma addirittura può prescindere tout court dall'audizione del medesimo. In questa direzione conduce anche la natura del rito speciale contemplato dall'art. 23 della l. 689, di giudizio non solo sull'atto, ma sull'intero rapporto tra P.A. e privato. Invero, la Cassazione insegna che il giudice deve conoscere della fondatezza dell'intera pretesa sanzionatoria della P.A.: in siffatta ottica, allora, fermarsi a vizi procedimentali che non incidono sulla fondatezza sostanziale della potestà punitiva significa ridurre l'oggetto del giudizio a dati meramente formali. Secondo la giurisprudenza, dunque, L'orientamento ormai univoco della più recente giurisprudenza di questa Corte è quello secondo cui la mancata audizione dell'interessato, che abbia fatto regolare richiesta di essere ascoltato nell'ambito del procedimento amministrativo in seguito al ricorso formulato ai sensi dell'art. 203 C.d.S. avverso il verbale di accertamento, non determina la nullità della conseguente ordinanza-ingiunzione emessa dalla competente P.A., non essendo, di per sé, idonea all'accoglimento del suddetto ricorso in via amministrativa. La stessa Corte, con la sentenza Cass. S.U., n. 1786/2010, ha stabilito che, in tema di ordinanza ingiunzione per l'irrogazione di sanzioni amministrative – emessa in esito al ricorso facoltativo al Prefetto, ai sensi del d.lgs. n. 285/1992, art. 204 ovvero a conclusione del procedimento amministrativo l. n. 689/1981 ex art. 18 – la mancata audizione dell'interessato che ne abbia fatto richiesta in sede amministrativa non comporta la nullità del provvedimento, in quanto, riguardando il giudizio di opposizione il rapporto e non l'atto, gli argomenti a proprio favore che l'interessato avrebbe potuto sostenere in sede di audizione dinanzi all'autorità amministrativa ben possono essere prospettati in sede giurisdizionale. Questo principio – al quale dovrà uniformarsi il giudice di rinvio – si è definitivamente consolidato anche per l'effetto di successive pronunce conformi (cfr. da ultimo, Cass., ord. n. 21146/2019). Questioni applicative1) L'ordinanza di archiviazione adottata dall'Autorità competente a decidere sul procedimento sanzionatorio può incidere in un giudizio civile per risarcimento danni? La giurisprudenza (Cass. S.U., n. 6139/1993) ha affermato che l'ordinanza di archiviazione adottata dal Prefettoexart. 204, comma 1, Codice della Strada non ha alcuna influenza sul giudizio civile di responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli nel quale sia controversa la conformità alle norme del codice della strada della condotta di guida tenuta da uno dei conducenti, in quanto, «non essendo un provvedimento giurisdizionale, mai può precludere il giudizio di accertamento della responsabilità medesima». L'ordinanza di archiviazione, hanno precisato le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, configura un riesame gerarchico del provvedimento di accertamento dell'infrazione in riferimento «sostanzialmente alle regole di buona amministrazione nell'esercizio dei poteri» in materia di disciplina della circolazione stradale che, «pur toccando la sfera particolare dell'interessato, nulla ha a che vedere col suo diritto soggettivo d'essere risarcito» per i danni subiti a seguito dell'incidente. L'ordinanza di archiviazione, pertanto, non acquista forza di giudicato e non impedisce nuovi e contrari accertamenti in sede giurisdizionale. 2) Entro quale termine l'Autorità competente a decidere sul procedimento sanzionatorio è tenuta ad adottare l'ordinanza di ingiunzione? Le Sezioni Unite della suprema Corte di Cassazione (Cass. S.U., n. 9591/2006) hanno composto il contrasto giurisprudenziale formatosi in ordine all'applicabilità o meno del breve termine di trenta giorni di cui all'art. 2 della l. 241/1990 (ora novanta giorni, per come previsto dalla norma modificata dall'art. 36-bisd.l. n. 35/2005, conv. con l. n. 80/2005) ai fini dell'esaurimento del procedimento amministrativo per l'emissione dell'ordinanza-ingiunzione. Le sezioni unite della Corte di Cassazione, aderendo all'indirizzo giurisprudenziale maggioritario, hanno sancito il principio secondo cui il procedimento per l'irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, di cui all'art. 18 l. n. 689/1981, non si deve concludere necessariamente nel termine di trenta giorni (ora novanta giorni) previsto in via generale, per la conclusione del procedimento amministrativo, dall'art. 2 della l. n. 241/1990, ed applicabile in assenza di diverso termine specifico stabilito per legge o da regolamento. In assenza di altri termini specifici previsti dalla l. n. 689/1981 deve ritenersi che il termine massimo per l'adozione dell'ordinanza – ingiunzione sia quello di cinque anni previsto dall'art. 28 della stessa l. n. 689/1981, decorrenti dal giorno in cui la violazione è stata commessa. 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