Regio decreto - 23/05/1924 - n. 827 art. 219
Le entrate dello Stato sono costituite di tutti i redditi, proventi e crediti di qualsiasi natura che lo Stato ha il diritto di riscuotere in virtù di leggi, decreti regolamenti, o altri titoli. Tutte, le entrate dello Stato debbono essere inscritte nel bilancio di previsione. Per quelle, tuttavia, che non sieno in esso previste rimane impregiudicato il diritto dello Stato a riscuoterle e fermo il dovere, da parte delle competenti amministrazioni e dei funzionari ed agenti incaricati, di curarne l'accertamento e la riscossione. InquadramentoNel periodo storico di unificazione del Regno d'Italia e nel corso del secolo successivo le fonti della disciplina del bilancio dello Stato sono state tradizionalmente raccolte in corpi normativi organici dedicati all'amministrazione del patrimonio ed alla contabilità generale dello Stato. La prima legge organica di contabilità, approvata in concomitanza con le annessioni territoriali del Regno ed entrata in vigore il 1° gennaio 1861, estendeva alle nuove province il regime finanziario e contabile del Regno Piemontese disegnato da Cavour con la l. n. 1483/1853. Il 22 aprile 1869, con la cosiddetta legge Cambray- Digny, Ministro delle finanze del Regno d'Italia nel biennio 1867-1869, fu dettata una nuova disciplina organica unitaria della materia, finalizzata al raggiungimento dell'obiettivo del pareggio di bilancio, anche attraverso l'introduzione di misure impopolari come la tassa sul macinato. Il principio di pareggio di bilancio è stato inserito nel testo della Costituzione repubblicana con la l. cost. n. 1/2020, che, nel confermare i principi di base voluti dal costituente, ha dato una nuova configurazione al bilancio dello Stato quale garante dell'equilibrio finanziario pubblico (Orefice, 5). La disciplina del bilancio fu integrata dalla legge Magliani del 1883, la quale ha recepito gli esiti del dibattito sulla scelta del modello contabile più idoneo da adottare, con particolare riferimento all'opportunità di redigere il bilancio dello Stato in termini di competenza o di cassa. Il 17 febbraio 1884 furono approvati il Testo Unico n. 2016/1884 ed il relativo regolamento n. 3074/1885, che rimasero in vigore sostanzialmente inalterati fino al 1923, anno di adozione delr.d. n.2440/1923, recante «Nuove disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e della contabilità generale dello Stato» e del correlativo regolamento di cui alr.d. n.827/1924. La riforma, promossa dall'allora Ministro delle finanze De Stefani, venne presentata dal Governo in seguito alla delega ricevuta dal Parlamento con lal. n.1601/1922, cosiddetta « dei pieni poteri », con il dichiarato intento di «ordinare il sistema tributario allo scopo di semplificarlo, di adeguarlo alle necessità di bilancio e di meglio distribuire il carico delle imposte, di ridurre le funzioni dello Stato, di riorganizzare i pubblici uffici, renderne agili le funzioni e diminuire le spese» (l. n. 1601/1922, concernente la delegazione di pieni poteri al Governo del re per il riordinamento del sistema tributario e della pubblica amministrazione, G.U. 15 dic., n. 293, art. 1). In realtà la riforma presentava limitato carattere innovativo e si caratterizzava essenzialmente per il suo adeguamento alla più moderna e complessa gestione finanziaria dello Stato, riproducendo con maggiore organicità la vecchia normativa ottocentesca (De Luca, 13). La strategia di De Stefani era infatti diretta alla riduzione della spesa pubblica, obiettivo anche d'immagine del nuovo ministero Mussolini, da attuare attraverso una serie di interventi di riorganizzazione dell'assetto statale, come a titolo esemplificativo le cosiddette fusioni, che condussero alla riduzione dei dicasteri economici al solo Ministero dell'economia nazionale e dei due dicasteri finanziari al solo Ministero delle finanze nonché alla creazione del nuovo Ministero delle comunicazioni. Furono eliminate le cosiddette «bardature di guerra» attraverso la soppressione dei ministeri minori o di altre strutture nate nel corso del primo conflitto mondiale e si procedette all'epurazione del personale esorbitante all'interno della pubblica amministrazione, seguita dal blocco radicale delle nuove assunzioni sancito nel 1926. Tuttavia l'idea di base destefaniana delle semplificazioni e delle fusioni non escluse che la complessità organizzativa, apparentemente ridotta ai minimi termini con l'accorpamento di più ministeri, si ripresentasse subito dopo attraverso l'incontrollabile proliferazione di direzioni generali e di divisioni, le quali assunsero dimensioni e competenze macroscopiche, contraddicendo vistosamente l'intento generale della riforma (Melis, 294-297). Rispetto alla precedente legge Cambray-Digny (l. n. 5026/1869), le principali innovazioni introdotte dalla riforma De Stefani riguardano i seguenti aspetti: - il passaggio degli uffici di ragioneria operanti presso i Ministeri alle dipendenze dirette della Ragioneria generale dello Stato e la conseguente sottrazione degli stessi al controllo gerarchico degli apparati ministeriali; - il monitoraggio sull'andamento della spesa mediante l'attribuzione ai Capi delle Ragionerie centrali del compito di riferire al Ministro delle finanze su tutte le questioni relative al bilancio, con particolare riferimento all'assunzione di nuovi impegni di spesa; - la revisione del sistema dei controlli attraverso la differenziazione delle attribuzioni della Corte dei conti e della Ragioneria generale dello Stato, rispettivamente diretti i primi alla verifica preventiva di legittimità degli atti ed i secondi alla proficuità della gestione finanziaria. Si vedano in proposito anche il Testo unico delle leggi sulla Corte dei Conti, di cui al r.d. n. 1214/1933, e il Testo unico delle leggi comunali e provinciali, r.d. n. 383/1934; - la revisione complessiva della struttura del bilancio, attraverso l'articolazione delle entrate e delle spese in titoli, categorie e capitoli; - la ristrutturazione del ciclo di bilancio, collocando temporalmente l'anno finanziario fra il 1° luglio e il 30 giugno dell'anno seguente, mentre nel precedente testo normativo esso coincideva con l'anno solare. Sia la legge che il regolamento di contabilità sono ad oggi ancora in vigore e assumono rilievo non solo per la loro cogenza, ma anche per la circostanza che essi contengono i principi generali della contabilità pubblica, soprattutto in tema di bilanci e di procedure finanziarie di gestione dell'entrata, della spesa e di amministrazione del patrimonio pubblico. La legge e il regolamento di contabilità, inoltre, sono ritenuti di generale applicabilità a tutta l'area della soggettività pubblica, ove non espressamente derogati da norme speciali (Fratini, 3). Tutto quanto sopra premesso al fine di consentire l'inquadramento storico e sistematico della materia oggetto della presente trattazione, si rappresenta che la stessa verterà essenzialmente sul regolamento attuativo della legge generale di contabilità, adottato con r.d. n. 827/1924. R.d. 23 maggio 1924 n. 827: profili di carattere generaleIl r.d. n. 2440/1923 ed il relativo regolamento di attuazione, a somiglianza delle leggi finanziarie del 1869 e del 1884, non costituiscono un corpus iuris e nemmeno un codice con obiettivi molteplici, ancorché fra loro coordinati. Si tratta invece di una legge organica con due materie fondamentali, ossia l'amministrazione del patrimonio e la contabilità generale dello Stato (Monetti, 14). In particolare, il r.d. n. 827/1924, recante il «Regolamento in esecuzione del r.d. n. 2440/1923, sull'amministrazione del patrimonio dello Stato e sulla contabilità generale dello Stato», si compone di 15 Titoli, a propria volta suddivisi in Capi, per un totale di 650 articoli. Gli argomenti trattati sono i seguenti: - Titolo I: del patrimonio dello Stato; - Titolo II: dei contratti; - Titolo III: dell'anno finanziario, del bilancio di previsione e del rendiconto generale; - Titolo IV: della Ragioneria generale dello Stato, della Direzione generale del Tesoro e degli uffici che dipendono da esse; - Titolo V: degli agenti dell'amministrazione che maneggiano valori dello Stato e di altri pubblici funzionari; - Titolo VI: delle entrate dello Stato; - Titolo VII: delle spese dello Stato; - Titolo VIII: del movimento dei fondi e dei vaglia del tesoro; - Titolo IX: delle operazioni finanziarie e di tesoreria e del servizio del portafoglio; - Titolo X: dei conti correnti e delle contabilità speciali; - Titolo XI: dei depositi; - Titolo XII: delle situazioni giornaliere di cassa e delle contabilità mensili delle tesorerie; - Titolo XIII: del rendimento dei conti giudiziali; - Titolo XIV: disposizioni generali; - Titolo XV: disposizioni transitorie. Sembra opportuno, per comprendere lo spirito della riforma, riportare quanto rappresentato nella relazione ministeriale alr.d. n.2440/1923, che così recita: «pur essendo le leggi sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato sino ad allora vigenti informate a savi concetti e in massima atte a garantire una gestione sana e regolare della pubblica finanza, il periodo trascorso e gli effetti recati dagli eventi eccezionali degli ultimi tempi resero in parte non più rispondenti alle nuove esigenze alcune disposizioni di quelle leggi, onde divenne indispensabile non una radicale riforma, ma un migliore adattamento di esse alle mutate condizioni» (Relazione di S.E. il Ministro Segretario di Stato per le finanze, a S.M. il Re, in udienza del 18 novembre 1923, sui decreti riguardanti le nuove disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato, e le modificazioni alla legge sulla Corte dei conti). In attuazione dei propositi espressi nella relazione, le nuove norme della citata legge contabile non determinarono un effetto radicalmente innovativo della disciplina vigente, ma comportarono l'adozione di interventi mirati su aspetti specifici della gestione finanziaria dello Stato. La riforma incise in particolar modo sulla materia dei contratti e sulla procedura per il pagamento delle spese. Pur confermando la forma dell'asta pubblica, venne infatti data preferenza alla licitazione privata quando questa fosse risultata più opportuna. Fu prescritto il visto preventivo della Corte dei conti per i soli contratti di importo eccedenti le lire 20.000, riservando le verifiche di competenza sulle spese afferenti ai contratti minori in sede di pagamento. Vennero elevati i limiti di somma oltre i quali deve essere richiesto il parere del Consiglio di stato, anche con riferimento ai servizi ad economia, alle transazioni ed all'applicazione delle clausole penali. Si spostò da novembre a dicembre il termine per la presentazione al Parlamento del rendiconto e da novembre a gennaio quello per la presentazione degli stati di previsione. Si facilitarono le operazioni di accertamento dei residui e fu abolito l'obbligo della cauzione per gli agenti della riscossione. Si determinarono norme più precise per l'accertamento della responsabilità dei pubblici impiegati nei riguardi della gestione finanziaria, introducendo una speciale sanzione pecuniaria nei confronti dei funzionari amministrativi autorizzati ad assumere impegni e a disporre pagamenti, nonché nei confronti dei capi delle ragionerie, qualora avessero posto in essere atti eccedenti le disponibilità di bilancio. È significativo in proposito rammentare che la riforma ha sancito la diretta responsabilità dei funzionari per i danni che fossero derivati allo Stato a causa di colpa, negligenza o inosservanza degli obblighi loro demandati. Il r.d. n. 2440/1923 ha altresì introdotto la responsabilità degli ordinatori secondari di spese da pagarsi su ruoli e di ogni altro funzionario ordinatore di spese e pagamenti con riferimento all'esattezza delle liquidazioni ed alla regolarità dei documenti. La riforma ha inciso sui poteri di controllo della Corte dei conti mediante l'introduzione di nuove norme per la revisione dei rendiconti ed altre modificazioni sulle registrazioni con riserva, per le quali venne prescritto fra l'altro che l'apposizione del visto con riserva non potesse essere domandata da un Ministero dimissionario (Monetti, 12-14). Il Conto riassuntivo del Tesoro venne riformato, prevedendone la pubblicazione mensile in Gazzetta Ufficiale per documentare, sotto l'aspetto contabile, il movimento generale di cassa (art. 609 del Regolamento). Su tale ultima rilevante modifica è significativo riportare una riflessione della dottrina degli anni successivi alla riforma del 1923, secondo la quale «Il Conto del Tesoro è il più semplice, il più elegante, il più espressivo fra tutti i documenti finanziari della pubblica amministrazione. Il solo pienamente coerente in tutte le sue parti. E io non posso iniziare l'esame del suo contenuto senza rivolgere il pensiero al collega De Stefani, oggi professore emerito dell'Università di Roma, che nel 1923, nella carica di Ministro delle finanze, diede al Conto la sua attuale impostazione, introducendovi la situazione mensile di bilancio. Fu felice innovazione che consente mensilmente di fare il punto della situazione finanziaria, valutata attraverso il processo del progressivo indebitamento» (Rossi, Passavanti, 183-184). Il patrimonio dello StatoVenendo all'esame delle principali disposizioni del Regolamento, con particolare riferimento agli aspetti della riforma cui si è fatto cenno, si rappresenta quanto segue. Il Titolo I contiene la disciplina del patrimonio dello Stato, rinviando al Codice civile per l'individuazione dei criteri discretivi fra beni demaniali e beni patrimoniali (artt. 822,826 c.c.). La ratio dell'inserimento nel Regolamento delle disposizioni concernenti tale materia si collega alla circostanza per cui tutti i beni patrimoniali dello Stato, siano essi da considerarsi o meno demaniali, rappresentano un titolo di proprietà, privata o pubblica. Pertanto i beni patrimoniali e demaniali, mobili e immobili, vengono regolati, per quanto riguarda la loro conservazione o il loro movimento, dalle apposite norme legislative attinenti all'amministrazione ed alla contabilità pubblica (Rossi, Passavanti, 230). L'Art. 1 comma 2 del Regolamento, a tale proposito, specifica che le spese di comune interesse inerenti alla manutenzione e all'uso dei beni immobili assegnati in servizio governativo a diverse amministrazioni, esclusi gli edifici adibiti ad usi militari, sono tutte a carico del bilancio del Ministero delle finanze. Le norme successive disciplinano l'obbligo di inventario dei predetti beni, dettando disposizioni diverse a seconda della natura, demaniale o patrimoniale, mobile o immobile, degli stessi. Ad esempio, per quanto concerne i beni immobili patrimoniali, viene richiesta l'iscrizione in registri di consistenza in doppio originale a cura delle intendenze di finanza (art. 11 Regolamento). L'art. 18 del Regolamento prevedeva ulteriori accorgimenti per i beni immobili patrimoniali assegnati ad un servizio governativo, sancendo a carico dell'amministrazione finanziaria sia l'obbligo di inventario che l'obbligo degli intendenti di finanza di vigilare che fossero adibiti all'uso governativo esclusivamente i beni a tal fine necessari, compiendo tutti gli accertamenti all'uopo occorrenti. La disposizione è stata abrogata dall'art. 9 del d.P.R. n. 367/1998. I contrattiIl Titolo II, recante la disciplina dei contratti, è stato oggetto, come anticipato, di una significativa opera di revisione a cura della riforma del 1923. La norma cardine è l'art. 3 del r.d. n. 2440/1923 , a mente della quale tutti i contratti che comportino una entrata o una spesa per lo Stato sono preceduti da pubblici incanti, salvo che sia ritenuto più conveniente il ricorso alla licitazione privata. Gli artt. 38 e 39 del Regolamento attuativo, riferendosi al succitato art. 3, individuano i casi in cui è possibile l'affidamento a mezzo di licitazione privata, i quali sono essenzialmente riconducibili a ragioni di urgenza ovvero al fatto che trattasi di contratti di importo inferiore a determinate soglie economiche. L'art. 37 consente altresì di derogare alla regola del pubblico incanto allorquando ciò sia previsto da leggi speciali. Al riguardo è comunque opportuno precisare che l'affidamento a mezzo di licitazione privata non costituiva una prassi straordinaria bensì il metodo ordinario di gestione delle commesse pubbliche, sicché la stazione appaltante godeva di un ampio margine di discrezionalità sulla scelta della procedura da adottare, essendo prevalente, nella legislazione del 1923, l'interesse alla realizzazione del minor dispendio di risorse pubbliche. La giurisprudenza formatasi negli anni successivi ha chiarito la corretta interpretazione da attribuire alle disposizioni contenute nelle norme citate, anche alla luce dell'avvento del diritto comunitario, precisando che la normativa nazionale in materia di contabilità pubblica, di cui al r.d. n. 2440/1923 e al r.d. n. 827/1924, impone per ogni attività della pubblica amministrazione l'utilizzo di procedure concorsuali ‘aperte', nel senso più ampio dell'espressione, che oggi è assorbito nelle regole comunitarie generalmente applicabili in ordine alla libertà di concorrenza, alla non discriminazione, alla libertà di stabilimento. In più, anche quando un soggetto non è direttamente tenuto all'applicazione di una specifica disciplina per la scelta del contraente, come si verifica per i contratti ‘sotto soglia', il rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento comunitario, di cui principalmente agli artt. 43 e 55 del trattato C.E., nonché dei principi generali che governano la materia dei contratti pubblici, impone all'amministrazione procedente di operare con modalità che preservino la “par condicio” dei partecipanti in virtù di potestà pubblicistiche (Cons. Stato VI, 15 novembre 2005; T.A.R. Lazio I, n.7375/2006). La disciplina dettata dal r.d. n. 2440/1923 è tuttora vigente per i contratti attivi, i quali comportano l'acquisizione di entrate (contratti di locazione in cui lo Stato è parte locatrice), mentre ai contratti passivi, che determinano un esborso economico a carico dello Stato, si applica il Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 50/2016 (appalti di affidamento di lavori, servizi e forniture, concessioni aventi ad oggetto la realizzazione di un'opera o la prestazione di un servizio) (Garofoli, pp. 551, 552). La giurisprudenza ha recentemente confermato la perdurante vigenza delle disposizioni introdotte con la riforma De Stefani, precisando che, nell'ambito di una gara d'appalto con procedura aperta, di cui all'art. 60 del d.lgs. n. 50/2016, con criterio di aggiudicazione del massimo ribasso sull'importo a base d'asta, l'esperimento del tentativo di miglioria delle offerte, di cui all'art. 77, comma 1, del r.d. n. 827/1924, è ammesso da parte del seggio di gara, prima che possa procedersi al sorteggio tra le offerte uguali e ciò quand'anche la lex specialis di gara non preveda questo passaggio preliminare (T.A.R. Campania, Napoli I, n.3682/2020). Il Regolamento detta, agli artt. 63-90, norme inerenti ai procedimenti per gli incanti e per alcune forme private, regolando dettagliatamente la prassi da seguire nei pubblici incanti (offerte segrete su prezzo segreto, offerte segrete su prezzo palese, pubblico banditore), nella licitazione privata e nell'appalto concorso. Merita una menzione particolare la forma contrattuale dell'appalto concorso, introdotta con Circolare del Ministero dei lavori pubblici 21 maggio 1917, n. 586, poi trasfusa nel Decreto luogotenenziale 6 febbraio 1919, n. 107, al fine di ovviare agli inconvenienti derivanti dall'imperfezione dei progetti. Nell'appalto concorso il progetto relativo all'opera da realizzare non è più predisposto dall'amministrazione bensì dal concorrente sulla base dello schema di direttive generali fornito dall'amministrazione medesima (art. 91 del Regolamento). Il Regolamento disciplina, oltre alle procedure sopra descritte, anche la forma contrattuale della trattativa privata, il riscorso alla quale è subordinato a particolari ragioni di urgenza, da dimostrarsi nel decreto di approvazione del contratto (art. 41, ultimo comma). L'affidamento a mezzo di trattativa privata è limitato ai casi tassativamente individuati dall'art. 41 e deve ritenersi di ordine eccezionale, caratterizzandosi per l'assenza di gara pubblica e quindi per le minori garanzie nei confronti dello Stato. Per tale tipologia di contratti il Regolamento ammette la stipulazione in forma privata, in deroga alle regole ordinarie che prevedono la forma pubblica amministrativa (art. 101). È importante tener presente che, quale che sia la forma contrattuale prescelta, qualsiasi entrata e qualsiasi spesa devono coincidere con il bilancio approvato, sicché entrambe richiedono una debita autorizzazione. Ne consegue ad esempio che una spesa non è autorizzata se non trova riscontro in un capitolo del bilancio. Qualora sia stato impegnato un importo superiore al consentito, la conseguenza non è la nullità del contratto ma la responsabilità personale del funzionario contraente, secondo le disposizioni contenute nel Titolo V, capo II, del Regolamento (artt. 188 e ss.). In materia di controlli preventivi, è significativo menzionare gli artt. 43 e 44 del Regolamento, i quali hanno introdotto il divieto di artificioso frazionamento del contratto, finalizzato ad eludere il superamento delle soglie economiche oltre le quali è previsto l'obbligo di trasmissione al Consiglio di Stato per il parere. Tale forma di controllo preventivo fu introdotta per la prima volta con la legge Cambray-Digny nel 1869. Il divieto è tuttora presente nella legislazione vigente in materia di contratti pubblici, ancorché per ragioni diverse. Mentre infatti la riforma del 1923 persegue la finalità di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica, l'art. 35 comma 6 e l'art. 167 comma 6 del d.lgs. 50/2016 sono volti ad evitare l'artificioso frazionamento delle prestazioni allo scopo di sottrarle alle disposizioni del Codice (Caringella, 67). A seguito dell'aggiudicazione il contratto era perfettamente eseguibile. Sul punto, la giurisprudenza ha chiarito che, sino all'entrata in vigore dell'art. 11 del d.lgs. n. 163/2006, nei contratti stipulati dalla P.A. con il sistema dell'asta pubblica o della licitazione privata, il processo verbale di aggiudicazione definitiva equivaleva a ogni effetto al contratto, con forza immediatamente vincolante per entrambe le parti (art. 16, r.d. n. 2440/1923; artt. 88,89,97, r.d. n. 827/1924), salvo che dal verbale stesso non emergesse la volontà della P.A. di rinviare la costituzione del vincolo al momento successivo della stipulazione del contratto la quale, in tal caso, non assume il valore di un mero atto formale e riproduttivo, ma rappresenta la vera ed unica fonte del rapporto per entrambe le parti (Cass. S.U., 13/07/2015, n. 14555). Tuttavia, il contratto impegna soltanto il privato e non anche l'amministrazione finanche non intervenga l'approvazione da parte del Ministro o del funzionario all'uopo delegato. La dottrina prevalente qualifica l'approvazione come atto di controllo afferente un contratto preesistente e perfetto, in quanto tale incidente, con effetto retroattivo, esclusivamente sulla sua eseguibilità. Un orientamento minoritario attribuisce all'autorizzazione valore di manifestazione del consenso dello Stato, sicché soltanto con quest'ultima il contratto diverrebbe perfetto. Altra tesi riconduce i contratti dello Stato alla categoria dei cosiddetti «contratti claudicanti», i quali vincolerebbero una sola parte, in deroga all'art. 1372 c.c. (Rossi, Passavanti, 307). Quale che sia l'orientamento ritenuto preferibile, si deve dire che l'amministrazione non gode di discrezionalità sul procedimento di approvazione, atteso che, ai sensi degli artt. 107 e 113 del Regolamento, l'autorizzazione ad eseguire un contratto riconosciuto regolare può essere negata esclusivamente per gravi motivi di interesse pubblico o dello Stato. L'art. 114 consente inoltre la liberazione del privato dal vincolo contrattuale allorquando, essendo previsto un termine per l'adozione del decreto di approvazione, esso non sia rispettato. Le disposizioni successive disciplinano la fase esecutiva del contratto, con particolare riferimento al tema delle varianti. In proposito, l'art. 120 del Regolamento stabilisce che variazioni ed aggiunte devono essere approvate dall'autorità competente sulla base di una perizia suppletiva presentata dal funzionario preposto alla direzione dei lavori. In mancanza della predetta approvazione, il funzionario risponde personalmente delle opere compiute, in ossequio al principio di responsabilità personale introdotto con la riforma del 1923. Il carattere di eccezionalità delle varianti in corso di esecuzione è altresì presente nelle disposizioni del Codice civile dedicate agli appalti, disponendo l'art. 1659 c.c. che l'appaltatore non può apportare variazioni alle modalità convenute dell'opera se il committente non le abbia autorizzate, nonché nel Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 50/2016, ove si prevede, all'art. 106, il generale principio per cui è vietato apportare modifiche al contratto pubblico senza ricorrere ad una nuova procedura di gara (Caringella, 569). Il bilancio di previsioneIl Titolo III del Regolamento contiene la disciplina dell'anno finanziario, del bilancio di previsione e del rendiconto generale. In particolare il bilancio identifica, da un punto di vista contabile, il massimo documento nel quale sono presenti esattamente le entrate e le spese dello Stato e dal quale si desumono anche l'avanzo e il disavanzo relativo. Sul tema, Cavour osservava che l'andamento generale di una comunità si può rilevare con certezza e nei momenti di decadenza e di fortuna esaminandone e meditandone il bilancio (Rossi, Passavanti, 351). La riforma del 1923 ha disegnato la struttura del bilancio in termini di competenza, come si evince dall'art. 127 del Regolamento attuativo, che così recita: «le entrate e le spese che si inscrivono negli stati di previsione rappresentano le competenze dell'esercizio, ossia per le entrate ciò che si crede potranno produrre durante l'anno i diversi cespiti di entrata stabiliti da leggi e quelli eventuali che sono prevedibili e, per le spese, quelle che il Governo è autorizzato a fare nell'anno medesimo per provvedere ai pubblici servizi e agli obblighi assunti dallo Stato». Pertanto, alla luce della natura previsionale del bilancio, le somme non effettivamente incassate e gli esborsi non effettuati al termine dell'anno finanziario andranno a costituire rispettivamente i residui attivi e passivi. Si rammenta, sul punto, che l'art. 42 della l. n. 196/2009 («Legge di contabilità e finanza pubblica») ha introdotto la predisposizione del bilancio e degli altri documenti finanziari in termini di sola cassa, dopo un periodo di sperimentazione. Le disposizioni successive del Regolamento disciplinano le modalità di iscrizione in bilancio delle entrate e delle spese, stabilendo la partizione delle stesse in titoli, categorie e capitoli. La Legge di contabilità e finanza pubblica è intervenuta anche su tale aspetto, istituzionalizzando la classificazione funzionale delle voci di spesa del bilancio in missioni e programmi, già applicata dal 2008. Per programmi si intendono gli insiemi omogenei di attività dirette al perseguimento degli obiettivi strategici rappresentati dalle missioni. L'art. 134 del Regolamento sancisce il principio generale di integrità del bilancio dello Stato, secondo il quale le entrate e le spese debbono essere iscritte in bilancio integralmente, senza alcuna riduzione per spese di riscossione o di altra natura ovvero senza apportarvi riduzioni per effetto di qualsiasi entrata. La competenza a redigere il bilancio di previsione è attribuita al potere esecutivo, ed in particolare al Ministro delle finanze, che predispone il relativo progetto e lo presenta alle Camere per l'approvazione. L'atto di approvazione è espressione del potere di indirizzo politico dell'Assemblea legislativa, poiché stabilisce i limiti delle risorse che il Governo può impiegare nell'ambito della gestione amministrativa relativa all'anno finanziario considerato nel bilancio (art. 81 Cost.). In ossequio a quanto stabilito nella Legge di contabilità e finanza pubblica infatti, il bilancio viene redatto annualmente con orizzonte triennale, sebbene gli stanziamenti costituiscono limite all'autorizzazione di spesa solo per il primo esercizio, e approvato con legge ordinaria dal Parlamento (Orefice, 18). Merita un cenno l. costituzionale n. 1/2012, la quale ha espunto dal testo dell'art. 81 Cost. il divieto, per la legge di bilancio, di istituire nuovi tributi e nuove spese. A tal fine la l. n. 163 del 2016 ha integrato in un unico provvedimento i contenuti della legge di bilancio e della legge di stabilità, valorizzando la legge di bilancio quale strumento sostanziale di attuazione della politica economica. Il rendiconto generale dello StatoIl rendiconto generale è il documento atto a dimostrare tutto l'andamento della gestione della cosa pubblica durante l'esercizio finanziario, descrivendone i risultati finali. Il potere esecutivo, a mezzo del citato documento, rende conto al Parlamento della propria gestione amministrativa, illustrando separatamente in quale modo si sia mantenuto entro i limiti prefissatigli (artt. 145-151 Regolamento). Il rendiconto generale è suddiviso in due parti: il conto consuntivo, che pone a raffronto le autorizzazioni di spesa con le esecuzioni, ed il conto generale del patrimonio, che fa emergere le variazioni al patrimonio dello Stato nel corso dell'anno finanziario. Ne consegue pertanto che il rendiconto è a un tempo finanziario e patrimoniale, venendo così a comprendere e a riassumere in maniera completa ed efficace l'intera gestione pubblica (Rossi, Passavanti, 363). Il rendiconto generale dello Stato è soggetto al giudizio di parificazione della Corte dei conti, che è espressione di un'altissima funzione di natura costituzionale (art. 149 Regolamento, art. 40, r.d. n. 1214/1934). Il giudizio, che si svolge nelle forme della giurisdizione contenziosa avanti alle Sezioni riunite e con l'intervento del Procuratore generale, verte sull'accertamento dell'esatta corrispondenza delle risultanze espresse dal rendiconto agli stanziamenti risultanti dalla legge di bilancio. All'esito di tale attività la Corte redige una relazione con la quale espone al Parlamento tutta l'opera di quest'ultimo nel corso dell'esercizio finanziario, mettendo in rilievo quanto si ritenga opportuno modificare e perfezionare nell'interesse della cosa pubblica. Si tratta pertanto di un documento della massima importanza, poiché pone il potere legislativo in grado di formare un giudizio sintetico sull'intero andamento amministrativo e finanziario dei pubblici servizi e allo stesso tempo segnala ogni criticità, individuando i mezzi e gli accorgimenti per farvi fronte ed eliminarla. L'art. 150 del Regolamento stabilisce che, una volta approvato e chiuso, il rendiconto è intangibile e non può essere modificato in alcuna delle sue parti. A tale riguardo, le Sezioni Riunite hanno precisato che, nel giudizio di parificazione, la funzione certativa appartiene alla struttura della Corte dedicata al controllo, mentre il segmento finale di tale attività si svolge in un contesto di natura giurisdizionale, tanto che da esso scaturiscono gli effetti del giudicato. Di qui lo schema del giudizio di parificazione, che è solo formalmente contenzioso (l'art. 40, r.d. n. 1214/1934 fa specifico riferimento ad una «delibera» della Corte sul rendiconto resa «con le formalità della sua giurisdizione contenziosa»), ma con effetti preclusivi nell'ordinamento, attesa l'immodificabilità delle risultanze del rendiconto parificate dalla Corte (Corte dei conti, SSRR in sede di controllo, deliberazione n. 7/2013). Le entrate dello StatoI Titoli VI e VII del Regolamento contengono disposizioni concernenti rispettivamente le entrate e le spese dello Stato. Il termine «entrata», nell'impostazione accolta dalla riforma del 1923, viene inteso quale spesa finanziaria destinata a produrre un movimento di denaro. L'art. 219 del Regolamento stabilisce che le entrate sono costituite da tutti i redditi, proventi e crediti di qualsiasi natura che lo Stato (e ogni altro ente pubblico) ha il diritto di riscuotere in virtù di leggi, decreti, regolamenti o altri titoli. Dalla riferita definizione normativa si ricava una nozione di entrata intesa come espressione finanziaria dell'adempimento di un'obbligazione da parte di un soggetto nei confronti di un'amministrazione pubblica, che si concreta nel trasferimento a quest'ultima di somme di denaro già appartenenti al soggetto tenuto all'adempimento. L'art. 219 comma 2 del Regolamento sancisce il principio secondo cui, a differenza delle spese, che non possono essere impegnate per importi superiori a quelli stanziati nei corrispondenti capitoli di bilancio, non vi sono limiti per l'accertamento delle entrate. Tale operazione, così come la riscossione ed il versamento, deve essere effettuata prontamente ed integralmente da coloro ai quali è affidata la gestione, nei limiti delle proprie attribuzioni e sotto personale responsabilità (art. 44 r.d. 2440/1923). La nozione di entrata dello Stato è differente da quella propria delle aziende private, atteso che l'azione di queste ultime è governata dalla possibilità di mercato e dalle correlative oscillazioni, mentre l'attività dello Stato è preordinata al soddisfacimento di interessi generali della collettività e pertanto è soggetta al rispetto di vincoli e limiti derivanti da norme pubblicistiche. La dottrina ha in proposito chiarito che lo Stato che riscuote l'imposta agisce d'autorità in applicazione della legge e non come creditore per contratto (Mantellini, 233, 234, 235). Le principali fonti delle entrate dello Stato sono rappresentate dal patrimonio e dai tributi. Il primo si sostanzia dei frutti che possono nascere ordinariamente dal suo uso o straordinariamente dall'alienazione o permuta di una sua porzione. I tributi sono invece versati direttamente o indirettamente dai contribuenti in compenso dei benefici che gli stessi ricevono dall'attività materiale dello Stato, in termini ad esempio di sicurezza, viabilità, servizi pubblici ed istruzione. Le entrate si distinguono in ordinarie e straordinarie a seconda che derivino da cause permanenti ed abbiano perciò carattere continuativo nei bilanci futuri ovvero nascano da cause accidentali e transitorie ed abbiano quindi natura provvisoria, potendo anche non comparire nei bilanci successivi. L'acquisizione delle entrate segue un preciso schema procedurale, puntualmente disciplinato nel r.d. 827/1924. In particolare, l'accertamento rappresenta il momento in cui l'amministrazione appura la ragione del credito dello Stato, l'ammontare del credito e la persona che ne è debitrice (art. 222, comma 1 Regolamento). Con l'espletamento di tale attività sorge per lo Stato il diritto di riscuotere la somma accertata. La riscossione si sostanzia nel pagamento da parte del debitore delle somme da lui dovute allo Stato per mezzo degli agenti designati dalle relative leggi e dai regolamenti, ossia gli agenti della riscossione (art. 223 Regolamento). Il procedimento di acquisizione delle entrate si conclude con il versamento alla Tesoreria dello Stato delle somme riscosse a cura degli agenti. In base all'art. 13 del T.U. delle leggi sull'ordinamento della Corte dei conti, approvato con r.d. n. 1214/1934, la Corte, in conformità alle leggi e ai regolamenti, vigila sulla riscossione delle entrate. Il controllo è sostanzialmente formale, atteso che, secondo il disposto dell'art. 262 del Regolamento, tale attività si concreta nel semplice esame dei prospetti riassuntivi delle entrate, che periodicamente le amministrazioni comunicano alla Corte, privi di documentazione. Il controllo viene poi ad assumere natura giurisdizionale nei giudizi sui conti giudiziali, da rendersi con le modalità indicate dal Titolo XIII (vedi infra). Un controllo più penetrante è svolto sui contratti attivi che, qualora superino determinate soglie economiche, sono soggetti a registrazione preventiva a cura della Corte dei conti (art. 265 Regolamento). Le soglie economiche sono state innalzate rispetto agli importi originari dal d.l. 20 gennaio 1948, n. 18 e dalla legislazione successiva (l. n. 936/1953, art. 20 del d.P.R. 367/1994), per contrastare gli effetti della svalutazione monetaria verificatasi a seguito della riforma del 1923. Le spese dello StatoCon l'espressione « spese dello Stato » si intendono le uscite finanziarie, ossia le spese previste dal bilancio che dovranno essere soddisfatte nell'esercizio e destinate a produrre movimento di denaro. La nozione accolta dalla legislazione del 1923 è più ristretta di quella impiegata nell'ambito delle norme privatistiche che governano l'azienda, ove si intende per spesa qualsiasi fatto idoneo ad incidere in termini negativi sul valore assoluto della ricchezza, ivi compresi, oltre alle spese sostenute per l'acquisto di beni e servizi, anche quei fatti suscettibili nel tempo di determinare una diminuzione di ricchezza, come a titolo esemplificativo l'accensione di un debito. L'autorizzazione alle spese obbligatorie o d'ordine viene concessa con la legge di bilancio di previsione o con successive leggi speciali o con decreti ministeriali. Non può dirsi tuttavia che l'autorizzazione avvenga per effetto diretto degli atti anzidetti, i quali si limitano a designare i fondi dei quali il potere esecutivo può valersi per soddisfare gli interessi dello Stato, dovendosi invece ravvisare il fondamento della spesa nel fatto stesso che la produce (Rossi, Passavanti, 539). Lo stanziamento del fondo in bilancio ha quindi il valore di fornire i mezzi per l'attuazione di una spesa, ma quest'ultima è subordinata alle disposizioni delle leggi vigenti e di ordine generale, che non possono ritenersi abrogate per effetto della mera iscrizione del fondo in bilancio. Sul punto la l. n. 196/2009, in attuazione del disposto dell'art. 81 Cost., precisa che ciascuna legge onerosa deve indicare espressamente, per ciascun anno e per ogni intervento previsto, la spesa autorizzata, intesa quale tetto massimo, ovvero le previsioni di spesa, per le quali sono definite specifiche clausole di salvaguardia effettive ed automatiche. Gli artt. 49 del r.d. n. 2440/1923 e 271 del Regolamento attuativo stabiliscono il fondamentale principio per cui i Ministri ordinano le spese nei limiti dei fondi assegnati in bilancio. Gli impegni si riferiscono esclusivamente ai fondi autorizzati per l'esercizio corrente, terminato il quale nessun impegno può essere assunto sui fondi dell'esercizio scaduto. Fanno eccezione alla citata regola le spese tassativamente indicate dall'art. 272 del Regolamento, come le spese in conto capitale ripartire per legge in più esercizi. Le deroghe introdotte dalla norma citata hanno carattere eccezionale e pertanto non sono suscettibili di estensione analogica, in base all'art. 14 delle disposizioni preliminari al Codice civile. Venendo alle fasi del procedimento di spesa, si rappresenta che l'impegno è la fase nell'ambito della quale sorge a carico dello Stato l'obbligo di pagare una somma, cioè un debito. In altri termini, con l'impegno si determina la somma da pagare e si individua il soggetto creditore e la ragione di credito. L'assunzione degli impegni, a seguito dell'introduzione del d.lgs. 93/2016, che ha riformato l'art. 34, comma 2 della l. 196/2009, è possibile solo ove siano indicati i seguenti elementi costitutivi: la ragione del debito; l'importo o gli importi da pagare; l'esercizio o gli esercizi finanziari su cui gravano le previste scadenze di pagamento; il soggetto creditore univocamente individuato. Le altre fasi della procedura di spesa sono la liquidazione, l'ordinazione ed il pagamento (art. 270 Regolamento). La liquidazione consiste nella determinazione del preciso ammontare del debito dello Stato e dell'esatta individuazione della persona del creditore. L'ordinazione consiste nell'emissione di un titolo di spesa, con il quale viene data disposizione alla competente tesoreria di effettuare il pagamento a favore del creditore dell'amministrazione. Il procedimento della spesa si conclude con il pagamento, che costituisce la materiale erogazione dei mezzi finanziari nei termini e nei modi prescritti dal titolo, in modo da estinguere il debito. Nei lavori preparatori alla riforma del 1923, al fine di semplificare le procedure vigenti, si pensò di intervenire sulla forma degli ordini di pagamento, sostituendo al mandato diretto l'assegno di Stato tratto sull'istituto di emissione. Pur determinando sotto l'aspetto teorico un'abbreviazione della procedura, nella pratica il pericolo di potenziali frodi faceva sì che l'assegno di Stato fosse cautelato attraverso un tale numero di formalità da sminuire considerevolmente i vantaggi che ne sarebbero derivati. Ne consegue pertanto che le attuali forme degli ordini di pagamento restano quelle previste dalle leggi del 1869 e del 1884, ossia i mandati diretti e gli ordini di accreditamento a favore di funzionari delegati, i primi costituendo il sistema ordinario e i secondi l'eccezione. Quanto alle classificazioni delle diverse tipologie di spesa, sembra opportuno citare in primo luogo le spese obbligatorie e le spese d'ordine. Sulla distinzione fra le prime e le seconde, va detto che la Legge ed il Regolamento non ne forniscono una definizione precisa, limitandosi a statuire che esse formano impegno sui relativi fondi della competenza dell'esercizio (art. 273 lett. i, del Regolamento). Nel progetto originario di regolamento del 1885 si tentò di identificare il concetto di spesa obbligatoria in «tutti quegli oneri essenziali ed indispensabili per il pagamento dei debiti dello Stato e per il buon andamento di quei servizi, per cui non possono limitarsi gli impegni né possono dilazionarsi i pagamenti» (r.d. n. 3074/1885, pubblicato in G.U. n. 121/1885). La Corte dei conti giudicò la definizione eccessivamente vaga ed imprecisa, sicché si giunse a far coincidere le spese obbligatorie con quelle che vengono annualmente individuate da uno speciale elenco annesso al bilancio delle finanze. Le spese d'ordine si riferiscono all'accertamento ed alla riscossione delle entrate e pertanto costituiscono una conseguenza di somme iscritte nella parte attiva del bilancio, come ad esempio gli aggi dovuti agli esattori per l'espletamento delle proprie funzioni. Le spese casuali, iscritte in apposito capitolo, hanno carattere del tutto eccezionale e non si possono comprendere negli altri capitoli già esistenti ovvero in nuovi capitoli. L'art. 141 del Regolamento specifica che le somme ivi stanziate non possono essere in alcun modo distratte per fini estranei ai servizi dell'amministrazione. L'art. 142 definisce le spese ripartite, ossia le spese straordinarie autorizzate da leggi speciali per la realizzazione di opere pubbliche straordinarie da eseguirsi in diversi esercizi finanziari successivi. La loro peculiarità consiste nel fatto che l'importo complessivo autorizzato è suddiviso in una pluralità di esercizi, fermo restando che le spese eseguite nel corso di un determinato esercizio e i relativi stanziamenti devono coincidere. Tale tipologia di spesa è delicata quanto più è elevato l'importo complessivo autorizzato, stante la sua attitudine a gravare su esercizi futuri. Si distinguono infine le spese fisse da quelle variabili. Le prime sono spese certe, che hanno carattere di ricorrenza e derivano da leggi organiche o da impegni di natura permanente, con importo e scadenza determinati, come gli stipendi, gli assegni, i fitti e le pensioni. Sono spese variabili tutte le altre. L'organizzazione dell'amministrazione finanziaria: la Direzione generale del Tesoro (oggi Dipartimento)Il Regolamento attuativo della Legge generale di contabilità pubblica del 1923 contiene diverse disposizioni sull'organizzazione dell'amministrazione finanziaria, con particolare riferimento alle attribuzioni degli organi preposti alla gestione della finanza pubblica. Per amministrazione finanziaria deve intendersi il complesso di organi e uffici preposti all'attività materiale che si concreta nel compimento di operazioni aventi ad oggetto le entrate e le spese dello Stato. Il Titolo IV in particolare è dedicato alla Ragioneria generale dello Stato, della Direzione generale del tesoro ed agli uffici da esse dipendenti. Sul punto, occorre tenere presente che, a seguito della fusione e riorganizzazione dei Ministeri economici nel Ministero dell'economia e delle finanze a opera della Legge Bassanini del 2001 (l. n. 59/1997, recante «Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa»), le predette articolazioni ministeriali sono state trasformate in Dipartimenti. Da ultimo il d.P.C.M. n. 103del 26 giugno 2019, come modificato dald.P.C.M. n. 161 del 30 settembre2020, è intervenuto sulla struttura organizzativa del Dipartimento del tesoro, la quale è attualmente in corso di formalizzazione. Tanto premesso si rappresenta che, nonostante le modifiche organizzative dell'assetto ministeriale intervenute nel corso degli anni, le disposizioni contenute nel Regolamento dettano principi di ordine generale tuttora vigenti. Un ruolo di assoluto rilievo è assegnato alla Direzione generale del tesoro, cui è affidata la sovrintendenza di servizi di estrema importanza, come quelli relativi alla circolazione monetaria, alle operazioni finanziarie, alle operazioni di tesoreria ed alle operazioni di portafoglio. Per lo svolgimento delle funzioni istituzionali la Direzione generale si avvale di diversi uffici, ossia la Tesoreria centrale, la Tesoreria provinciale e gli Uffici provinciali del tesoro, questi ultimi istituiti a seguito della soppressione delle Delegazioni del tesoro presso le Sezioni di tesoreria provinciali con r.d. n. 835/1925. Lo Stato, mediante la Tesoreria centrale e la Tesoreria provinciale, adempie al servizio di cassa nonché alla gestione della pubblica finanza, informando tutta la propria attività al principio di unità di cassa, enunciato dall'art. 217 del Regolamento. In base al detto principio, cui è correlato quello di unità di bilancio, si configura un'unica cassa ove confluiscono indistintamente tutte le entrate dello Stato, sicché in tal modo si vengono ad evitare giacenze di fondi inutilizzati, presiti e restituzioni da una cassa all'altra (Rossi, Passavanti, p. 447). In forza del r.d. n. 533/1894, che ha recepito una convenzione stipulata nel 1894 e periodicamente rinnovata, il servizio di tesoreria finanziaria è affidato alla Banca d'Italia, la quale riceve fra l'altro i versamenti ed esegue i pagamenti per conto dello Stato e a quest'ultimo risponde di ogni operazione compiuta. Le sezioni di tesoreria della Banca d'Italia sono distinte dagli Uffici provinciali del tesoro, ma dipendono anch'esse dalla Direzione generale del tesoro (oggi Dipartimento). Lo statuto dell'agente contabile: profili soggettivi, oggettivi e regime di responsabilitàUn aspetto particolarmente significativo della riforma in materia di contabilità generale dello Stato del 1923 attiene alla disciplina degli agenti dell'amministrazione preposti alla gestione di valori pubblici, poiché il legislatore ha per la prima volta introdotto la responsabilità personale degli stessi per i danni arrecati all'erario, a seguito di condotte dolose o colpose. Tale principio è oggi inserito nell'art. 28 della Costituzione repubblicana, ove si afferma che i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici. Si tratta di una responsabilità solidale e diretta, anche con riferimento allo Stato e agli enti, in quanto gli atti compiuti dai dipendenti sono imputabili all'amministrazione di appartenenza sulla base del rapporto organico e del principio di preposizione (Chieppa, Giovagnoli, p. 1027). Sul fondamento della responsabilità degli agenti contabili per la gestione delle risorse finanziare, si deve dire che il r.d. 2440/1923 è il frutto dell'elaborazione svolta dalla dottrina negli anni precedenti alla sua adozione. A tale proposito, veniva osservato quanto segue: «Lo Stato, Ente morale che riassume in sé l'interesse di tutti i cittadini, ha l'indiscutibile diritto ed il sacro dovere di tutelare questo generale interesse, né può permettere, specie sotto un regime onesto e liberale, che coloro i quali maneggiano la sostanza pubblica sottraggano il loro operato all'esame finale di un Ente qualunque competente, al fine di giudicare se nelle operazioni compiute dagli agenti non siano incorse tali irregolarità che, pregiudicando la pubblica sostanza, importino a carico degli agenti medesimi il riconoscimento del danno sofferto dalla comunità dei cittadini» (Rostagno, 54). Venendo alla regolamentazione dello statuto dell'agente contabile nell'ambito della riforma del 1923, si ha riguardo anzitutto all'art. 178 del Regolamento attuativo, il quale delinea il perimetro soggettivo di applicazione della disciplina, individuando le categorie di dipendenti pubblici rientranti nella nozione di «agente contabile». Coloro che ricoprono gli incarichi menzionati dall'art. 610 del Regolamento sono altresì tenuti a rendere il conto della propria gestione alla Corte dei conti. La nozione di agente contabile accolta dalla riforma del 1923 è estremamente ampia, comprendendo i cosiddetti «agenti di fatto», ossia tutti coloro che, anche senza legale autorizzazione, ingeriscono negli incarichi anzidetti e riscuotono somme di spettanza dello Stato. Si deve in proposito rilevare che l'indebita ingerenza contabile, la quale presuppone in ogni caso la mancanza del titolo legale, non integra sempre il reato di usurpazione di una pubblica funzione, atteso che talvolta si attribuisce valore giuridico a tale ingerenza con la legittimazione e l'accettazione di uno stato di fatto, attraverso il giudizio sul conto. Un'interessante pronuncia della Corte dei conti ha chiarito che l'attività di riscossione (tasse automobilistiche) curata dalle ricevitorie dà luogo all'insorgere di un rapporto di servizio tra il titolare e l'amministrazione finanziaria, essendo in essa comprese la riscossione di entrate, l'effettuazione di pagamenti per lo Stato, e la custodia di pubblico denaro, con la conseguenza che al suddetto gestore compete, a tutti gli effetti, la qualifica di agente contabile; nei suoi confronti trova, pertanto applicazione la disciplina prevista nel regolamento di contabilità di Stato, di cui al r.d. n. 827/1924 (C. conti, Sicilia Sez. giurisdiz. Sent., n.400/2009). Venendo ai profili oggettivi, si rappresenta che gli agenti contabili devono rendere il conto delle entrate riscosse, delle spese ordinate e pagate e delle materie o dei valori maneggiati o avuti in consegna. I conti che i citati dipendenti sono tenuti a presentare sono di due tipologie: - i conti amministrativi vengono resi dall'agente giornalmente all'amministrazione di appartenenza e consentono a quest'ultima di esercitare una vigilanza continuativa sulla gestione finanziaria nonché di intervenire tempestivamente con funzione correttiva laddove siano accertate irregolarità di gestione. I conti amministrativi non comportano il discarico dell'agente da eventuali responsabilità, occorrendo a tal fine un pronunciamento della Corte dei conti sul conto giudiziale, ma svolgono la sola funzione di documentare le operazioni compiute. A titolo di esempio, sono conti amministrativi quelli che devono essere resi dai consegnatari di materie a norma dell'art. 31 del Regolamento. - i conti giudiziali, di cui agli artt. 610 e ss. del Regolamento, sono presentati direttamente dal dipendente ovvero a mezzo dell'amministrazione di appartenenza alla Corte dei conti in sede giurisdizionale, al fine di ottenere il definitivo discarico (Rostagno, 1 e 2). Il conto giudiziale consiste in uno stato descritto e numerico prospettante atti e fatti di gestione in maniera distinta per le entrate e per le uscite. Stante il carattere proprio di contabilità giudiziaria, il conto deve essere redatto seguendo le forme prescritte dalla legge e corredato della relativa documentazione. L'art. 620 del Regolamento, a tale proposito, prevede che la Ragioneria generale dello Stato provveda alla predisposizione dei modelli dei conti giudiziali, i quali devono contenere le informazioni di cui all'art. 616 (il carico, lo scarico, i resti da esigere, l'introito e la rimanenza). La giurisprudenza contabile ha chiarito in proposito che, ancorché redatto su modello irrituale in relazione alle previsioni dell'art. 620 del r.d. n. 827/1924, il conto che contenga comunque gli elementi richiesti dall'art. 616 del suddetto r.d. (scarico, resti, introiti, esito, rimanenze) risponde alle finalità cui è preordinato e può essere qualificato conto giudiziale, con conseguente incardinamento del relativo giudizio innanzi alla Corte dei conti. Al contrario, la mancanza dell'elemento essenziale del carico nel conto dell'economo non consente la qualifica dell'atto quale rendiconto, né, a maggior ragione, quale conto giudiziale in grado di incardinare il relativo giudizio avanti la Corte (C. conti, Piemonte, Sez. giurisdiz., Sent. n. 75/2018). Dal punto di vista giuridico, il contenuto del conto determina la sfera di responsabilità del gestore. Il discarico del contabile presuppone, appunto, la dimostrazione della legittimità della gestione delle cose e dei valori in carico o della loro consegna ad altro agente o dell'evento di forza maggiore. Nei casi di confusione fra due gestioni, qualora vi siano difficoltà relative alla ripartizione delle rispettive responsabilità, entrambi i gestori rispondono in solido dei danni cagionati all'erario (Rossi, Passavanti, 404). L'art. 194 del Regolamento pone a carico dell'agente l'onere di fornire la prova che il deperimento o la diminuzione dei valori e delle cose mobili ricevute in consegna dipenda da causa allo stesso non imputabile, in analogia a quanto previsto dall'art. 1218 c.c. in materia di responsabilità contrattuale. A tale riguardo la giurisprudenza contabile ha precisato che, nell'esercizio del gioco del lotto – affidato in concessione dall'Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato nelle forme e nei modi previsti dalla legge n. 528/1982 e dal suo regolamento di applicazione contenuto nel d.P.R. n. 303/1990 – il titolare della ricevitoria assume il ruolo di agente contabile ai sensi dell'art. 74 del r.d. n. 2440/1923 e dell'art. 178 del r.d. n. 827/1924 e, in base a quanto previsto dall'art. 194 del citato r.d. n. 827, può liberarsi dall'obbligazione di restituire quanto riscosso solo ove dimostri che l'inadempimento derivi da causa a lui non imputabile, in analogia, sostanzialmente, con il principio generale di cui all'art 1218 c.c. e che a sua volta si riconduce a quello della forza maggiore, cioè alla sussistenza di fattori causali che, collocandosi al di fuori della sfera di controllo e prevedibilità, fanno sì che la fattispecie esuli dall'ordinario obbligo di diligenza nell'adempimento dell'obbligazione contrattuale (C. conti, Sez. I App., n. 401/2016). L'art. 188 del Regolamento specifica che gli agenti indicati dall'art. 178 rispondono anche del fatto dei cassieri, impiegati o commessi di cui si valgono nel proprio ufficio, anche se la loro assunzione sia stata approvata dalle autorità competenti. La disciplina è espressione del principio generale della responsabilità dell'agente per il fatto degli ausiliari, riassumibile nel brocardo «cuius commoda eius et incommoda», che è presente anche nel Codice civile del 1942 sia con riferimento alla responsabilità contrattuale (1228 c.c.) che con riferimento alla responsabilità aquiliana (2049 c.c.). Il giudizio di responsabilità è attualmente disciplinato dal d.l. 26 agosto 2016 n. 174, recante il nuovo Codice di giustizia contabile, adottato in attuazione della delega contenuta nella l. n. 124/2015. BibliografiaCaringella, Manuale dei contratti pubblici, principi e applicazioni, Roma, 2019; Chieppa, Giovagnoli, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2018; De Luca, Manuale di contabilità di Stato e degli Enti pubblici, Napoli, 2019; Fratini, Compendio sistematico di contabilità pubblica, Roma, 2021; Garofoli, Manuale di diritto amministrativo, Molfetta, 2019; Mantellini, Lo Stato e il codice civile, vol. 1, Firenze, 1880; Melis, Storia dell'amministrazione italiana, Bologna, 2020; Monetti, Compendio di amministrazione e contabilità di Stato, Roma, 1956; Orefice, Manuale di contabilità pubblica, Molfetta, 2020; Rossi-Passavanti, La contabilità pubblica, legge e regolamento, Roma, 1960; Rostagno, Contabilità di Stato, Milano, 1902; Relazione di S.E. il Ministro Segretario di Stato per le finanze, a S.M. il Re, in udienza del 18 novembre 1923, sui decreti riguardanti le nuove disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato, e le modificazioni alla legge sulla Corte dei conti. |