Codice Penale art. 319 - Corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio (1) (2) (3).

Angelo Salerno

Corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio (1) (2) (3).

[I]. Il pubblico ufficiale [357], che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da sei a dieci anni [32, 32-quater, 319-bis, 319-ter, 320, 321, 322 2, 4, 323-bis; 381 2b, 4 c.p.p.] (4).

(1) Articolo così sostituito dall'art. 7 l. 26 aprile 1990, n. 86.

(2) Per la confisca di denaro, beni o altre utilità di non giustificata provenienza, nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta, v. ora artt. 240-bis c.p., 85-bis d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e 301, comma 5-bis,d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (per la precedente disciplina, v. l'art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv., con modif., in l. 7 agosto 1992, n. 356).

(3) In tema di responsabilità amministrativa degli enti v. art. 25 d.lg. 8 giugno 2001, n. 231.

(4) L'art. 1 l. 27 maggio 2015, n. 69, ha sostituito le parole "da quattro a otto anni" con le parole "da sei a dieci anni". L'art. 1, comma 75, l. 6 novembre 2012, n. 190 aveva sostituito le parole «da due a cinque» con le parole «da quattro a otto».

competenza: Trib. collegiale

arresto: facoltativo

fermo: consentito

custodia cautelare in carcere: consentita

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: d'ufficio

Inquadramento

L'art. 319 c.p. punisce il delitto di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio, commesso dal «pubblico ufficiale che per omettere o ritardare o per avere omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità, o ne accetta la promessa». La pena è «la reclusione da sei a dieci anni».

La fattispecie non è stata modificata dalla l. n. 190/2012, che ne ha inasprito, al pari della successiva l. n. 69/2015, il trattamento sanzionatorio.

In merito al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice vi è un contrasto di opinioni in dottrina tra chi lo individua nel prestigio della Pubblica Amministrazione (Levi, 310) e quanti sostengono invece che l'offesa riguardi il buon andamento e l'imparzialità dell'azione amministrativa (Fiandaca, Musco, 221).

Il soggetto attivo e passivo

Il soggetto attivo del reato, al pari di quanto osservato in relazione alla fattispecie ex art. 318 c.p., deve rivestire la qualifica di pubblico ufficiale, trattandosi di un reato proprio dal lato del corrotto, ovvero, in forza del disposto dell'art. 320 c.p., di incaricato di un pubblico servizio. Ai sensi dell'art. 321 c.p. è altresì punito il privato corruttore.

La dottrina (Fiandaca, Musco, 221; Pagliaro, 139) ha evidenziato che l'attualità della qualifica pubblica è necessaria perché si configuri il reato, che non sarà perfezionato invece quando il soggetto accetti un compenso in vista della futura assunzione della qualifica, ferma restando la rilevanza penale della condotta in termini di abuso di ufficio.

Il soggetto passivo del reato, anche in questo caso, va individuato esclusivamente nella Pubblica Amministrazione in cui sia incardinato il soggetto che riveste la qualifica pubblica, trattandosi di un reato plurisoggettivo proprio, in cui il privato assume la veste di correo.

La condotta criminosa

La condotta criminosa punita dall'art. 319 c.p., con riferimento al soggetto che riveste la qualifica pubblica, consiste nel ricevere la dazione o la promessa, da parte del privato corruttore, di una somma di danaro o altra utilità, al pari di quanto osservato in relazione al delitto ex art. 318 c.p., cui pertanto si rinvia per l'approfondimento.

In relazione alla fattispecie ex art. 319 c.p., tuttavia, la condotta deve essere posta in essere per omettere o ritardare, ovvero per avere omesso o ritardato un atto di ufficio, o per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio.

Pur emergendo, in questo caso, la contrapposizione tra condotte antecedenti e susseguenti al compimento o all'omissione o ritardo dell'atto d'ufficio, il trattamento giuridico, per il pubblico ufficiale e per il privato, è il medesimo, sicché essa assume valore meramente descrittivo, rilevando al più in fase di quantificazione della pena.

La fattispecie, rimasta immutata a seguito della riforma del 2012, come anticipato, continua a prevedere uno specifico riferimento ad un atto d'ufficio o contrario ai doveri dell'ufficio, diversamente dalla struttura del già esaminato art. 318 c.p., in cui assume rilievo la funzione tout court.

La nozione di atto d'ufficio, omesso o ritardato dal reo, deve interpretarsi in senso lato, ricomprendendo ogni atto rientrante nelle attribuzioni e nella competenza dell'ufficio cui appartiene il pubblico ufficiale, quand'anche non rientrante nelle proprie specifiche mansioni o assegnazioni (Cass. pen. VI, n. 5843/1989).

La giurisprudenza ha altresì evidenziato che assume rilievo penale, ex art. 319 c.p., anche la condotta del pubblico agente che accetti un'indebita utilità a fronte del compimento di un atto discrezionale, ove sia accertata la pregiudiziale rinunzia alla comparazione di tutti i possibili interessi sottesi allo svolgimento dell'azione amministrativa (Cass. pen. III, n. 23335/2021).

Con riferimento invece all'atto contrario ai doveri di ufficio, la dottrina ha ritenuto che si debba fare riferimento tanto ai principi generali di imparzialità e buon andamento, ex art. 97 Cost., quanto agli specifici doveri di legge o previsti da fonti secondarie (Fiandaca, Musco, 222) o da atti organizzativi dell'ufficio.

Come si è avuto modo di osservare in precedenza, la giurisprudenza ha interpretato estensivamente la nozione di atto contrario ai doveri di ufficio, superando la necessità di individuare uno specifico provvedimento e assegnando rilevanza a qualsiasi comportamento che comunque violi i doveri di fedeltà, imparzialità, onestà del pubblico ufficiale (Cass. pen. VI, n. 23804/2004).

Tanto appare confermato dal recente arresto della Corte di Cassazione, secondo cui la regola introdotta dal d.l. n. 76/2020, che ha circoscritto la rilevanza penale delle condotte di abuso di ufficio a quelle tenute “in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità” non ha valenza di principio generale estensibile anche alle diverse fattispecie di concussione, corruzione ed induzione indebita, trovando detti reati nell'ambito della discrezionalità il proprio terreno di elezione, in ragione della maggior ampiezza del raggio d'azione riconosciuto al funzionario dalle norme di settore (Cass. pen. VI, n. 8036/2021).

A differenza del previgente art. 318 c.p., l'art. 319 c.p. non fa riferimento al concetto di retribuzione ma, ciò nonostante, parte della dottrina (Fiandaca, Musco, 225) ha sostenuto che tra la somma di danaro o l'utilità percepita ovvero oggetto della promessa e la contro-prestazione delittuosa debba esistere un rapporto di proporzione, con la conseguenza di escludere l'illecito in parola nel caso di piccoli donativi o nel caso di palese squilibrio tra le due prestazioni.

La giurisprudenza ha tuttavia ritenuto che le piccole regalie d'uso possono escludere la configurabilità solo del reato di corruzione per il compimento di un atto dell'ufficio e giammai nei casi di cui all'art. 319 c.p., in cui la contrarietà della condotta del pubblico ufficiale ai doveri dell'ufficio non consente di ritenere che quanto ricevuto non abbia avuto influenza alcuna.

Di recente, infatti, la Corte di Cassazione ha affermato che, sebbene nella nozione di “altra utilità” rientrino anche le prestazioni di natura non patrimoniale, assumendo rilievo, quale oggetto della dazione o promessa, qualsiasi vantaggio materiale o morale, che costituisca la controprestazione posta a base dell'accordo corruttivo, occorre un rapporto di proporzionale corrispettività rispetto all'esercizio dei poteri o della funzione, ovvero al compimento dell'atto contrario ai doveri d'ufficio (Cass. pen. VI, n. 10084/2021).

Si è inoltre osservato che, anche in relazione al delitto in esame, occorre procedere ad una verifica dell'offensività in concreto della condotta e dell'effettiva intenzione corruttiva del privato, che ad esempio offra una somma simbolica per sbeffeggiare invece di corrompere il pubblico ufficiale.

Un'ultima questione riguarda la sussistenza di una pluralità di condotte ovvero di un unico reato allorché il pubblico ufficiale riceva più somme di danaro o altre utilità. Le difficoltà che si pongono nello stabilire l'unicità o meno del reato a fronte di plurime condotte materiali è stata risolta, con riferimento al delitto di corruzione ex art. 319 c.p., avendo riguardo alla provenienza delle somme o utilità percepite: qualora ciascuna remunerazione sia stata effettuata e accettata in esecuzione del medesimo patto corruttivo, congiuntamente posto in essere dal pubblico ufficiale con più soggetti tutti interessati al compimento della medesima attività contraria ai doveri di ufficio, si sarà in presenza di un unico reato, a consumazione frazionata.

Quando invece ad ogni retribuzione corrisponda una distinta pattuizione, posta in essere con un distinto soggetto, le fattispecie integrate saranno plurime (Cass. pen. VI, n. 33435/2006).

L'elemento soggettivo

L'elemento soggettivo del reato andrebbe individuato, secondo parte della dottrina, nel dolo specifico con riferimento alla corruzione antecedente, occorrendo che la condotta sia commessa al fine di omettere o ritardare un atto di ufficio o di compiere un atto contrario ai doveri di ufficio. Il dolo sarebbe invece generico nel caso di corruzione susseguente.

A tale lettura si è tuttavia obiettato che, pur non essendo necessario che il pubblico ufficiale commetta effettivamente la violazione dei doveri concordata ex ante, il riferimento esplicito al fine di omettere o ritardare l'atto di ufficio ovvero compiere un atto contrario ai doveri di ufficio non indicherebbe la finalità della condotta bensì la causa (in senso civilistico) dell'accordo criminoso e della dazione o promessa del danaro o di altra utilità. Il dolo sarebbe dunque generico in entrambe le forme corruttive, antecedente e susseguente.

Di segno contrario è invece la più recente giurisprudenza di legittimità, secondo cui per la configurabilità del delitto di corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio è richiesto il dolo specifico e, nel contempo, è ammissibile il concorso nel reato di chi abbia agito con dolo eventuale, in quanto la struttura di quest'ultimo si caratterizza per un contenuto rappresentativo e volitivo tali da includere, con effettività e concretezza, anche la specifica finalità richiesta ai fini dell'integrazione del reato (Cass. pen. III, n. 23335/2021).

Consumazione e tentativo

La consumazione del delitto ex art. 319 c.p. segue le medesime regole esaminate con riferimento all'articolo 318 c.p., cui pertanto si rinvia, anche in relazione alla configurabilità del tentativo.

Circostanze ed esimenti

In relazione al delitto in esame, il legislatore ha previsto all'art. 319-bis c.p. una serie di aggravanti speciali, alle quali si aggiungono le circostanze speciali comuni agli altri reati, cui sarà però dedicato un apposito paragrafo nel prosieguo.

Il su menzionato art. 319-bis c.p. dispone che la pena è aumentata se il fatto di cui all'art. 319 c.p. ha per oggetto il conferimento di pubblici impieghi o stipendi o pensioni o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l'amministrazione alla quale il pubblico ufficiale appartiene, nonché, per effetto del decreto l. n. 78/2010, convertito dalla l. n. 122/2010, quando riguardi il pagamento o il rimborso di tributi.

Pur in assenza di un espresso richiamo in tal senso, si ritiene che la circostanza aggravante in esame si applichi anche agli incaricati di un pubblico servizio, in forza del già citato art. 320 c.p., nonché al privato corruttore, ex art. 321 c.p. Si è infatti sostenuto che il richiamo alle pene previste per il delitto ex art. 319 c.p. che le due disposizioni citate operano includa altresì le relative circostanze aggravanti speciali, sicché non è ravvisabile alcuna violazione del divieto di analogia in malam partem.

Con riferimento alle singole aggravanti va precisato che per pubblici impieghi o stipendi si intendono gli incarichi o i rapporti lavorativi conferiti dallo Stato o da qualsiasi altro ente pubblico, con esclusione tuttavia degli avanzamenti di carriera interni, che presuppongono l'esistenza dell'impiego e dello stipendio.

Per pensione si intende, invece, ogni prestazione che imponga all'erario un obbligo continuativo di corresponsione di somme, a prescindere dalla misura dell'erogazione.

Il riferimento invece alla stipulazione di contratti nei quali sia interessata la Pubblica Amministrazione richiama tutte le ipotesi in cui la stessa sia parte del contratto, purché il reato si consumi nella fase di stipula e non già in sede di esecuzione.

L'ultimo inciso dell'art. 319-bis c.p. fa infine riferimento ai fenomeni di corruzione aventi ad oggetto il pagamento o il rimborso dei tributi, il cui trattamento più severo si giustifica dunque per via della lesione agli interessi erariali dello Stato.

Questioni applicative

1) Quando si configura il delitto di corruzione c.d. propria a fronte di un potere discrezionale del pubblico ufficiale?

La Corte di Cassazione ha di recente precisato che, in tema di corruzione propria, l'inserimento del patto corruttivo nell'ambito dell'esercizio di un potere discrezionale non implica necessariamente l'integrazione dell'ipotesi di cui all'art. 319 c.p., dovendosi verificare se l'atto sia posto in essere in violazione delle regole che disciplinano l'esercizio del potere discrezionale e se il pubblico agente abbia pregiudizialmente inteso realizzare l'interesse del privato corruttore; nel contempo, la mera ricezione di denaro in ragione del compimento dell'attività discrezionale, può integrare il reato di cui all'art. 318 cod. pen. qualora l'atto compiuto realizzi ugualmente l'interesse pubblico e non sia stato violato alcun dovere specifico (Cass. pen. VI, n. 1594/2021).

2) Che effetto ha avuto il Decreto Legge c.d. semplificazioni sulla configurazione del delitto di corruzione ex art. 319 c.p.?

Nella giurisprudenza di legittimità è stato evidenziato che la regola introdotta dal d.l. n. 76/2020, convertito con modificazioni con l. n. 120/2020, con cui è stata circoscritta la rilevanza penale delle condotte di abuso di ufficio a quelle tenute “in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”, non ha valenza di principio generale estensibile anche alle diverse fattispecie di concussione, corruzione ed induzione indebita, trovando detti reati nell'ambito della discrezionalità il proprio terreno di elezione, in ragione della maggior ampiezza del raggio d'azione riconosciuto al funzionario dalle norme di settore (Cass. pen. VI, n. 8036/2021).

Rapporti con altri reati

Corruzione propria e impropria

Il delitto di cui all'art. 319 c.p. si pone in stretto rapporto innanzitutto con l'analoga e limitrofa fattispecie di cui all'art. 318 c.p., rispetto alla quale gli elementi distintivi possono essere rinvenuti nella struttura delle due fattispecie che consente di ravvisare un rapporto di genere a specie tra l'art. 318 c.p., norma generale, e l'art. 319 c.p., norma speciale.

La prima forma di corruzione è infatti legata in generale all'esercizio della funzione e svincolata dal riferimento ad un atto specifico, consentendo di ritenere inclusa, nella sua ampia formulazione («per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri») anche le attività svolte in violazione dei doveri dell'ufficio.

Fra le due ipotesi delittuose si è venuto pertanto a creare anche un rapporto di sussidiarietà, tale per cui, una volta accertato l'asservimento della funzione pubblica agli interessi del privato, che integra la fattispecie generale di cui all'art. 318 c.p., il ricorso alla più grave fattispecie di cui all'art. 319 c.p. richiederà l'individuazione di un atto specifico e violativo dei doveri dell'ufficio, oggetto dell'accordo corruttivo.

La giurisprudenza ha di recente affrontato il tema del discrimen tra le due fattispecie corruttive, fornendo importanti indicazioni.

In primo luogo, è stato evidenziato che lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, che si traduca in atti, pur formalmente legittimi, in quanto discrezionali e non rigorosamente predeterminati, ma che si conformano all'obiettivo di realizzare l'interesse del privato nel contesto di una logica globalmente orientata alla realizzazione di interessi diversi da quelli istituzionali, configura il delitto di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio e non il più lieve delitto di corruzione per l'esercizio della funzione, di cui all'art. 318 c.p. (Cass. pen. V, n. 34979/2020).

Nel contempo, la Corte di Cassazione ha precisato che l'inserimento del patto corruttivo nell'ambito dell'esercizio di un potere discrezionale non implica necessariamente l'integrazione dell'ipotesi di cui all'art. 319 cod. pen., dovendosi verificare se l'atto sia posto in essere in violazione delle regole che disciplinano l'esercizio del potere discrezionale e se il pubblico agente abbia pregiudizialmente inteso realizzare l'interesse del privato corruttore: la mera ricezione di denaro in ragione del compimento dell'attività discrezionale può integrare il reato di cui all'art. 318 cod. pen.qualora l'atto compiuto realizzi ugualmente l'interesse pubblico e non sia stato violato alcun dovere specifico (Cass. pen. VI, n. 1594/2021).

Infine, con particolare riferimento al caso in cui lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi sia caratterizzato dal verificarsi di episodi sia di atti contrari ai doveri d'ufficio che di atti conformi o non contrari a tali doveri, secondo i giudici di legittimità si configura un unico reato permanente, previsto dall'art. 319 c.p., in cui è assorbita la meno grave fattispecie di cui all'art. 318 c.p., nell'ambito del quale le singole dazioni eventualmente effettuate, sinallagmaticamente connesse all'esercizio della pubblica funzione, si atteggiano a momenti consumativi di un unico reato di corruzione propria (Cass. pen. VI, n. 16781/2021).

Corruzione e favoreggiamento

Viene invece ammesso pacificamente il concorso tra il delitto ex art. 319 c.p. e quello di favoreggiamento , ex art. 378 c.p., allorché il pubblico ufficiale ponga in essere una condotta contraria ai doveri del suo ufficio, dietro consegna o promessa di denaro o altra utilità, aiutando così taluno, dopo che fu commesso un delitto, ad eludere le investigazioni o le ricerche dell'autorità.

Pur potendo risultare le materialità delle due fattispecie perfettamente sovrapponibili, posto che il favoreggiamento indica qualsiasi condotta di aiuto diretto ad eludere le investigazioni dopo la esecuzione di un delitto, mentre la corruzione si realizza con la promessa e la dazione di denaro o altra utilità per un atto contrario di doveri di ufficio, esse sono comunque poste a presidio di beni giuridici diversi, quali sono l'imparzialità ed il buon andamento della pubblica amministrazione per un verso, e il buon funzionamento dell'attività giudiziaria per l'altro, e soprattutto non presentano un rapporto strutturale di specialità (Cass. pen. VI, n. 1252/2003).

Corruzione in atti giudiziari

L'esame dei confini applicativi dell'art. 319 c.p. può concludersi esaminando il rapporto tra tale fattispecie criminosa e quella prevista dall'art. 319- terc.p., che punisce il delitto di corruzione in atti giudiziari, prevedendo che «Se i fatti indicati negli artt. 318 e 319 sono commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo, si applica la pena della reclusione da sei a dodici anni». La pena è aumentata «Se dal fatto deriva l'ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a cinque anni» o «se deriva l'ingiusta condanna alla reclusione superiore a cinque anni o all'ergastolo».

Secondo il prevalente orientamento, la norma in esame, introdotta dalla l. n. 86/1990 e modificata nel regime sanzionatorio nel 2012 e quindi nel 2015, prevede una figura autonoma di reato e non una circostanza aggravante dei delitti di corruzione previsti dagli artt. 318 e 319 c.p. (Cass. pen. VI, n. 24349/2012).

Rispetto alla predetta fattispecie corruttiva, quella in esame si connota infatti per il particolare oggetto del pactum sceleris, consistente nel compiere un atto conforme o contrario ai doveri d'ufficio al fine di favorire o danneggiare una parte in un processo, sanzionando così tutti quei comportamenti che si pongono in contrasto con l'esigenza di garantire che l'attività giudiziaria sia svolta imparzialmente.

La corruzione in atti giudiziari presenta pertanto carattere speciale rispetto alle fattispecieexart. 318 e 319 c.p., rispetto alle quali condivide – in forza dell'espresso richiamo contenuto nella disposizione ex art. 319-ter c.p. – le condotte criminose (ivi compresa la forma susseguente di corruzione, come stabilito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 15208/2010, Mills). Ne consegue che quando tali comportamenti siano stati posti in essere dal pubblico ufficiale (non già da parte di un incaricato di un pubblico servizio, posto che l'art. 320 c.p. non fa richiamo all'art. 319-ter c.p.) con lo specifico fine di «favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo», troverà applicazione la fattispecie speciale di corruzione in atti giudiziari.

Bibliografia

Fiandaca, Musco, Diritto Penale - Parte speciale, I, Milano, 2002; Levi, Delitti contro la pubblica amministrazione, Milano, 1935; Pagliaro, Principi di Diritto Penale - Parte speciale, I, Milano, 2000.

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