Codice Penale art. 319 quater - Induzione indebita a dare o promettere utilità 1.Induzione indebita a dare o promettere utilità 1. [I]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da sei anni a dieci anni e sei mesi 2. [II]. Nei casi previsti dal primo comma, chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni ovvero con la reclusione fino a quattro anni quando il fatto offende gli interessi finanziari dell'Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a euro 100.000 3.
competenza: Trib. collegiale arresto: facoltativo (1° comma; 2° comma seconda parte); non consentito (2° comma prima parte) fermo: consentito (1° comma); non consentito (2° comma) custodia cautelare in carcere: consentita (1°comma); non consentita (2° comma) altre misure cautelari personali: consentite (1° comma; 2° comma seconda parte); v. art. 2892 c.p.p. (2° comma prima parte) procedibilità: d'ufficio [1] Articolo inserito dall'art. 1, comma 75, l. 6 novembre 2012, n. 190. [2] L'art. 1 l. 27 maggio 2015, n. 69, ha sostituito le parole «da tre a otto anni» con le parole «da sei anni a dieci anni e sei mesi». [3] L'art. 1, comma 1, lett. c), d.lgs. 14 luglio 2020, n. 75, in vigore dal 30 luglio 2020, ha aggiunto le parole «ovvero con la reclusione fino a quattro anni quando il fatto offende gli interessi finanziari dell'Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a euro 100.000», dopo le parole «tre anni». InquadramentoL'art. 319-quater c.p. punisce il delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità, prevedendo che «salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da sei anni a dieci anni e sei mesi. Nei casi previsti dal primo comma, chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni ovvero con la reclusione fino a quattro anni quando il fatto offende gli interessi finanziari dell'Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a euro 100.000». La riforma attuata con l. n. 190/2012 ha operato una scissione dell'originaria fattispecie di concussione, scorporando la condotta di concussione per induzione, ribattezzata «induzione indebita a dare o promettere utilità» e collocandola nel nuovo art. 319-quaterc.p. La collocazione della nuova disciplina, dopo i delitti di corruzione, appare indicativa del minor disvalore riconosciuto alle condotte induttive e della affinità della fattispecie ex art. 319-quater c.p. con i delitti di corruzione, confermata dalla previsione della punibilità anche del privato, anch'egli a mezza via tra concusso e corruttore. La fattispecie in esame, rinviando all'esame del delitto di concussione con riguardo ai profili inerenti al concorso dell'extraneus nel delitto proprio, ha posto un problema di successione di norme penali nel tempo all'indomani della novella del 2012. La riforma ha infatti innescato una successione di leggi meramente modificatrici, dal momento che l'eliminazione della condotta di induzione dalla fattispecie ex art. 317 c.p. è stata accompagnata dall'introduzione dell'art. 319-quater c.p., in perfetta continuità normativa rispetto alla previgente disciplina. Trova dunque applicazione il disposto dell'art. 2, comma 4, c.p., in forza del quale la disciplina operante, a seguito della riforma, va individuata in quella più favorevole per il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, prevista in caso di induzione dall'art. 319-quater c.p. Diversamente, nei confronti del privato, potranno essere punite le sole condotte commesse in data successiva all'entrata in vigore della norma, trattandosi di una forma di nuova incriminazione, ex art. 2, comma 1, c.p. Il bene giuridico tutelato va individuato nell'imparzialità e nel buon andamento della Pubblica Amministrazione. Non è invece possibile, a seguito della riforma e della previsione di responsabilità per il privato indotto, ritenere che la fattispecie tuteli anche quest'ultimo, corresponsabile insieme al soggetto che riveste la qualifica pubblica. Il soggetto attivoIl soggetto attivo del reato di induzione deve rivestire, al pari di quanto previsto per la concussione, qualifica di pubblico ufficiale, trattandosi anche in questo caso di un reato proprio. Con riferimento invece alla fattispecie di cui al secondo comma, che punisce invece il privato, non sono richieste qualifiche soggettive, configurandosi pertanto un reato comune. Trattandosi di un reato plurisoggettivo necessario o proprio, in cui tutti i soggetti coinvolti rispondono penalmente del fatto, la responsabilità penale prevista per il privato non consente di ritenerlo soggetto passivo del delitto, dovendosi fare riferimento esclusivo in questo caso alla Pubblica Amministrazione (Padovani, 1302). La condotta criminosaLa condotta criminosa consiste per il soggetto che riveste la qualifica pubblica, nella induzione del privato a dare o promettere indebitamente, a sé o a terzi, danaro o altra utilità, «abusando della sua qualità o dei suoi poteri». Emerge dunque la corrispondenza della formulazione della norma, in parte qua, rispetto alla già esaminata fattispecie di concussione, alla cui trattazione si rinvia pertanto con riferimento ai predetti elementi costitutivi. Occorre invece in questa sede soffermarsi sulla condotta di induzione, facendo riferimento alle posizioni assunte in dottrina e in giurisprudenza con riferimento alla previgente fattispecie, rispetto alla quale la formulazione della norma incriminatrice è rimasta identica. Superata la tesi dottrinale (Pagliaro, 122) secondo cui l'induzione andrebbe interpretata come induzione in errore mediante inganno, in considerazione della incompatibilità dell'errore della vittima con la struttura del reato e dell'assenza di alcun riferimento normativo, si è quindi sostenuto che l'induzione penalmente rilevante consista in ogni comportamento idoneo a porre il destinatario in una condizione di soggezione psicologica, determinandolo ad una certa condotta, a prescindere dunque dalla concreta modalità dell'azione (Antolisei, 318). La giurisprudenza ha sposato tale interpretazione estensiva, assegnando rilevanza ad ogni attività di persuasione, convinzione o suggestione, attuata in qualsiasi forma, anche velata e indiretta, purché sufficiente ad influire sulla volontà del soggetto passivo (Cass. pen. VI, n. 49538/2003). Così, nella nozione di induzione va ricompresa qualsiasi condotta capace di creare nel privato uno stato di soggezione psicologica che lo porti ad agire nel senso voluto dall'agente; essa può assumere svariate forme, quali la persuasione, la suggestione, l'allusione, il silenzio o l'ostruzionismo, anche combinate tra loro, anche in relazione al contesto e al rapporto con il privato. La Corte di Cassazione ha altresì sostenuto che l'abuso dei poteri da parte del pubblico ufficiale può realizzarsi anche in forma omissiva attraverso il mancato compimento di atti doverosi, ove tale comportamento sia idoneo ad indurre il privato alla dazione o alla promessa dell'indebito (Cass. pen. VI, n. 10066/2021). È stato altresì ricompreso tra le possibili forme di induzione anche l'inganno del privato, purché realizzato attraverso l'abuso della qualità o della pubblica funzione. Tale impostazione è stata tuttavia criticata in quanto finisce con lo snaturare la condotta criminosa, sovrapponendola a quella di truffa (Ravagnan, 171). In merito all'intensità degli effetti della condotta di induzione, rilevante anche ai fini della distinzione dalla condotta di costrizioneexart. 317 c.p., deve rilevarsi che il legislatore fa uso dell'espressione in esame in un'accezione incentrata sull'effetto che ne deriva e non già sulle modalità o sull'intensità della condotta. Diversamente, nel disciplinare altre fattispecie penali che sanzionano l'induzione, il legislatore ha esplicitato le modalità della condotta, indicandole nella «violenza o minaccia o con offerta o promessa di denaro o altra utilità» (art. 377- bisc.p., «induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria») ovvero nell'attività di «propaganda o valendosi della forza e autorità di partiti, leghe o associazioni» (art. 507 c.p., boicottaggio). Nel caso invece dell'art. 319-quater c.p., la condotta induttiva è a forma libera e assume, nel contempo, carattere residuale rispetto a quella di costrizione, punita invece dall'art. 317 c.p., i cui rapporti saranno oggetto di approfondimento nel prosieguo della trattazione. Con riferimento infine alla condotta del privato, di cui al secondo comma della disposizione in esame, è sufficiente la promessa di danaro o altra utilità, che si pone in alternativa rispetto alla dazione, secondo uno schema analogo a quello del delitto di concussione, già esaminato. Deve al riguardo darsi atto della recente introduzione, per effetto del d.lgs. n. 75/2020, di «Attuazione della direttiva (UE) 2017/1371, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale», c.d. Direttiva PIF (protezione interessi finanziari), di una circostanza aggravante, ad effetto comune, che eleva il massimo edittale della pena prevista per il privato «fino a quattro anni quando il fatto offende gli interessi finanziari dell'Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a euro 100.000». L'aggravante richiede dunque un duplice requisito, relativo alla lesione degli interessi finanziari europei e all'importo del danno o del profitto. La formulazione della norma incriminatrice è caratterizzata dalla presenza dell'avverbio « indebitamente», legato alla dazione o promessa di danaro o altra utilità. È dibattuto se tale inciso integri una c.d. clausola di antigiuridicità espressa ovvero costituisca un elemento meramente descrittivo, privo di rilevanza nella struttura del reato, dal momento che la condotta abusiva di induzione (ovvero di costrizione) implicherebbe di per sé il carattere indebito della dazione o della promessa. La giurisprudenza, come si è avuto modo di osservare in relazione al delitto di concussione, ha ritenuto che, quando la dazione o la promessa siano fondate su un titolo privatistico vantato dal soggetto agente, il delitto sarebbe comunque configurabile in ragione dell'abuso della qualità o dei poteri posto in essere per ottenere quanto dovuto dal privato (Cass. pen. VI, n. 31341/2011). Diverso il caso in cui il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio pongano in essere la condotta di induzione, abusando della propria posizione, per ottenere danaro o altra utilità, che il privato sia comunque tenuto ad elargire in favore della Pubblica Amministrazione. Rispetto a tali ipotesi è stato infatti sostenuto che l'espressione «indebitamente» assuma funzione di clausola di antigiuridicità espressa, escludendo il reato quando il reo non abbia agito al di fuori degli scopi istituzionali, perseguendo così l'interesse pubblico, a prescindere dunque dal carattere abusivo della condotta. L'elemento soggettivoL'elemento soggettivo del delitto in esame è il dolo generico, tanto in relazione al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio, quanto con riferimento al privato, e deve ricomprendere la consapevolezza del carattere abusivo della condotta e di quello indebito della promessa o prestazione, oltre che della qualifica soggettiva rivestita dall'intraneus. Consumazione e tentativoCon riferimento invece alla consumazione e al tentativo del delitto di induzione, con riferimento ad entrambi i soggetti, pubblico e privato, lo schema alternativo della condotta e la natura di reato a consumazione frazionata che ne consegue consentono di rinviare a quanto osservato in relazione al delitto di concussione. La Corte di Cassazione, in ordine al momento consumativo del reato, ha precisato che utilità, quando l'utilità perseguita con l'illecita condotta induttiva necessita, per la sua realizzazione, di un provvedimento amministrativo a carattere dispositivo cui debba fare seguito soltanto l'esecuzione di un'attività meramente materiale, il momento consumativo del reato coincide con l'adozione dell'atto stesso, senza che assuma rilievo la successiva attività materiale (Cass. pen. I, n. 23887/2021). Questioni applicative1) In che rapporti si pone il nuovo art. 319- quater c.p. rispetto alla concussione c.d. ambientale? Sotto la vigenza dell'originaria formulazione dell'art. 317 c.p. e prima dell'entrata in vigore dell'art. 319-quater c.p., la giurisprudenza ha elaborato una peculiare forma di manifestazione del delitto di concussione, c.d. concussione ambientale, che si configura quanto la dazione di danaro o altra utilità venga corrisposta al pubblico ufficiale non già a seguito di una condotta di costrizione, bensì a fronte del convincimento della persona offesa di essere tenuta a tale obolo privo di alcuna legittima giustificazione, in forza di una prassi consolidata o consuetudine illecita come tale riconosciuta dal privato e dal pubblico ufficiale che accetti la dazione o la promessa, limitandosi a rappresentare al privato l'esistenza di una prassi consolidata, cui adeguarsi. In particolare, la Corte di Cassazione ha precisato che l'accertamento di una situazione ambientale in cui sia diffuso il mercanteggiamento dei pubblici poteri e la pratica della c.d. tangente (ben potendo il cittadino approfittare di meccanismi criminosi in atto per lucrare vantaggi divenendo anch'egli protagonista del sistema) non è sufficiente, occorrendo una situazione caratterizzata da una convenzione tacitamente riconosciuta da entrambe le parti, che il pubblico ufficiale fa valere ed il privato subisce. Deve pertanto accertarsi l'esistenza di un rapporto tra i due soggetti, caratterizzato da una pretesa, anche se implicita e indiretta, del pubblico ufficiale e della corrispondente pressione sul secondo tale da indurre uno stato di soggezione rispetto ad una volontà percepita come dominante (Cass. pen. VI, n. 15690/2009). Proprio le caratteristiche dell'istituto hanno determinato che siffatte ipotesi siano confluite nella fattispecie di induzione indebita e non già di concussione. Rapporti con altri reatiCon riferimento ai rapporti del delitto ex art. 319-quater c.p. con altre fattispecie criminose, deve darsi preliminarmente atto della clausola di riserva prevista nell'incipit della norma («Salvo che il fatto costituisca più grave reato»). Induzione indebita e concussione Tanto premesso, occorre esaminare il rapporto tra il delitto in questione e quello di concussione, come riformato nel 2012. La ratio della novella è legata all'esigenza di scongiurare il rischio, evidenziato sul piano internazionale, che il privato possa sfuggire a sanzioni presentandosi come vittima di concussione, anche quando abbia avuto un ruolo attivo nella vicenda criminosa e in assenza di una coartazione assoluta della propria autodeterminazione: la punibilità del privato presuppone infatti che egli, non essendo costretto ma semplicemente indotto alla promessa o dazione, mantenga un margine di scelta tale da giustificare una pena, seppure in misura ridotta rispetto al soggetto pubblico (Amato, 18). I rapporti tra le due fattispecie, all'indomani della riforma, sono stati oggetto di tre distinti orientamenti in giurisprudenza, che hanno richiesto in tempi relativamente brevi l'intervento delle Sezioni Unite. Secondo un primo orientamento, il discrimen tra le due fattispecie risiede nelle modalità della condotta del soggetto agente, in quanto la costrizione alluderebbe ad una vera e propria minaccia, mentre l'induzione sarebbe riferibile a condotte di persuasione, suggestione, inganno (Cass. pen. n. 8695/2013). Di diverso avviso l'orientamento che ravvisa il criterio distintivo nella natura del pregiudizio prospettato al privato, ritenendo sussistente il delitto di concussione qualora gli venga prospettato un pregiudizio ingiusto laddove il delitto di induzione indebita si configurerebbe quando il pubblico agente prospetta al privato conseguenze sfavorevoli derivanti dall'applicazione della legge, a meno che questi non si determini a dargli o promettergli denaro o altra indebita utilità (Cass. pen. n. 3251/2013). Il terzo orientamento registratosi in giurisprudenza (Cass. pen. n. 11794/2013) sostiene invece che sia dirimente l'effetto determinato dalla condotta dell'agente nella psiche del soggetto passivo, di annullamento della libertà di autodeterminazione del privato, o quanto meno una sua significativa compromissione, nel caso di concussione; libera determinazione, in quanto tale punibile, nel caso di induzione. Con sentenza n. 12228/2014, imputato Maldera, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono intervenute sulla questione, senza tuttavia aderire ad alcuno dei predetti orientamenti. È stato infatti osservato che il criterio dell'intensità della pressione psichica, indicato dal primo orientamento, non coglie i reali profili contenutistici delle condotte di costrizione e induzione, affidando la determinazione della linea di confine tra le due modalità della condotta «a un'indagine psicologica dagli esiti improbabili, che possono condurre a una deriva di arbitrarietà». Nel contempo, il criterio dell'ingiustizia o meno del danno prospettato, propugnato dal secondo orientamento, «ha il pregio di individuare indici di valutazione oggettivi [...] ma incontra il limite della radicale nettezza argomentativa [...] la quale mal si concilia con l'esigenza di apprezzare l'effettivo disvalore di quelle situazioni ‘ambigue', che lo scenario della illecita locupletazione da abuso pubblicistico frequentemente evidenzia». Con riferimento infine al terzo orientamento, considerato il frutto di combinazione dei primi due criteri, le Sezioni Unite rilevano che ne condivida i profili critici appena esaminati. La Corte si è dunque impegnata nell'individuare indici più efficaci, prendendo le mosse dalla ratio della riforma del 2012 e osservando che, nel caso di induzione, il privato non costretto ma indotto alla dazione indebita è chiamato a risponderne, sicché la fattispecieex art. 319- quaterc.p. presenta ha natura mono-offensiva, in quanto presidia, come anticipato, esclusivamente il buon andamento e l'imparzialità della Pubblica Amministrazione. Pertanto le Sezioni Unite, recependo le indicazioni di una parte della dottrina (Gatta, 221; Padovani, 788; Romano, 234) hanno affermato che la fattispecie di induzione indebita non deve considerarsi un'ipotesi minore di concussione, gravitando invece nell'orbita dei delitti di corruzione, di cui condivide, oltre alla collocazione topografica, la logica negoziale di reato-contratto bilateralmente illecito. Rispetto alla corruzione, nel caso dell'induzione tuttavia è l'abuso della qualità o dei poteri, inerenti alla qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio, «lo strumento attraverso il quale l'agente pubblico innesca il processo causale che conduce all'evento terminale: il conseguimento dell'indebita dazione o promessa». Nella sentenza in esame si fa altresì riferimento al principio di offensività, quale canone ermeneutico per il giudice, rilevando che il privato va esente da responsabilità nel caso del delitto di concussione in quanto costretto alla dazione o promessa indebita, per effetto di una condotta minacciosa che incide sull'altrui «integrità psichica e libertà di autodeterminazione», attraverso la prospettazione di un male o di un danno ingiusto. La vittima è pertanto costretta ad agire, in assenza di una sostanziale alternativa, non per conseguire un vantaggio, ma per evitare un danno. Sulla scorta di tale premessa, le Sezioni Unite affermando che «il criterio discretivo tra il concetto di costrizione e quello di induzione [...] deve essere ricercato nella dicotomia minaccia-non minaccia, che è l'altro lato della medaglia rispetto alla dicotomia costrizione-induzione, evincibile dal dato normativo». Secondo tale impostazione, dunque, l'induzione va intesa, in negativo, come effetto che non consegue a una minaccia e, in positivo, come «alterazione del processo volitivo altrui, che, pur condizionato da un rapporto comunicativo non paritario, conserva, rispetto alla costrizione, più ampi margini decisionali, che l'ordinamento impone di attivare per resistere alle indebite pressioni del pubblico agente e per non concorrere con costui nella conseguente lesione di interessi facenti capo alla p.a.». Tali pressioni sono volte a carpire una complicità prospettando un vantaggio indebito che rappresenta l'essenza della fattispecie induttiva e giustifica la punibilità dell'indotto, cui si rimprovera di aver approfittato dell'abuso del pubblico ufficiale per perseguire un proprio vantaggio ingiusto. Secondo la Corte, dunque, sulla scorta della dicotomia minaccia/condizionamento, danno ingiusto/vantaggio indebito, il giudice di merito, a seguito di un'attenta ricostruzione del fatto, dovrà accertare se il privato sia stato costretto o convinto dal soggetto pubblico e quindi se, nella scelta di dare o promettere l'indebito, abbia prevalso, nel privato, la prospettiva di ottenere un vantaggio piuttosto che quella di evitare un danno («Nei casi c.d. ambigui, quelli cioè che possono collocarsi al confine tra la concussione e l'induzione in debita (la c. d. «zona grigia» dell'abuso della qualità, della prospettazione di un male indeterminato, della minaccia-offerta, dell'esercizio del potere discrezionale, del bilanciamento tra beni giuridici coinvolti nel conflitto decisionale), i criteri di valutazione del danno antigiuridico e del vantaggio indebito, che rispettivamente contraddistinguono i detti illeciti, devono essere utilizzati nella loro operatività dinamica all'interno della vicenda concreta, individuando, all'esito di una approfondita ed equilibrata valutazione complessiva del fatto, i dati più qualificanti»). La sentenza è stata oggetto per vero di aspre critiche da parte della dottrina, legate alla contraddizione tra le premesse da cui muovono le Sezioni Unite, nel dichiarare inefficaci i criteri elaborati dai precedenti orientamenti giurisprudenziali e dalla dottrina, salvo poi recuperare i medesimi criteri (intensità della condotta in relazione agli effetti sulla psiche del privato e finalità perseguita da quest'ultimo, di evitare un danno ingiusto o conseguire un indebito vantaggio) in una versione integrata e non meglio precisata degli stessi. Induzione indebita e corruzione Per quanto attiene ai rapporti tra il delitto in esame e i delitti di corruzione, l'elemento differenziatore risiede nella presenza o meno di una soggezione psicologica dell'extraneus nei confronti dell'agente pubblico. Solo l'induzione indebita è caratterizzata da uno stato di soggezione psicologica e da un processo volitivo che non è spontaneo ma è innescato dall'abuso del funzionario pubblico, che prende l'iniziativa e convince l' extraneus alla dazione indebita. Soggezione psicologica e abuso di qualità o poteri sono dunque i due elementi differenziali tra induzione indebita e corruzione. Induzione indebita e istigazione alla corruzione Più sottile risulta la distinzione con il delitto di istigazione alla corruzione, ex art. 322 c.p., rispetto al quale si contrappongono tra i concetti di induzione e sollecitazione: la prima presenta un quid pluris, insito «nel carattere perentorio e ultimativo della richiesta e nella natura reiterata e insistente della medesima», che in ultima analisi si caratterizza per una maggiore pressione, laddove l'istigazione alla corruzione quest'ultima «s'inserisce sempre nell'ottica di instaurare un rapporto paritetico tra i soggetti coinvolti, diretto al mercimonio dei pubblici poteri». Più di recente, la Corte di Cassazione ha precisato che la differenza tra le due fattispecie attiene alla diversa natura del rapporto tra le parti, in quanto, nel primo caso, il pubblico agente, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, pone potenzialmente il privato in uno stato di soggezione mediante una richiesta perentoria, mentre, nel secondo caso, gli rivolge la sollecitazione ad un mero scambio di favori, senza estrinsecazione di alcuna condotta intimidatoria (Cass. pen. VI, n. 3750/2021). Induzione indebita e violenza sessuale La giurisprudenza ha di recente affermato infine che il delitto in esame può concorrere con quello di violenza sessuale commesso mediante abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto, in ragione dei diversi beni giuridici tutelati e della differente struttura delle condotte criminose (Cass. pen. III, n. 9442/2016). Più di recente, la Corte ha invece escluso un concorso formale tra le due fattispecie, ritenendo che la minore pressione morale che caratterizza la condotta di induzione rispetto alla concussione fa residuare un margine di autodeterminazione in capo a chi rende la prestazione sessuale attendendosi un vantaggio (Cass. pen. III, n. 6741/2018). Sul punto la dottrina ha ritenuto che, in assenza di una condotta di costrizione, possa configurarsi il delitto di induzione indebita ex art. 319-quater c.p., allorché la vittima ceda alla proposta di natura sessuale avanzata dal pubblico ufficiale, al fine di trarne un vantaggio, con esclusione del delitto di violenza sessuale (Romano, 136). Altra parte della dottrina sostiene invece che, nel caso di specie, debba trovare applicazione proprio il delitto di violenza sessuale e non già quello di induzione indebita, facendo applicazione del c.d. criterio di consunzione e guardando pertanto alla maggiore gravità della fattispecie ex art. 609-bis c.p. (Pelissero, 227). BibliografiaAmato, Concussione: resta solo la condotta di «costrizione», in Giur. dir. 2012, n. 48; Antolisei, Manuale di Diritto Penale - Parte speciale, II, Milano, 1999; Gatta, La minaccia. Contributo allo studio delle modalità della condotta penalmente rilevante, Roma, 2013; Padovani, Il confine conteso. Metamorfosi dei rapporti tra concussione e corruzione ed esigenze «improcrastinabili» di riforma, in Riv. it. dir. proc. pen. 1999; Pagliaro, Principi di Diritto Penale - Parte speciale, I, Milano, 2000; Pelissero, Concussione e induzione indebita a dare o promettere utilità. I delitti di corruzione, Milano, 2015; Ravagnan, La concussione, in D'Avirro (a cura di), I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Padova, 1999; Romano, I delitti contro la Pubblica Amministrazione. I delitti dei pubblici ufficiali, Milano, 2013. |