Codice Penale art. 326 - Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio (1).Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio (1). [I]. Il pubblico ufficiale [357] o la persona incaricata di un pubblico servizio [358], che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete [256, 261, 622; 118 3, 201 c.p.p.], o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. [II]. Se l'agevolazione è soltanto colposa [43], si applica la reclusione fino a un anno. [III]. Il pubblico ufficiale [357] o la persona incaricata di un pubblico servizio [358], che, per procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale, si avvale illegittimamente di notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, è punito con la reclusione da due a cinque anni. Se il fatto è commesso al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto non patrimoniale o di cagionare ad altri un danno ingiusto, si applica la pena della reclusione fino a due anni. (1) Articolo così sostituito dall'art. 15 l. 26 aprile 1990, n. 86. competenza: Trib. collegiale arresto: non consentito (primo, secondo e seconda parte del terzo comma); facoltativo (prima parte del terzo comma) fermo: non consentito (primo, secondo e seconda parte del terzo comma); consentito (prima parte del terzo comma) custodia cautelare in carcere: consentita (prima parte del terzo comma) altre misure cautelari personali: consentite (prima parte del terzo comma; v. 2892 c.p.p. per le rimanenti ipotesi) procedibilità: d'ufficio InquadramentoL'art. 326 c.p. punisce i delitti di rivelazione di segreti d'ufficio e di utilizzazione dei medesimi, assegnando altresì rilevanza all'agevolazione della conoscenza da parte di terzi, dolosa o colposa. Sono dunque disciplinate quattro distinte fattispecie criminose, che si differenziano per condotta ed elemento soggettivo. Il bene giuridico tutelato è in tutti e quattro i casi il buon andamento della Pubblica Amministrazione, nonché, secondo un modello di reato pluri-offensivo, la riservatezza dei dati e delle informazioni oggetto della condotta criminosa di rivelazione, in relazione alla persona cui si riferiscano; in caso di condotte di utilizzazione, la posizione giuridica della persona offesa privata assume rilievo anche sotto il profilo economico (Pagliaro, Parodi Giusino, 319; Seminara, 806). Il soggetto attivo e passivoTrattasi di reati propri che, come espressamente previsto dall'art. 326 c.p., possono essere commessi da un pubblico ufficiale o da una persona incaricata di un pubblico servizio. Il soggetto passivo del reato va invece individuato nell'ente titolare della informazione rivelata o utilizzata e, aderendo alla tesi della natura pluri-offensiva del delitto, anche nel soggetto privato interessato. La condotta criminosaCome anticipato, l'art. 326 c.p. disciplina quattro distinte fattispecie criminose, consistenti nella rivelazione o agevolazione, dolosa o colposa, della conoscenza di segreti d'ufficio da parte di terzi, nonché di utilizzazione di segreti d'ufficio, per finalità patrimoniali o meno. Con riferimento alla rivelazione di segreti, assume rilevanza la condotta consistente nella divulgazione indebita di informazioni e dati destinati a rimanere segreti ovvero di facilitazione dell'acquisizione di tali dati o informazioni da parte di terzi non legittimati. Deve trattarsi di informazioni o dati destinati a rimanere segreti e, nel contempo, rientranti nella competenza dell'ufficio di riferimento del soggetto agente, inteso in senso lato. La condotta penalmente rilevante consiste tanto nel rivelare quanto nel facilitare la conoscenza di dati o informazioni destinati a rimanere segreti. Per rivelazione deve intendersi qualsiasi comportamento con cui si porta un segreto a conoscenza di soggetti non legittimati a conoscerlo, in qualsiasi forma, eccetto quella omissiva. L'agevolazione si concretizza invece in qualsiasi comportamento, anche omissivo, con cui si facilita la conoscenza del segreto da parte di terzi. È inoltre necessario un dovere di segretezza gravante sul soggetto agente, sia esso un pubblico ufficiale ovvero un incaricato di un pubblico servizio, che trovi fonte in una legge o anche solo in una fonte normativa secondaria, ovvero in un ordine legittimo dell'Autorità. Assume rilievo, in tal senso, anche la normativa in materia di accesso, come dettata dalla l. sul procedimento amministrativo n. 241/1990, in ordine alla nozione di notizia di ufficio coperta dal segreto, quale informazione la cui diffusione è vietata poiché non può essere svelata a quei soggetti che risultino privi di legittimazione e di un interesse giuridicamente apprezzabile alla conoscenza della medesima. La condotta criminosa è a forma libera, non assumendo rilevanza le concrete modalità di rivelazione o agevolazione, che tuttavia, come espressamente previsto dalla norma incriminatrice, deve avvenire in violazione dei doveri inerenti alle funzioni o al servizio ovvero un abuso delle qualità. La struttura delle fattispecie punite dall'art. 326 c.p. presenta natura plurisoggettiva, presupponendo l'esistenza di un destinatario della condotta criminosa, che tuttavia, non essendo gravato da un obbligo di segretezza, non risponde del delitto in esame. Deve tuttavia farsi salva l'ipotesi in cui l'extraneus non si limiti ad apprendere l'informazione segreta, ponendo invece in essere una condotta attiva, causalmente rilevante, in termine di concorso morale o materiale nel delitto, di cui risponderà exartt. 110 e 117 c.p. Sul punto è inoltre intervenuta di recente la Corte di Cassazione, con riferimento alle condotte di diffusione successiva della medesima notizia segreta, affermando che la divulgazione da parte dell'extraneus di una notizia segreta, riferitagli come tale, assume rilevanza penale, a titolo di concorso con il pubblico ufficiale (o incaricato di un pubblico servizio), realizzandosi in tal modo una condotta ulteriore rispetto a quella dell'originario propalatore (Cass. pen. V, n. 1957/2021). È stato altresì precisato che è punibile, in siffatte ipotesi, anche la trasmissione di notizie segrete in busta chiusa, dovendosi ritenere irrilevante, ai fini della esclusione del concorso del latore della stessa, l'eventuale mancanza di conoscenza del contenuto dell'informazione a fronte comunque della consapevolezza del tipo di notizia (Cass. pen. V , n. 1957/2021). Con riguardo, invece alla condotta di cui al comma terzo dell'art. 326 c.p., che punisce l'utilizzazione di segreti d'ufficio, deve ritenersi che la norma incriminatrice assegni rilevanza a qualsiasi forma di utilizzo illegittimo di notizie d'ufficio gravate dal segreto, con una portata generale e omnicomprensiva, ai limiti della violazione del principio di tassatività. Non fornisce indicazioni utili, in tal senso, l'avverbio «illegittimamente», configurante una clausola di antigiuridicità espressa ma ritenuto, da una parte della dottrina, finanche pleonastico. In ordine alla distinzione tra le condotte punite dall'art. 326 c.p., ai commi 1 e 3, la Corte di Cassazione ha precisato che la rivelazione da parte del pubblico agente di un segreto di ufficio, anche laddove compiuta per fini di utilità patrimoniale, integra il reato previsto dal primo comma dell'art. 326 c.p., mentre ricorre la diversa fattispecie prevista dal terzo comma della stessa disposizione quando il pubblico ufficiale sfrutti, a scopo di profitto patrimoniale o non patrimoniale, lo specifico contenuto delle informazioni destinate a rimanere segrete e non il valore economico eventualmente derivante dalla loro rivelazione (Cass. pen. VI, n. 16802/2021). L'elemento soggettivoIn ordine alle condotte di cui al primo comma dell'art. 326 c.p., è sufficiente il dolo generico, in termini di coscienza e volontà di rivelazione della notizia o di agevolarne la conoscenza, con consapevolezza della sua segretezza. Come anticipato, l'agevolazione, inoltre, è punita anche a titolo di colpa, ai sensi del comma secondo. Infine, nel caso di utilizzo o sfruttamento di notizie di ufficio, di cui al comma terzo dell'articolo, occorre accertare il dolo specifico di procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale o meno, ovvero di cagionare ad altri un danno ingiusto, sia esso di natura patrimoniale o non patrimoniale. A seconda della natura patrimoniale o non patrimoniale, ivi compreso il fine di arrecare a terzi un danno ingiusto, il legislatore ha modulato la risposta sanzionatoria, ben più severa nel primo caso (con una cornice edittale da due a cinque anni di reclusione) e, al contrario, più blanda nel secondo (fino a due anni di reclusione). Qualora l'agente abbia agito con l'intenzione di perseguire più fini, non tutti di rilevanza economica, spetterà al giudice procedente valutare la prevalenza dell'uno rispetto all'altro. In relazione alla sussistenza del fine di conseguire un ingiusto profitto patrimoniale, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che la rivelazione da parte del pubblico agente di un segreto di ufficio, anche laddove sia compiuta per fini di utilità patrimoniale e in adempimento di una promessa corruttiva, integra il reato previsto dal primo comma dell'art. 326 c.p., eventualmente in concorso con il delitto di corruzione, mentre ricorre la diversa fattispecie prevista dal terzo comma della stessa disposizione quando il pubblico ufficiale sfrutti, a scopo di profitto patrimoniale o non patrimoniale, lo specifico contenuto economico e morale, in sé considerato, delle informazioni destinate a rimanere segrete e non il valore economico eventualmente derivante dalla loro rivelazione. Difatti la fattispecie di reato disciplinata all'art. 326, comma 3, c.p. non necessariamente richiede la rivelazione ad estranei del segreto, sicché, ove si verifichi anche quest'ultima condotta, si configura il concorso con il reato previsto all'art. 326, comma 1, c.p. (Cass. pen. VI, n. 4512/2020). Consumazione e tentativoIl delitto si consuma nel tempo e nel luogo in cui il terzo apprende la notizia segreta, a prescindere dal concreto verificarsi di un danno per la p.a. o per terzi, purché ricorra l'effettiva possibilità che esso si verifichi. Il tentativo è configurabile. Questioni applicativeLa norma incriminatrice in esame trova sovente applicazione in ambito giudiziario, pur presentando, come anticipato, portata generale. 1) Commette il delitto ex art. 326 il cancelliere che operi in violazione dell'art. 110-bis disp. att.? La giurisprudenza di legittimità ha ravvisato gli estremi del delitto di rivelazione di segreti d'ufficio nella condotta del collaboratore di cancelleria che fornisca all'interessato, senza rispettare la procedura prevista dall'art. 110-bis disp. att. c.p.p., informazioni in ordine all'esistenza di iscrizioni nel registro degli indagati ulteriori e diverse rispetto a quelle dallo stesso già conosciute (Cass. pen. V, n. 10296/2021). 2) Assume rilievo penale l'indebita informazione al privato circa l'esistenza di iscrizioni a suo carico nella banca dati interforze? Come evidenziato dalla Corte di Cassazione, integra inoltre il delitto di rivelazione di segreti d'ufficio la condotta del pubblico ufficiale che, in assenza di autorizzazione e delle prescritte formalità, fornisca al privato interessato la notizia dell'assenza a suo carico di iscrizioni, ulteriori e diverse da quelle a lui già note, nella banca dati S.D.I. – sistema informatico interforze CED – nel quale sono annotate le informazioni di polizia, per le quali il divieto di comunicazione è imposto dalla legge (Cass. pen. V, n. 8911/2021). Rapporti con altri reatiI delitti puniti dall'art. 326 c.p. devono essere tenuti distinti dall'analoga fattispecie di rivelazione del contenuto di documenti segreti, di cui all'art. 621 c.p., che presenta natura di reato comune e può pertanto essere commesso da chiunque. Le due fattispecie tutelano beni giuridici differenti e solo parzialmente sovrapponibili, dal momento che il bene giuridico oggetto di tutela ai sensi dell'art. 621 c.p. è la segretezza e l'inviolabilità di documenti segreti, pubblici o privati, che non rientrino nella nozione di “corrispondenza”, laddove l'art. 326 c.p. tutela la segretezza delle notizie di esclusivo dominio della Pubblica Amministrazione, in senso lato. Infine, ai fini della configurabilità del delitto in esame è necessaria, oltre alla rivelazione o facilitazione della rivelazione di notizie segrete, anche la violazione di doveri inerenti alle funzioni o al servizio; al contrario, ai sensi dell'art. 621 c.p., è sufficiente che il soggetto riveli, senza giusta causa, il contenuto di un atto o di un documento, pubblico o privato, ovvero lo reimpieghi al fine di trarre un profitto per sé o per altri. Il profitto è inoltre il fine necessario, esclusivo, nella fattispecie di cui all'art. 621 c.p., laddove può non sussistere in relazione alle condotte punite ex art. 326 c.p. Ulteriore fattispecie in relazione alla quale è stato invece necessario un intervento della giurisprudenza di legittimità per chiarire i rapporti con il delitto ex art. 326 c.p. è rappresentata dalla divulgazione di notizie segrete o riservate, di cui all'art. 127 del Codice penale militare; i giudici di legittimità, in particolare, hanno ritenuto che non sia configurabile il concorso formale tra le due fattispecie, attesa la sostanziale identità di struttura delle fattispecie incriminatrici, che si differenziano solo per la presenza, in quella prevista dal codice penale militare, di elementi specializzanti, costituiti dalla natura del soggetto agente e dalla divulgazione del segreto appreso in occasione dello svolgimento dell'attività militare. La Corte ha inoltre precisato che l'art. 127 c.p. militare tutela la riservatezza non solo dei segreti relativi all'organizzazione del servizio, ma anche di quelli relativi al suo svolgimento, sicché l'ambito di applicabilità della norma copre tutte le ipotesi rientranti nella previsione generale dell'art. 326 c.p. (Cass. pen. VI, n. 33654/2020). BibliografiaPagliaro, Parodi, Principi di diritto penale. Parte speciale, I, Milano, 2008; Seminara, sub art. 326, in Crespi, Forti, Zuccalà, Commentario breve al Codice penale, Padova, 2017. |