Codice Penale art. 314 - Peculato (1) (2).

Angelo Salerno

Peculato (1) (2).

[I]. Il pubblico ufficiale [357] o l'incaricato di un pubblico servizio [358], che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro anni a dieci anni e sei mesi [316-bis, 317-bis, 323-bis] (3).

[II]. Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l'uso momentaneo, è stata immediatamente restituita [316-bis, 317-bis, 323-bis].

(1) Articolo così sostituito dall'art. 1, l. 26 aprile 1990, n. 86.

(2) Per la confisca di denaro, beni o altre utilità di non giustificata provenienza, nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta, v. ora artt. 240-bis c.p., 85-bis d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e 301, comma 5-bis,d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (per la precedente disciplina, v. l'art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv., con modif., in l. 7 agosto 1992, n. 356). Per l'aumento della pena, qualora il fatto sia commesso da persona sottoposta a misura di prevenzione, v. art. 71 d.ls. 6 settembre 2011, n. 159.

(3) L'art. 1 l. 27 maggio 2015, n. 69, ha sostituito le parole "da quattro a dieci anni" con le parole "da quattro anni a dieci anni e sei mesi". Precedentemente l'art. 1, comma 75, l. 6 novembre 2012, n. 190, aveva sostituito la parola «tre» con la parola «quattro ».

competenza: Trib. collegiale

arresto: facoltativo (primo comma); non consentito (secondo comma)

fermo: consentito (primo comma); non consentito (secondo comma)

custodia cautelare in carcere: consentita (primo comma); non consentita (secondo comma)

altre misure cautelari personali: consentite (primo comma); v. per il secondo comma l'art. 2892 c.p.p.

procedibilità: d'ufficio

Inquadramento

Il delitto di peculato è disciplinato dall'art. 314 c.p., il cui comma primo stabilisce che «il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro anni a dieci anni e sei mesi».

La fattispecie delittuosa in esame è stata riformata dalla l. n. 86/1990, eliminando la condotta di distrazione e unificando nel medesimo articolo le fattispecie del peculato e della malversazione a danno dei privati.

È stata inoltre introdotta la fattispecie del peculato d'uso, su cui si tornerà nel prosieguo della trattazione.

La riforma ha altresì esplicitato il requisito della disponibilità accanto a quello del possesso, quali presupposti della condotta penalmente rilevante, recependo l'orientamento della giurisprudenza sul punto.

La norma ha subito negli anni ulteriori modifiche in relazione alla cornice edittale, dapprima con l. n. 190/2012 e, da ultimo, con l. n. 69/2015, che ha aumentato il massimo edittale in quello attuale di dieci anni e sei mesi di reclusione.

Il bene giuridico tutelato dal delitto di peculato, stante la natura pluri-offensiva che il prevalente orientamento gli riconosce, va individuato nell'imparzialità e nel buon andamento della Pubblica Amministrazione, cui si affianca un interesse di natura patrimoniale, che si identifica nel mantenimento della destinazione pubblicistica del denaro o delle cose mobili (Antolisei, 291; Cagli, 337; Pagliaro, 36; Romano, 20).

La questione non è meramente teorica ma incide sul perfezionamento della fattispecie penale che, secondo un primo orientamento (Cass. pen. VI, n. 42836/2013), richiederebbe una lesione di entrambi i beni giuridici (buon andamento e imparzialità, da un lato, patrimonio dall'altro); secondo una diversa e più rigorosa impostazione potrebbe invece configurarsi anche solo in presenza di un'offesa, in alternativa, di uno solo dei predetti interessi (Cass. pen. VI, n. 20236/2008).

Non manca una terza impostazione, secondo cui il delitto in esame tutelerebbe in via esclusiva la sola sfera patrimoniale della Pubblica Amministrazione, sì da richiedere sempre e comunque un danno economico per ravvisare un'offesa penalmente rilevante (Fiandaca, Musco, 185).

Il soggetto attivo e passivo

Il soggetto attivo del reato deve rivestire la qualifica di pubblico ufficiale ovvero di incaricato di pubblico servizio, trattandosi di un reato proprio. Più nello specifico, il peculato rientra nella categoria dei reati propri cc.dd. semi-esclusivi, rispetto ai quali la qualifica soggettiva determina un mutamento del titolo di reato, ferma la rilevanza penale della condotta in mancanza di essa. Nel caso di specie il fatto commesso dal privato integrerebbe infatti gli estremi del delitto di appropriazione indebita.

Il soggetto passivo del delitto di peculato va invece individuato nell'ente pubblico o nel soggetto privato titolare del bene o del danaro di cui il reo si sia impossessato. La Pubblica Amministrazione, anche in caso di sottrazione ai danni di un privato, va considerata persona offesa dal reato, sotto il profilo del buon andamento e dell'imparzialità, seguendo la tesi della natura pluri-offensiva del reato.

La condotta criminosa

La condotta criminosa consiste nell'appropriazione di denaro o di cose mobili altrui e richiede che il soggetto agente si comporti uti dominus, facendone utilizzo come se ne fosse l'effettivo proprietario. Rilevano in tal senso, quali elementi sintomatici della interversio possessionis (ossia il mutamento della detenzione del bene altrui nel possesso uti dominus) l'alienazione, la negazione del possesso, la ritenzione o il rifiuto di restituzione del denaro o della cosa mobile.

La giurisprudenza in ordine alla nozione di possesso, riferita al danaro, ha affermato che deve intendersi come comprensiva non solo della detenzione materiale, ma anche della disponibilità giuridica, con la conseguenza che l'appropriazione può avvenire anche attraverso il compimento di un atto – di competenza del pubblico agente o connesso a prassi e consuetudini invalse nell'ufficio – di carattere dispositivo, che consenta di conseguire l'oggetto della appropriazione (Cass. pen. VI, n. 16783/2021).

La cosa mobile oggetto della condotta criminosa deve possedere un valore economico o almeno economicamente valutabile e ricomprende anche le energie, stante l'equiparazione alle cose mobili prevista dall'art. 624 c.p., agli effetti della legge penale, di energia elettrica e ogni altra energia che possegga valore economico.

È invece discussa la configurabilità del c.d. peculato di energie lavorative, consistente nell'utilizzo di personale d'ufficio per scopi privati: da un lato, infatti, la dottrina prevalente ne esclude la rilevanza penale per incompatibilità del lavoro con i concetti di appropriazione e possesso.

Al contrario, la giurisprudenza maggioritaria (tra le altre, Cass. pen. VI, n. 12291/2008) è orientata per la soluzione positiva, con una soluzione tuttavia criticata dalla dottrina, che ha denunciato una palese violazione del divieto di analogia in malam partem.

Sulla scorta di tali osservazioni, una parte della giurisprudenza di legittimità ha qualificato siffatte ipotesi in termini di abuso d'ufficio sul presupposto che il peculato, in tutte le sue forme, presuppone comunque l'appropriarsi da parte dell'agente di una cosa, che viene destinata ad una finalità diversa da quella prevista dalla legge, mentre non è concepibile l'appropriarsi di una persona o della sua energia lavorativa (Cass. pen. VI, n. 8494/1998).

Prima della novella del 1990 era richiesta l'appartenenza del danaro o della cosa mobile alla Pubblica Amministrazione mentre oggi è ritenuto sufficiente che il soggetto agente non ne sia titolare, facendo così confluire, come anticipato, nella fattispecie di peculato il previgente reato di malversazione a danno dei privati.

Il presupposto oggettivo del delitto di peculato va dunque oggi individuato nel possesso o comunque nella disponibilità della res o del danaro, da parte del soggetto agente, per ragioni d'ufficio o servizio. L'ampia nozione adoperata dal legislatore consente di ritenere penalmente rilevanti non solo le situazioni di possesso immediato, o materiale, della cosa o del danaro bensì anche le ipotesi di possesso mediato, riconducibili ad una disponibilità giuridica che consenta al reo di disporne.

Come anticipato, deve trattarsi di un possesso o di una disponibilità qualificate, in quanto riconducibili all'ufficio o al servizio svolto dal soggetto agente. Tale requisito è stato interpretato in maniera estensiva da una parte della dottrina, secondo cui assumerebbero rilevanza penale anche le situazioni di possesso occasionale rispetto alla funzione esercitata o al servizio prestato, non già riconducibili in via immediata alla funzione o al servizio stesso. Sarebbe dunque sufficiente a costituire il possesso per ragione di ufficio un qualsiasi rapporto che comunque si ricolleghi alle mansioni esercitate dall'agente e che gli consenta di maneggiare il denaro o la res, sia pure occasionalmente o in via di fatto.

La teoria della semplice occasionalità, tuttavia, non è stata accolta con favore dalla dottrina maggioritaria (Fiandaca, Musco, 191; Flick, 180; Pagliaro, 88), che ha invece ritenuto necessario un collegamento funzionale tra la previa disponibilità del denaro o della cosa e le specifiche funzioni o competenze del soggetto agente (in tal senso anche Cass. pen. VI, n. 9933/2003).

L'elemento soggettivo

L'elemento soggettivo richiesto per la punibilità del peculato è il dolo generico che deve ricomprendere altresì la qualifica soggettiva di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio in capo al reo.

In ordine all'elemento soggettivo del reato, la Corte di Cassazione ha di recente evidenziato che la natura generica del dolo del delitto comporta che, ai fini della configurabilità dell'elemento soggettivo è sufficiente che coscienza e volontà ricadano sulla condotta di appropriazione del denaro o della cosa pubblica di cui il pubblico ufficiale abbia la disponibilità per ragioni del suo ufficio, a nulla rilevando i motivi che lo hanno indotto a quel comportamento, in quanto concernenti il momento antecedente del movente a delinquere (Cass. pen. II, n. 23769/2021).

Consumazione e tentativo

La consumazione del reato viene individuata nel momento dell'appropriazione da parte del reo, che eserciti sulla res o sul danaro un possesso uti dominus. Qualora il comportamento del soggetto agente consti di più condotte appropriative, in tempi diversi, indipendentemente dalla titolarità del danaro o delle cose mobili (elemento indifferente, trattandosi di beni non personali), si configureranno una pluralità di reati, salvo che il lasso di tempo trascorso non risulti trascurabile.

Il tentativo è configurabile allorché il reo abbia posto in essere atti idonei e diretti in modo non equivoco all'appropriazione, che non si sia verificata tuttavia per cause indipendenti dalla sua volontà, come nel caso di un controllo contabile che neutralizzi l'atto dispositivo del danaro o dell'intervento di altro pubblico ufficiale che colga il reo in flagranza di reato.

Questioni applicative sul peculato

Ricostruito il quadro normativo di riferimento della fattispecie delittuosa di peculato, può dunque procedersi con l'esame delle più rilevanti e recenti questioni che il reato ha posto in dottrina e in giurisprudenza.

1) Quando è ravvisabile la qualifica soggettiva pubblicistica necessaria per la configurazione del delitto di peculato?

Sono numerose le pronunce giurisprudenziali intervenute in ordine alla configurabilità del delitto di peculato nei casi in cui il soggetto agente eserciti un'attività che presenta profili di rilevanza pubblicistica.

Rileva in tal senso la recente pronuncia con cui la Corte di Cassazione ha affermato che il direttore di un ufficio postale che si appropri di denaro prelevato direttamente dalla cassa ove confluiscano gli introiti delle operazioni inerenti ai servizi postali riveste la qualità di pubblico ufficiale, avuto riguardo ai poteri di certificazione dallo stesso esercitati per le consegne o i versamenti di somme di denaro effettuati dagli utenti e per la contabilizzazione dei relativi passaggi o movimenti. La Corte è pervenuta a tale conclusione nonostante il denaro oggetto dell'appropriazione fosse destinato allo sportello bancomat, quale servizio di natura privatistica, essendosi l'appropriazione verificata prima ancora dell'inserimento del denaro nello sportello automatico, mediante la sottrazione dalla cassa dell'ufficio postale (Cass. pen. VI, n. 6600/2021).

Del pari, è stata riconosciuta la qualifica di incaricato di pubblico servizio, con conseguente configurabilità del delitto di peculato, in capo al titolare di una rivendita di tabacchi, abilitato alla riscossione dei pagamenti del servizio di mensa scolastica per conto del Comune, trattandosi di attività che comporta maneggio di denaro pubblico, con i conseguenti obblighi di rendicontazione e poteri certificatori, svolta nell'interesse del soggetto esercente il servizio pubblico di refezione scolastica e costituente una modalità di esplicazione di quest'ultima, attraverso la raccolta dei contributi privati ad essa funzionale (Cass. pen. VI, n. 16794/2021).

Anche il notaio, qualora si appropri del denaro riscosso a titolo di imposte e non riversato all'erario, commette il delitto ex art. 314 c.p. ma non già in caso di mero ritardo nell'adempimento, bensì allorquando si determina la certa interversione del titolo del possesso, che si realizza allorquando il pubblico agente compia un atto di dominio sulla cosa, con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria, condotta che non necessariamente può essere ritenuta insita nella mancata osservanza del termine di adempimento (Cass. pen. VI, n. 16786/2021).

Ulteriore ipotesi in cui la giurisprudenza ha ravvisato la sussistenza del delitto di peculato riguarda inoltre la condotta del medico che, nello svolgimento dell'attività libero – professionale consentita dal d.P.R. n. 270/1987 (cosiddettaintra moenia”), riceva personalmente dai pazienti le somme dovute per la sua prestazione, anziché indirizzarli presso gli sportelli di cassa dell'ente, omettendo il successivo versamento all'azienda sanitaria. È stato infatti ritenuto che il medico, sia pur in via di fatto e senza essere a ciò espressamente tenuto, si ingerisce nell'incasso di somme appartenenti, almeno in parte, all'ente pubblico, delle quali ha avuto la disponibilità nello svolgimento del suo ufficio (Cass. pen. VI, n. 15495/2021).

2) Configura il delitto di peculato l'utilizzo di utenza telefonica di Ufficio pubblico per scopi privati?

Tra le questioni relative alla fattispecie in esame che hanno impegnato la giurisprudenza di legittimità rientra altresì quella dell'utilizzo dell'utenza telefonica di un ufficio pubblico per esigenze personali, da parte di un dipendente.

L'orientamento giurisprudenziale maggioritario ha escluso la punibilità del fatto quando si tratti di condotte episodiche ed esigue. Si è infatti sostenuto che non possa ravvisarsi un danno o anche solo la messa in pericolo degli interessi tutelati dall'art. 314 c.p., tra cui rientrano il patrimonio pubblico e l'esercizio delle pubbliche funzioni, stante l'inidoneità di un uso episodico e contenuto della linea telefonica ad offendere tali interessi.

Sul punto sono altresì intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 1905 4/2013, le quali hanno qualificato la condotta in questione in termini di peculato d'uso («la condotta del pubblico agente che, utilizzando illegittimamente per fini personali il telefono assegnatogli per ragioni di ufficio, produce un apprezzabile danno al patrimonio della pubblica amministrazione o di terzi o una concreta lesione alla funzionalità dell'ufficio, è sussumibile nel delitto di peculato d'uso di cui all'art. 314, comma secondo, cod. pen.»), richiedendo, nel contempo, in ossequio al principio di offensività in concreto, che si verifichi «la produzione di un apprezzabile danno al patrimonio della p.a. o di terzi ovvero (ricordando la plurioffensività alternativa del delitto di peculato...) con una concreta lesione della funzionalità dell'ufficio: eventualità quest'ultima che potrà, ad esempio, assumere autonomo determinante rilievo nelle situazioni regolate da contratto c.d. “tutto incluso”. L'uso del telefono d'ufficio per fini personali, economicamente e funzionalmente non significativo, deve considerarsi, quindi (anche al di fuori dei casi d'urgenza, espressamente previsti dall'art. 10, comma 3, del d.m. 28 novembre 2000, o di eventuali specifiche legittime autorizzazioni), penalmente irrilevante».

Rapporti con altri reati

Peculato e truffa aggravata

La fattispecie criminosa in esame pone problemi di coordinamento rispetto al delitto di truffa aggravata dall'abuso dei poteri o dalla violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio, di cui agli artt. 640 e 61, n. 9, c.p.

Al riguardo, la linea di demarcazione tra le due figure delittuose è stata rinvenuta, dalla prevalente dottrina (Palazzo, 11), nel rapporto tra il possesso e gli artifici e i raggiri, concludendo che qualora questi ultimi risultino strumentali all'occultamento di un illecito impossessamento già realizzato dall'agente per ragione del suo ufficio o del suo servizio, si applicherà l'art. 314 c.p.; al contrario, qualora essi siano stati posti in essere proprio al fine di conseguire il possesso del denaro o della cosa mobile altrui, si verserà nell'ambito di applicazione della truffa aggravata.

La giurisprudenza è invece orientata nel senso che la distinzione tra peculato e truffa non vada ravvisata nella precedenza cronologica dell'appropriazione rispetto alla frode o viceversa, ma nel modo in cui il funzionario «infedele» viene in possesso del danaro del quale si appropria: sussiste dunque il peculato quando l'agente fa proprio il danaro della pubblica amministrazione, del quale abbia il possesso per ragione del suo ufficio o servizio, mentre vi è truffa qualora il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, non avendo tale possesso, si sia procurato fraudolentemente, con artifici e raggiri, la disponibilità del bene oggetto della sua illecita condotta.

Peculato e appropriazione indebita

Il titolo del possesso appare decisivo anche per risolvere i rapporti tra il peculato e l'appropriazione indebita aggravata exart. 61, n. 9, c.p.

Sussisteranno infatti gli estremi del peculato qualora l'appropriazione consegua ad un possesso per ragioni di ufficio o di servizio; si configurerà invece la fattispecie criminosa dell'appropriazione indebita allorquando l'appropriazione si realizzi a fronte di un possesso che si configura in capo all'agente non per ragioni di ufficio o di servizio, ma intuitu personae o anche per mera occasione offerta dalla relazione con l'ufficio.

Peculato e abuso d'ufficio

Con riferimento infine ai rapporti con il reato di abuso d'ufficio, ex art. 323 c.p., si ritiene che nel caso del peculato la violazione dei doveri di ufficio costituisca esclusivamente la modalità della condotta di appropriazione, laddove la fattispecie punita dall'art. 323 c.p. richiede un abuso «funzionale», consistente cioè nell'esercizio delle potestà e nell'uso dei mezzi inerenti ad una funzione pubblica per finalità differenti da quelle per le quali l'esercizio del potere è concesso.

Sul punto, di recente, la Corte di Cassazione ha evidenziato che integra il delitto di abuso di ufficio e non quello di peculato la condotta del pubblico ufficiale che si avvalga arbitrariamente, per finalità esclusivamente private, delle prestazioni lavorative dei dipendenti di un ente pubblico, atteso che le energie umane, non essendo cose mobili, non sono suscettibili di appropriazione (Cass. pen. VI, n. 37074/2020)

Il peculato d'uso

L'art. 314, comma secondo, c.p. prevede un'ulteriore e autonoma fattispecie penale, di peculato d'uso, disponendo che «si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l'uso momentaneo, è stata immediatamente restituita».

Attraverso la norma in esame il legislatore ha inteso commisurare il trattamento sanzionatorio all'effettivo disvalore del fatto, che nel caso di specie risulta più attenuato rispetto all'ipotesi delineata dal primo comma dell'art. 314 c.p., in ragione della temporaneità dell'appropriazione.

Perché si configuri la condotta criminosa di cui al secondo comma è infatti necessario che la durata dell'appropriazione sia temporanea e non già definitiva. Si è quindi sostenuto che il reato in questione sia configurabile solo quando oggetto materiale del reato siano cose infungibili perché, a fronte di cose generiche non sarebbe possibile la restituzione dell'eadem res ma solo un tantundem eiusdem generis (una corrispondente quantità di cose dello stesso genere). Tale interpretazione restrittiva troverebbe inoltre conferma nel mancato riferimento al danaro (cosa fungibile per antonomasia) nella disposizione in esame.

L'opposto e minor orientamento osserva invece che l'art. 314, comma secondo, c.p. non opera alcuna precisazione o distinzione in tal senso e che la condotta criminosa viene individuata per relationem, richiamando integralmente il primo comma, che ricomprende l'impossessamento di danaro.

Tale soluzione si scontra tuttavia con l'orientamento giurisprudenziale maggioritario, che aderisce alla tesi negativa, affermando che «Il peculato d'uso è configurabile solo in relazione a cose di specie e non al denaro, menzionato in modo alternativo solo nel primo comma dell'art. 314 cod. pen., in quanto la sua natura fungibile non consente – dopo l'uso – la restituzione della stessa cosa, ma solo del “tantundem”, irrilevante ai fini dell'integrazione dell'ipotesi attenuata» (Cass. pen. VI, n. 49474/2015).

La consumazione della fattispecie in esame va individuata nel momento in cui cessa l'uso temporaneo della res, mentre il reato si perfeziona al momento dell'appropriazione della cosa. È dunque configurabile il tentativo di peculato d'uso, allorquando il soggetto attivo abbia cercato invano di appropriarsi della cosa per farne un uso momentaneo con l'intenzione di restituirla immediatamente dopo.

L'elemento soggettivo del delitto di peculato d'uso, secondo una parte della dottrina (Fiandaca, Musco, 195) va individuato nel dolo specifico, consistente nel fine di fare uso momentaneo della res. Tale soluzione non ha convinto altra parte della dottrina che ritiene invece l'uso momentaneo un elemento costitutivo del reato e in quanto tale oggetto della rappresentazione e volontà del reo, nelle forma del dolo generico (Romano, 44; Benussi, 232). Quest'ultima soluzione appare preferibile se solo si consideri che l'utilizzo della res non può difettare perché si configuri il reato, laddove il fine del dolo specifico non rientra tra gli elementi costitutivi del reato.

Questioni applicative sulle qualifiche soggettive in tema di reati contro la pubblica amministrazione

Alla luce delle coordinate fin ora esposte è possibile passare in rassegna le più recenti questioni applicative che la giurisprudenza di legittimità è stata chiamata a risolvere in ordine alla sussistenza della qualifica soggettiva pubblicistica di cui agli artt. 357 ss. c.p.

1) Riveste la qualifica di pubblico ufficiale il direttore di un ufficio postale?

La giurisprudenza, in tema di peculato, ha affermato che il direttore di un ufficio postale, che si appropri di denaro prelevato direttamente dalla cassa ove confluiscano gli introiti delle operazioni inerenti ai servizi postali, riveste la qualità di pubblico ufficiale, avuto riguardo ai poteri di certificazione dallo stesso esercitati per le consegne o i versamenti di somme di denaro effettuati dagli utenti e per la contabilizzazione dei relativi passaggi o movimenti. In particolare, la Corte di Cassazione ha ritenuto sussistente il delitto di peculato nonostante che il denaro oggetto dell'appropriazione fosse destinato allo sportello bancomat, quale servizio di natura privatistica, essendosi l'appropriazione verificata prima ancora dell'inserimento del denaro nello sportello automatico, mediante la sottrazione dalla cassa dell'ufficio postale (Cass. pen. VI, n. 6600/2021).

2) Riveste la qualifica di pubblico ufficiale l'amministratore di enti assistenziali o previdenziali?

La giurisprudenza ha riconosciuto la qualifica di pubblico ufficiale in capo all'amministratore di enti assistenziali o previdenziali, nella specie il presidente della cassa nazionale di previdenza dei ragionieri, essendo tale attività disciplinata da norme di diritto pubblico e soggetta a controllo contabile l'attività di raccolta dei contributi obbligatori e di erogazione dei trattamenti, nonché quella intermedia di gestione delle risorse finanziarie, rientranti nel conto consolidato dello Stato. (Cass. pen. V, n. 34979/2020)

3) È ravvisabile la qualifica di pubblico ufficiale in capo al medico che operi in convenzione con il SSN?

La Corte di Cassazione ha ritenuto che il medico che presta attività professionale presso una clinica convenzionata con il servizio sanitario nazionale riveste la qualifica di pubblico ufficiale, dal momento che egli concorre a formare e a manifestare la volontà della pubblica amministrazione in materia di pubblica assistenza sanitaria, esercitando in sua vece poteri autoritativi e certificativi (Cass. pen. VI, n. 28952/2020).

4) Può qualificarsi pubblico ufficiale colui che abbia svolto attività ispettiva in materia di lavori autostradali come concessionario o di incaricato?

La giurisprudenza di legittimità qualifica come pubblico ufficiale il soggetto che abbia svolto, in qualità di concessionario o di privato da questi incaricato, i compiti di ispezionare e vigilare sulle “opere d'arte” autostradali e di relazionare, in merito agli esiti, all'ente concedente, da cui dipende la regolamentazione e la tutela della sicurezza dei trasporti; è stato pertanto ravvisato il delitto di cui all'art. 479 cod. pen. per l'omessa segnalazione all'ente concedente, da parte di una società controllata dalla concessionaria, contrattualmente obbligata per le incombenze di manutenzione, ispezione, vigilanza e controllo delle opere autostradali, della difformità di un viadotto dal progetto esecutivo e dalle relazioni di calcolo (Cass. pen. V, n. 22053/2020).

5) Riveste la qualifica di pubblico ufficiale il consulente tecnico incaricato dal Pubblico Ministero?

La Corte di Cassazione ha ritenuto che il consulente tecnico del pubblico ministero, sia per l'investitura ricevuta dal magistrato, sia per lo svolgimento di un incarico ausiliario all'esercizio della funzione giurisdizionale, assume la qualifica di pubblico ufficiale (Cass. pen. V, n. 18521/2020).

6) Riveste la qualifica di pubblico ufficiale il gestore di apparecchi da gioco leciti?

La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha ravvisato la qualifica di incaricato di un pubblico servizio in capo al gestore o all'esercente di apparecchi da gioco leciti, di cui all'art. 110, commi sesto e settimo, T.U.L.P.S., in relazione al delitto di peculato, riconoscendo in capo a tali soggetti la qualifica “agente contabile”, cui è delegata parte delle attività propria del concessionario; pertanto, integra il delitto di peculato la condotta del gestore o dell'esercente degli apparecchi da gioco leciti, che si impossessi dei proventi del gioco, anche per la parte destinata al pagamento del Prelievo Erariale Unico (PREU), non versandoli al concessionario competente, in quanto il denaro incassato appartiene alla pubblica amministrazione sin dal momento della sua riscossione (Cass. pen. S.U. , n. 6087/2021).

7) Può considerarsi un incaricato di un pubblico servizio il titolare di una rivendita di tabacchi abilitato alla riscossione dei pagamenti del servizio di mensa scolastica per conto del Comune?

In tema di peculato, il titolare di una rivendita di tabacchi abilitato alla riscossione dei pagamenti del servizio di mensa scolastica per conto del Comune riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio, trattandosi di attività che comporta maneggio di denaro pubblico, con i conseguenti obblighi di rendicontazione e poteri certificatori, svolta nell'interesse del soggetto esercente il servizio pubblico di refezione scolastica e costituente una modalità di esplicazione di quest'ultima, attraverso la raccolta dei contributi privati ad essa funzionale (Cass. pen. VI, n. 16794/2021).

8) È ravvisabile la qualifica di incaricato di un pubblico servizio in capo al dipendente di delegazione ACI?

Secondo la giurisprudenza di legittimità, il dipendente di una delegazione ACI deputato alla riscossione delle tasse automobilistiche riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio per la funzione pubblica svolta, integrando pertanto il delitto di peculato allorché si appropri delle somme di cui abbia la disponibilità per ragione di tale ufficio (Cass. pen. VI, n. 36523/2020).

9) Riveste la qualifica di incaricato di un pubblico servizio il presidente di una società di capitali a prevalente partecipazione pubblica?

La giurisprudenza di legittimità ha affermato che il presidente del consiglio di amministrazione di una società di capitali, a prevalente partecipazione pubblica, incaricata della gestione di una farmacia comunale, in considerazione della connotazione prettamente pubblicistica dell'attività di dispensazione di farmaci e dispositivi medici, preordinata alla tutela della salute, rivesta la qualità di incaricato di un pubblico servizio (Cass. pen. VI, n. 10780/2021).

10) Può qualificarsi come incaricato di un pubblico servizio il dipendente dell'Enel addetto al controllo e all'eventuale distacco del contatore?

Secondo la Corte di Cassazione, il dipendente dell'Enel addetto al controllo e all'eventuale distacco del contatore riveste la qualifica di incaricato di pubblico di servizio, espletando un'attività non meramente materiale ma anche intellettiva di valutazione e di scelta strumentale all'esercizio del servizio pubblico di distribuzione dell'energia elettrica (Cass. pen. IV, n. 7566/2020).

Bibliografia

Antolisei, Manuale di Diritto Penale - Parte speciale, tomo II, Milano, 1999; Benussi, I delitti contro la pubblica amministrazione, I, Padova, 2001; Cagli, voce Peculato e malversazione, in Dig. disc. pen., IX, Torino, 1995; Flick, Il delitto di peculato, Milano, 1971; Pagliaro, Studi sul peculato, Palermo, 1964; Pagliaro, Principi di Diritto Penale - Parte speciale, I, Milano, 2000; Palazzo, Commento agli artt. 314 - 316 c.p., in Padovani (a cura di), I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Torino, 1996; Romano, I delitti contro la pubblica amministrazione - I delitti dei pubblici ufficiali, Milano, 2002.

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