Codice Civile art. 826 - Patrimonio dello Stato, delle province e dei comuni.

Francesco Caringella

Patrimonio dello Stato, delle province e dei comuni.

[I]. I beni appartenenti allo Stato, alle province e ai comuni, i quali non siano della specie di quelli indicati dagli articoli precedenti, costituiscono il patrimonio dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni [828].

[II]. Fanno parte del patrimonio indisponibile [828 2] dello Stato le foreste che a norma delle leggi in materia costituiscono il demanio forestale dello Stato, le miniere, le cave e torbiere quando la disponibilità ne è sottratta al proprietario del fondo, le cose d'interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo, i beni costituenti la dotazione della Presidenza della Repubblica [84 3 Cost.], le caserme, gli armamenti, gli aeromobili militari [745 c. nav.] e le navi da guerra.

[III]. Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni, secondo la loro appartenenza, gli edifici destinati a sede di uffici pubblici, con i loro arredi, e gli altri beni destinati a un pubblico servizio.

Inquadramento

Nel più ampio genus dei beni pubblici, l'art. 826 c.c. individua i beni facente parte del patrimonio dello Stato, distinguendo a loro volta in beni patrimoniali disponibili (art. 826, comma 1, c.c.) e beni patrimoniali indisponibili (art. 826, comma 2 e 3, c.c.).

La disposizione si limita a far riferimento al patrimonio dello Stato, delle province e dei comuni; dunque, il catalogo dei beni patrimoniali per essere completato deve leggersi in combinato disposto con l'art. 830 c.c., dedicato ai beni patrimoniali degli enti pubblici non territoriali.

Orbene, a differenza dei beni demaniali, i beni del patrimonio indisponibile, come anche quelli del patrimonio disponibile, possono appartenere a qualsiasi ente pubblico, non necessariamente territoriale.

L'articolazione dei beni facenti parte del patrimonio dello Stato non può prescindere da una lettura in combinato disposto con le disposizioni concernenti il demanio dello Stato (artt. 822 e 824 c.c.). Medesimo discorso per il regime giuridico applicabile ai beni patrimoniali ex art. 828 c.c., la cui lettura deve essere sistematicamente contrapposta a quella del regime giuridico dei beni demaniali di cui all'art. 823 c.c. In sintesi, la connotazione del patrimonio passa anche attraverso la definizione del demanio.

Questa stretto legame dipende dall'adozione da parte del legislatore del 1942 di un criterio formale e nominalistico, secondo il quale soltanto la legge poteva indicare i beni demaniali. Lo stesso criterio è stato adottato per i beni del patrimonio indisponibile, la cui importanza e regime giuridico, comunque minore rispetto a quelli demaniali, non poteva soggiacere all'incertezza dell'atipicità. Al fine di attenuarne la rigidità di tale tecnica per elencazione, all'art. 826, comma 3, c.c. è stata introdotta una formula generale e di chiusura, un criterio di natura sostanziale, cioè la destinazione del bene al pubblico servizio.

Tale criterio, invece, assume un ruolo centrale per gli enti pubblici non territoriali di cui all'art. 830 c.c., il cui patrimonio indisponibile è composto dai beni destinati ad un pubblico servizio.

La formula di chiusura, cioè criterio sostanziale, ha permesso di escludere la natura tassativa dell'elencazione dei beni del patrimonio indisponibile dello Stato.

Per quanto concerne il patrimonio disponibile seppur indicato come categoria residuale, segue comunque un criterio formale, meno rigido rispetto a quello nominalistico. Quindi, rientrano nel patrimonio disponibile dello Stato ex art. 826, comma 1, c.c. tutti i beni che non facciano parte né del demanio né del patrimonio indisponibile.

La tripartizione dei beni pubblici è stata il frutto dell'adozione di un criterio di rilevanza degli interessi alla cui soddisfazione sono destinati tali bene. Pertanto, il demanio è composto dai beni più importanti, in quanto destinati ad assolvere a una funzione essenziale per la collettività, ma anche per la stessa amministrazione; meno importanti, invece, ma pur sempre soggetti ad una disciplina speciale, in ragione della loro destinazione ad un pubblico servizio sono invece i beni del patrimonio indisponibile.

Tale criterio dell'interesse, però, contrastava la diversa soluzione adottata dal Costituente che ha optato per una concezione di bene pubblico, non solo come oggetto di proprietà e fonte di rendita, ma quale strumento per la realizzazione e il perseguimento dell'interesse pubblico, alla cui cura l'amministrazione è chiamata.

In dottrina e in giurisprudenza, orbene, derimente è il richiamo sostanziale alla destinazione del bene che permette l'individuazione del regime speciale di taluni beni, a prescindere dalla loro appartenenza. Inoltre, non nemmeno più derimente l'individuazione del regime giuridico applicabile sulla base della categoria di appartenza, in quanto beni astrattamenti appartenenti alla medesima categoria non solo solo disciplinati da norme differenti, ma si fondano su principi diversi (Dugato, 44). Pertanto, pare opportuno ribadire la centralità della destinazione pubblica del bene e la soddisazione dell'interesse pubblico specifico, in concreto, a cui il bene è finalizzato (Dugato).

Criteri distintivi per la individuazione dei beni del patrimonio dello Stato

L'art. 826 c.c., comma 2, c.c. elenca i beni del patrimonio indisponibile, che secondo la classificazione su esposta sono beni riservati: le foreste, le miniere, le cave e le torbiere, i beni di interesse storico, archeologico ed artistico, i beni militari non rientranti nel demanio necessario (es. navi, armamenti, automezzi), i beni costituenti la dotazione del Presidente della Repubblica, gli arredi e gli edifici sede di pubblici uffici, e gli altri beni destinati ad un pubblico servizio. Fanno altresì parte del patrimonio indisponibile degli enti proprietari le acque minerali e termali (d.P.R. n. 616/1977 e l. n. 323/2000), la fauna selvatica (l. n. 157/1992), le aree espropriate dai Comuni nell'ambito dei piani di zona per l'edilizia economica e popolare (l. n. 865/1971) e dei piani per gli insediamenti produttivi, le aree acquisite dai Comuni nell'esercizio del diritto di prelazione loro riconosciuto qualora sia cessata la destinazione dei suoli espropriati alla realizzazione dell'interesse pubblico (art. 48 T.U. n. 327/2001), i beni d'interesse naturalistico ed ambientale (c.d. patrimonio naturale: parchi nazionali, regionali, riserve naturali, aree marittime protette, zone umide), i quali, ai sensi della l. n. 394/1991, sono sottoposti ad una serie di limitazioni particolarmente pregnanti anche e soprattutto laddove appartengano a privati.

Invece, al comma 3, la disposizione in esame rinvia includendovi tutti quei beni che sono «destinati a un pubblico servizio».

Il criterio di classificazione distintivo dei beni patrimoniali in uso distingue tra beni riservati e beni a destinazione pubblica (Chiara, 275).

Dunque, sono beni riservati quelli la cui proprietà è attribuita dalla legge in via esclusiva allo Stato o ad un altro ente pubblico e che nessun altro soggetto giuridico è legittimato ad acquisire. Tra i beni riservati è possibile a sua volta distinguere quelli naturali, cioè quelli che derivano dalla natura, e quelli artificiali, cioè costruiti dall'uomo.

Si parla poi di beni riservati a titolo originario o a titolo derivativo a seconda che la legge ne riservi la titolarità all'ente pubblico, rispettivamente, dal momento della loro esistenza o da quando il soggetto pubblico ne diventi titolare.

I beni a destinazione pubblica, invece, sono beni o categorie di beni che appartengono allo Stato o ad un altro ente pubblico e che possono essere destinati ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio. Sono pertanto soggetti ad un regime speciale dal momento in cui vengano effettivamente adibiti a quella funzione o a quel servizio.

I beni del patrimonio indisponibile dello Stato ex art. 826, comma 2, c.c.

Sono beni del patrimonio indisponibile ex dell'art. 826, comma 2, c.c.foreste. Il c.d. demanio forestale è stato trasferito al patrimonio indisponibile delle Regioni a statuto ordinario, dapprima con la l. 16 maggio 1970, n. 281 e, successivamente, con il d.P.R. 24 luglio 1971, n. 616, il quale ha demandato alle Regioni la determinazione dei vincoli forestali e ha conferito allo Stato il potere di individuare, con legge, gli ulteriori patrimoni boschivi vincolati. Permangono nel patrimonio dello Stato le foreste di alcuni parchi nazionali, le riserve e le aree boschive destinate a scopi scientifici e didattici.

Per le Regioni a statuto speciale il trasferimento è avvenuto sulla base dei rispettivi statuti.

Anche i Comuni e le Comunità montane possono costituire un loro demanio forestale (art. 9, l. 31 dicembre 1971, n. 1102), acquistando, per atto di diritto privato o espropriazione, terreni montani da destinare a boschi, prati, pascoli o riserve naturali.

Le miniere, le cave e le torbiere sono ricomprese nel patrimonio indisponibile dello Stato, però e necessario distinguere in quanto a differenza delle miniere, invece, le cave e le torbiere sono lasciate nella disponibilità del proprietario del suolo (Cass. S.U., n. 5070/1989). Inoltre, l'art. 840, comma 1, c.c. esclude espressamente le miniere dalla proprietà privata del sottosuolo.

L'art. 826 c.c., il comma 2 qualifica come patrimonio indisponibile le cose di interesse storico, paletnologico, paleontologico e artistico «da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo». Si tratta dunque di beni mobili, di interesse culturale e che, laddove siano destinati a far parte di una raccolta ex art. 822, comma 2, c.c. devono essere ricompresi nel demanio accidentale.

La giurisprudenza per quanto concerne i beni archeologici rinvenuti in Italia, ritiene che «si presumono, salvo prova contraria gravante sul privato che ne rivendichi la proprietà, provenienti dal sottosuolo o dai fondali marini italiani e conseguentemente appartengono al patrimonio indisponibile dello Stato» (Cass. n. 10303/2017). Dunque, opera una presunzione, relativa, di provenienza dal sottosuolo o dai fondali marini, per cui, sostanzialmente, si tratta di una presunzione di appartenenza del bene al patrimonio indisponibile dello Stato, salvo la prova contraria del privato.

Infatti, il d.lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) prevede all'art. 91 «le cose indicate nell'articolo 10, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini, appartengono allo Stato e, a seconda che siano immobili o mobili, fanno parte del demanio o del patrimonio indisponibile, ai sensi degli articoli 822 e 826 del codice civil. L'art. 10, al comma 3, prevede che «le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte, della scienza, della tecnica, dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose».

I beni che costituiscono la dotazione della Presidenza della Repubblica sono il complesso dei beni mobili ed immobili assegnati in uso al Capo dello Stato per la residenza propria e della famiglia, per la sede della Presidenza e del Segretariato. La disposizione del codice è correlata all'art. 84, comma 3, cost. in base al quale «l'assegno e la dotazione del Presidente sono determinati per legge». La dotazione non ha carattere strettamente personale ma, piuttosto, è funzionale allo svolgimento della carica; in tal senso, l'inserimento fra i beni del patrimonio indisponibile ne garantisce la destinazione.

I beni del patrimonio indisponibile dello Stato ex art. 826, comma 3, c.c.: la destinazione pubblica

Il comma 3 prevede in via residuale la destinazione a un pubblico servizio, il cui vincolo di destinazione impresso al bene permette la riconducibilità del medesimo al patrimonio indisponibile. In questa prospettiva, pertanto, il riferimento al «pubblico servizio» deve essere inteso secondo un significato ampio ed atecnico (Bianca), quale formula sintetica per esprimere il rapporto di strumentalità fra il bene e l'interesse pubblico alla cui soddisfazione è preordinato.

La giurisprudenza, in applicazione del criterio sostanziale dell'art. 826, comma 3, c.c., ma anche dell'art. 830 c.c., ha individuato una serie di beni riconducibili a tale categoria, tra i quali le sedi di scuole pubbliche, di carceri ed ospedali, lo stadio comunale e gli impianti sportivi comunali, i locali adibiti a bar nella sede del municipio, gli alloggi destinati ad edilizia economico-popolare fino alla loro assegnazione.

I beni a destinazione pubblica o i beni atipici del patrimonio indisponibile di cui all'art. 828, comma 3 e 830, comma 2, c.c., sono individuabili attraverso due criteri contrapposti: uno formale, l'altro sostanziale.

Il criterio formale predilige la sola volontà dell'amministrazione di attribuire al bene una destinazione pubblica, quale elemento necessario e sufficiente affinché possa essere ascritto al patrimonio indisponibile dell'ente (Cass. n. 8403/2006). Tale manifestazione di volontà può essere espressa o implicitamente contenuta in un altro atto, che ha natura costitutiva.

L'eventuale utilizzo o meno del bene è irrilevante, in quanto la cessazione della indisponibilità, secondo tale tesi, viene meno soltanto con un'altra manifestazione di volontà della P.A. di segno contrario, sia esplica che implicita. Salvo i casi di un sopravvenuto atto legislativo che sottragga il bene al vincolo di destinazione o di un evento naturale che faccia venir meno la res o comunque la renda inutilizzabile.

A rafforzare la tesi della rilevanza del solo elemento volontaristico potrebbe essere l'art. 42- bis del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, introdotto nell'articolato del Testo Unico delle espropriazioni con il d.l. n. 98/2011, recante «disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria», convertito con la l. n. 111/2011. L'art. 42-bis cit. (al cui commento si rinvia per una più completa trattazione), prevede la possibilità di un acquisto successivo tramite un decreto di esproprio con efficacia irretroattiva. In tale evenienza, l'acquisizione al patrimonio indisponibile è subordinata ad un provvedimento discrezionale costitutivo, in cui, fra l'altro, venga comunque rinnovata la valutazione di attualità e prevalenza dell'interesse pubblico a disporre l'acquisizione.

Il formalismo di tale tesi e la assoluta irrilevanza dell'elemento oggettivo comporta un eccessivo sacrificio di principi fondamentali come il principio di incentivazione degli scambi, il principio di certezza dei diritti e di responsabilità patrimoniale (Bianca).

All'ipotesi opposta, una impostazione avalla l'utilizzo del solo criterio sostanziale, valutando concretamente l'effettiva destinazione del bene, a prescindere da un eventuale provvedimento amministrativo in tal senso.

una tesi mediana e preferibile, avallata sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, ritiene che siano necessari la compresenza, da un lato, di una manifestazione di volontà della p.a. e, dall'altro, la concreta, effettiva ed attuale destinazione dello stesso allo scopo. Entrambi gli elementi concorrono, in egual misura, a definire la destinazione pubblica del bene, senza che il dato concreto dell'utilizzo possa avere preminenza rispetto alla manifestazione di volontà: «l'appartenenza di un bene al patrimonio indisponibile di un ente territoriale discende non solo dalla esistenza di un atto amministrativo che lo destini ad un servizio pubblico, ma anche dalla concreta utilizzazione dello stesso a tal fine» (in tal senso Cass. S.U., n. 24563/2010; Cass.S.U., n. 1485/2006; Cons. St. n. 513/2009).

In giurisprudenza, in parte, si distingue ulteriormente a seconda se il bene sia destinato a un pubblico servizio per la natura intrinseca del bene o, invece, in virtù di un provvedimento. Infatti, nel primo caso in beni che prescindono da atti di destinazione, in quanto sono beni destinati ad un pubblico servizio per natura, come per le cave e le caserme; infatti, possono perdere il carattere dell'indisponibilità ove vengano meno in natura. Il secondo caso, invece, sono beni indisponili in quanto vi è stato un provvedimento di destinazione, sia statale, regionale oppure anche amministrativo.

Le Sezioni Unite hanno posto fine ai residui dubbi, stabilendo che: «affinché un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili, in quanto destinati a un pubblico servizio ai sensi dell'art. 826, comma 3, c.c., deve sussistere il doppio requisito (soggettivo e oggettivo) della manifestazione di volontà dell'ente titolare del diritto reale pubblico (e, perciò, un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell'ente di destinare quel determinato bene a un pubblico servizio) e dell'effettiva e attuale destinazione del bene al pubblico servizio; in difetto di tali condizioni e della conseguente ascrivibilità del bene al patrimonio indisponibile, la cessione in godimento del bene medesimo in favore di privati non può essere ricondotta a un rapporto di concessione amministrativa, ma, inerendo a un bene facente parte del patrimonio disponibile, al di là del «nomen iuris» che le parti contraenti abbiano inteso dare al rapporto, essa viene a inquadrarsi nello schema privatistico della locazione, con la conseguente devoluzione della cognizione delle relative controversie alla giurisdizione del giudice ordinario» (Cass. S.U., n. 6019/2016).

Secondo la giurisprudenza, quindi, è richiesto un provvedimento amministrativo di destinazione al fine della qualifica del bene come indisponibile; qualifica che comporta un particolare regime giuridico (v. art. 828 c.c.). In mancanza, il bene può considerarsi facente parte del patrimonio disponibile; pertanto, gli atti di disposizione della P.A. sono soggetti alle norme comuni, in quanto agisce iure privatorum.

L'opposta vicenda della cessazione della destinazione pubblica è legata al venir meno di entrambi gli elementi. Infatti, le Sezioni Unite hanno enunciato il principio secondo cui la dismissione di un fondo incluso nella categoria dei beni patrimoniali indisponibili di un Comune, ex art. 826, comma 3, c.c., con conseguente regressione al patrimonio comunale disponibile, necessita di una manifestazione di volontà, espressa in un atto amministrativo, e della materiale cessazione della destinazione al servizio pubblico, non essendo sufficiente, a tale scopo, una trascurata gestione dell'impianto, sebbene prolungata, sicché la controversia inerente alla risoluzione di una successiva convenzione stipulata con un privato, ed avente ad oggetto la gestione e l'ampliamento del complesso sportivo, rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo, attenendo ad un rapporto di natura concessoria (Cass. S.U., n. 4430/2014).

I beni del patrimonio disponibile.

Il patrimonio disponibile dello Stato, delle province, dei comuni e degli enti non territoriali può essere individuato in via residuale (art. 826, comma 2, c.c.), sottraendo dal complesso dei beni pubblici tanto i beni demaniali quanto quelli del patrimonio indisponibile.

Di fatto, l'appartenenza al patrimonio disponibile è strettamente legata sia alle vicende del demanio che a quelle del patrimonio indisponibile; nel primo caso, infatti, i beni, se sdemanializzati, confluiscono nel patrimonio (art. 829); nella seconda ipotesi, invece, la concreta definizione del patrimonio è legata, in particolare per i beni non tipizzati, all'inizio ed alla cessazione della destinazione pubblica.

Tali beni non sono beni pubblici in senso stretto, se non da un punto di vista soggettivo, cioè della titolarità del bene. Infatti, la condizione giuridica non differisce dai beni privati, essendo soggetti alla disciplina del diritto comune, eccezion fatta in caso di alienazione, che deve essere fatta per pubblici incanti o asta pubblica. Sono, quindi, beni alienabili, usucapibili, soggetti all'espropriazione forzata e all'espropriazione per pubblica utilità, la cui tutela è ravvisabile nei mezzi ordinari posti a difesa della proprietà e del possesso.

Anche i beni immobili vacanti di cui all'art. 827 c.c., cioè quelli che non sono di proprietà di alcuno e che, di conseguenza, «spettano al patrimonio dello Stato» possono far parte del patrimonio disponibile (v. art. 827 c.c.).

Più controversa è stata invece la collocazione del denaro. Secondo un risalente orientamento giurisprudenziale, il denaro avrebbe fatto parte del patrimonio disponibile solo se proveniente da atti compiuti iure privatorum; fra l'altro, anche in questo caso, l'iscrizione di queste somme in bilancio, così da imprimergli un vincolo di destinazione, ne avrebbe determinato lo spostamento nel patrimonio indisponibile (Cass. n. 3986/1977).

Questo orientamento è ormai superato sia dalla giurisprudenza che dalla dottrina (Police, 434), la quale ritiene che il denaro, indipendentemente dalla provenienza, sia sempre disponibile. Infatti, l'eventuale iscrizione in bilancio, che secondo l'orientamento risalente determinava lo spostamento nel patrimonio indisponibile, ha, invece, natura soltanto contabili all'interno dell'apparato amministrativo.

Altra impostazione, specifica ulteriormente, che l'appartenenza al patrimonio disponibile è soltanto per quel denaro che non sia destinato a scopi particolari di pubblico interesse (per tutti Caringella, 2161).

Dunque, solo in taluni casi il denaro costituisce patrimonio indisponibile, ove intervenga un provvedimento che vincoli una data somma ad una certa destinazione (es. pagamento di stipendi).

Bibliografia

Bianca (diretto da), Commentario del codice civile, Gatti, Troiano (a cura di), Della proprietà, III, Roma, 2014; Caringella, Corso di diritto amministrativo, II, Milano, 2004; Chiara, patrimonio dello Stato, delle province e dei comuni, in Beni pubblici, Castorina – Chiara (a cura di), Milano, 2008; Dugato, il regime dei beni pubblici: dall'appartenenza al fine, in i beni pubblici: tutela, valorizzazione e gestione, Police (a cura di), Milano, 2008; Police, I beni di proprietà pubblica, in Scoca (a cura di), Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2019.

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