Decreto legislativo - 18/04/2016 - n. 50 art. 1 - (Oggetto e ambito di applicazione)1(Oggetto e ambito di applicazione)1 [1. Il presente codice disciplina i contratti di appalto e di concessione delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori aventi ad oggetto l'acquisizione di servizi, forniture, lavori e opere, nonché i concorsi pubblici di progettazione. 2. Le disposizioni del presente codice si applicano, altresì, all'aggiudicazione dei seguenti contratti: a) appalti di lavori, di importo superiore ad 1 milione di euro, sovvenzionati direttamente in misura superiore al 50 per cento da amministrazioni aggiudicatrici, nel caso in cui tali appalti comportino una delle seguenti attività: 1) lavori di genio civile di cui all' allegato I; 2) lavori di edilizia relativi a ospedali, impianti sportivi, ricreativi e per il tempo libero, edifici scolastici e universitari e edifici destinati a funzioni pubbliche; b) appalti di servizi di importo superiore alle soglie di cui all'articolo 35 sovvenzionati direttamente in misura superiore al 50 per cento da amministrazioni aggiudicatrici, allorché tali appalti siano connessi a un appalto di lavori di cui alla lettera a). c) lavori pubblici affidati dai concessionari di lavori pubblici che non sono amministrazioni aggiudicatrici; d) lavori pubblici affidati dai concessionari di servizi, quando essi sono strettamente strumentali alla gestione del servizio e le opere pubbliche diventano di proprietà dell'amministrazione aggiudicatrice; e) lavori pubblici da realizzarsi da parte di soggetti privati, titolari di permesso di costruire o di un altro titolo abilitativo, che assumono in via diretta l'esecuzione delle opere di urbanizzazione a scomputo totale o parziale del contributo previsto per il rilascio del permesso, ai sensi dell'articolo 16, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e dell'articolo 28, comma 5, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, ovvero eseguono le relative opere in regime di convenzione. L'amministrazione che rilascia il permesso di costruire o altro titolo abilitativo, può prevedere che, in relazione alla realizzazione delle opere di urbanizzazione, l'avente diritto a richiedere il titolo presenti all'amministrazione stessa, in sede di richiesta del suddetto titolo, un progetto di fattibilità tecnica ed economica delle opere da eseguire, con l'indicazione del tempo massimo in cui devono essere completate, allegando lo schema del relativo contratto di appalto. L'amministrazione, sulla base del progetto di fattibilità tecnica ed economica, indice una gara con le modalità previste dall'articolo 60 o 61. Oggetto del contratto, previa acquisizione del progetto definitivo in sede di offerta, sono la progettazione esecutiva e l'esecuzione di lavori. L'offerta relativa al prezzo indica distintamente il corrispettivo richiesto per la progettazione esecutiva, per l'esecuzione dei lavori e per i costi della sicurezza 2. 3. Ai soggetti di cui al comma 2, lettere a), b), d) ed e), non si applicano gli articoli 21 relativamente alla programmazione dei lavori pubblici, 70 e 113. In relazione alla fase di esecuzione del contratto si applicano esclusivamente le norme che disciplinano il collaudo. Alle società con capitale pubblico anche non maggioritario, che non sono organismi di diritto pubblico, che hanno ad oggetto della loro attività la realizzazione di lavori o opere, ovvero la produzione di beni o servizi non destinati ad essere collocati sul mercato in regime di libera concorrenza, si applica la disciplina prevista dai Testi unici sui servizi pubblici locali di interesse economico generale e in materia di società a partecipazione pubblica. Alle medesime società e agli enti aggiudicatori che affidino lavori, servizi, forniture, di cui all'articolo 3, comma 1, lettera e), numero 1), qualora ai sensi dell'articolo 28 debbano trovare applicazione le disposizioni della parte II ad eccezione di quelle relative al titolo VI, capo I, non si applicano gli articoli 21 relativamente alla programmazione dei lavori pubblici, 70 e 113; in relazione alla fase di esecuzione del contratto si applicano solo le norme che disciplinano il collaudo. 4.Le amministrazioni aggiudicatrici che concedono le sovvenzioni di cui al comma 2, lettere a) e b), assicurano il rispetto delle disposizioni del presente codice qualora non aggiudichino esse stesse gli appalti sovvenzionati o quando esse aggiudichino tali appalti in nome e per conto di altri enti. 5.Il provvedimento che concede il contributo di cui al comma 2, lettere a) e b), deve porre come condizione il rispetto, da parte del soggetto beneficiario, delle disposizioni del presente codice. Fatto salvo quanto previsto dalle eventuali leggi che prevedono le sovvenzioni, il 50 per cento delle stesse può essere erogato solo dopo l'avvenuto affidamento dell'appalto, previa verifica, da parte del sovvenzionatore, che la procedura di affidamento si è svolta nel rispetto del presente codice. Il mancato rispetto del presente codice costituisce causa di decadenza dal contributo. 6. Il presente codice si applica ai contratti pubblici aggiudicati nei settori della difesa e della sicurezza, ad eccezione dei contratti: a) che rientrano nell'ambito di applicazione del decreto legislativo 15 novembre 2011, n. 208; b) ai quali il decreto legislativo 15 novembre 2011, n. 208, non si applica in virtù dell'articolo 6 del medesimo decreto. 7. Il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale adotta, previo accordo con l'ANAC, direttive generali per disciplinare le procedure di scelta del contraente e l'esecuzione del contratto da svolgersi all'estero, tenuto conto dei principi fondamentali del presente codice e delle procedure applicate dall'Unione europea e dalle organizzazioni internazionali di cui l'Italia è parte. Resta ferma l'applicazione del presente codice alle procedure di affidamento svolte in Italia. Fino all'adozione delle direttive generali di cui al presente comma, si applica l'articolo 216, comma 2634. 8. I riferimenti a nomenclature nel contesto degli appalti pubblici e nel contesto dell'aggiudicazione di concessioni sono effettuati utilizzando il «Vocabolario comune per gli appalti pubblici» (CPV) di cui all'articolo 3, comma 1, lettera tttt)5.] [1] Articolo abrogato dall'articolo 226, comma 1, del D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, con efficacia a decorrere dal 1° luglio 2023, come stabilito dall'articolo 229, comma 2. Per le disposizioni transitorie vedi l'articolo 225 D.Lgs. 36/2023 medesimo. [2] Così rettificato con Comunicato 15 luglio 2016 (in Gazz. Uff., 15 luglio 2016, n. 164). [3] Così rettificato con Comunicato 15 luglio 2016 (in Gazz. Uff., 15 luglio 2016, n. 164). [4] Per il regolamento recante le direttive generali per disciplinare le procedure di scelta del contraente e l'esecuzione del contratto da svolgersi all'estero di cui al presente comma vedi il D.M. 2 novembre 2017, n. 192. [5] Comma modificato dall'articolo 2, comma 1, del D.Lgs 19 aprile 2017, n. 56. InquadramentoIl Codice è articolato in sei «parti», che a loro volta sono suddivisi in «titoli», «capi» e «sezioni». La «parte» I è suddivisa in quattro titoli e fissa i principi generali e le disposizioni comuni (Titolo 1). L'art. 1 del «nuovo Codice» ha recepito i principi di cui agli artt. 1,13 e 23 della direttiva 2014/24/UE. In ottemperanza a quanto stabilito dalla legge delega, con il Codice si è non solo provveduto a recepire leDirettive 23, 24 e 25 del 2014/UE, ma anche a riordinare l'intera materia di appalti e concessioni. L'art. 1 del «nuovo» Codice ha accorpato gli artt. 1,2 e 32 del vecchio Codice stabilendo che il Codice «disciplina i contratti di appalto e di concessioni». Dall'analisi della sistematica del Codice si evince che le fattispecie negoziali autonomamente disciplinate sono tre. Si tratta, quindi, di tre sistemi negoziali tra P.A. e privato. Le prime due fattispecie corrispondono a due sistemi tradizionali quali il «contratto di appalto» e di «concessione». Il terzo sistema, invece, si basa su tre figure negoziali: il contratto di «partenariato pubblico privato», il cd «affidamento in house» e «l'affidamento al contraente generale». Lo stesso Consiglio di Stato, nel parere n. 855/2016, ha evidenziato che nel Codice sono disciplinate forme contrattuali non solo riconducibili agli appalti, ma anche ad altri tipi contrattuali. Inoltre, la nozione europea di appalto è ben più lata e più ampia di quella del codice civile italiano e, tuttavia, il Codice dei contratti pubblici ha previsto figure contrattuali che non rientrano negli appalti veri e propri. Il testo dell'art. 1 del nuovo Codice è profondamente diverso da quello precedente (l'art. 1 del d.lgs. n. 163/2006 prevedeva infatti, più limitatamente, che «Il presente codice disciplina i contratti delle stazioni appaltanti, degli enti aggiudicatori e dei soggetti aggiudicatoli, aventi per oggetto l'acquisizione di servizi, prodotti, lavori e opere»), in quanto si propone di dare, in apertura, un inquadramento più ampio dell'intera materia. Diversamente da quanto accadeva in precedenza, in particolare con l'art. 2 del d.lgs. n. 163/2006, è assente una norma riepilogativa di tutti i principi applicabili, i quali sono invece contenuti all'interno di molteplici disposizioni poste in apertura dei diversi titoli. In questo modo il legislatore ha ritenuto di adottare un testo che coniuga una maggiore snellezza con la previsione di una disciplina, rimessa in prima battuta alle Linee guida da emanare a cura dell'ANAC e ai decreti ministeriali ed ora al regolamento di cui al comma 21-octies dell'art. 216 del d.lgs. n. 50/2016, che assicuri quelle esigenze di maggiore flessibilità e adattabilità più volte reclamate dagli interpreti. La suddivisione schematica usata dal legislatore può essere fuorviante perché in realtà le norme di principio contenute nella prima parte sembrerebbero trovare applicazione solo per gli appalti, quando, invece, si applicano anche alle altre figure negoziali contenute nel codice (C.M. Modica De Mohac, 10). Tali due sistemi sono per certi aspetti riconducibili ad unità per cui sono «destrutturabili», come ha precisato il Consiglio di Stato, ovvero scomponibili e combinabili tali da formare «sistemi integrati atipici o innominati». Agli appalti ed alle concessioni è applicabile l'intera disciplina di gara: - la disciplina di affidamento (artt. 44-93), nonché l'organizzazione della cd. «digitalizzazione delle procedure»; - la disciplina delle aggregazioni di soggetti partecipanti e la disciplina delle cd. «clausole sociali» previste in alcuni bandi; - l'organizzazione di tecniche e strumenti per la gestione dei cd «appalti elettronici»; - la regola del ricorso al metodo della pubblicità dei bandi ed alle procedure di evidenza pubblica (procedure aperte e/o ristrette nell'ordinario ed a procedure negoziate in casi eccezionali) per la scelta del contraente; - la disciplina della cd. qualificazione dei partecipanti (requisiti generali, requisiti di idoneità tecnico-funzionale e finanziaria) e delle cause di esclusione; - la disciplina dei criteri di aggiudicazione, delle modalità di comunicazione ai candidati ed agli offerenti, delle modalità e dei termini di ricezione delle offerte, nonché della fase esecutiva dei contratti. L'omogeneizzazione fra i due sistemi discende dalla norma di rinvio di cui all'art. 164, che fissa i principi generali in tema di «contratti di concessione», richiamando l'intero corpo di norme dall'art. 33 all'art. 93 del Codice, ovvero l'intera disciplina dei contratti di appalto. La struttura procedimentale (regole di gara e regole di aggiudicazione) dei due «sistemi» di affidamento sarebbe stata di più facile lettura, e conseguente interpretazione ed applicazione, se le norme base fossero state raggruppate sotto una rubrica comune, come già si evince all'art. 1, comma 1 del nuovo Codice. Senza sottovalutare le differenze che sussistono fra gli affidamenti in appalto ed affidamenti in concessione, si evidenzia come sussiste una normativa base di carattere generale applicabile ad entrambi i tipi di affidamento. Le differenze riguardano esclusivamente i presupposti di fatto che influiscono sulla determinazione della scelta, solo in parte discrezionale, di far ricorso all'uno o all'altro sistema. Sul rapporto tra «principi» relativi agli appalti e alle concessioni ha avuto modo di occuparsi subito la giurisprudenza, rilevando che «Quanto al cd. Codice dei Contratti pubblici, non si rinviene alcuna norma dalla quale desumere una «sottrazione» per specialità dell'intero comparto delle concessioni aeroportuali dalla sua sfera di applicazione. In osservanza del c.d. principio di autosufficienza della codificazione (cfr. art. 1, comma 1, lett. d) della l. delega 11/2016), il d.lgs. 50/2016 determina, con precise disposizioni, il suo ambito oggettivo di applicazione, specificando le tipologie di contratti esclusi (cfr. titolo del d.lgs. 50/2016; in particolare artt. 17 e 18 concernenti esclusioni specifiche per alarne tipologie di concessioni di servizi) e prevede norme peculiari per particolari concessioni (cfr. 178 d.lgs. n. 50/2016 sulle concessioni autostradali), da nessuna delle quali è evincibile una esclusione per la tipologia, particolarmente complessa, delle concessioni di gestione aeroportuali» (T.A.R. Calabria (Catanzaro) I, n. 75/2017). La predetta sentenza è stata riformata in appello, definendo meglio quelli che sono gli ambiti di applicazione della richiamata disposizione: «negli affidamenti di concessioni sotto-soglia il richiamo legislativo al generale principio di trasparenza va ad essere inteso nel senso che la legge di gara deve porre i concorrenti in condizioni di formulare un'offerta consapevole e documentata, disponendo a tal fine dei dati necessari» (Cons. St. V, n. 778/2017). Il perimetro oggettivo di applicazione: appalti e concessioni; contratti esclusi ed estraneiIl Codice non si applica a tutti i contratti pubblici (come sembrerebbe ricavarsi dalla denominazione «Codice dei contratti pubblici», ma solo, come chiarito dal comma 1, dell'art. 1, agli appalti e alle concessioni. Nonostante l'ambiguo riferimento contenuto ad essi nell'art. il Codice non si applica quindi ai contratti attivi, ossia le fattispecie produttive di un'entrata per il soggetto pubblico contraente (ad esempio un contratto di vendita o locazione, laddove la P.A. assume la veste di parte venditrice o locatrice), differenti dagli appalti che, invece, implicano, di norma, una spesa per l'erario ai fini dell'approvvigionamento, in generale, di beni, servizi e/o opere. Alla descritta differenziazione tipologica corrisponde una differenziazione della disciplina applicabile: mentre i contratti attivi restano tuttora (e in via principale) disciplinati dalla normativa di contabilità di Stato contenuta nel quasi centenario r.d. n. 2440/1923 e nei successivi atti attuativi; i contratti passivi soggiacciono alla disciplina delCodice dei contrattipubblici. Va peraltro detto che anche i contratti attivi (menzionati proprio per questo dall'art. 4), pur non essendo sottoposti alle regole puntuali dettate dal Codice dei contratti pubblici, sono sottoposti, al pari degli altri contratti e affidamenti esclusi, ai principi generali e comunitari sottesi al d.lgs. n. 50/2016 Stato (T.A.R. Salerno I, 727/2021 sulla giurisdizione amministrativa in tema di procedura di evidenza). Va, peraltro, segnalato che il Consiglio di Stato (V, n. 4164/2017 ) ha, da ultimo, acceduto a un'interpretazione estensiva del concetto di contratto di appalto a titolo oneroso, comprensiva anche dei contratti che, pur senza prevedere un corrispettivo in favore dell'esecutore della prestazione, siano volti al soddisfacimento di un suo pur indiretto interesse patrimoniale (fattispecie relative all'attribuzione a un professionista dell'incarico gratuito, con il solo rimborso spese, dell'incarico di redigere il nuovo strumento urbanistico del Comune di Catanzaro: il contratto è stato considerato un appalto pubblico di servizi, come tale soggetto alle regole del codice). Vedi, sul tema, ampiamente, il commento all'art. 3. Nell'ambito dei contratti passivi la storica summa divisio è rappresentata dai contratti di appalto e dai contratti di concessione. Tale suddivisione trova una rinnovata conferma anche nel d.lgs. n. 50/2016 che, nel definire la nozione di «contratti» o «contratti pubblici», si riferisce segnatamente ai «contratti di appalto o di concessione aventi per oggetto l'acquisizione di servizi o di forniture, ovvero l'esecuzione di opere o lavori, posti in essere dalle stazioni appaltanti». Su queste due tipologie (e sulle rispettive varianti ideate e regolate nel tempo dal legislatore) si sono notevolmente interrogate dottrina e giurisprudenza (sulle differenze tra appalto e concessione vedi il commento all'art. 3). Ciò posto sul terreno oggettivo di applicazione del Codice, comprensivo anche dei contratti sotto la soglia di rilevanza europea (art. 35), occorre poi distinguere i contratti esclusi (o esenti) da quelli estranei. I contratti esclusi (vedi comento all'art. 4) sono i contratti rientranti nell'ambito potenziale di applicazione del codice (appalti e concessioni), ma sottratti in tutto in parte all'applicazione delle relative previsioni in ragione della presenza di interessi pubblici prevalenti rispetto alla tutela della concorrenza (contratti regolati dal diritto internazionale, in house, commercio elettronico, contratti in ambiente concorrenziale, opere di urbanizzazione a scomputo); questi contratti, nominati solo al fine di esentarli dalle previsioni codicistiche, soggiacciono comunque ai principi di cui all'art. 4. Invece, i contratti estranei sono contratti esorbitanti, sul piano oggettivo o soggettivo, dall'ambito di operatività del codice, come vendite, comodati, locazioni, contratti attivi, donazioni, contratti associativi, contratti a esecuzione extraeuropea, contratti stipulati dalle imprese pubbliche non inerenti ai settori speciali: Cons. St., Ad. plen.,n. 16/2011;Corte Giust. UE, 28 febbraio 2020,C-521/18; questi contratti, se qualificabili alla stregua di contratti pubblici per la presenza dei profili soggettivo e oggettivo, soggiacciono, comunque, ai principi costituzionali ed europei, con esiti non diversi da quelli scaturenti, per i contratti esclusi, dal disposto dell'art. 4 cit.; Cons. St., Ad. plen.,n. 16/2011: alla luce delle direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE, si delinea una distinzione tra tre categorie: a) appalti che non ricadono nelle direttive per ragioni di soglia (tra cui quelli attivi); b) appalti del tutto «esclusi»; c) appalti e concessioni di servizi cui si applicano solo poche previsioni delle direttive, e dunque esclusi in (maggior) parte e inclusi in (minor) parte. L'ambito soggettivo di applicazioneVenendo ai soggetti tenuti all'applicazione del Codice, viene superata la precedente previsione dell'art. 1 del d.lgs. n. 163/2006 che includeva, nell'ambito soggettivo, le stazioni appaltanti, gli enti aggiudicatori e i soggetti aggiudicatori. Il nuovo art. 1 fa riferimento alle amministrazioni aggiudicatrici e agli enti aggiudicatori, come definiti dall'art. 3, comma 1. La dottrina ha subito evidenziato come, dalla stesura del primo articolo del Codice, emerga una volontà estensiva del nuovo testo (Ponte, 22 ss.) ed in particolare dall'elencazione compiuta nel comma 2 dell'art. 1 che individua i contratti a cui si applicano le disposizioni del Codice, con riferimento alla quale non si può non rilevare peraltro una linea di sostanziale continuità con quanto precedentemente previsto dall'art. 32 del d.lgs. n. 163/2006, combinato con alcuni elementi interpretativi che trovano fondamento nelle direttive recepite. Le incertezze in merito all'individuazione dell'ambito soggettivo di applicazione non dipendono quindi dalla formulazione dell'art. 1, ma dalla mutevolezza della nozione di «amministrazione aggiudicatrice» e al variegato novero degli altri soggetti che sono tenuti a seguire le procedure ad evidenza pubblica (si veda il commento all'art. 3 per l'analisi delle figure dell'organismo di diritto pubblico e dell'impresa pubblica). La questione si è posta in ordine ai rapporti tra la disciplina sostanziale che assoggetta alle regole dell'evidenza pubblica le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori e la disciplina processuale che, più in generale, prevede la giurisdizione del giudice amministrativo in merito agli atti adottati da soggetti comunque tenuti all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale. In particolare, con riferimento all'affidamento a terzi di un appalto di servizi da parte della società di progetto di cui all'art. 184 del Codice, il Consiglio di Stato ha affermato la giurisdizione del giudice amministrativo sotto un triplice aspetto: a) in primo luogo, con riferimento all'art. 133, comma 1, lett. a-bis) e b), c.p.a., sul rilievo che le controversie ivi contemplate «sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, fin dalla l. n. 1034/1971, art. 5, comma 2», fatte salve quelle concernenti indennità, canoni o altri corrispettivi; b) in secondo luogo, con riferimento all'art. 133, comma 1, lett. c), c.p.a., sul rilievo che «l'assunzione da parte di imprese estranee al novero dei soci della società di progetto di servizi e di quote sociali è questione concernente profili estranei al mero rapporto patrimoniale tra la società medesima ed i suoi soci, in quanto attiene strettamente e funzionalmente alla qualità ed alle garanzie di un servizio pubblico essenziale di interesse generale rilevante ai fini della giurisdizione»; c) in terzo luogo, con riferimento all'art. 133, comma 1, lett. e), n. 1, c.p.a., da leggere nell'ottica al d.lgs. n. 50/2016, art. 175 secondo cui con il riferimento al socio restano attratte nella giurisdizione esclusiva anche le procedure «svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale» (Cons. St. III,n. 5294/2017). La pronuncia peraltro è stata cassata dalle Sezioni Unite proprio sul rilievo che la società di progetto non «rientra nell'elenco delle “amministrazioni aggiudicatrici” contenuto nel d.lgs. n. 50 del 2016, art. 3, comma 1, lett. a), né rientra nel novero degli “enti aggiudicatori” di cui al d.lgs. n. 50/2016, art. 3, comma 1, lett. e)», ma «rientra piuttosto nella categoria dei “concessionari di lavori pubblici che non sono amministrazioni aggiudicatrici” (d.lgs. n. 50/2016, art. 1, comma 2, lett. c), avendo in tale veste ri-affidato a terzi i servizi già gestiti dalla società Guerrato. La verifica se in tale ri-affidamento essa fosse tenuta per legge a seguire le regole dell'evidenza pubblica conduce ad un esito negativo: infatti l'osservanza di tali regole è prevista, a carico dei concessionari di lavori pubblici che non sono amministrazioni aggiudicatrici, per l'affidamento di lavori (art. 164, comma 5), non per l'affidamento di servizi» (Cass. S.U., n. 7005/2020). Sempre in tema di concessionario, si è escluso che il titolare di una concessione demaniale marittima debba, per la realizzazione delle opere portuali, seguire le procedure di evidenza pubblica di cui al Codice dei contratti pubblici, in quanto «l'art. 1, comma 2, lett. d) del d.lgs. n. 50/2016 prevede l'applicazione del Codice dei contratti pubblici ai “lavori pubblici affidati dai concessionari di servizi”, mentre nella specie si è in presenza di una concessione di beni pubblici, e analogamente manca ogni riferimento alla concessione di beni demaniali nell'art. 177, comma 1, d.lgs. n. 50 cit.», né tale obbligo discende dalla natura «pubblica» delle opere, in quanto il diritto del concessionario di beni demaniali sulle opere costruite è qualificabile in termini di superficie, sicché la proprietà pubblica demaniale subentrerà solo con il successivo incameramento; tanto ciò vero che l'art. 41 del Codice della Navigazione facoltizza il concessionario a costituire ipoteca sulle opere da lui costruite sui beni demaniali» e né vale «il richiamo al parere del Cons. St. n. 1505/2016 e alla prassi amministrativa, in quanto entrambi hanno avuto riguardo della tematica (a monte) della concorsualità inerente il rilascio e il rinnovo delle concessioni demaniali, ma non anche di quella (a valle) della stipula dei contratti da parte del concessionario» (T.A.R. Toscana (Firenze) II, n. 220/2020). Gli appalti di soggetti privati sottoposti all'evidenza pubblicaIl comma 2 dell'art. 1 ha recepito non solo i principi delle direttive, ma anche l'art. 32 del vecchio codice che era rubricato «Amministrazioni aggiudicatrici e altri soggetti aggiudicatori». In particolare, il comma 2 dell'art. 1 del «nuovo» Codice ha recepito in parte il contenuto dell'art. 32, ma ha innovato nell'indicare che le disposizioni del codice trovano applicazione, altresì, all'aggiudicazione di una serie di contratti elencati in maniera più soft rispetto alla vecchia versione, sulla base della nuova logica derivante dal diritto comunitario della « soft law but law ». Si tratta sostanzialmente di appalti di soggetti privati che sono assoggetti in parte alle disposizioni del Codice in ragione del fatto che sono finanziati direttamente con risorse pubbliche, anche se indirettamente come nel caso di opere realizzate a scomputo degli oneri di urbanizzazione, in cui il finanziamento si realizza attraverso l'esenzione totale o parziale degli oneri di urbanizzazione dovuti dal titolare del permesso di costruire. Si tratta in primo luogo dei contratti relativi: a) ad appalti di lavori di importo superiore ad 1 milione di euro sovvenzionati al 50% da amministrazioni aggiudicatrici, per le seguenti attività: 1) lavori del genio civile; 2) lavori di edilizia relativi ad ospedali, impianti sportivi, ricreativi e per il tempo libero, edifici scolastici e universitari ed edifici destinati a funzioni pubbliche; b) ad appalti di servizi di importo superiore alle soglie di cui all'art. 35, sovvenzionati direttamente in misura superiore al 50% da amministrazioni aggiudicatrici (nell'ipotesi in cui tali appalti siano connessi a un appalto di lavori di cui alla lettera a); c) a lavori pubblici affidati dai concessionari di lavori pubblici che non sono amministrazioni aggiudicatrici; d) a lavori pubblici affidati dai concessionari di servizi, quando essi sono strettamente strumentali alla gestione del servizio e le opere pubbliche diventano di proprietà dell'amministrazione aggiudicatrice; e) a lavori pubblici da realizzarsi da parte di soggetti privati, titolari di permesso di costruire o di un altro titolo abilitativo, che assumono in via diretta l'esecuzione delle opere di urbanizzazione a scomputo totale o parziale del contributo previsto per il rilascio del permesso, ai sensi dell'art. 16, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, e dell'art. 28, comma 5, della l. n. 1150/1942, ovvero eseguono le relative opere in regime di convenzione. I lavori sovvenzionati al 50% da amministrazioni aggiudicatrici Un caso in cui opera tale previsione è quella della realizzazione di impianti sportivi ai sensi della nuova disciplina di cui al d.lgs. n. 35/2021, recante misure in materia di riordino e riforma delle norme di sicurezza per la costruzione e l'esercizio degli impianti sportivi e della normativa in materia di ammodernamento o costruzione di impianti sportivi (cfr. commento all'art. 183). Il comma 4 precisa che le amministrazioni aggiudicatrici che concedono le sovvenzioni di cui al comma 2, lettere a) e b), assicurano il rispetto delle disposizioni del presente codice qualora non aggiudichino esse stesse gli appalti sovvenzionati o quando esse aggiudichino tali appalti in nome e per conto di altri enti. Il provvedimento che concede il contributo di cui al comma 2, lettere a) e b), deve porre come condizione il rispetto, da parte del soggetto beneficiario, delle disposizioni del presente codice. Fatto salvo quanto previsto dalle eventuali leggi che prevedono le sovvenzioni, il 50% delle stesse può essere erogato solo dopo l'avvenuto affidamento dell'appalto, previa verifica, da parte del sovvenzionatore, che la procedura di affidamento si sia svolta nel rispetto del presente Codice. Infine, è prevista una misura sanzionatoria per cui il mancato rispetto del presente codice costituisce causa di decadenza dal contributo. Al fine di favorire l'ammodernamento e la costruzione di impianti sportivi, nonché tutti gli interventi comunque necessari per riqualificare le infrastrutture sportive non più adeguate alle loro esigenze funzionali, i soggetti interessati possono presentare una proposta agli enti locali attraverso il documento di fattibilità delle alternative progettuali di cui all'art. 3, comma 1, lettera ggggg-quater), del Codice (medio tempore del piano di fattibilità di cui all'art. 14 del d.P.R. n. 207/2010), a valere quale progetto di fattibilità tecnica ed economica, di cui all'art. 23, commi 5 e 5-bis del Codice, corredato di un piano economico-finanziario, che individua, tra più soluzioni, quella che presenta il miglior rapporto tra costi e benefici per la collettività, in relazione alle specifiche esigenze da soddisfare e prestazioni da fornire. Nel caso di interventi da realizzare su aree di proprietà pubblica o su impianti pubblici esistenti, ovvero nel caso di impianti sportivi realizzati su aree private ma sovvenzionati al 50% dalla pubblica amministrazione, il documento di fattibilità (integrato da un piano economico-finanziario asseverato ai sensi dell'art. 183, comma 9, dalla bozza di convenzione con l'amministrazione proprietaria per la concessione o altro contratto di partenariato pubblico privato deve specificare, diventa una proposta di finanza di progetto ed è posta a base di procedura di affidamento, cui è invitato anche il soggetto proponente, che assume la denominazione di promotore a cui è riconosciuto il diritto di prelazione. Vedi, sul tema, il commento all'art. 20. Le opere realizzate a scomputo degli oneri di urbanizzazione Nel caso di opere di urbanizzazione realizzate a scomputo dei relativi oneri, la norma in commento individua sia la possibilità che le opere siano realizzate dal titolare del permesso di costruire previa gara per la scelta del soggetto realizzatore, ovvero che l'amministrazione che rilascia il permesso di costruire o altro titolo abilitativo, possa prevedere che il richiedente il titolo presenti all'amministrazione stessa, all'atto della richiesta del titolo stesso, un progetto di fattibilità tecnica ed economica delle opere da eseguire, con l'indicazione del tempo massimo in cui devono essere completate, allegando lo schema del relativo contratto di appalto: l'amministrazione, poi, sulla base del progetto di fattibilità tecnica ed economica, indice una gara con le modalità previste dall'art. 60 o 61. L'oggetto del contratto, previa acquisizione del progetto definitivo in sede di offerta, è rappresentato dalla progettazione esecutiva ed all'esecuzione dei lavori. L'offerta relativa al prezzo indica, in parti distinte, il corrispettivo richiesto per la progettazione esecutiva, per l'esecuzione dei lavori e per i costi della sicurezza. Con riferimento a tale tipologia di opere si è posto il problema del coordinamento della disposizione del Codice con l'art. 16,comma 2- bis, del d.P.R. n.380/2001, secondo cui «Nell'ambito degli strumenti attuativi e degli atti equivalenti comunque denominati nonché degli interventi in diretta attuazione dello strumento urbanistico generale, l'esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria di cui al comma 7, di importo inferiore alla soglia di cui all'art. 28, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 163/2006 (ora art. 35, comma 1, d.lgs. n. 50/2016 — n.d.r.), funzionali all'intervento di trasformazione urbanistica del territorio, è a carico del titolare del permesso di costruire e non trova applicazione il d.lgs. n. 163/2006». In particolare, si è posta la questione se, ai fini del superamento della soglia europea, possano considerarsi separatamente le opere di urbanizzazione primaria funzionali ex art. 16, comma 2-bis, cit. rispetto alle altre opere di urbanizzazione (secondaria e primaria non funzionali a quel determinato lotto edilizio). Il legislatore non ha risolto definitivamente la questione con il d.lgs. n. 50/2016 limitandosi a stabilire che «Nel caso di opere di urbanizzazione primaria di importo inferiore alla soglia di cui all'art. 35, comma 1, lettera a), calcolato secondo le disposizioni di cui all'art. 35, comma 9, funzionali all'intervento di trasformazione urbanistica del territorio, si applica l'art. 16, comma 2-bis, del d.P.R. n. 380/2001» (art. 36, comma 4 del nuovo Codice), senza prendere in considerazione l'ipotesi in cui l'intervento edilizio preveda anche la realizzazione di altre opere di urbanizzazione (primarie non funzionali e secondarie). In assenza di precisa indicazione da parte del legislatore, la questione si è complita per lo stratificarsi di contrapposti orientamenti regolatori (da parte di AVCP e ANAC) e giurisprudenziali, nonché dall'avvio di una procedura di infrazione da parte della Commissione Europea. Infatti, la tesi secondo cui l'art. 16, comma 2-bis, del d.P.R. n. 380/2001 consente di aggiudicare ciascun lotto senza applicare il Codice, non soltanto se il valore cumulato dei lotti è inferiore alla soglia europea, ma anche se il valore di ciascun singolo lotto di opere di urbanizzazione primaria funzionali, considerato in modo isolato rispetto agli altri lotti, è inferiore alla predetta soglia, è stata in passato sostenuta dall'AVCP. Con deliberazione n. 46 del 3 maggio 2012, AVCP aveva infatti rilevato che «La novella introdotta con il comma 2-bis dell'art. 16 del d.P.R. n. 380/2001 ha cambiato il quadro normativo palesando la chiara volontà del legislatore di differenziare il regime delle opere di urbanizzazione primaria di valore inferiore alla soglia di rilievo comunitario. Infatti, con il comma 2-bis, che ha sottratto dette opere all'ambito di applicazione del Codice dei contratti (non trova applicazione il d.lgs. n. 163/2006), il legislatore ha di fatto estromesso detta tipologia di lavori dalla categoria delle opere pubbliche. Essendo del tutto sottratte all'applicazione delle norme in materia di appalti pubblici, sembra corretto ritenere che le opere di urbanizzazione primaria sottosoglia non possano concorrere al calcolo del valore stimato complessivo dell'appalto, ai sensi dell'art. 28 del Codice. In sostanza, il legislatore, tenendo conto della diversa funzione economica e tecnica delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria (cfr. Cons. St. IV,n. 7432/2009) ha inteso introdurre una separazione tra le due categorie di opere ai fini della determinazione della soglia di riferimento, determinando così l'estromissione delle opere di urbanizzazione primaria, quando di valore al di sotto della soglia di rilievo comunitario, dal calcolo del valore complessivo dell'appalto». Il dubbio che tale interpretazione sia compatibile con il diritto europeo in materia di appalti è stato sollevato dalla Commissione Europea che, anche con riferimento ad altre disposizioni del diritto nazionale, ha avviato una procedura di infrazione contro lo Stato italiano (Comunicazione della Commissione UE del 24 gennaio 2019, 2018/2273 C(2019) 452 final). In tale non semplice contesto, si inseriscono le Linee Guida ANAC n. 4, recanti «Procedure per l'affidamento dei contratti pubblici di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, indagini di mercato e formazione e gestione degli elenchi di operatori economici» che, nella versione originaria (approvata dal Consiglio dell'Autorità con delibera n. 1097/2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 274 del 23 novembre 2016), nulla prevedevano in merito alle opere di urbanizzazione a scomputo. Peraltro, in occasione della revisione determinata dalle modifiche del Codice apportate dal cd. decreto correttivo, approvando il nuovo testo delle Linee Guida condelibera n.206/2018, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 69 del 23 marzo 2018, ANAC ha preso espressamente in considerazione le opere di urbanizzazione primaria sottosoglia di cui all'art. 16, comma 2-bis, cit. Infatti, secondo la sezione 2.2 delle Linee Guida n. 4, infatti, «Per le opere di urbanizzazione a scomputo totale o parziale del contributo previsto per il rilascio del permesso di costruire, nel calcolo del valore stimato devono essere cumulativamente considerati tutti i lavori di urbanizzazione primaria e secondaria anche se appartenenti a diversi lotti, connessi ai lavori oggetto di permesso di costruire. Nel caso di esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria di cui all'art. 16, comma 7 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380/2001, di importo inferiore alla soglia comunitaria, detto valore deve essere calcolato – tenendo conto dell'intervenuta abrogazione del d.lgs. n. 163/2006 – secondo i parametri stabiliti dall'art. 5, paragrafo 8, della direttiva 2014/24/UE e dall'art. 35 del Codice dei contratti pubblici. Al ricorrere della suindicata ipotesi, per effetto della previsione derogatoria contenuta nell'art. 16, comma 2-bis, del d.P.R. n. 380/2001: 1) nel caso di affidamento a terzi dell'appalto da parte del titolare del permesso di costruire non trovano applicazione le disposizioni del decreto legislativo 163/2006 ed ora del Codice dei contratti pubblici; 2) di conseguenza, il valore delle opere di urbanizzazione primaria di cui all'art. 16, comma 7, del d.P.R. n. 380/2001, di importo inferiore alla soglia comunitaria, ai fini della individuazione del valore stimato dell'appalto, non si somma al valore delle altre opere di urbanizzazione eventualmente da realizzarsi». Tale disposizione ripete fedelmente la formulazione suggerita dal Consiglio di Stato nel parere n. 361 del 12 febbraio 2018. L'interpretazione della sezione 2.2. non era certamente agevole e solo in parte chiarita dal pedissequo box riassuntivo in cui si precisa che «Al fine di evitare il frazionamento artificioso degli appalti si applicano le disposizioni di cui all'art. 35 del Codice dei contratti pubblici. Ciò vale anche per le opere a scomputo di cui all'art. 36, comma 3 e 4 del Codice dei contratti pubblici, indipendentemente se si tratta di lavori di urbanizzazione primaria o secondaria, fatto salvo quanto previsto dal d.P.R. n. 380/2001». Nel 2019, ANAC ha provveduto all'ennesima modifica delle Linee Guida il cui testo definitivo si attiene alla formulazione suggerita dal Consiglio di Stato nei due pareri nn. 2942/2018 e 1312/2019 prevedendo che «Per le opere di urbanizzazione a scomputo totale o parziale del contributo previsto per il rilascio del permesso di costruire, nel calcolo del valore stimato devono essere cumulativamente considerati tutti i lavori di urbanizzazione primaria e secondaria anche se appartenenti a diversi lotti, connessi ai lavori oggetto di permesso di costruire, permesso di costruire convenzionato (art. 28-bis d.P.R. n. 380/2001) o convenzione di lottizzazione (art. 28 l. n. 1150/1942) o altri strumenti urbanistici attuativi. Quanto disposto dall'art. 16, comma 2-bis, d.P.R. n. 380/2001 e 36, comma 4, Codice dei contratti pubblici si applica unicamente quando il valore di tutte le opere di urbanizzazione, calcolato ai sensi dell'art. 35, comma 9, Codice dei contratti pubblici, non raggiunge le soglie di rilevanza comunitaria. Per l'effetto: se il valore complessivo delle opere di urbanizzazione a scomputo – qualunque esse siano – non raggiunge la soglia comunitaria, calcolata ai sensi dell'art. 35, comma 9, Codice dei contratti pubblici, il privato potrà avvalersi della deroga di cui all'art. 16, comma 2-bis, d.P.R. n. 380/2001, esclusivamente per le opere funzionali; al contrario, qualora il valore complessivo di tutte le opere superi la soglia comunitaria, il privato sarà tenuto al rispetto delle regole di cui al Codice di contratti pubblici sia per le opere funzionali che per quelle non funzionali. Per opere funzionali si intendono le opere di urbanizzazione primaria (ad es. fogne, strade, e tuti gli ulteriori interventi elencati in via esemplificativa dall'art. 16, comma 7, d.P.R. n. 380/2001) la cui realizzazione è diretta in via esclusiva al servizio della lottizzazione ovvero della realizzazione dell'opera edilizia di cui al titolo abilitativo a costruire e, comunque, quelle assegnate alla realizzazione a carico del destinatario del titolo abilitativo a costruire». L'esecuzione degli appalti dei privati Il comma 3 dell'art. 1 stabilisce che ai soggetti di cui al comma 2, lettere a), b), d) ed e), non si applicano gli artt. 21 relativamente alla programmazione dei lavori pubblici, 70 e 113 cui si fa rinvio per apposito commento. Inoltre, precisa il medesimo comma, alla fase di esecuzione del contratto si applicano esclusivamente le norme che disciplinano il collaudo. Il richiamo alle norme sul collaudo si giustifica in ragione del fatto che, pur essendo realizzate da soggetti privati, le opere sono comunque «pubbliche» e potranno essere acquisite al patrimonio pubblico. Ciò vale, in particolare, per le opere di urbanizzazione a scomputo, in relazione alle quali si ritiene necessario che il Comune conservi il potere di vigilanza in merito al rispetto da parte dell'operatore edilizio degli obblighi derivanti dalle previsioni del Codice e delle altre disposizioni che disciplinano la procedura di affidamento e la realizzazione delle opere di urbanizzazione (cfr. Linee guida ITACA recanti «Realizzazione delle opere a scomputo degli oneri di urbanizzazione», 7 novembre 2013). Tale potere deriva certamente dal profilo oggettivo relativo alla natura pubblica delle opere da realizzare, a cui si aggiunge il profilo soggettivo relativo alla ricostruzione del rapporto tra il comune e il privato che si assume l'onere di espletare la procedura di affidamento. Nel caso in cui si opti per la realizzazione di tali opere da parte dell'operatore, il Comune dispone certamente di un potere di controllo ed intervento nell'affidamento ed esecuzione dell'appalto assai limitato in ragione della sostanziale «autonomia» dell'operatore edilizio che deriva dalla sua qualificazione come «altro soggetto aggiudicatore». In tale prospettiva, gli unici poteri riconosciuti al Comune si fondano sul diritto privato, potendo considerarsi le inadempienze dell'operatore edilizio come inadempienze alle obbligazioni di fare assunti dai soggetti attuatori con la convenzione e quindi ragione per la richiesta di condanna all'adempimento o per la risoluzione del contratto (art. 1453 c.c.): in questi casi, la convenzione può prevedere una clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.) per gravi violazioni da parte del soggetto attuatore – in qualità di stazione appaltante – alla disciplina di affidamento delle opere. In ogni caso, pare opportuno, prevedere espressamente il potere di controllo e intervento del Comune nell'ambito della convenzione urbanistica. Si ritiene che, anche ove la gara sia espletata dall'operatore edilizio, il Comune sia tenuto a nominare il responsabile del procedimento ai sensi dellal. n.241/1990, al fine precipuo di assicurare il costante controllo sull'intero procedimento di realizzazione delle opere di urbanizzazione, nonché il necessario coordinamento con, a monte, il responsabile del procedimento urbanistico e, a valle, con il responsabile del settore patrimonio nella fase di acquisizione delle opere al patrimonio comunale. Si ritiene necessario altresì che la convenzione disciplini dettagliatamente il termine di esecuzione delle opere di urbanizzazione, l'eventuale proroga di tale termine, le sanzioni in caso di inosservanza, nonché la possibilità di proroga del termine di validità dei titoli edilizi e che a garanzia degli obblighi assunti dall'operatore edilizio, la convenzione o l'atto d'obbligo siano corredati da apposita fideiussione per un importo pari all'intero valore dell'investimento, ossia pari al valore lordo delle opere di urbanizzazione. Tutte le opere di urbanizzazione, a lavori ultimati, sono soggette al collaudo o alla emissione di certificato di regolare esecuzione (in base all'importo delle opere) secondo quanto previsto dal Codice. Spetta al Comune nominare, anche in corso d'opera, un collaudatore, secondo le procedure previste dalla legge, fra professionisti abilitati; in sede di convenzione o di atto d'obbligo l'operatore edilizio si accolla l'onere di sottoscrizione del contratto e del pagamento delle relative competenze. L'approvazione da parte del Comune del certificato di collaudo comporta la conseguente presa in carico manutentiva da parte del Comune e apertura all'uso pubblico di tutte le opere realizzate e comporterà la contestuale attribuzione allo stesso delle responsabilità civili e penali conseguenti all'uso medesimo, nonché della manutenzione delle opere. Le ulteriori disposizioniParticolare attenzione è poi dedicata alle società con capitale pubblico anche non maggioritario, che non sono organismi di diritto pubblico, che hanno ad oggetto della loro attività la realizzazione di lavori o opere, ovvero la produzione di beni o servizi non destinati ad essere collocati sul mercato in regime di libera concorrenza, alle quali si applica la disciplina prevista dai Testi unici sui servizi pubblici locali di interesse economico generale e in materia di società a partecipazione pubblica. Alle medesime società e agli enti aggiudicatori che affidino lavori, servizi, forniture, di cui all'art. 3, comma 1, lettera e), n. 1), qualora ai sensi dell'art. 28 debbano trovare applicazione le disposizioni della parte II ad eccezione di quelle relative al titolo VI, capo I, non si applicano gli artt. 21, relativamente alla programmazione dei lavori pubblici, 70 e 113. Anche in tale ultima ipotesi, nella fase di esecuzione del contratto si applicano solo le norme che disciplinano il collaudo. Il comma 6 è dedicato all'applicabilità del nuovo codice ai contratti pubblici aggiudicati nei settori della difesa e della sicurezza, ad eccezione dei contratti: a) che rientrano nell'ambito di applicazione del d.lgs. n. 208/2011; b) ai quali il d.lgs. n. 208/2011, non si applica in virtù dell'art. 6 del medesimo decreto. Il comma 7 ha stabilito che il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale adotti, previo accordo con l'ANAC, direttive generali per disciplinare le procedure di scelta del contraente e l'esecuzione del contratto da svolgersi all'estero, tenuto conto dei principi fondamentali del presente Codice e delle procedure applicate dall'Unione europea e dalle organizzazioni internazionali di cui l'Italia è parte. Resta ferma l'applicazione del presente Codice alle procedure di affidamento svolte in Italia. Anche in questo articolo, come sostenuto nel parere n. 855/2016 del Consiglio di Stato, il ruolo dell'ANAC non è chiaro. In particolare, la formula «d'intesa» con ANAC è generica, poiché non è chiaro se si tratti di un parere o di un «accordo» vero e proprio. Quanto al regime transitorio si precisa che, fino all'adozione delle direttive generali di cui al presente comma, si applica l'art. 216, comma 28. Il comma 8, infine, stabilisce che i riferimenti a nomenclature nel contesto degli appalti pubblici e nel contesto dell'aggiudicazione di concessioni sono effettuati utilizzando il «Vocabolario comune per gli appalti pubblici» (CPV) adottato dal regolamento (CE) n. 2195/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio. Le modifiche al testo originario del codice: dal decreto Sblocca-cantieri alla manovra di SemplificazioneA ormai cinque anni dall'emanazione del Codice, la materia è ancora un cantiere in corso. Dopo il correttivo di cui al d.lgs. n. 56/2017 sono, infatti, intervenute, più di recente, due riforme di ampia portata Il d.l. n. 32/2019, convertito dalla l. n. 55/2019 Sul complesso e articolato scenario normativo fin qui sinteticamente descritto, è intervenuto, in particolare, il d.l. cd. «sblocca cantieri» n. 32/2019, volto ad introdurre disposizioni urgenti che dovrebbero favorire la crescita economica e dare impulso al sistema produttivo del nostro Paese, mediante l'adozione di misure volte alla semplificazione del quadro normativo connesso ai pubblici affidamenti, concernenti, in particolare, la disciplina dei contratti pubblici. Con il d.l. n. 32/2019 convertito dalla l. n. 55/2019, è stata quindi modificata, sotto svariati profili, la disciplina del Codice dei contratti pubblici con il fine, da un lato, di provvedere ad alcuni interventi volti ad evitare l'avvio o la prosecuzione di procedure di infrazione comunitaria (in particolare, la numero n. 2018/2273), dall'altro, di introdurre una serie di semplificazioni e modifiche al quadro normativo vigente, la maggior parte delle quali, peraltro, già da tempo segnalate dalle associazioni degli operatori del settore. Tra le numerose novità, spicca innanzitutto la reintroduzione di un «tradizionale» regolamento unico destinato ad accorpare una parte dei provvedimenti attuativi attualmente vigenti, che constano di decreti ministeriali e linee guida vincolanti dell'ANAC. La previsione di un nuovo regolamento «quasi unico» è sicuramente la scelta legislativa che sembra raccogliere il maggior consenso tra gli operatori pubblici e privati. Si è detto, infatti, come il sistema di soft law introdotto dal Codice abbia finito, di fatto, per diventare un ulteriore elemento di instabilità e di complicazione del quadro normativo vista la numerosità dei provvedimenti secondari emanati, la mancata adozione di alcuni di essi e le ripetute modifiche intervenute su quelli adottati, anche per tener conto dell'evoluzione della normativa primaria. Se nella prima versione del decreto legge approvato sembrava che rimanessero fuori dal futuro testo regolamentare ancora numerosi atti attuativi (42 circa), il testo definitivamente approvato ha conferito una portata più generalizzata, attribuendo alla misura una valenza di maggiore sistematicità. Ulteriore punto cruciale riguarda la semplificazione degli appalti al di sotto delle soglie di rilevanza comunitaria, che si è voluta attuare attraverso la rideterminazione delle soglie di affidamento e delle procedure esperibili. Nel testo definitivamente approvato in sede di conversione è stata inoltre confermata la possibilità per le stazioni appaltanti di esaminare le offerte prima della verifica della documentazione relativa al possesso dei requisiti di carattere generale e di quelli di idoneità e di capacità degli offerenti (cd. inversione delle fasi di gara, finora prevista solo per i settori speciali dall'art. 133, comma 8, del Codice). La norma, già prevista dalle Direttive europee e solamente ora recepita per gli appalti nei settori ordinari (sia sopra che sotto soglia), appare effettivamente utile ai fini della semplificazione e dello snellimento della fase di affidamento. D'altro canto, è anche vero che ciò avverrà a prezzo di una serie di criticità che verranno inevitabilmente a porsi (di cui si dirà più ampiamente nel capitolo successivo) in relazione alle tipologie di procedure cui il meccanismo potrà essere applicato e alle problematiche che si verranno a determinare nella fase successiva dei controlli. A quest'ultimo riguardo, basti solo anticipare che molti dei problemi nascenti potrebbero essere senz'altro semplificati se fosse attivata la banca-dati degli operatori economici presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sui requisiti di partecipazione dei concorrenti, prevista dall'art. 81 del Codice e rimasta sino ad oggi senza esito, atteso che tale strumento eviterebbe la lunga trafila dei controlli presso le varie autorità pubbliche recuperando molto in termini di tempi e di certezza sulla sussistenza o meno dei requisiti. Altro snodo fondamentale della riforma è la temporanea sospensione dell'efficacia di alcune norme deld.lgs. n.50/2016 sino alla data del 31 dicembre del 2020 (poi ulteriormente prorogata sino al 31 dicembre 2021 dal d.l. n. 76/2020, come si vedrà nel cap. 8), che risulta motivata dalla necessità di rilanciare gli investimenti pubblici e di facilitare l'apertura dei cantieri per la realizzazione delle opere pubbliche, nelle more della riforma complessiva del settore, e che, in ogni caso, dovrà avvenire nel rispetto dei principi e delle norme sancite dall'Unione Europea, in particolare delle direttive nn. 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014 (art. 1, comma 1, della legge di conversione). Siffatta sospensione concerne, in primo luogo, il divieto del cd. appalto integrato di cui all'art. 59, comma 1, quarto periodo, del Codice. Si consente, in tal modo, alle stazioni appaltanti di continuare ad affidare mediante un'unica procedura di gara sia la progettazione esecutiva, sia l'esecuzione dell'opera, garantendo di conseguenza una considerevole riduzione dei tempi di affidamento e di esecuzione dei lavori. Rimane alla discrezionalità della stazione appaltante la scelta di avvalersi o meno di questo strumento, avendo cura di verificare attentamente, in caso positivo, il progetto redatto dall'appaltatore e la corretta esecuzione dei lavori. Si vedrà se questo lungo rinvio preluda, effettivamente, ad un definitivo reintegro dell'appalto integrato come strumento ordinario per i lavori. Per ora, l'obiettivo perseguito dalla prevista sospensione è quello di consentire l'avvio di un maggior numero di gare, con un forte risparmio in termini di tempi necessari. Ulteriore istituto sospeso riguarda l'Albo dei commissari di gara di cui all'art. 77, comma 3, del Codice (che attualmente prevede la scelta dei commissari di gara solo attraverso l'albo istituito presso l'ANAC), fermo restando che durante il periodo di sospensione ciascuna stazione appaltante dovrà individuare i commissari secondo regole di trasparenza e competenza predeterminate con propri documenti o regolamenti interni. L'istituto aveva scontato, da subito, rilevanti problematicità, non solo per la scarsità degli iscritti ma anche, soprattutto, per la diffidenza manifestata dalle stazioni appaltanti, anche in considerazione dei significativi costi aggiuntivi che ne sarebbero derivati. Tant'è che l'attivazione dell'istituto, come noto, è stata rinviata finora per ben due volte. Allo stato dei fatti, la disposizione entra in una sorta di limbo dall'esito incerto. Forse sarebbe stato meglio abrogare del tutto la previsione oppure, in alternativa, scegliere di avviare l'Albo, rendendolo però facoltativo. Merita, infine, di essere esaminata l'ultima disposizione sospesa che riguarda l'art. 37, comma 4, del Codice, ove si prevede l'obbligo per i comuni non capoluogo di provincia di avvalersi di centrali di committenza o di altre amministrazioni qualificate per lo svolgimento di procedure superiori alle soglie comunitarie. Si tratta della sospensione che solleva, forse, le maggiori perplessità dal momento che la modifica interviene su una norma chiave del Codice (nell'ottica imposta dalle stesse direttive comunitarie), che stabilisce una differenziazione delle competenze di spesa tra le varie amministrazioni sulla base della loro qualificazione (disciplinata al successivo art. 38): viene, cosi, sensibilmente alterata tale disciplina, peraltro solo con riferimento ai comuni non capoluogo e non anche per le altre amministrazioni minori. I Comuni in questione, pertanto, al pari delle stazioni appaltanti di maggiori dimensioni, potranno avviare procedure di gara per qualunque importo, in totale autonomia, prescindendo dal fatto che abbiano o meno strutture interne adeguate alla progettazione, affidamento ed esecuzione di procedure complesse. Trattasi, indubbiamente, di una vistosa eccezione rispetto agli obiettivi di centralizzazione e qualificazione della committenza ed al riguardo ci si augura che ciò non preluda ad un loro definitivo superamento, certamente non auspicabile attesa la centralità che essi rivestono nel quadro delineato dalle stesse direttive comunitarie. Centralizzazione e qualificazione della committenza rappresentano, infatti, elementi imprescindibili al fine di garantire efficienza, professionalità e qualità della domanda pubblica di opere e servizi. Al fine di far ripartire investimenti ed opere pubbliche, appaiono inoltre assai significative le disposizioni introdotte dall'art. 1, commi 4 e 5, della legge di conversione del decreto «sblocca cantieri» in merito all'avvio prioritario della progettazione. Al comma 4 dell'art. 1 della legge si prevede infatti che, per gli anni 2019 e 2020, i soggetti attuatori di opere (ovvero le stazioni appaltanti) per le quali deve essere realizzata la progettazione possono avviare le relative procedure di affidamento anche in caso di disponibilità di finanziamenti limitati alle sole attività di progettazione. Le opere la cui progettazione è stata realizzata con questa modalità sono considerate prioritariamente ai fini dell'assegnazione dei finanziamenti per la loro realizzazione. Al successivo comma 5 si aggiunge che i soggetti attuatori di opere sono autorizzati ad avviare le procedure di affidamento della progettazione o dell'esecuzione dei lavori nelle more dell'erogazione delle risorse assegnate agli stessi e finalizzate all'opera con provvedimento legislativo o amministrativo. La semplificazione e lo snellimento delle procedure di programmazione e progettazione di opere pubbliche costituiscono un altro punto chiave ai fini di una riforma veramente incisiva del sistema, che possa far recuperare al nostro paese competitività ed efficienza. Dal dibattito che ha preceduto l'approvazione del d.l. n. 32/2019 è infatti emerso come oltre la metà del tempo occorrente per realizzare un'opera pubblica viene speso proprio nelle fasi di programmazione e progettazione, anche per le numerose autorizzazioni necessarie. Le nuove disposizioni (per ora, transitorie) segnano sicuramente l'inizio di un percorso nuovo e l'auspicio è che questo percorso possa essere perseguito e portato avanti nel segno di una maggiore semplificazione dei procedimenti, cercando di omogeneizzare le prassi sul territorio e di concentrare il più possibile la responsabilità nelle amministrazioni più efficienti. In quest'ottica, si palesa evidente anche l'importanza della tecnica normativa utilizzata a tal fine: il risultato della semplificazione potrà infatti essere raggiunto solamente a condizione che le norme del Regolamento siano chiare ed incentrate solo sugli aspetti veramente rilevanti, in modo tale che esso risulti davvero una misura di semplificazione e di riordino, tale da rendere le procedure più chiare e le stazioni appaltanti maggiormente consapevoli di come operare correttamente. L'emergenza sanitaria da Covid-19: il decreto “Semplificazioni” (d.l. n. 76/2020, convertito dalla l. n. 120/2020) Purtroppo, a partire dal mese di marzo del 2020, il nostro Paese è stato colpito dall'emergenza, dapprima sanitaria e poi anche economica, causata dalla pandemia da Covid-19. Tali eventi hanno reso necessario un tempestivo intervento normativo al fine di arginare il diffondersi della pandemia e limitare i danni economici e sociali che ne sono derivati. Stante la sussistenza dei presupposti di necessità e urgenza di cui all'art. 77 Cost., il Governo ha adottato le misure contenitive mediante decretazione d'urgenza: i decreti legge, via via convertiti con modificazioni in legge ordinaria, hanno interessato anche il settore dei contratti pubblici, destinatario di misure ad hoc volte a snellire, semplificare e accelerare le procedure di gara, per assicurare alla pubblica amministrazione la pronta acquisizione di beni e servizi necessari a fronteggiare l'emergenza. Le misure sono in buona parte derogatorie rispetto alle disposizioni contenute nel Codice dei contratti pubblici, ma hanno efficacia temporalmente limitata alla sola fase emergenziale, come circoscritta dagli stessi decreti. I provvedimenti adottati dal Governo nella cd. prima fase hanno avuto l'obiettivo principale di arginare il contagio; sono state pertanto imposte importanti limitazioni alle libertà fondamentali dei cittadini ed è stata decretata la chiusura di tutte le attività economiche e sociali non essenziali. Le misure restrittive sono state accompagnate da interventi di natura fiscale e assistenziale rivolti ad imprese e famiglie, oltre che da misure settoriali volte a consentire l'approvvigionamento di beni e servizi necessari a fronteggiare l'emergenza e potenziare la risposta del sistema sanitario nazionale. Con il d.l. n.18/2020, cd. Cura Italia, il Governo ha potenziato il ricorso alla procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara e alle forme di aggregazione della domanda, con specifico riferimento al settore sanitario, alla gestione dei servizi essenziali ai cittadini e alla continuità dello Stato sociale. Gli interventi hanno valorizzato istituti già presenti nel Codice e finalizzati proprio agli affidamenti derivanti di eventi imprevedibili ed eccezionali. Durante la seconda fase, il Governo ha adottato provvedimenti volti a garantire liquidità a cittadini e imprese, mediante accesso gratuito e semplificato al fondo centrale di garanzia PMI, misure di sgravio fiscale e sospensione dei versamenti tributari e contributivi, nel tentativo di arginare la stagnazione dell'economia, promuovendo un impegno di stampo assistenziale. Le misure sono in larga parte contenute nel d.l. n.23/2020, cd. «Decreto liquidità». Il d.l. n. 34/2020, cd. «decreto rilancio», non affronta in maniera diretta i procedimenti di appalto e le gare pubbliche, ma interviene a latere, mediante sporadiche disposizioni di natura economica che si collocano nella fase di esecuzione dei contratti, finalizzate per lo più ad agevolare la ripartenza dei cantieri. Anche in questo caso, si tratta di deroghe temporalmente limitate alle gare pubblicate alla data di entrata in vigore del decreto ed a quelle da indire sino al 30 giugno 2021. Da ultimo, il più recente e notod.l. n.76/2020, cd. «decreto semplificazioni», delinea una serie di misure volte a snellire i procedimenti amministrativi e a favorire la ripresa delle attività economiche con meccanismi più agili. Misure di semplificazione – la maggior parte con efficacia temporale circoscritta ed altre, invece, a carattere permanente –, sono state introdotte anche nel settore degli affidamenti pubblici, ove viene predisposta una nuova disciplina derogatoria al Codice dei Contratti Pubblici che vorrebbe delineare, almeno negli intenti, un nuovo “regime semplificato” degli appalti pubblici. Le novità recate da quest'ultimo, importante intervento normativo saranno esaminate nel dettaglio nel prosieguo dell'opera, sia per quanto riguarda gli appalti sopra soglia e sotto soglia), sia per quanto attiene alla tutela giurisdizionale (cap. 17), incisa anch'essa dalla novella normativa. L'obiettivo di semplificare i procedimenti ed agevolare il dialogo con cittadini e imprese viene perseguito dal legislatore con quest'ultimo intervento normativo anche mediante un processo di digitalizzazione della pubblica amministrazione, favorendo la diffusione di servizi pubblici in rete. Sotto questo profilo, di primaria importanza è la disposizione di cui all'art. 28, che reintroduce la possibilità di notificazione telematica ad enti pubblici estraendo i relativi domicili digitali dal pubblico registro IndiceP.A. Sono presenti anche disposizioni volte a favorire la ripresa delle attività economiche e di impresa, specie se operanti nel campo dell'innovazione e della green economy, che beneficeranno di procedure semplificate per la sperimentazione di nuovi progetti. Si veda l'apposito commento al d.l. n. 76/2020 . Aspettando il nuovo «regolamento unico»Con l'inserimento del comma 27- octies nell'art. 216del vigente Codice deicontratti, il legislatore del 2019 ha inteso disciplinare l'emanazione di un nuovo regolamento di esecuzione, attuazione e integrazione del Codice. Infatti, il suddetto nuovo comma 27-octies prevede l'emanazione, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della stessa disposizione (vale a dire entro il 16 ottobre 2019), di un regolamento «unico» di esecuzione, attuazione e integrazione del Codice, ai sensi dell'art. 17, comma 1, lettere a) e b), della l. n. 400/1988, e «su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano». Appare da subito evidente l'intento di superare il sistema di « soft law» perseguito dalla disposizione in esame. Prima di esaminare più nel dettaglio tale rilevantissima novità, preme evidenziare che solleva grosse perplessità l'opportunità di introdurre modifiche strutturali di impostazione con decreto legge e per di più in attesa di una riforma organica dell'intera materia dei contratti pubblici, riforma, peraltro, già annunciata e che, stando a quanto dichiarato, dovrebbe avvenire mediante lo strumento della legge delega e del decreto delegato. All'origine dell'introduzione, da parte del legislatore del 2016, di una legittimazione delle fonti di soft law, talvolta vincolanti, talaltra aventi solo valore di «moral suasion», vi era l'esigenza di concedere alle Pubbliche Amministrazioni una maggiore discrezionalità e agli operatori del settore una regolamentazione più snella e flessibile, avente maggiore capacità di adattamento alle modifiche legislative e alle prassi applicative, a fronte dell'eccessiva rigidità normativa delle fonti tradizionali (come i regolamenti governativi, ormai obsoleti e di formazione troppo complessa, incapaci di rispondere alle esigenze dinamiche e mutevoli dell'odierno mondo produttivo). Sebbene apprezzabile negli intenti, tale scelta si è però rivelata complicata nella sua attuazione pratica, laddove, anziché semplificare e rendere più snella e flessibile la regolamentazione del settore, ha invece contribuito a rendere il quadro giuridico più complesso, articolato e farraginoso, frenando l'attività degli operatori e delle stazioni appaltanti, confusi da un panorama normativo instabile ed indefinito. Al riguardo, basti solo pensare alle difficoltà di inquadramento giuridico che i nuovi strumenti di regolazione flessibile hanno sin da subito sollevato, tanto da richiedere l'intervento del Consiglio di Stato, al fine di determinare la corretta qualificazione giuridica da attribuire ai decreti ministeriali destinati a recepire le linee guida proposte dall'ANAC, alle linee guida vincolanti e a quelle non vincolanti. Numerose sono state le critiche sollevate dagli operatori del settore e dalle associazioni di categoria, nonché da autorevole dottrina, avverso questo sistema. Da più parti si è così caldeggiato il ritorno ad un regolamento unico, analogo a quello con cui si era data attuazione al previgente Codice di cui al d.lgs. n. 163/2006. Si rinvia, per gli scenari connessi al nuovo futuro regolamento, al commento all'art. 216. Problemi attuali: la controversa nozione di contratto pubblico, un ossimoro solo apparenteLa locuzione «contratto pubblico» è da sempre un ossimoro, una contraddizione misteriosa, la conciliazione di poli antitetici. Infatti, si mettono insieme il concetto privatistico per antonomasia – «il contratto», espressione di autonomia negoziale, di auto-regolamento, di libertà economica e individuale – e un aggettivo («pubblico») che evoca la negazione del diritto privato, il public power unilaterale, l'imperatività, l'autoritarietà, i muscoli con i quali le pubbliche amministrazioni sono capaci di imporsi sui privati senza bisogno di cercare il loro consenso e di procurarsi il loro beneplacito. Eppure, la discrasia è solo apparente. Bisogna muovere dal rilievo che la pubblica amministrazione è una e doppia, gode di due capacità (art. 11 c.c.). è l'antica e sempre attuale lezione della doppia personalità dei soggetti pubblici. Ogni pubblica amministrazione è, nel nostro disegno pluralistico, un'autorità che può usare gli strumenti autoritativi del diritto pubblico, ma anche un soggetto di diritto comune, un cittadino dell'ordinamento generale che, al pari di ogni altro attore del diritto, può adoperare gli strumenti del diritto privato avvalendosi dell'universale capacità giuridica e di agire. Questa seconda eventualità si verifica, per l'appunto, quando una pubblica amministrazione stipula un contratto, dismette i comodi panni del potere autoritativo e decide di agire iure privatorum. I contratti degli agenti pubblici sono quindi pubblici solo in senso soggettivo, ma per il resto – quanto a natura, essenza e disciplina – sono atti integralmente privatistici. In questo si differenziano, in modo decisivo, dagli accordi di cui agli artt. 11 e 15 della l. n. 241/1990, che si presentano quali provvedimenti concordati di diritto pubblico, ossia alla stregua di moduli consensuali e concertati di esercizio del potere pubblicistico. Per queste ragioni, più che di «contratto pubblico», o «contratto amministrativo» si dovrebbe parlare di « contratto del soggetto pubblico », onde chiarire, plasticamente, che l'unico profilo pubblicistico è la qualità del contraente, mentre, sul piano oggettivo, il contratto non è atto di diritto pubblico (non esiste il «contratto di diritto pubblico»), ma negozio di diritto privato, soggetto al codice civile ex art. 30, ultimo comma, del codice dei contratti pubblici (cd «principio della neutralità della qualità pubblica del contraente», come di quella del socio e del datore in lavoro rispettivamente nelle società a partecipazione pubblica e nel lavoro privatizzato). La disciplina dei contratti pubblici contiene, quindi, allo stesso tempo, regole di diritto pubblico e prescrizioni di diritto privato, perché la pubblica amministrazione, quando seleziona il contraente e poi stipula il contratto, sta facendo uso contestualmente di potere pubblico e di autonomia negoziale. è ormai pacifico, in definitiva, che la pubblica amministrazione, prima ancora che un'autorità dotata di una supremazia speciale, è un soggetto di diritto comune che può usare gli strumenti giuridici concessi agli altri soggetti di diritto. La diffidenza in passato mostrata dal legislatore nei confronti di un'amministrazione che si ammanta di vesti privatistiche è ormai un retaggio dal passato – nel 1898 A. Bonomi parlava di «amministrazioni costrette ad avere rapporti contrattuali» –, cancellato da una tendenza, per certi versi opposta, a privilegiare, in omaggio ai principi europei di proporzionalità e sussidiarietà, strumenti giuridici privati, meno invasivi della sfera giuridica dei cittadini, e costituenti, al pari degli accordi ex art. 11 della l. n. 241 cit., una generale alternativa alla clava del potere iure imperii (Caringella, Manuale dei contratti pubblici, 1 e ss.). È ormai acquisito che la capacità di diritto privato della pubblica amministrazione è una categoria generale. è del tutto superata l'opposta tesi della sussistenza di una limitazione generale della capacità negoziale della P.A. Oltre ai contratti previsti dalla legge la P.A. può stipulare anche altri contratti. La libertà contrattuale della P.A. si può quindi esplicare in tutte le sue declinazioni. è libertà di concludere o di non concludere il contratto; di scegliere il contraente; di determinare il contenuto del contratto; di stipulare contratti tipici, atipici o misti. Non è, naturalmente, una libertà assoluta, in quanto è limitata dai vincoli pubblicistici, di derivazione comunitaria e nazionale, che riguardano l'individuazione del contraente. Questa libertà «condizionata» è ribadita dall'art. 11c.c., secondo cui «le province e i comuni nonché gli enti pubblici riconosciuti come persone giuridiche, godono dei diritti secondo le leggi e gli usi osservati come di diritto pubblico». I contratti pubblici sono, quindi, uno strumento quotidiano e fondamentale dell'azione amministrativa, rappresentano una delle voci principali della spesa pubblica (oltre il 15% del prodotto interno lordo degli Stati europei) e costituiscono, per molte imprese, una fonte rilevante del fatturato. Per questo il public procurement è uno snodo essenziale della funzione pubblica e il diritto privato dei contratti un fondamentale diritto di libertà. Per dirla come Massimo Severo Giannini, «con l'avvento dello Stato pluriclasse i moduli convenzionali sono talmente aumentati in quantità e qualità che si può parlare di un diverso modo di amministrare». L'«amministrare per contratti» e la «ricerca del consenso» sono strade maestre dell'agire pubblico. Il ricorso a strumenti consensuali in luogo di quelli imperativi è coerente anche con quelle teorie economiche che postulano il primato delle soluzioni negoziali in tutti i casi in cui non vi siano elevati costi di transazione. Il ricorso a queste soluzioni è infatti efficiente in senso paretiano, perché aumenta il benessere di entrambi i contraenti, siano essi pubblici e privati, i quali, in caso contrario, non presterebbero il consenso. Più in particolare, secondo il teorema di Coase, la contrattazione tra gli agenti è in grado di condurre ad un'allocazione ottimale di risorse a prescindere da come sono assegnati inizialmente i diritti e dall'eventuale presenza di esternalità negative. Come nelle transazioni tra privati, anche nei rapporti tra P.A. e interlocutore privato, il potere pubblico è disposto solo a privarsi di beni cui il mercato riconosce un valore superiore a quello attribuito dall'amministrazione; la pubblica amministrazione è portata ad acquistare beni essenziali allo svolgimento delle sue funzioni e all'erogazione di servizi pubblici pagando il prezzo a ciò necessario nel presupposto che il valore per la collettività di tali beni sia di norma superiore a quello assegnato loro dal privato. Certo non si può generalizzare, concludendo trionfalisticamente che «il privato è bello». Non sarebbe serio neanche predicare la generale superiorità dello strumento negoziale rispetto a quello autoritativo anche quando si curano interessi pubblici. In molti casi, infatti, i costi di negoziazione sono elevati e l'amministrazione non può attingere a risorse illimitate pur di raggiungere l'accordo con il privato. Spesso la pubblica amministrazione non dispone neanche delle capacità negoziali necessarie per trattare efficacemente con i privati e vi è il rischio che possa colludere con questi ultimi a danno dell'interesse pubblico. Eppure, una valutazione in termini di efficienza economica spinge a esplorare la possibilità di impiegare strumenti contrattuali con maggiore ampiezza di quanto non sarebbe disposta ad ammettere la tradizione amministrativa incentrata sul primato dell'armamentario pubblicistico di tipo autoritativo. L'amministrazione è tenuta sempre a una valutazione costi-benefici, i cui esiti devono essere esplicitati in sede motivazionale, nel decidere come procurarsi le risorse necessarie per raggiungere i fini istituzionali. Deve valutare e spiegare se sia meglio comprare o espropriare, stipulare un contratto di locazione o requisire, dare vita a una servitù negoziale o a una coattiva, usare i muscoli o tendere la mano insomma. In una diversa prospettiva, il ricorso allo strumento contrattuale per l'approvvigionamento di beni e servizi è la conseguenza della rinuncia all'in house production, ossia alla possibilità di produrli direttamente. Questo tipo di attività contrattuale presuppone, infatti, una scelta tra il fare e il comprare (make or buy), tra l'uso di risorse interne e il ricorso al mercato (l'outsourcing o esternalizzazione). Forse è presto per parlare di preferenza per il diritto privato, ma è certo che la via del potere imperativo e autoritativo non è più l'unica e non è più necessariamente la migliore per il perseguimento del benessere collettivo e della «felicità pubblica». Lo conferma anche il legislatore con l'art. 20, comma 4, lett. f ), della l. n. 50/1997 che prevede, seppure in termini di mera abilitazione, la «generale possibilità di utilizzare, da parte delle amministrazioni e dei soggetti a queste equiparati, strumenti di diritto privato, salvo che nelle materie o nelle fattispecie nelle quali l'interesse pubblico non può essere perseguito senza l'esercizio di poteri autoritativi»; e con l'art. 1, comma 1- bis, della l. n.241/1990, norma ambigua e dal non chiaro tenore precettivo, secondo cui «la pubblica amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente». A tali temi dobbiamo quindi dedicare la giusta attenzione, analizzando le novità principali introdotte dal Codice del 2016 (modificato dal decreto correttivo del 2017, specie con riguardo alle regole procedurali, ai sistemi di aggiudicazione e ai criteri di valutazione), in questo universo instabile, perennemente in bilico tra public law e regole privatistiche, tra mercato nazionale e istanze europee, tra diritto ed economia, tra concorrenza e legalità. I principi generali dell'attività contrattuale della pubblica amministrazione Volendo sintetizzare, in termini generali, i principi applicabili all'attività contrattuale dei pubblici poteri, si può dire che: a) l'amministrazione può sempre fare ricorso al mezzo privatistico e consensuale per perseguire il fine pubblico, laddove verifichi e dimostri, con adeguata motivazione, le ragioni della migliore funzionalità della strada non autoritativa (è stato così ammesso un contratto di acquisto di una cosa futura per la realizzazione di un edificio pubblico in alternativa al binomio pubblicistico espropriazione dell'area-appalto di opera pubblica); b) il contratto della P.A. è un normale atto di diritto privato che, salve diverse norme speciali espresse (di divieto o limitazione: si pensi alle norme che vietano agli enti locali di stipulare contratti derivati, ossia prodotti finanziari ad alto rischio; alle norme che impongono l'inserimento nei contratti pubblici di particolari clausole, come la cd. «clausola sociale», che impone, in determinati settori, all'impresa che si aggiudica un contratto pubblico di mantenere in servizio i dipendenti dell'impresa uscente), soggiace alla ordinary rule of contracts, ossia a tutte le nome del codice civile e del diritto privato (art. 30, comma 8, codice contratti pubblici del 2016; art. 1, comma 1-bis, l. n. 241/1990, già citato), con conseguente assoggettamento delle controversie relative alla sua stipulazione e alla sua esecuzione alla giurisdizione del giudice ordinario (così, a contrario, l'art. 133, comma 1, lettera e), c.p.a., che prevede la giurisdizione esclusiva del G.A. per le sole controversie relative alla procedura amministrativa di scelta del contraente); c) la stipulazione del contatto deve essere preceduta da un procedimento amministrativo che si innesta e va a integrare le regole di diritto privato relative allo schema proposta-accettazione di cui all'art. 1326 c.c. (cosiddetta procedura d'evidenza pubblica; in Francia si parla di tutelle publique). Detta procedura consta di una pluralità di atti di diritto pubblico a monte del contratto, volti a valutare l'interesse pubblico a un certo contratto (cd «determinazione a contrarre») e a scegliere il contraente che offre le condizioni migliori (procedura che si avvia con il bando di gara e culmina con il provvedimento di aggiudicazione); d) gli enti pubblici che stipulano un contratto, a differenza dei privati che sono pienamente liberi di scegliere le proprie controparti contrattuali, sono quindi soggette a regole speciali di natura pubblicistica – limitative dell'ordinaria capacità di agire (Cons. St. V,n. 6281/2002) –, che vogliono tutelare l'interesse della stessa amministrazione alla scelta dell'interlocutore migliore e meno oneroso, anche per proteggere i valori comunitari della concorrenza e della par condicio tra i potenziali competitori; e) l' assenza di un vero padrone dal quale si attende fisiologicamente la tutela dell'interesse della propria organizzazione, impone, in via surrogatoria, l'applicazione, per i contratti pubblici, di regole oggettive che limitino la discrezionalità dell'amministrazione ed evitino patologie, distorsioni e collusioni (Caranta, 8); f) per la loro matrice comunitaria, i principi fondamentali di evidenza sottesi alcodice dei contrattipubblici si applicano anche ai contratti e agli affidamenti esentati, in tutto o in parte, dalla integrale applicazione della normativa in esame (i contratti attivi, gli altri contratti esclusi, le concessioni di beni, gli altri atti attributivi a operatori economici di benefici contendibili); g) i contratti della p.a., dal punto di vista delle procedure di scelta, si dividono in contratti passivi (appalti di forniture, servizi e lavori, con cui la stazione appaltante «compra» la prestazione del privato, corrispondendogli un determinato prezzo), concessioni (contratti di servizi e lavori, che si distinguono dagli appalti in quanto l'amministrazione non paga un corrispettivo, ma riconosce al concessionario, in via esclusiva o in aggiunta a un prezzo, il diritto a gestire per un certo periodo l'opera e il servizio, così traendo, grazie ai prezzi pagati dagli utenti per l'accesso, una remunerazione che lo ripaga della spesa sofferta) e contratti attivi (con cui la P.A. riceve un corrispettivo contro una prestazione che essa eroga a vantaggio del privato: ad es. contratto di locazione o vendita in cui la P.A. funga da locatrice o venditrice); i contratti passivi e le concessioni sono regolati dal codice dei contratti pubblici del 2016, mentre i contratti attivi, fermo l'assoggettamento ai principi del codice (art. 4), sono regolati dalla normativa di contabilità di Stato (r.d. n. 2440/1923 e r.d. n. 824/1924); h) in passato, la collocazione della disciplina del procedimento di evidenza pubblica tra le norme di contabilità evidenziava la precipua finalità perseguita, data dalla garanzia di una gestione sana, corretta ed economica del danaro pubblico, con la preferenza per l'offerta meno onerosa e una tutela solo indiretta della par condicio competitorum; a partire dal recepimento delle direttive comunitarie degli anni '70 e ‘80, e con maggiore chiarezza a seguito della legge Merloni del 1994, del codice del 2006 (d.lgs. n. 163) e del nuovo Codice di cui al d.lgs. n. 50/2016, l'impostazione della normativa è diventata chiaramente pro-concorrenziale e mette, dunque, l'accento sull'apertura del mercato dei contratti pubblici alla concorrenza a livello europeo (art. 30 d.lgs. n. 50/2016) – in attuazione del principio di libera circolazione intracomunitaria delle merci e dei servizi –, sulla rimozione di ogni discriminazione nazionalistica, sulla piena trasparenza delle procedure, sulla garanzia rafforzata della par condicio e sulla preferenza per criteri qualitativi di valutazione («offerta economicamente più vantaggiosa») rispetto a quelli meramente economici («prezzo più basso»); i) in ossequio alle finalità pro-competitive perseguite dallo ius commune europeum, l'obbligo di seguire una procedura trasparente vige non solo in capo ai soggetti tradizionalmente pubblici ma anche per i soggetti privati sottoposti a controlli amministrativi e influenze pubblicistiche (organismi di diritto pubblico, imprese pubbliche, società in house: artt. 3 e 5 Codice); onde evitare l'elusione dei principi comunitari, assume quindi rilievo la pubblicità sostanziale, e non quella formale, con la conseguente necessità di snidare la pubblicità reale che si nasconde dietro la veste formalmente privata; l) a differenza della fase della formazione del contratto, retta da provvedimenti amministrativi e da norme di diritto pubblico, con conseguente giurisdizione del G.A., la fase dell'esecuzione è regolata essenzialmente da norme di diritto privato, con conseguente radicamento della giurisdizione del giudice civile. Prima di passare all'esame della nozione di contratto pubblico, oggetto precipuo del presente capitolo, è opportuno tratteggiare l'evoluzione normativa conosciuta dalla materia, culminata nel varo del codice di cui al d.lgs. n. 50/2016, del decreto legislativo correttivo del 2017 e di una pletora di linee guida, regolamenti e provvedimenti di attuazione. L'autonomia procedurale degli Stati membri dell'UE nella scelta legislativa del modello di affidamento Sviluppando considerazioni simili in precedenza svolte sui rapporti tra auto-produzione ed esternalizzazione (vedi commento all'art. 5), la Corte di Giustizia, con Ordinanza, 26 novembre 2020, in C-835/19, ha ritenuto legittimo l'art. 188, comma 8-bis del Codice dei contratti pubblici, nella parte in cui vieta il project financing in tema di concessioni auto-stradali, in quanto la direttiva 2014/23/UE dev'essere intesa nel senso che uno Stato membro può legittimamente impedire la procedura della finanza di progetto per la concessione della gestione autostradale. In assenza di specifici vincoli europei, la sfera legislativa (che rientra nel concetto di autorità nazionale ex art. 2 direttiva) può quindi ridurre la libertà di procedura della singola stazione appaltante. La Corte di Giustizia afferma che le «autorità nazionali, regionali e locali» di cui all'art. 2 della Direttiva possano liberamente decidere di espletare i loro compiti di interesse pubblico, avvalendosi delle proprie risorse o in cooperazione con altre autorità o, ancora, conferendo tali compiti agli operatori economici. Tali soggetti «nazionali, regionali e locali» a cui si fa riferimento non sono le Amministrazioni aggiudicatrici, bensì le autorità dotate di potere legislativo. Quindi, la Direttiva 2014/23/UE non potrebbe mai privare uno Stato membro della libertà di privilegiare un modo di gestione (precedente alla fase della procedura di aggiudicazione) a discapito di un altro. Qualora, dunque, la scelta politica operata dalle autorità nazionali, regionali e locali sia di privilegiare un modo di gestione particolare – nel caso di specie, il divieto di optare per la procedura della finanza di progetto – le Amministrazioni aggiudicatrici godranno solo di una libertà condizionata. La Corte di Giustizia ritiene, pertanto, che il legislatore italiano abbia legittimamente optato per un sistema di gara pubblica, vietando l'aggiudicazione alternativa costituita dal project financing, nell'intento di evitare qualsiasi tipo di vantaggio ai concessionari uscenti, dal momento che il settore delle concessioni autostradali è stato aperto alla concorrenza solo recentemente. Questioni applicative: cos'è il contratto pubblico?È ora venuto il momento della fatidica domanda. Cos'è il contratto pubblico? Quali ne sono gli elementi e i presupposti? Sotto il profilo soggettivo, il contratto pubblico richiede, come detto, la necessaria «soggettività» pubblica intesa in senso ampio. La nozione di soggetto pubblico è, in questa materia, allargata in quanto, almeno in tema di appalti e di concessioni, in coerenza con il modello elastico di P.A. di cui all'art. 7, comma 2, del Codice del processo amministrativo, sono considerati soggetti pubblici, ai fini delle procedure di gara finalizzate alla stipula di contratti pubblici, non solo gli enti pubblici, ma anche soggetti privati equiparati quoad materiam, quali gli organismi di diritto pubblico, le imprese pubbliche e le società pubbliche di cui al d.lgs. n. 175/2016. La ragione di questa nozione «panciuta» di ente pubblico, ai fini degli appalti, è evidente e risiede nel principio comunitario dell'effetto utile. Posto, infatti, che scopo delle norme comunitarie in materia di appalti sono l'apertura del mercato, l'affermazione della concorrenza comunitaria e il superamento di barriere nazionalistiche, si deve all'uopo accedere a una nozione ampia di stazione appaltante, che costringa a seguire le regole di evidenza anche soggetti privati che siano sottoposti a un decisivo controllo pubblico. Si deve snidare la pubblicità reale che si nasconde sotto la veste formale, altrimenti si consentirebbe alle pubbliche amministrazioni di eludere i vincoli comunitari, creando società sotto il controllo pubblico attraverso cui affidare a terzi, senza gara, compiti inerenti a servizi, opere o forniture. Non è quindi decisiva la qualità formale di chi formalmente stipula il contratto, ma la veste sostanziale di chi detiene il potere decisorio e lo esercita attraverso il veicolo di una sua propaggine privatistica e societaria. Ai fini comunitari per contratto si intende, inoltre, un atto che crea un vincolo tra soggetti, non solo formalmente ma anche sostanzialmente, diversi e distinti. è cioè necessaria un'intersoggettività non solo formale, ma sostanziale. Non c'è vero contratto – e quindi non sussiste obbligo di gara ai fini della selezione del contraente – se uno dei contraenti esercita sull'altro un controllo tale da annientare la sua autonomia decisionale e da escludere una vera distinzione. Occorrre, quindi, una distinzione sostanziale quindi tra le due aprti: la parte affidante del contratto pubblico (un soggetto pubblico, nozione da declinare in senso ampio e sostanziale, si da comprendere anche soggetti formalmente privati come in house, organismi, imprese pubbliche e soggetti privati titolari di diritti speciali ed esclusivi: art. 9); e l'affidatario che deve essere un operatore economico (art. 45), titolare, anche grazie a raggruppamenti, subappalto o avvalimento (art. 89), di requisiti generali e speciali; morali, tecnici ed economici) Per questa ragione non viene in rilievo l'obbligo di evidenza pubblica (art. 5 del Codice dei contratti pubblici e art. 2 comma 1, lett. o), del testo unico delle società pubbliche di cui al d.lgs. n. 175/2016 e al correttivo di cui al decreto n. 100/2017) nel caso dell' in house providing, ossia quando venga in luogo un fenomeno di auto-produzione in ragione del controllo esercitato dall'ente pubblico affidante sulla società affidataria, analogo a quello esercitato sui suoi uffici e servizi. Viene a galla, per dirla con la sentenza Rordorf 6896/2009 della Corte di Cassazione (ma vedi anche Cass. S.U., n. 7293/2016), una relazione priva di reale intersoggettivitá, in quanto il carattere penetrante dello ius vitae ac necis dell'ente pubblico socio unico (o dominante) sulla società finisce per squarciare il velo che normalmente separa la società dal socio, trasformando la prima in un mero organo (con personalità giuridica) del secondo e impedendo la configurazione di una reale differenziazione tra i due soggetti e i relativi patrimoni (sul tema si rinvia amplius a quanto si dirà nel commento all'art. 5). Al contratto pubblico si applica il diritto privato comune o un diritto privato speciale? Nonostante la loro imputazione a un soggetto pubblico, i contratti della pubblica amministrazione sono a tutti gli effetti atti di diritto privato, in quanto espressione di autonomia privatistica e non di potestà pubblicistica. Troviamo conferma dell'assunto nell'ultimo comma dell'art. 30 del Codice, che, riprendendo la disciplina dettata dall'art. 2, del Codice del 2006 e la regola generale dipinta dall'art. 1, comma 1-bis, della l. n. 241/1990, assoggetta i contratti delle pubbliche amministrazioni alle regole del codice civile e del diritto comune, se non diversamente disposto. L'apparente contraddizione tra matrice privatistica dei contratti e universale tensione dell'agire dei soggetti pubblici a fini di pubblico interesse va risolta scindendo la sorte dell'atto dal regime del procedimento che lo autorizza e lo giustifica. Le ragioni di interesse pubblico che sono alla base della decisione di stipulare un contratto vanno evidenziate nel procedimento di evidenza pubblica a monte, attraverso il quale occorre verificare se la pattuizione sia in sé di interesse pubblico, quale sia il contenuto all'uopo migliore e chi sia il contraente più affidabile. Una volta sciolti questi nodi attraverso la procedura amministrativa, espressione in quanto tale di public power e sottoposta, pertanto, alle regole di evidenza pubblica, il contratto in quanto tale è un atto di diritto privato, non qualificabile come atto amministrativo. Esso deve pertanto essere assoggettato alle norme di diritto comune ed esonerato dal doveroso controllo gius-pubblicistico, attraverso il grimaldello dell'eccesso di potere, di idoneità al perseguimento dell'interesse pubblico. Sul punto, si potrebbe citare, a titolo comparativo, l'analogo problema prospettatosi per il rapporto di impiego, laddove gli atti di organizzazione degli uffici di gestione dei rapporti di lavoro privatizzati non sono più atti amministrativi, dal momento che non è più giuridicamente rilevante e, quindi, non è più passibile di sindacato giurisdizionale l'idoneità dell'atto al perseguimento del fine pubblico. Ne deriva una netta scissione, sul piano del regime giuridico e del riparto di giurisdizione (art. 133, comma 1, lett. e), c.p.a.), tra procedimento amministrativo di evidenza pubblica finalizzato alla scelta del contraente e stipula del contratto con il vincitore della gara. Il primo è una procedura pubblicistica, sottoposta naturaliter al sindacato del giudice amministrativo; il contratto, invece, espressione di autonomia privatistica, è sottoposto al vaglio del giudice dell'autonomia privata, ossia il giudice civile. Droit administratif e common law si stringono le mani, regolando, rispettivamente, la proceduta di gara – soggetta alla public law – e il rapporto contrattuale, sottoposto a regolamentazione privata e allo schietto «principio di contrattualità». Ne consegue, altresì, il superamento della tradizionale propensione pretoria a inquinare i due piani d'indagine, dando la stura a un diritto privato extra ordinem che prevedeva una vera immunità della pubblica amministrazione dalle regole del diritto civile o, comunque, una ragionevole specialità della sua disciplina. Il diritto privato si applica anche ai contratti della P.A. non se non sia incompatibile ma in quanto è necessariamente compatibile, salve eccezioni espresse, con atti integralmente privatistici. Non più, quindi, «riallineamento bilanciato», come è stato efficacemente detto, ma soggezione integrale alle norme del diritto privato. Si deve, allora, concludere, in adesione alla giurisprudenza oramai consolidata, che: a) anche ai contratti pubblici si applica la disciplina privatistica in tema di esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere il contratto ex art. 2932c.c., in quanto una decisione del giudice che sanzioni l'inadempimento di un obbligo di stipulazione definitiva, imponendo o sancendo il contratto definitivo omesso, non implica l'ingerenza in scelte relative al merito amministrativo ma l'adozione di una statuizione giurisdizionale consequenziale alla violazione di un impegno di diritto privato (Cass. S.U., n. 5838/1983 eCass. S.U., 12309/1992, secondo cui «è possibile esperire nei confronti della p.a. ogni tipo di azione esecutiva in forma specifica, exartt. 2930,2931,2932,2933 c.c.», con la sola eccezione dell'ineseguibilità in forma specifica di obblighi aventi a oggetto prestazioni infungibili, motivata pur sempre dal fatto che «l'autorità giudiziaria ordinaria non deve interferire sull'atto amministrativo in senso stretto»; al di fuori della presenza di tale atto trova «applicazione integrale il principio della tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi che, secondo il precetto di cui all'art. 24 Cost., deve essere completa e non soffre eccezioni»); b) anche alla pubblica amministrazione che predispone condizioni generali o che funga da professionista si applicano la disciplina di legge in materia di condizioni generali di contratto vessatorieex art. 1341, comma 2,c.c. e la normativa consumeristica che prevede la nullità di protezione delle clausole abusive (art. 33cod.consumo), in quanto l'astratta imparzialità dei soggetti pubblici non toglie che in concreto si possano verificare abusi e scorrettezze tali da imporre l'applicazione della disciplina di tutela del contraente debole (Cass. I,n. 4832/1984;Cortecost. n. 61/1988); c) anche alla pubblica amministrazione si applicano gli obblighi comportamentali in pendenza di condizione (in particolare, l'art. 1358c.c.), con conseguente responsabilità della pubblica amministrazione laddove il mancato avveramento della condizione (ad esempio l'approvazione del contratto richiesta dalla legge come condicio iuris) sia imputabile a comportamento colposo del contraente pubblico (sulla configurabilità della responsabilità precontrattuale di carattere privatistico prima ancora dell'aggiudicazione, e, quindi, dell'inizio di una trattativa personalizzata tra soggetti determinati, è intervenuta la recente pronuncia delCons. St., Ad. plen.,n. 5/2018). d) anche alla p.a. si applica la normativa in materia di interessi moratori (art. 1224 c.c.) e di reazione ai ritardi di pagamento (d.lgs. n. 231/2002), in quanto le regole di contabilità pubblica che proceduralizzano i pagamenti dei soggetti pubblici hanno rilevanza puramente interna se non sono trasfuse nel contratto come regole pattizie sui termini di pagamento (Cass. S.U., n. 3451/1985 secondo cui la P.A. è tenuta al pagamento di interessi moratori per ritardo di pagamento, anche se il titolo di spesa non sia stato emesso, non avendo rilevanza esterna nei rapporti con il creditore ogni circostanza attinente alle procedure e ai tempi necessari per l'emissione del titolo); e) anche ai contratti pubblici si applica il principio di parità delle parti (principio statunitense dell'equality before the law, con il collegato principio di sanctity del contratto, che esclude l'ammissibilità di un generale diritto di recesso (termination for convenience) del contraente pubblico collegato a una clausola universale rebus sic stantibus (Cass. V,n. 207/1987; vedi art. 21-sexies della l. n. 241/1990, che considera eccezionali i casi di recesso previsti dalla legge e dai contratti); f) anche ai contratti pubblici si applica il principio di irrilevanza dei motivi soggettivi, salve le eccezioni ex art. 1345 c.c.; pertanto l'inidoneità del contratto a servire l'interesse del contraente pubblico non è causa di invalidità se tale motivo non si sia obietivizzato alla stregua di causa (o consideration) del contratto; g) anche ai contratti pubblici si estende (vedi Cass. S.U., n. 7842/1994) la disciplina in materia di responsabilità precontrattuale ex artt. 1337 e1338c.c. (species del genus della responsabilità contrattuale da contatto sociale secondo l'ultima giurisprudenza della Cassazione) se la P.A., nel corso della procedura di evidenza o a valle di essa, abbia trasgredito le regole privatistiche di correttezza e trasparenza. h) la controparte privata gode del generale diritto di contestare l'inadempimento del soggetto pubblico (breach of contract) con l'azione di risoluzione ( termination )ex art. 1453c.c. e facendo valere il principio inadimplenti non est adimplendum (Cass. S.U., n. 5232/1985). Ce n'è abbastanza per dare atto del passaggio da una « public law of contracts » a una « law of public contracts », ove è chiaro che il profilo pubblicistico riguarda la qualità del soggetto stipulante, non il regime del contratto stipulato. Va osservato infine, a parziale temperamento della separatezza tra la fase pubblicistica a monte e quella privatistica a valle, che: a) è controverso in dottrina e giurisprudenza se, a valle dell'aggiudicazione definitiva, la P.A. sia titolare del potere discrezionale di decidere se stipulare o, piuttosto, di un obbligo privatistico coercibile ex art. 2932 c.c.; b) l'azzeramento giurisdizionale della procedura di gara ha come effetto la possibile caducazione ope iudicis del contratto secondo le regole flessibili sancite dagli artt. 121 e ss. del c.p.a.; c) è dubbio, infine, se, anche dopo la stipula, la P.A., in aggiunta agli eccezionali poteri privatistici di recesso e risoluzione, sia titolare anche dei generali poteri di autotutela pubblicistica ex art. 21-quinquies e nonies della l. n. 241/1990, con effetti caducanti sul contratto nelle more stipulato (vedi capitolo sull'autotutela). L'autonomia negoziale della pubblica amministrazione ha carattere generale o eccezionale? S'è già osservato che la locuzione «contratto pubblico» è un ossimoro apparente, che va sciolto sulla base della teoria della doppia personalità e capacità (art. 11 c.c.) dei public bodies, per cui la P.A. è anche un soggetto di diritto comune, titolare di una generale capacità privatistica («l'attività privatistica ha carattere istutuzionale», osserva Giannini); e, quindi, di una diffusa autonomia negoziale che non è sottoposta a generali limiti quantitativi o tipologici, ma solo, oltre che a norme speciali limitative (cd «riduttive della capacità») ex art. 1418, comma 1, al limite teleologico del ‘vincolo di scopo» («nec ultra vires»). Sono quindi ammissibili, in assenza di divieti specifici (come per i contrati di società ex art. 4 del T.U. n. 175/2016 e per i derivati finanziari exlege 147/2013), tutti i contratti- anche liberali, gratuiti, atipici e misti- che in concreto siano sorretti da una causa compatibile con gli scopi istituzionali, comprese donazioni, acquisti di cose future da costruire, fideiussioni e contratti in favore di terzi e aleatori; la P.A. gode, quindi, di una generale autonomia negoziale che le consente di affiancare all'attività privata, diretta alla cura dei propri interessi nel disimpegno di attività di ordine interno (cosiddetta attività strumentale per il funzionamento degli uffici pubblici), anche l'attività in forma privata, ossia un'attività funzionale al perseguimento dell'interesse pubblico e alla cura dell'interesse collettivo; il singolo contratto è ex se atto di diritto privato, ma l'attività contrattuale ne suo complesso è attività amministrativa, ossia esercizio di funzione pubblica in quanto soggetta a vincolo di scopo (cd. attività di diritto privato equivalente, da distinguere da quella di diritto privato istituzionale che caratterizza i soggetti pubblici che agiscono essenzialmente con strumenti di diritto comune (enti pubblici economici e società pubbliche). Segue. La pubblica amministrazione può compiere atti di liberalità? Principalmente sono due i filoni interpretativi che si contrappongono. L'indirizzo c.d. pubblicistico sostiene la tesi negativa, affermando che esiste un'incompatibilità fra l'atto di liberalità e il fine pubblico che gli enti devono perseguir (C. conti Lombardia, sezione di controllo, ladeliberan. 164/2019, fermamente contraria al riconoscimento della capacità dell'ente pubblico di realizzare donazioni; tale modello non è praticabile neanche in caso di donazioni modali, nelle quali il modo consista in una prestazione a favore della stessa Pubblica Amministrazione ed assorba il valore della donazione, pare possibile; anche con tale negozio, infatti, si soddisferebbe solo in via accessoria un interesse dell'ente). A sostegno della tesi negativa si valorizzano i principi generale di redditività e di valorizzazione del patrimonio, ricavabili dalle norme in tema di dismissione e vendita di bei pubblici. Si veda l'art. 3,comma 1 del r.d. n.2440/1923, ove si stabilisce che gli atti di alienazione di beni pubblici devono essere ricondotti nell'ambito dei «contratti attivi», dai quali deve conseguire un'entrata nel bilancio dell'ente, con la conseguenza immediata che, in linea generale e in assenza di una previsione normativa, non sono riconducibili alla facoltà di un ente locale atti di liberalità che non rispondano, patrimonialmente, a un interesse pubblico. Cfr. anche l'art. 12, comma 2 della l. n. 127/1997, il d.l. n. 351/2001, l'art. 3, comma 18 della l. n. 350/2003, l'art. 58 del d.l. n. 112/2008, l'art. 56-bis, comma 11 della l. n. 69/2013. La donazione si presume così incompatibile con la capacità giuridica riconosciuta agli enti pubblici, in assenza di legge eccezionale di autorizzazione. In senso favorevole si orienta invece la dottrina prevalente (Caringella, cit.), che ricava la soluzione dell'astratta ammissibilità dall'assenza di un divieto normativo e dall'applicazione del generale principio di autonomia negoziale dei soggetti pubblici (art. 1, comma 1-bis, l. n. 241/1990). Ne deriva, secondo questa lettura, la praticabilità dell'atto liberale ove, in concreto, come nel caso di donazione modale o di fine pubblico pregnante quale la riqualificazione/bonifica di territori degradati o il perseguimento di obiettivi solidaristici, la donazione sia compatibile con il vincolo di scopo in capo al donante e rispetti i canoni di economicità, adeguatezza e proporzionalità. Conseguentemente la possibilità di effettuare una donazione modale, piuttosto che un diverso atto traslativo della proprietà, rientra nell'esclusiva competenza e responsabilità dell'amministrazione che dovrà accertare, sulla base della situazione concreta, se la cessione gratuita del bene in questione realizza la migliore e corretta gestione del patrimonio pubblico ed il soddisfacimento di un interesse pubblico. Segue. Quando si può ricorrere alla compravendita di cosa futura in alternativa al classico appalto? Con parere del 17 febbraio 2000, sez. I, n. 38/1999 e 2/2000, l'Adunanza Generale del Consiglio di Stato è stato affrontato il dubbio da cui prende le mosse la richiesta di parere facoltativo avanzata dall'amministrazione dell'Interno, concernente la legittimità del procedimento di acquisto di fabbricati su progetto. Si tratta, cioè, di verificare la possibilità della legittimazione delle Amministrazioni dello Stato a stipulare contratti di compravendita di cose future, secondo la disciplina contenuta nell'art. 1472c.c. Con precedenti pareri della sez. III n. 1368/1993; n. 1046/1996, il Consiglio aveva implicitamente dato al quesito di massima una risposta positiva. Peraltro la stessa terza sezione aveva in seguito e avvertito l'esigenza di riesaminare funditus la questione onde accertare la permanente validità delle precedenti conclusioni, alla luce delle notevoli immutazioni che, soprattutto nel più recente periodo, sono state apportate alla materia dei contratti pubblici (sez. III n. 596/1999). La terza Sezione, muovendo dalla premessa che nel nostro ordinamento tutte le persone giuridiche, pubbliche o private, hanno la medesima capacità giuridica, ha osservato come «la possibilità di realizzare opere pubbliche o di pubblico interesse fuori del tipico procedimento dell'appalto si riscontra altresì sia nell'innovativa procedura dei cosiddetti financing projects, sia nella figura del promotore, recentemente disciplinata dall'art. 37-bis della l. n. 109/1994». Ha osservato inoltre, avuto riguardo alla normativa comunitaria, che il contratto di compravendita di immobili non ancora esistenti, per un verso, è escluso dall'ambito della direttiva servizi (art. 5, comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 157/1995), e per altro verso non è riconducibile alla nozione di appalto, giacché la volontà delle parti ha ad oggetto diretto solo il trasferimento della proprietà del bene e non già il lavoro occorrente per produrre il bene medesimo. Nel predetto parere n. 596/1999 la Sezione, pur concludendo nel senso che «l'acquisto di un immobile (anche se ancora da realizzare) non rientri nella disciplina delle opere e lavori pubblici», ha quindi avvertito l'esigenza di dettare una serie di prescrizioni atte a delimitare il rispettivo ambito di operatività dei due istituti. In particolare, ha ritenuto che per poter far ricorso all'acquisto di cosa futura, occorre che: a) l'immobile da acquistare possegga caratteristiche che lo rendano infungibile per effetto ad esempio della localizzazione in una specifica zona del territorio; b) l'immobile abbia la destinazione urbanistica prevista dal PRG; c) sia compiuta una valutazione costi-benefici; d) l'oggetto del contratto sia esaustivamente determinato sin dal momento della stipulazione. L'Adunanza Generale sposa nel 2000 questa linea mediana, in base alla quale non basta verificare la legittimazione negoziale del soggetto pubblico, sotto il profilo del diritto comune, ma occorre altresì appurare che non vi siano limiti derivanti dalla disciplina pubblicistica che ha procedimentalizzato l'azione dell'Amministrazione. Anzi quest'ultima verifica presenta carattere preliminare, in quanto delimita il campo dell'agire possibile; ossia consente di definire l'ambito tipologico nel quale effettuare la scelta del contratto da utilizzare. Tale verifica va compiuta in relazione a due distinti ambiti ordinamentali: quello interno regolato dal diritto nazionale e l'altro comunitario governato dal diritto dell'Unione europea. Elemento caratteristico ed essenziale dell'appalto è l'elemento dinamico del lavoro, rispetto al quale l'elemento statico rileva solo come prodotto finale o risultato del primo, connesso all'interesse economico sostanziale di una delle due parti. Nella vendita, al contrario, l'elemento essenziale e qualificante del negozio è il trasferimento di un diritto reale di una cosa e l'oggetto del contratto è un dare. Pertanto, nella vendita di cosa futura, che si differenzia dalla figura generale per gli effetti meramente obbligatori che esso produce, l'eventuale attività di produzione, esecuzione e realizzazione del bene immobile da parte del venditore appartiene, come già si è detto, alla sfera interna del venditore medesimo, sul quale grava la cura, il rischio, l'iniziativa e la spesa della costruzione, in ordine alla quale l'obbligazione di facere o non rileva affatto, oppure si pone su un piano accessorio e strumentale rispetto all'obbligazione di dare sul quale l'acquirente non svolge di norma alcuna attività di controllo e verifica in corso d'opera (Cass. n. 180/1960; n. 806/1961; n. 4020/1983; n. 811/1992; n. 2952/1993; n. 11643/1997). Ritiene pertanto l'Adunanza, in punto di diritto, che l'istituto della compravendita di cosa futura non sia stato espunto dall'ordinamento con il sopravvenire della più recente legislazione sui lavori pubblici, salvo, poi, verificare se, in concreto, l'amministrazione abbia stipulato un contratto di vendita o di appalto: verifica che tuttavia va svolta sul piano del merito, secondo i criteri di rilevazione (intento delle parti, obbligazioni dedotte, etc.) elaborati dalla giurisprudenza, i quali non intaccano ma anzi presuppongono la distinzione giuridica fra tipi negoziali giuridicamente ammissibili (cfr. per tutte Cass. n. 2519/1977). Quanto al rischio di possibile abuso del ricorso a tale forma di contrattazione per l'acquisizione di un'opera pubblica (Cons. St. V,n. 1257/1994), è necessario apporre rigorosi limiti esterni e interni al potere di contrattare in quella stessa forma, in base ai principi generali già ricordati a proposito dell'autonomia negoziale dei soggetti pubblici. L'abuso del diritto, come già rilevato dalla dottrina privatistica, è un problema di controlli e limiti sulla quantità e modalità di esercizio, di difformità tra i motivi dell'agire e le ragioni di tutela legislativa dell'azione; esso, pertanto, non può condurre al divieto del diritto medesimo, o, quel che è lo stesso, alla sua riconduzione a schemi legali, che ne renderebbero inapplicabili le caratteristiche strutturali e dinamiche e si risolverebbero nella sua soppressione di fatto. In altri termini, sembra tuttora ammissibile il ricorso alla compravendita di cosa futura, ma solo nei ristrettissimi limiti in cui l'opera da «realizzare» o, meglio, da acquisire, costituisca, secondo un ampiamente motivato e documentato apprezzamento dell'amministrazione, un bene infungibile, con riguardo alle sue caratteristiche strutturali e topografiche, (cfr. par. sez. III, n. 596/1999) ovvero un «unicum» non acquisibile in altri modi (cfr. T.A.R. Lazio (Roma) II, n. 1390/1993), ovvero a prezzi, condizioni e tempi inaccettabili per il più solerte perseguimento dell'interesse pubblico. Discende, da tale impostazione, che tra le due ipotesi estreme di liberalizzazione del negozio di vendita e di sua riconduzione sic et simpliciter nell'ambito della disciplina degli appalti pubblici, possa ritenersi che l'esperibilità della vendita di cosa futura sia in astratto o ammissibile ma in concreto condizionata dalla ricorrenza di situazioni eccezionalissime e delle condizioni già in parte individuate dal citato parere n. 596/99, le quali possono anzitutto riassumersi nella necessità – dettata dalla finalità di evitare intenti elusivi del principio tendenziale e generale del procedimento d'appalto – che l'amministrazione valuti preventivamente la possibilità di ricorrere alle procedure ordinarie di realizzazione delle opere pubbliche e, ove ne verifichi la non praticabilità in relazione a specialissime, motivate e documentate esigenze di celerità, funzionalità ed economicità, scelga di acquisire l'immobile secondo il meccanismo della compravendita. In altri termini, e per esplicitare ancora meglio i rigorosi e angusti limiti entro i quali va circoscritta la possibilità del ricorso all'istituto contrattuale in parola, l'amministrazione, sulla base di una puntuale, completa e trasparente attività istruttoria, dovrà dare conto di una serie complessa di accertamenti e valutazioni, il cui rispetto non può non incidere sulla legittimità della scelta discrezionale di addivenire alla formalizzazione del tipo contrattuale in parola. Che rapporto corre tra la procedura amministrativa di evidenza pubblica e la stipula del contratto privatistico? Come detto, il contratto di diritto privato, come ogni atto negoziale, deve essere preceduto da una procedura amministrativa (tutelle publique) tesa ad evidenziare l'interesse pubblico da perseguire, in omaggio al vincolo di scopo, secondo il cd «principio di rilevanza del fine» che connota la cd «attività di diritto privato equivalente». Detta procedura mira a combinare il tradizionale scopo contabilistico dell'efficiente allocazione delle risorse pubbliche con quello europeo finalizzato alla tutela della concorrenza attraverso regole oggettive che correggono la naturale estraneità del soggetto pubblico alle logiche e alla pressione del mercato; la ratio dell'evidenza pubblica è, quindi, quella di assicurare l'efficiente allocazione delle risorse pubbliche e la tutela rafforzata delle prerogative concorrenzialità di partecipazione. Sotto questo secondo punto di vista il diritto dei contratti pubblici è ormai, a tutti gli effetti, una branca del diritto della concorrenza, che regola ma non impone il ricorso al mercato. A seconda della soglia (artt. 35/36) e dell'oggetto (settori ordinari, speciali o particolari), la gara segue procedure aperte, ristrette, negoziale o affidamenti diretti (gli spazi per affidamenti e negoziazioni senza bando sono stati accentuati, per le procedure indette fino al 31 dicembre 2021, dal d.l. Semplificazioni n. 76/2021 (conv. dalla l. n. 120/2021, in ragione della situazione emergenziale pandemica; in caso di procedure diverse dagli affidamenti diretti; i criteri di valutazione delle offerte sono il prezzo più basso o l'offerta economicamente più vantaggiosa. La procedura di evidenza pubblica, inaugurata dalla determina a contrarre e dal bando o atto equivalente, si conclude con un provvedimento (l'aggiudicazione) che legittima, a guisa di atto presupposto e di fattore autorizzativo, la stipulazione del contratto ma non perfeziona direttamente il contratto (art. 32 comma 6: vedi commento). Viene, quindi, respinta la lettura privatistica (recepita per i contratti attivi, con noma derogabile perché non imperativa, dall'art. 16, comma 4 del r.d. n. 2440/1923), secondo cui la procedura amministrativa di gara sarebbe anche un'attività privatistica di esercizio dell'autonomia negoziale; e si sancisce la qualificazione della procedura di gara come procedimento esclusivamente amministrativo che culmina con l'atto di scelta del soggetto con cui stipulare il contratto all'esito della successiva fase negoziale, caratterizzata dalla libera e autonoma esplicazione della volontà negoziale delle parti; si tratta del cd. principio di scissione, di derivazione europea, tra gara e contratto (cd. teoria del doppio grado, accentuata dallo stand still sostanziale e processuale). L'aggiudicazione non è, quindi, atto costitutivo a effetto negoziale, ossia elemento costitutivo che integri, ab intra, la volontà o la capacità dell'ente, ma atto presupposto, a carattere autorizzativo, ab externo, che incide sul piano funzionale del rapporto, non sul versante genetico dell'atto. La netta autonomia tra momento pubblicistico e dinamica negoziale porta a escludere che il contratto stipulato all'esito di una gara illegittima o mancata sia nullo per mancanza di elemento essenziale (causa, forma, consenso); o annullabile per vizio della capacità o della volontà (artt. 1425 o 1429, nn. 3 e 4): l'autonomia della fase privatistica impedisce, infatti, di ritenere che la patologia dell'evidenza pubblica implichi deficienza strutturale del contratto per carenza di elemento essenziale o deficienza di un requisito per la libera espressione della volontà contrattuale; la sorte del contatto è quindi una questione effettuale, da risolvere con lo strumento dell'inefficacia relativa o della caducazione automatica (vedi, sul punto, commento agli articoli 12° 2 seguenti del codice del processo amministrativo, che fissano la regola dell'inefficacia per via giudiziaria: l'inefficacia del contratto (speciale, graduabile e variabile) exartt. 121,122 e 133 del c.p.a. è pronunciata dal giudice amministrativo, su domanda, con pronuncia costitutiva di carattere risolutorio (T.A.R. Lazio (Roma) III-bis, n. 1737/2021). La stazione appaltante ha l'obbligo di stipulare il contratto con l'aggiudicatario? La lettura forte della dicotomia procedimento amministrativo- negoziazione privata porta anche la prevalente giurisprudenza a escludere non solo che l'aggiudicazione sia contratto (bilaterale, claudicante o patto di opzione o «pactum de contrahendo»), ma anche che dia luogo ex lege a un vincolo bilaterale, o anche solo unilaterale, alla futura stipulazione. Dopo l'aggiudicazione viene quindi in rilievo in capo al vincitore solo un interesse legittimo, tutelabile ai sensi degli artt. 31 e117c.p.a. (T.A.R. Lazio (Roma) II, n. 12400/2015, secondo cui dopo l'aggiudicazione il privato è titolare di un interesse legittimo pretensivo a stipulare e di uno oppositivo a conservare l'aggiudicazione. C'è comunque, in capo alla P.A. un dovere amministrativo di assumere una determinazione formale, la cui violazione consente l'azione innanzi al g.a. per ottenere una pronuncia che, a seguito del rito del silenzio, costringa la P.A. a definire il procedimento. Vedi, amplius, il commento all'art. 32. È possibile l'autotutela pubblicistica dopo il contratto? Rinviandosi ai commenti agli artt. 32, 108 e 109, rileva solo in questa sede ricordare che, nei settori regolati dal codice, dopo il contratto non è possibile, secondo la tesi prevalente, la revoca dell'aggiudicazione (sia perché preclusa dal recesso ex art. 109, sia perché l'aggiudicazione esaurisce il suo effetto con la stipulazione e non è quindi passibile con lo strumento della revoca che, operando ex nunc, presuppone un atto a efficacia perdurante al momento del ritiro. Per l'annullamento, invece, si contrappongono le tesi di chi esclude «in toto» l'annullamento in autotutela incompatibile con l'avventura stipula; quella secondo cui l'annullamento d'ufficio è regolato in modo restrittivo ed esclusivo dalla normativa speciale di cui al primo comma; e quella di chi reputa coesistere l'annullamento senza limiti temporali dell'art. 108 e quello generale e limitato ex art. 21-nonies l. n. 241/1990. Sul connesso tema della giurisdizione, T.A.R. Lombardia-Milano, IV, sentenza 9 febbraio 2022, n. 312 ha affermato che è competente il G.O. in caso di impugnazione congiunta della revoca dell'aggiudicazione e della risoluzione dell'appalto. Le controversie sulla fase esecutiva dell'appalto sono, infatti, devolute alla cognizione del giudice ordinario, riscontrandosi una simmetria tra la pubblica amministrazione ed il contraente, che si sostanzia in un rapporto di natura privatistica. Pertanto la giurisdizione del G.O. si estenderà anche alla revoca dell'aggiudicazione poiché è espressione dello stesso potere iure privatorum che ha condotto alla risoluzione contrattuale. Quale futuro per il Codice? Gli obiettivi del PNRRIl 27 maggio 2020, la Commissione europea ha proposto lo strumento Next Generation EU, finanziato con 750 miliardi di euro, oltre a un rafforzamento mirato del bilancio a lungo termine dell'UE per il periodo 2021-2027. Il 21 luglio 2020, durante il Consiglio Europeo, i capi di Stato o di governo dell'UE hanno raggiunto un accordo politico sul pacchetto. Nel settembre 2020, il Comitato interministeriale per gli Affari Europei (CIAE) ha approvato una proposta di linee guida per la redazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che è stata sottoposta all'esame del Parlamento italiano. Il 13 e 14 ottobre 2020 le Camere si sono pronunciate con un atto di indirizzo che invitava il Governo a predisporre il Piano garantendo un ampio coinvolgimento del settore privato, degli enti locali e delle forze produttive del Paese. Nei mesi successivi, ha avuto luogo un'approfondita interlocuzione informale con la task force della Commissione europea. Il 12 gennaio 2021 il Consiglio dei ministri ha approvato una proposta di PNRR sulla quale il Parlamento ha svolto un approfondito esame, approvando le proprie conclusioni il 31 marzo 2021. Il Governo ha provveduto ad una riscrittura del Piano, anche alla luce delle osservazioni del Parlamento. Nel mese di aprile 2021, il PNRR è stato discusso con gli enti territoriali, le forze politiche e le parti sociali e approvato dal Consiglio dei Ministri il 29 aprile 2021. Tra gli obiettivi di semplificazione previsti dal PNRR c'è ovviamente il settore dei contratti pubblici con riferimento al quale la semplificazione di tutte le fasi procedimentali (non solo la fase di affidamento, ma anche quelle di pianificazione programmazione e progettazione) è considerata «obiettivo essenziale per l'efficiente realizzazione delle infrastrutture e per il rilancio dell'attività edilizia: entrambi aspetti essenziali per la ripresa a seguito della diffusione del contagio da Covid-19». Si intende raggiungere il predetto obiettivo, in primo luogo, con misure di carattere urgente, mediante un d.l. (da approvare entro maggio 2021) che introduca una normativa speciale sui contratti pubblici che rafforzi le semplificazioni già varate con il Decreto Semplificazioni e ne proroghi l'efficacia fino al 2023, con particolare riguardo alle seguenti misure: Le misure urgenti sono adottate con d.l. Le misure a regime saranno varate utilizzando lo strumento della legge delega. Il disegno di legge delega è da presentare in Parlamento entro il 31 dicembre 2021 e si prevede che i decreti legislativi vengano adottati entro nove mesi dall'entrata in vigore della legge delega. - Verifiche antimafia e protocolli di legalità; - Conferenza di Servizi veloce; - Limitazione della responsabilità per danno erariale ai casi in cui la produzione del danno è dolosamente voluta dal soggetto che ha agito, ad esclusione dei danni cagionati da omissione o inerzia; - Istituzione del collegio consultivo tecnico, che ha funzioni di assistenza e di risoluzione delle controversie con finalità di definire celermente le controversie in via stragiudiziale e ridurre il contenzioso davanti al giudice; - Individuazione di un termine massimo per l'aggiudicazione dei contratti, con riduzione dei tempi tra pubblicazione del bando e aggiudicazione; - Individuazione di misure per il contenimento dei tempi di esecuzione del contratto, in relazione alle tipologie dei contratti. Più ampie e incisive si profilano le misure a regime che sarà ispirata all'obiettivo di recepire le norme delle tre direttive UE (2014/23, 24 e 25), integrandole esclusivamente nelle parti che non siano self executing e ordinandole in una nuova disciplina più snella rispetto a quella vigente, che riduca al massimo le regole che vanno oltre quelle richieste dalla normativa europea, anche sulla base di una comparazione con la normativa adottata in altri Stati membri dell'Unione europea. In particolare, si prevede di intervenire con una legge delega, il cui disegno di legge sarà sottoposto al Parlamento entro il 2021, che dovrà contenere i seguenti principi e criteri direttivi: - Riduzione e razionalizzazione delle norme in materia di appalti pubblici e concessioni; - Recepimento delle direttive europee, integrate in particolare là dove non immediatamente esecutive; Previsione della disciplina applicabile ai contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, nel rispetto dei principi di concorrenzialità e trasparenza; - Piena apertura e contendibilità dei mercati; - Previsione di specifiche tecniche relative alle gare da espletare, soprattutto in relazione a beni e strumenti informatici e componenti tecnologici, che garantiscano parità di accesso agli operatori e non costituiscano ostacolo alla piena attuazione del principio di concorrenza; - Riduzione degli oneri documentali ed economici a carico dei soggetti partecipanti alle procedure di evidenza pubblica; - Individuazione espressa dei casi nei quali è possibile ricorrere alla procedura negoziata senza precedente pubblicazione di un bando di gara; - Precisazione delle cause che giustificano la stipulazione di contratti segretati o che esigono particolari misure di sicurezza e specificazione delle relative modalità attuative; Individuazione dei contratti esclusi dall'ambito di applicazione dei decreti legislativi e di discipline specifiche per particolari tipologie di contratti pubblici in ragione della peculiarità del loro contenuto; Previsione di misure volte a garantire la sostenibilità energetica e ambientale e la tutela della salute e del lavoro nell'affidamento dei contratti; - Regolazione espressa dei casi in cui le stazioni appaltanti possono ricorrere, ai fini dell'aggiudicazione, al solo criterio del prezzo o del costo, inteso come criterio del prezzo più basso o del massimo ribasso d'asta; - Realizzazione di una e-platform ai fini della valutazione della procurement capacity; - Revisione della disciplina dell'appalto integrato, con riduzione dei divieti; - Revisione della disciplina del subappalto; - Tendenziale divieto di clausole di proroga e di rinnovo automatico nei contratti di concessione; - Rafforzamento delle strutture pubbliche per il controllo sulle opere stradali e ferroviarie, fermi restando gli obblighi di controllo tramite strutture indipendenti e quello di manutenzione a carico del concessionario, con le relative conseguenti sanzioni in caso di inadempimento; - Rafforzamento degli strumenti di risoluzione delle controversie alternativi alle azioni dinanzi al giudice. Solo con l'approvazione della legge delega sarà chiaro se le prospettate misure di semplificazioni saranno apportate con l'ennesima modifica del vigente Codice o se, la generale insoddisfazione per l'attuale testo e la necessità di evitare ulteriori stratificazioni di norme condurranno alla scelta più incisiva di varare un nuovo Codice dei contratti pubblici . Gli appalti del Parlamento sono soggetti all'autodichia?Una questione di alto profilo: la soggezione alla giurisdizione amministrativa degli appalti del Parlamento. L'autodichia della Camera dei Deputati con il manto scuro del privilegio anche le procedure di affidamento? È netta la risposta negativa di Cons. St. V, n. 4150/2021. Ecco la massima: “Considerato che la materia dell'affidamento a terzi dei contratti di lavori, servizi e forniture – pur involgendo l'acquisizione, da parte dell'amministrazione della Camera, di beni e servizi per lo svolgimento delle sue funzioni – non rientra nella sfera di autonomia normativa costituzionalmente riconosciuta, le relative controversie sono sottratte alla giurisdizione domestica; da ciò discende che le norme del Regolamento di Amministrazione e contabilità della Camera dei Deputati (artt. 39 e ss.), dettate in materia di contratti, non essendo espressione della ridetta autonomia normativa costituzionalmente fondata, non giustificano l'attrazione della controversia nell'ambito della cognizione dell'organo di autodichia (il Consiglio di giurisdizione della Camera, al quale il regolamento per la tutela giurisdizionale attribuisce il compito di decidere in primo grado sui “ricorsi e qualsiasi impugnativa, anche presentata da soggetti estranei alla Camera, avverso gli atti di amministrazione della Camera medesima.” Come chiarito dalla Corte costituzionale in numerose pronunce (cfr. in particolare sentenza n. 262/2017), il principio dell'autodichia invocato dalla Camera dei deputati, che si traduce nella possibilità degli organi costituzionali di decidere attraverso propri organi interni le controversie che concernono l'applicazione della disciplina normativa che gli stessi organi costituzionali si sono dati in una determinata materia, trova il suo fondamento nell'autonomia normativa che la Costituzione riconosce agli organi costituzionali (alla Camera dei deputati, nel caso di specie). In particolare, la Corte – rammentato come solo nell'art. 64 (“Ciascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti”), e solo con riferimento alle Camere, la Costituzione ha previsto una specifica attribuzione di autonomia normativa (mentre i regolamenti approvati dal Presidente della Repubblica debbono considerarsi sorretti “da un implicito fondamento costituzionale”: punto 7.2. del “considerato in diritto”, primo periodo, della sentenza n. 262/ 2017), ricollega, in maniera diretta, l'estensione dell'autodichia alla sfera di autonomia normativa costituzionalmente delineata, attraverso la quale “gli organi costituzionali in questione sono messi nella condizione di provvedere alla ‘produzione di apposite norme giuridiche, disciplinanti l'assetto ed il funzionamento dei loro apparati serventi' (sentenza n. 129/1981)” (sentenza n. 262/2017, punto 7.2., terzo periodo, cit.). Peraltro, soggiunge la Corte, “se è consentito agli organi costituzionali disciplinare il rapporto di lavoro con i propri dipendenti, non spetta invece loro, in via di principio, ricorrere alla propria potestà normativa, né per disciplinare rapporti giuridici con soggetti terzi, né per riservare agli organi di autodichia la decisione di eventuali controversie che ne coinvolgano le situazioni soggettive (si pensi, ad esempio, alle controversie relative ad appalti e forniture di servizi prestati a favore delle amministrazioni degli organi costituzionali). Del resto, queste ultime controversie, pur potendo avere ad oggetto rapporti non estranei all'esercizio delle funzioni dell'organo costituzionale, non riguardano in principio questioni puramente interne ad esso e non potrebbero perciò essere sottratte alla giurisdizione comune” (punto 7.2. cit.). Per ciò che esula “dalla capacità classificatoria del regolamento parlamentare e non sia per intero sussumibile sotto la disciplina di questo (perché coinvolga beni personali di altri membri delle Camere o beni che comunque appartengano a terzi), deve prevalere la “grande regola” dello Stato di diritto ed il conseguente regime giurisdizionale al quale sono normalmente sottoposti, nel nostro sistema costituzionale, tutti i beni giuridici e tutti i diritti (artt. 24,112 e 113 della Costituzione (sentenza n. 379/1996)” (così nella sentenza n. 120 del 2014, al punto 4.4. del “considerato in diritto”). Da tali principi deriva la necessità di una rigorosa interpretazione letterale e funzionale (ossia, tenendo conto delle finalità costituzionali assegnate al riconoscimento del principio di autodichia, che ne costituiscono anche i limiti entro i quali esso può espandersi) delle norme regolamentari approvate dalla Camera dei deputati. Insomma, l'autonomia e l'autodichia riguardano solo gli “ interna corporis ” delle segrete stanze e non possono allungare i loro tentacoli verso i terzi che giocano nel mare aperto e tempestoso su cui soffiano i freschi venti della competizione concorrenziale. BibliografiaCaranta, I contratti pubblici, Torino, 2004; Caringella, Manuale dei contratti pubblici, Roma, 2021; Contessa, Dalla legge delega al nuovo «Codice»: opportunità e profili di criticità, 18 aprile 2016, in www.giustizia-amministrativa.it; De Nictolis, Ilnuovo codice dei contrattipubblici, in Urbanistica e Appalti, 2016; Deodato, Le linee guida dell'ANAC: una nuova fonte del diritto?, 28 aprile 2016, www.giustizia-amministrativa.it; Modica De Mohac, Sistemi di affidamento e settori esclusi, in Italia Oggi, Il nuovo codice degli appalti, 27 aprile 2016. |