Decreto legislativo - 18/04/2016 - n. 50 art. 30 - (Principi per l'aggiudicazione e l'esecuzione di appalti e concessioni)1

Marco Giustiniani

(Principi per l'aggiudicazione e l'esecuzione di appalti e concessioni)1

[1. L'affidamento e l'esecuzione di appalti di opere, lavori, servizi, forniture e concessioni, ai sensi del presente codice garantisce la qualità delle prestazioni e si svolge nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza. Nell'affidamento degli appalti e delle concessioni, le stazioni appaltanti rispettano, altresì, i principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché di pubblicità con le modalità indicate nel presente codice. Il principio di economicità può essere subordinato, nei limiti in cui è espressamente consentito dalle norme vigenti e dal presente codice, ai criteri, previsti nel bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute, dell'ambiente, del patrimonio culturale e alla promozione dello sviluppo sostenibile, anche dal punto di vista energetico.

2. Le stazioni appaltanti non possono limitare in alcun modo artificiosamente la concorrenza allo scopo di favorire o svantaggiare indebitamente taluni operatori economici o, nelle procedure di aggiudicazione delle concessioni, compresa la stima del valore, taluni lavori, forniture o servizi.

3. Nell'esecuzione di appalti pubblici e di concessioni, gli operatori economici rispettano gli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dalla normativa europea e nazionale, dai contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali elencate nell'allegato X.

4.Al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni è applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l'attività oggetto dell'appalto o della concessione svolta dall'impresa anche in maniera prevalente 2.

5. In caso di inadempienza contributiva risultante dal documento unico di regolarità contributiva relativo a personale dipendente dell'affidatario o del subappaltatore o dei soggetti titolari di subappalti e cottimi di cui all'articolo 105, impiegato nell'esecuzione del contratto, la stazione appaltante trattiene dal certificato di pagamento l'importo corrispondente all'inadempienza per il successivo versamento diretto agli enti previdenziali e assicurativi, compresa, nei lavori, la cassa edile. [ Sull'importo netto progressivo delle prestazioni è operata una ritenuta dello 0,50 per cento; le ritenute possono essere svincolate soltanto in sede di liquidazione finale, dopo l'approvazione da parte della stazione appaltante del certificato di collaudo o di verifica di conformità, previo rilascio del documento unico di regolarità contributiva. ] 3

5-bis. In ogni caso sull'importo netto progressivo delle prestazioni è operata una ritenuta dello 0,50 per cento; le ritenute possono essere svincolate soltanto in sede di liquidazione finale, dopo l'approvazione da parte della stazione appaltante del certificato di collaudo o di verifica di conformità, previo rilascio del documento unico di regolarità contributiva  4.

6. In caso di ritardo nel pagamento delle retribuzioni dovute al personale di cui al comma 5, il responsabile unico del procedimento invita per iscritto il soggetto inadempiente, ed in ogni caso l'affidatario, a provvedervi entro i successivi quindici giorni. Ove non sia stata contestata formalmente e motivatamente la fondatezza della richiesta entro il termine sopra assegnato, la stazione appaltante paga anche in corso d'opera direttamente ai lavoratori le retribuzioni arretrate, detraendo il relativo importo dalle somme dovute all'affidatario del contratto ovvero dalle somme dovute al subappaltatore inadempiente nel caso in cui sia previsto il pagamento diretto ai sensi dell'articolo 105.

7. I criteri di partecipazione alle gare devono essere tali da non escludere le microimprese, le piccole e le medie imprese.

8. Per quanto non espressamente previsto nel presente codice e negli atti attuativi, alle procedure di affidamento e alle altre attività amministrative in materia di contratti pubblici nonché di forme di coinvolgimento degli enti del Terzo settore previste dal titolo VII del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, alla stipula del contratto e alla fase di esecuzione si applicano le disposizioni del codice civile5.]

[1] Articolo abrogato dall'articolo 226, comma 1, del D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, con efficacia a decorrere dal 1° luglio 2023, come stabilito dall'articolo 229, comma 2. Per le disposizioni transitorie vedi l'articolo 225 D.Lgs. 36/2023 medesimo.

[5] Comma modificato dall'articolo 8, comma 5,  lettera 0a), del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 settembre 2020, n. 120.

Inquadramento

Il legislatore, con l'enunciazione del complesso dei princìpi stabiliti all'art. 30, traccia i binari lungo i quali condurre tutti gli istituti codicistici relativi alle procedure ad evidenza pubblica. Ogni regola di dettaglio e ogni istituto disciplinato puntualmente dal testo del d.lgs. n. 50/2016 può essere ricondotto alle esigenze che emergono dalla lettura dei princìpi generali fissati dall'articolo in commento (Cafagno, Farì, 201), la cui elencazione da parte del Codice ha una valenza ricognitiva piuttosto che innovativa, posto che la gran parte di tali princìpi rappresenta il portato delle acquisizioni giurisprudenziali in materia e delle regole di derivazione eurounitaria (Caringella, Protto).

La comprensione di questi princìpi consente all'interprete di inquadrare correttamente il ruolo che il legislatore ha riservato alle pubbliche amministrazioni nel contesto delle procedure ad evidenza pubblica.

Più precisamente, l'immagine della P.A. che emerge dalla lettura del ‘catalogo di princìpi' di cui all'art. 30 consente di cogliere una duplice chiave di lettura del ruolo del soggetto pubblico nelle dinamiche contrattuali: per un verso, l'amministrazione deve farsi garante dello svolgimento delle procedure secondo regole di mercato trasparenti, che consentano a tutti gli operatori economici – in condizioni di parità concorrenziale – di competere per ottenere l'aggiudicazione dei contratti pubblici a cui aspirano; per altro verso, essa si pone al contempo quale garante – nei confronti dei cittadini – della correttezza delle modalità con cui vengono impiegate le risorse pubbliche per l'acquisto di lavori, beni e servizi (Cafagno, Farì, 202).

In quest'ottica, per poter apprezzare la complessità del ruolo della P.A. in tale duplice veste nelle dinamiche procedurali e contrattuali disciplinate dal d.lgs. n. 50/2016, è indispensabile cogliere le linee di sviluppo del processo evolutivo che ha interessato nel tempo i princìpi della contrattualistica pubblica, che oggi contribuiscono a delineare un impianto normativo molto diverso, nelle sue linee ispiratrici, rispetto a quello che contrassegnava la disciplina non molti anni fa (Cafagno, Farì, 201).

Il percorso evolutivo della contrattualistica pubblica e dei suoi princìpi ispiratori.

Il diritto dei contratti pubblici ha attraversato diverse fasi di sviluppo, delle quali è opportuno dare conto in quanto ci consentono di comprendere come si è arrivati all'enunciazione dei princìpi oggi elencati nel testo dell'articolo in commento.

Il periodo pre-comunitario: la contrattualistica pubblica come mera branca della contabilità pubblica.

L'attività contrattuale delle pubbliche amministrazioni ha sempre presentato rilevanti elementi di specialità, che ne hanno tradizionalmente marcato la differenza rispetto alla corrispondente attività posta in essere da soggetti privati, specialmente in ragione del penetrante vincolo teleologico a cui è soggetta l'azione amministrativa, tesa al perseguimento delle finalità di interesse generale che le sono proprie (vedi il commento all'art. 1).

L'interesse generale in origine veniva identificato come l'interesse della P.A. a spendere il denaro pubblico nel miglior modo possibile e nella misura minore possibile, al punto che per un notevole lasso di tempo la contrattualistica pubblica fu derubricata a mera branca della contabilità pubblica, la cui disciplina si rinveniva, non a caso, nella legge di contabilità generale dello Stato di cui al r.d. n. 2440/1923 e al relativo regolamento di attuazione di cui al r.d. n. 827/1924.

Ciò posto, anche a quel tempo non sfuggiva come l'agere contrattuale delle amministrazioni pubbliche fosse un vero e proprio bene di cui l'amministrazione poteva disporre a vantaggio di questo o di quel soggetto (Ledda) e per questa ragione si iniziò a procedimentalizzare l'attività delle pubbliche amministrazioni preordinata all'assegnazione dei contratti pubblici – ed in particolare alla scelta del contraente, non pienamente libera come nel diritto privato – assoggettandola al rispetto dei princìpi di imparzialità e correttezza amministrativa.

Tali valori, recepiti dall'art. 97 della Costituzione, erano ben chiari anche prima che di essi ci si interessasse a livello costituzionale, posto che la cogenza del principio concorsuale per la scelta della controparte negoziale della pubblica amministrazione risale infatti – nell'ordinamento italiano – alla l. n. 2248/1865, allegato F.

Tale principio, tuttavia, almeno inizialmente si affermò in un'ottica di garanzia ‘unidirezionale' a beneficio della pubblica amministrazione, che aveva la necessità di spendere il denaro pubblico nel modo migliore possibile e nella misura minore possibile.

La concorrenzialità, in altre parole, era strumentale all'interesse finanziario della pubblica amministrazione.

La dimensione pubblicistica permeava la selezione del miglior contraente inteso come colui che avesse offerto le migliori prestazioni e garanzie alle condizioni economicamente più vantaggiose per la P.A.; l'interesse del singolo operatore economico a gareggiare in condizioni di parità concorrenziale era tutelato solo di riflesso e in via indiretta (Urbano).

Questo quadro iniziò a farsi più complesso quando fecero il loro ingresso sulla scena i princìpi fondamentali dell'ordinamento giuridico eurounitario, fornendo una più solida base normativa a istanze che già stavano emergendo in dottrina, e dando inizio ad un processo che avrebbe segnato una profonda evoluzione della disciplina dei contratti pubblici, in Italia e non solo.

Il principio di libera concorrenza: da una visione ‘contabilistica' a una disciplina ‘mercatista'

A partire dalla seconda metà del XX secolo, il sistema illustrato in precedenza iniziò a venire progressivamente smantellato dall'ingresso sulla scena del legislatore comunitario.

La produzione normativa dell'Unione europea in materia di public procurement è molto copiosa e può essere suddivisa in quattro generazioni, l'ultima delle quali è sfociata nelle direttive n. 2014/23/UE, n. 2014/24/UE e n. 2014/25/UE.

Nelle diverse fasi di intervento, l'influenza comunitaria sui sistemi nazionali ha progressivamente accresciuto la propria intensità, fino ad arrivare – intorno agli anni Ottanta-Novanta del secolo scorso, al completo ribaltamento del modo di concepire il principio di libera concorrenza, inizialmente considerato come un mero strumento per realizzare l'interesse pubblico e successivamente elevato esso stesso al rango di interesse pubblico, nella ferma convinzione della sua indispensabilità ai fini della massimizzazione del benessere sociale (Prosperetti, p. 277 ss.).

In tale contesto, nella gerarchia valoriale della disciplina, rispetto all'interesse della P.A. guadagnava terreno l'interesse dei singoli operatori economici a poter concorrere in condizioni di parità concorrenziale per l'ottenimento delle utilità messe a gara dall'amministrazione.

Con un radicale mutamento di prospettiva, il principio di buon andamento della pubblica amministrazione iniziava ad essere posto a presidio anche di determinati interessi dei singoli, certificando il superamento della concezione che vedeva la procedimentalizzazione dell'attività di scelta del contraente dettata nell'esclusivo interesse dell'amministrazione.

La tutela della concorrenza non era più un mezzo tramite il quale perseguire l'efficiente allocazione delle risorse pubbliche, ma era divenuta essa stessa un imperativo a cui la disciplina della contrattualistica pubblica doveva tendere.

Per almeno tre ‘generazioni' di direttive, l'Unione europea ha imposto una tutela di intensità sempre crescente per il principio di libera concorrenza e per gli altri princìpi ‘mercatisti' ad esso strumentali, quali

i princìpi di economicità, efficienza, parità di trattamento, non discriminazione, proporzionalità, flessibilità e semplificazione.

Il passaggio da una contrattualistica pubblica ‘mercatocentrica' ad una disciplina multivaloriale.

Sebbene già nelle direttive di terza generazione iniziasse a registrarsi una prima presa di coscienza circa la meritevolezza di tutela di taluni valori ulteriori e diversi rispetto alla concorrenza e al mercato, con una più incisiva valorizzazione di istanze di carattere sociale e ambientale, fu la crisi finanziaria del 2007-2008 – con la grave recessione economica mondiale che ne conseguì – a far emergere tutte le contraddizioni del modello economico dominante a livello globale e a spingere (anche) il legislatore comunitario a una rivisitazione delle proprie priorità.

Tale cambiamento di rotta si è concretizzato nell'elaborazione della c.d. Strategia Europa 2020.

Se un tempo l'obiettivo delle politiche pubbliche a livello europeo era la crescita economica tout court, con la Strategia Europa 2020 l'Unione ha iniziato a perseguire una crescita che fosse intelligente (ossia basata sulla conoscenza e sull'innovazione), sostenibile (ossia più efficiente sotto il profilo delle risorse, più verde e più competitiva) ed inclusiva (ossia impegnata nella creazione di nuovi posti di lavoro e nella riduzione della povertà, al fine di favorire la coesione sociale e territoriale).

In tale contesto, la tutela della concorrenza e del mercato ha cessato di essere un dogma, subendo un deciso ridimensionamento.

Anche la contrattualistica pubblica, come gli altri settori di intervento dell'Unione, è stata fagocitata dal nuovo contesto multivaloriale con la pubblicazione del «Libro Verde sulla modernizzazione della politica dell'UE in materia di contratti pubblici», finalizzato alla funzionalizzazione dei contratti pubblici rispetto al perseguimento di obiettivi che precedentemente erano considerati ‘esterni' rispetto alla disciplina di settore, quali ad esempio il sostegno ai livelli occupazionali, una migliore integrazione dei migranti nella popolazione attiva, il consolidamento degli investimenti in ricerca e sviluppo, la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, il miglioramento dell'efficienza energetica e il raggiungimento della quota del 20% del consumo finale per l'energia prodotta con fonti rinnovabili, la riduzione del tasso di abbandono scolastico precoce e la lotta alla povertà.

Si tratta di obiettivi interconnessi e di reciproca utilità, che palesano una sensibile lontananza rispetto alla precedente visione, in cui veniva lasciato esclusivamente al mercato il compito di provvedere alla miglior allocazione possibile delle risorse e a realizzare il più alto tasso possibile di benessere.

La riforma del settore dei contratti pubblici ha visto la luce in questo clima di revisione di orientamenti che sembravano consolidati.

Con le direttive del 2014 la contrattualistica pubblica è a tutti gli effetti divenuta una leva tramite la quale agire per realizzare obiettivi ad essa non strettamente legati, aventi matrice totalmente estranea rispetto alle tradizionali logiche concorrenziali che prima di allora avevano plasmato la disciplina di settore.

Dopo la rivoluzione copernicana rappresentata dall'abbandono della prospettiva contabilistica in favore di un paradigma legato alla promozione della libera concorrenza come fine e non più come mezzo, la contrattualistica pubblica è stata teatro di una vera e propria ‘restaurazione' (o ‘contro-riforma') che ha disegnato un sistema in cui sono posti in primo piano una serie di obiettivi profondamente estranei alle logiche della concorrenza e del mercato (Clarich).

Le considerazioni che precedono assumono maggiore concretezza sol che si consideri l'art. 18 della direttiva n. 2014/24/UE, relativo ai « Principi per l'aggiudicazione degli appalti » e diretto progenitore dell'art. 30 del Codice.

Tale disposizione, per come è formulata, ci consente di mettere a fuoco il modo in cui la concorrenza – nell'ultimo stock di direttive eurounitarie in materia di contrattualistica pubblica – si relaziona con gli altri principi ispiratori della disciplina.

Il primo paragrafo dell'art. 18 della direttiva 2014/24/UE, infatti, prescrive alle amministrazioni aggiudicatrici di trattare gli operatori economici «su un piano di parità e in modo non discriminatorio» e di agire «in maniera trasparente e proporzionata». In seguito aggiunge che la procedura di appalto non deve avere l'intento «di limitare artificialmente la concorrenza», per poi chiarire nell'ultimo periodo che quest'ultima evenienza si verifica laddove «la concezione della procedura sia effettuata con l'intento di favorire o svantaggiare indebitamente taluni operatori economici».

Autorevole dottrina ha evidenziato come le tre proposizioni contenute nell'art. 18 della direttiva n. 2014/24/UE abbiano avuto l'effetto di costruire una sequenza logica di tipo circolare, «che muove dal principio della parità di trattamento e di non discriminazione, si sviluppa attraverso il riferimento alla concorrenza e si conclude ancorando l'intento di alterare quest'ultima a una presunzione che richiama indirettamente proprio i principi della parità di trattamento e di non discriminazione enunciati nella prima parte della disposizione» (Clarich).

In tale contesto, il ruolo del principio di concorrenza si ridurrebbe a «una funzione meramente evocativa», consistente nel richiamare sinteticamente gli altri principi ispiratori senza aggiungere loro alcuna valenza prescrittiva ulteriore; la concorrenza, in altre parole, altro non sarebbe «che la ricaduta pratica dell'applicazione dei principi di imparzialità e di parità di trattamento, di pubblicità e di trasparenza al singolo atto di scambio» (Clarich).

La direttiva n. 2014/24/UE ha sensibilmente alterato i precedenti rapporti di forza tra la concorrenza e una serie di valori di più o meno recente emersione. In via esemplificativa, si considerino la codificazione dell'in-house providing, l'accelerazione nella strada del green public procurement, l'attenzione riservata ai c.d. ‘laboratori protetti'. Tutto ciò ha contribuito a una radicale rivisitazione dell'impianto generale della disciplina, nella direzione di un ambizioso rinnovamento.

Sennonché, a ben vedere, questi elementi di futuro si sono andati a mescolare con elementi di un passato deciso a ritornare. Ci si riferisce all'epoca in cui la contrattualistica pubblica era una mera branca della contabilità pubblica, quando le norme di settore erano finalizzate unicamente alla migliore gestione delle finanze pubbliche: le contingenze marcoeconomiche negative hanno portato nuovamente al centro del dibattito il tema relativo alla necessità di garantire la tenuta dei conti pubblici.

Tutto ciò premesso e considerato, la tutela della concorrenza e del mercato si è resa protagonista di un sensibile arretramento nella gerarchia dei valori perseguiti dalla disciplina (europea, e quindi anche nazionale) della contrattualistica pubblica.

Da principio totalizzante è divenuta valore di sfondo: un valore che possiede ancora i connotati della preminenza, ma che esercita questa sua preminenza nelle retrovie.

Accanto alla tradizionale anima ‘mercatista' delle procedure ad evidenza pubblica, tesa a salvaguardare tutto ciò che può essere ricondotto nel solco tracciato dal principio di libera concorrenza e quindi a garantire la parità delle condizioni dei soggetti privati che si rivolgono all'amministrazione quali operatori di un mercato in cui il soggetto pubblico determina i livelli della domanda, sono emerse e si sono sviluppate ulteriori esigenze che hanno assunto, nel corso del tempo, un ruolo sempre più rilevante (Cafagno, Farì, 202).

La multiforme natura che caratterizza la pubblica amministrazione nell'ambito delle dinamiche procedurali e contrattuali disciplinate dal d.lgs. n. 50/2016 si sviluppa pertanto tra tre poli concettuali rappresentati dalle esigenze di tutela del mercato, dalle necessità di salvaguardia della finanza pubblica e dall'esigenza di dare soddisfazione alle recenti istanze di matrice ambientale e sociale.

Il ‘catalogo dei princìpi' di cui all'art. 30 del Codice.

Secondo il primo comma dell'art. 30 del Codice, l'affidamento e l'esecuzione dei contratti pubblici di appalto e di concessone aventi ad oggetto opere, lavori, servizi e forniture debbono garantire la qualità delle prestazioni e si debbono svolgere «nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza».

Limitatamente alle procedure di affidamento di tali contratti, le stazioni appaltanti devono «altresì» rispettare «i principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché di pubblicità con le modalità indicate nel presente codice».

Analizzando il tenore testuale di tale primo comma, emerge come il legislatore abbia inteso distinguere i) i princìpi previsti sia per le procedure di affidamento sia per la fase di esecuzione, ossia i princìpi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza, che possono identificarsi con i princìpi posti a presidio della generalità dell'azione amministrativa, e ii) quelli riferiti alla sola fase dell'affidamento, ossia «i principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché di pubblicità con le modalità indicate nel presente codice», posti a tutela del libero incontro nel mercato tra domanda e offerta.

La portata di questa scansione, tuttavia, merita di essere ridimensionata, «non essendo possibile operare una netta distinzione tra la funzione teleologica propria di tali gruppi di princìpi, condividendo gli stessi l'esigenza di innervare l'azione amministrativa e salvaguardare la tutela della libertà di concorrenza e dei suoi corollari» (Cafagno, Farì, 203).

Il principio libero-concorrenziale e i suoi corollari nell'attuale assetto normativo.

Analizzando il tenore testuale del ‘catalogo dei princìpi' e soprattutto l'ordine logico in cui essi sono elencati, possiamo agevolmente trovare conferma di quanto abbiamo scritto sin qui in merito al parziale ridimensionamento del principio libero-concorrenziale, che, a tutta evidenza, non è messo al primo posto dal legislatore.

Il principio di libera concorrenza, nel primo comma dell'articolo in commento, risulta infatti relegato tra quei princìpi che le stazioni appaltanti devono «altresì» rispettare, quasi che il legislatore intendesse evidenziarne la minore pregnanza rispetto ai princìpi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza, riproponendo quella sequenza logica circolare dell'art. 18 della direttiva n. 2014/24/UE che ha spinto la dottrina ad affermare che il principio di concorrenza si ridurrebbe ormai ad una funzione meramente ‘evocativa' di altri princìpi, senza aggiungere ad essi alcun ulterioriore contenuto precettivo (Clarich).

Invero, non va comunque dimenticato che non necessariamente l'ordine logico con cui il legislatore ha inserito nel ‘catalogo' i vari princìpi deve essere considerato alla stregua di un'ordine decrescente di priorità, e che peraltro l'elencazione dei princìpi di cui al primo comma dell'articolo in commento non può certamente considerarsi tassativa, in considerazione i) del rinvio dell'ultimo comma dell'art. 30 alla legge generale sul procedimento amministrativo e ii) dei numerosi princìpi attinenti alla contrattualistica pubblica di origine eurounitaria e costituzionale, che nel corso del tempo si sono affermati e che sono da ritenersi certamente applicabili (Cafagno, Farì, 203).

Ciò posto, considerata la sua collocazione, al principio di concorrenza non sembra potersi attribuire quella posizione di assoluta primazia che ha potuto vantare per lungo tempo, sebbene non abbia del tutto perduto quella centralità che in passato ha portato autorevole dottrina a considerarlo alla stregua di un ‘super-principio'.

Nella ‘sequenza logica circolare' dell'art. 30, il principio libero-concorrenziale si accompagna a quei princìpi che si presentano come suoi corollari, come ad esempio il principio di non discriminazione, che del principio di concorrenza rappresenta una declinazione più specifica e che individua nella necessaria parità di trattamento tra i potenziali partecipanti ad una gara pubblica uno dei canoni per l'attuazione di un mercato efficiente e non distorto.

La parità di trattamento richiede che tutti gli operatori economici possano conoscere in anticipo le ‘regole del gioco'; da qui, in re ipsa, la connessione del principio di parità di trattamento (e del principio di libera concorrenza) con il principio di trasparenza e di conoscibilità delle informazioni, per il quale si rinvia al commento dell'art. 29.

Sotto una peculiare prospettiva, la parità di trattamento impone poi che la P.A. utilizzi criteri di valutazione obiettivi nel giudicare le diverse offerte, e che non inserisca nella lex specialis di gara previsioni ingiustificatamente discriminatorie nei confronti di taluni operatori economici.

In modo particolare non devono essere previste discriminazioni a danno degli operatori economici di piccole dimensioni, che del resto in un Paese come il nostro rappresentano la colonna portante del tessuto socio-economico: il comma 7 dell'articolo in commento è chiaro nel prevedere che «i criteri di partecipazione alle gare devono essere tali da non escludere le microimprese, le piccole e le medie imprese».

Così come sono molte le declinazioni (ed i corollari) possibili del principio di concorrenza, altrettanto eterogenee si presentano le possibili fattispecie idonee a integrare una violazione del principio medesimo.

Da qui l'ampia latitudine semantica del secondo comma dell'art. 30, che impone alle stazioni appaltanti di non limitare «in alcun modo artificiosamente la concorrenza allo scopo di favorire o svantaggiare indebitamente taluni operatori economici» e che poi – seppur in maniera alquanto confusa e ‘sgrammaticata' – individua nella stima dell'importo delle procedure un possibile fattore di indebito scompenso dell'equilibrio concorrenziale del mercato.

La «multiformità delle possibili espressioni, e relative violazioni, del principio di libera concorrenza» (Cafagno, Farì, p. 206) sono testimoniate anche dalla giurisprudenza contabile, che ha avuto modo di sottolineare come la necessità di procedimentalizzare la scelta del contraente a tutela della concorrenza non perda la sua pregnanza neppure laddove si tratti di affidare incarichi a titolo gratuito (C. conti, sez. reg. di controllo Calabria, n. 6/2016); ad analoghe conclusioni è giunta anche la giurisprudenza amministrativa (Cons. St. V, n. 4614/2017).

Ulteriore corollario del principio di concorrenza è il principio di proporzionalità, indicato all'art. 30 tra i princìpi posti a presidio della sola fase di affidamento dei contratti pubblici ed inteso quale garanzia di un ragionevole equilibrio tra mezzi utilizzati e fini perseguiti, che in materia di appalti pubblici è stato tradotto nell'esigenza di fissare requisiti di partecipazione adeguati e proporzionati rispetto all'oggetto e al valore dell'appalto (Cafagno, Farì, p. 206).

Il principio di economicità

Il principio di economicità, a cui l'art. 30 ha riservato il ‘posto d'onore' nel catalogo dei princìpi di cui all'articolo in commento, rappresenta l'alfiere di quelle esigenze contabilistiche recentemente tornate al centro della scena in ragione delle difficili contingenze macroeconomiche con cui il legislatore è chiamato a confrontarsi.

Ciò posto, se in passato il principio in oggetto poteva ritenersi esclusivamente riferito alle esigenze di contenimento della spesa, nel corso del tempo ha avuto modo di evolversi, assumendo una latitudine più ampia e al contempo una valenza meno dogmatica, in coerenza con la visione che assegna alla contrattualistica pubblica un ruolo strategico nel perseguimento non solo dello sviluppo economico, ma anche del progresso sociale.

Di qui, dunque, la previsione dell'ultimo capoverso del primo comma dell'art. 30, secondo cui «il principio di economicità può essere subordinato, nei limiti in cui è espressamente consentito dalle norme vigenti e dal presente codice, ai criteri, previsti nel bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute, dell'ambiente, del patrimonio culturale e alla promozione dello sviluppo sostenibile, anche dal punto di vista energetico».

Questo ‘rapporto di subordine' che sembra emergere dalla lettera della disposizione, «a un'interpretazione più sistematica rappresenta piuttosto una nuova veste dell'economicità, che allarga la versione temporale di riferimento. L'amministrazione non si rivolge solo all'immediato incontro tra domanda e offerta (...), ma amplia la sua valutazione considerando gli effetti e i costi sul lungo periodo, inserendo nella ponderazione stessa dell'economicità della scelta pubblica fattori che possono incidere sul lungo perodo sui costi sociali e sulle esternalità» (Cafagno, Farì, 215).

Gli altri princìpi di cui all'art. 30 del Codice.

Nel nostro commento all'art. 30, resta da muovere qualche cenno a quei princìpi che sono espressione delle nuove istanze sociali che negli ultimi tempi, nel loro complesso, hanno iniziato ad insidiare la primazia del principio libero-concorrenziale nell'impalcatura valoriale della disciplina della contrattualistica pubblica, e che tuttavia nel corpo dell'art. 30 sono trattati solamente di sfuggita, in quanto trovano il loro puntuale svolgimento in diversi articoli del Codice, ai cui commenti si rinvia (in ordine alle istanze di natura ambientale, ad esempio, si rinvia al commento sull'art. 34. Mentre si rinvia al commento sull'art. 50 per quanto riguarda le clausole sociali).

L'art. 30, comma 3, si limita a prevedere – in termini molto generali – che gli operatori economici, nell'esecuzione di appalti pubblici e di concessioni, siano tenuti a rispettare «gli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dalla normativa europea e nazionale, dai contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali elencate nell'allegato X».

Con più puntuale riferimento agli obblighi in materia di lavoro, il successivo comma 4 specifica che al personale impiegato nei contratti pubblici deve essere applicato «il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l'attività oggetto dell'appalto o della concessione svolta dall'impresa anche in maniera prevalente».

Qualora dal documento unico di regolarità contributiva (DURC) relativo all'affidatario o al subappaltatore emergano inadempienze contributive, a tutela dei lavoratori il comma 5 prevede che la stazione appaltante debba trattenere dal certificato di pagamento l'importo corrispondente all'inadempienza per il successivo versamento diretto agli enti previdenziali e assicurativi.

Sempre in tema di regolarità contributiva e sempre a maggior tutela dei lavoratori impiegati nell'esecuzione del contratto, il comma 5-bis dell'art. 30 prevede che in ogni caso, sull'importo netto progressivo delle prestazioni, debba essere operata una ritenuta di garanzia dello 0,50 per cento.

Più precisamente, ciò significa che l'appaltatore, da ogni fattura intermedia, è tenuto già a monte a sottrarre lo 0,5% del relativo importo; le varie ritenute così operate possono essere svincolate soltanto in sede di liquidazione finale, dopo l'approvazione da parte della stazione appaltante del certificato di collaudo o di verifica di conformità, previo rilascio del documento unico di regolarità contributiva.

Tale comma 5- bis, nella prassi, ha talvolta fatto sorgere problemi applicativi in ordine alle modalità di fatturazione delle ritenute di garanzia.

Sul punto può essere utile chiarire che le ritenute di garanzia devono essere fatturate – e quindi assoggettate a IVA – solo in sede di liquidazione finale, dopo l'esito positivo della verifica di conformità e previo rilascio del documento unico di regolarità contributiva.

Su questa posizione risulta assestata la Corte di Cassazione, nella cui giurisprudenza si è consolidato un orientamento da cui non v'è ragione di discostarsi (Cass. V, n. 16977/2012).

Anche l'Agenzia delle Entrate – investita della questione relativa alle modalità di fatturazione della ritenuta dello 0,5% – si è univocamente espressa in tal senso (cfr. nota AdE prot. n. 51174 del 29 aprile 2013).

Più precisamente, l'Agenzia delle Entrate ha chiarito che:

i) ad ogni fatturazione ‘intermedia', «l'impresa appaltatrice emette nei confronti del committente una fattura non comprensiva dell'importo delle ritenute a garanzia»;

ii) «l'importo delle ritenute a garanzia (...) deve essere fatturato al committente nel momento in cui (...) viene corrisposto all'appaltatore ovvero, in caso di inadempienze imputabili a quest'ultimo e accertate in base al DURC, quando il relativo ammontare viene erogato, dal committente, direttamente agli enti previdenziali interessati per assolvere il debito contributivo dell'appaltatore».

Infine, il sesto comma dell'art. 30 prevede che il RUP, in caso di ritardo nel pagamento delle retribuzioni dovute dall'appaltatore al personale impiegato nel contratto, inviti per iscritto il datore di lavoro inadempiente a provvedere al pagamento delle retribuzioni entro i successivi quindici giorni. Ove la fondatezza della richiesta non venga contestata formalmente e motivatamente entro tale termine, è previsto che la stazione appaltante – anche in corso d'opera – paghi direttamente ai lavoratori le retribuzioni arretrate, detraendo il relativo importo dalle somme dovute al datore di lavoro inadempiente.

L'ottavo comma dell'art. 30 quale emblema della commistione tra regole pubblicistiche e norme privatistiche.

L'articolo in commento si conclude con il comma 8, che si pone quale emblema della commistione – nella contrattualistica pubblica – tra regole pubblicistiche e norme privatistiche.

Il procedimento di formazione del contratto pubblico è scandito da due diverse fasi, i) l'una regolata dal diritto pubblico, che parte dalla determinazione della P.A. in ordine alla stipula di un contratto per il soddisfacimento di un proprio fabbisogno ed è destinata a sfociare nell'aggiudicazione del contratto medesimo, e ii) l'altra riconducibile nell'alveo del diritto privato, in cui il soggetto pubblico e quello privato si trovano a essere posti su di un piano di parità, uniti da rapporti fondati sul binomio diritto soggettivo – obbligo, secondo la logica propria del diritto civile (Giustiniani, Fontana).

In tal senso depone appunto il doppio rinvio operato dall'art. 30, comma 8, d.lgs. n. 50/2016, ove si dispone che, per quanto non diversamente previsto dal Codice, i) alle procedure di affidamento e alle altre attività amministrative in materia di contratti pubblici, nonché alle forme di coinvolgimento degli enti del Terzo settore, si applichi la legge generale sul procedimento amministrativo e ii) alla stipula del contratto e alla fase esecutiva si applichino le disposizioni del codice civile.

In buona sostanza, la disciplina dei contratti pubblici contiene, allo stesso tempo, regole di diritto pubblico e prescrizioni di diritto privato, poiché la pubblica amministrazione, laddove seleziona il contraente privato per poi stipulare il contratto, fa un uso contestuale della propria autonomia negoziale e del proprio potere pubblico, nell'esercizio della c.d. doppia capacità di diritto pubblico e di diritto privato.

In tale contesto, anche nella fase propriamente privatistica (conseguente alla stipula del contratto) non mancano forme di ‘infiltrazione' di esigenze pubbliche.

Si consideri, sul punto, il già sviscerato primo comma dell'articolo in commento, secondo cui l'esecuzione (così come l'affidamento) di opere, lavori e servizi, forniture e concessioni deve garantire la qualità delle prestazioni e deve svolgersi nel rispetto dei princìpi di efficacia, tempestività, correttezza ed economicità, laddove si deve intendere: i) per efficacia, l'idoneità dell'attività svolta a valle dal soggetto pubblico al raggiungimento degli obiettivi e degli scopi prefissi a monte; ii) per tempestività, la celerità con cui devono essere portate a compimento la procedura di affidamento del contratto e l'esecuzione dello stesso; (iii) per correttezza, il comportamento collaborativo richiesto al contraente privato al fine della miglior realizzazione dei contrapposti interessi, nei limiti del c.d. sacrificio ‘apprezzabile'; iv) per economicità, un'adeguata gestione delle risorse economiche e umane (Giustiniani, Fontana).

Emerge ictu oculi, a questo punto della trattazione, una sostanziale differenza tra l'atteggiarsi della fase (tendenzialmente privatistica) dell'esecuzione dei contratti pubblici, rispetto a quella (pienamente privatistica) dell'esecuzione dei contratti di diritto comune.

Infatti, mentre l'esecuzione dei contratti di diritto comune è tradizionalmente dominata dal principio della totale autonomia delle parti nelle valutazioni in ordine alla convenienza della pattuizione, alla tempestività dell'esecuzione delle prestazioni e all'idoneità del realizzando assetto a soddisfare gli interessi perseguiti, l'esecuzione dei contratti pubblici deve pur sempre essere informata a princìpi il cui rispetto è ‘etero-imposto' da fonti normative di rango primario (Giustiniani, Fontana).

Problemi attuali: il superamento della tesi del diritto privato eccezionale.

Rinviando per approfondimenti al commento all'articolo 1 (par. 9.1.), si ricorda che nonostante la loro imputazione a un soggetto pubblico, i contratti della pubblica amministrazione sono a tutti gli effetti atti di diritto privato, in quanto espressione di autonomia privatistica e non di potestà pubblicistica. Troviamo conferma dell'assunto nell'ultimo comma dell'art. 30 del codice, che, riprendendo la disciplina dettata dall'art. 2, del codice del 2006 e la regola generale dipinta dall'articolo 1, comma 1-bis, della l. n. 241/1990, assoggetta i contratti delle pubbliche amministrazioni alle regole del codice civile e del diritto comune, se non diversamente disposto.

L'apparente contraddizione tra matrice privatistica dei contratti e universale tensione dell'agire dei soggetti pubblici a fini di pubblico interesse va risolta scindendo la sorte dell'atto dal regime del procedimento che lo autorizza e lo giustifica. Le ragioni di interesse pubblico che sono alla base della decisione di stipulare un contratto vanno evidenziate nel procedimento di evidenza pubblica a monte, attraverso il quale occorre verificare se la pattuizione sia in sé di interesse pubblico, quale sia il contenuto all'uopo migliore e chi sia il contraente più affidabile. Una volta sciolti questi nodi attraverso la procedura amministrativa, espressione in quanto tale di public power e sottoposta, pertanto, alle regole di evidenza pubblica, il contratto in quanto tale è un atto di diritto privato, non qualificabile come atto amministrativo. Esso deve pertanto essere assoggettato alle norme di diritto comune ed esonerato dal doveroso controllo gius-pubblicistico, attraverso il grimaldello dell'eccesso di potere, di idoneità al perseguimento dell'interesse pubblico.

Sul punto, si potrebbe citare, a titolo comparativo, l'analogo problema prospettatosi per il rapporto di impiego, laddove gli atti di organizzazione degli uffici di gestione dei rapporti di lavoro privatizzati non sono più atti amministrativi, dal momento che non è più giuridicamente rilevante e, quindi, non è più passibile di sindacato giurisdizionale l'idoneità dell'atto al perseguimento del fine pubblico.

«I contratti degli agenti pubblici sono pubblici solo in senso soggettivo, ma per il resto – quanto a natura, essenza e disciplina – sono atti integralmente privatistici». Per questo sarebbe preferibile chiamarli «contratti dei soggetti pubblici», onde chiarire, plasticamente il carattere sollo soggettivamente pubblico di atti giuridicamente e oggettivamente privatistici.

Ne deriva una netta scissione, sul piano del regime giuridico e del riparto di giurisdizione (art. 133, comma 1, lett. e), c.p.a.), tra procedimento amministrativo di evidenza pubblica finalizzato alla scelta del contraente e stipula del contratto con il vincitore della gara. Il primo è una procedura pubblicistica, sottoposta naturaliter al sindacato del giudice amministrativo; il contratto, invece, espressione di autonomia privatistica, è sottoposto al vaglio del giudice dell'autonomia privata, ossia il giudice civile. Droit administratif e common law si stringono le mani, regolando, rispettivamente, la proceduta di gara – soggetta alla public law – e il rapporto contrattuale, sottoposto a regolamentazione privata e allo schietto «principio di contrattualità».

Ne consegue, altresì, il superamento della tradizionale propensione pretoria a inquinare i due piani d'indagine, dando la stura a un diritto privato extra ordinem che prevedeva una vera immunità della pubblica amministrazione dalle regole del diritto civile o, comunque, una ragionevole specialità della sua disciplina. Il diritto privato si applica anche ai contratti della P.A. non se non sia incompatibile ma in quanto è necessariamente compatibile, salve eccezioni espresse, con atti integralmente privatistici. Non più, quindi, «riallineamento bilanciato», come è stato efficacemente detto, ma soggezione integrale alle norme del diritto privato.

Bibliografia

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