Decreto Legge - 25/03/2020 - n. 19 art. 3 - Misure urgenti di carattere regionale o infraregionale 1

Francesco Caringella

Misure urgenti di carattere regionale o infraregionale1

1. Nelle more dell'adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 2, comma 1, e con efficacia limitata fino a tale momento, le regioni, in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso, possono introdurre misure ulteriormente restrittive rispetto a quelle attualmente vigenti, tra quelle di cui all'articolo 1, comma 2, esclusivamente nell'ambito delle attivita' di loro competenza e senza incisione delle attivita' produttive e di quelle di rilevanza strategica per l'economia nazionale2.

[2. I Sindaci non possono adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l'emergenza in contrasto con le misure statali e regionali, ne' eccedendo i limiti di oggetto cui al comma 1.]3

3. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano altresi' agli atti posti in essere per ragioni di sanita' in forza di poteri attribuiti da ogni disposizione di legge previgente.

[1] A norma dell'articolo 1, comma 1, del D.L. 16 maggio 2020, n. 33, convertito, con modificazioni, dalla Legge 14 luglio 2020, n. 74,  a decorrere dal 18 maggio 2020, cessano di avere effetto tutte le misure limitative della circolazione all'interno del territorio regionale di cui al presente articolo.

[2] Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, della Legge 22 maggio 2020, n. 35, in sede di conversione.

[3] Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, della Legge 22 maggio 2020, n. 35, in sede di conversione e successivamente abrogato dall'articolo 18, comma 1, del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 settembre 2020, n. 120.

Inquadramento

Come s'è osservato in sede di commento agli articoli 1 e 2, l'applicazione del vasto insieme di misure precauzionali e limitative è affidata a d.P.C.M., assunti, da varare dopo aver acquisito il parere dei Presidenti delle Regioni interessate, o, nel caso in cui riguardino l'intero territorio nazionale, del Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome (art. 2 del d.l. n. 19/2020).

L'art. 3 affronta il nevralgico tema del rapporto dei poteri statali con le competenze regionali e locali.

L'art. 2 del d.l. n. 19/2020 ha reputato opportuno, nell'esercizio della discrezionalità propria del legislatore statale in una materia di sua competenza esclusiva (sentenza n. 7 del 2016), attivare un percorso di leale collaborazione con il sistema regionale, prevedendo che i d.P.C.M. siano preceduti, a seconda degli interessi coinvolti, dal parere dei Presidenti delle Regioni o da quello del Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.

Si tratta di una soluzione normativa consona sia all'ampiezza del fascio di competenze regionali raggiunte dalle misure di contrasto alla pandemia, sia alla circostanza obiettiva per la quale lo Stato, perlomeno ove non ricorra al potere sostitutivo previsto dall'art. 120 Cost., è tenuto a valersi della organizzazione sanitaria regionale, al fine di attuare le proprie misure profilattiche.

Va ricordato, anche in questa sede, che l'art. 1 del d.l. n. 33/2020 ha poi reputato opportuno attribuire uno spazio di intervento d'urgenza anche ai sindaci (comma 9), e, soprattutto, alle Regioni (comma 16), alle quali, nelle more dell'adozione dei d.P.C.M., compete l'introduzione di «misure derogatorie restrittive rispetto a quelle disposte» dal d.P.C.M., ovvero anche «ampliative», ma, per queste ultime, d'intesa con il Ministro della salute, e nei soli casi e nelle forme previsti dai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri.

È perciò precipuamente in tali fonti statali ad hoc, e nella successiva produzione legislativa ad esse affine (quale il d.l. n.1/2021, recante: «Ulteriori disposizioni urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19»), che si rende necessario rinvenire

I rapporti tra Stato e regioni: la competenza legislativa esclusiva dello Stato

Secondo Corte cost. n. 37/2021, la materia relativa alle misure di contrasto della malattia da COVID-19 oggetto dell'intervento legislativo regionale ricade nella competenza legislativa esclusiva dello Stato a titolo di «profilassi internazionale» (art. 117, comma 2, lettera q ),Cost.), che è comprensiva di ogni misura atta a contrastare una pandemia sanitaria in corso, ovvero a prevenirla. La malattia da COVID-19, infatti, è notoriamente presente in tutto il mondo, al punto che fin dal 30 gennaio 2020 l'Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato l'emergenza di sanità pubblica di rilievo internazionale, profondendo in seguito raccomandazioni dirette alle autorità politiche e sanitarie degli Stati. La Corte Costituzionale ha già ritenuto che la profilassi internazionale concerne norme che garantiscano «uniformità anche nell'attuazione, in ambito nazionale, di programmi elaborati in sede internazionale e sovranazionale» (sentenza Corte cost. n. 5/2018; in precedenza, sentenze Corte cost. n. 270/2016, Corte cost. n. 173/2014, Corte cost. n. 406/2005 e Corte cost. n. 12/2004). Del resto, è ovvio che ogni decisione di aggravamento o allentamento delle misure di restrizione ricade sulla capacità di trasmissione della malattia oltre le frontiere nazionali, coinvolgendo così profili di collaborazione e confronto tra Stati, confinanti o meno.

Osserva la Consulta che il nuovoart. 117, comma 2, Cost.ha perciò confermato, con la menzionata norma di cui alla lettera q), nella sfera della competenza legislativa esclusiva dello Stato la cura degli interessi che emergono innanzi ad una malattia pandemica di larga distribuzione geografica, ovvero tale da dover essere reputata «internazionale», sulla base della diffusività che la connota. Né tale competenza ha tratti di trasversalità, per inferirne che essa si limiterebbe a sovrapporsi alla disciplina legislativa regionale altrimenti competente. La materia della profilassi internazionale ha infatti un oggetto ben distinto, che include la prevenzione o il contrasto delle malattie pandemiche, tale da assorbire ogni profilo della disciplina. A fronte di malattie altamente contagiose in grado di diffondersi a livello globale, «ragioni logiche, prima che giuridiche» (sentenza n. 5/2018) radicano nell'ordinamento costituzionale l'esigenza di una disciplina unitaria, di carattere nazionale, idonea a preservare l'uguaglianza delle persone nell'esercizio del fondamentale diritto alla salute e a tutelare contemporaneamente l'interesse della collettività (sentenze n. 169/2017, n. 338/2003 e n. 282/2002). Accade, infatti, che ogni decisione in tale materia, per quanto di efficacia circoscritta all'ambito di competenza locale, abbia un effetto a cascata, potenzialmente anche significativo, sulla trasmissibilità internazionale della malattia, e comunque sulla capacità di contenerla. Omettere, in particolare, di spezzare la catena del contagio su scala territoriale minore, mancando di dispiegare le misure a ciò necessarie, equivale a permettere che la malattia dilaghi ben oltre i confini locali e nazionali.

La Corte delle Leggi osserva anche che un'azione o un coordinamento unitario può emergere come corrispondente alla distribuzione delle competenze costituzionali e alla selezione del livello di governo adeguato ai sensi dell'art. 118Cost., per ogni profilo di gestione di una crisi pandemica, per il quale appaia invece, secondo il non irragionevole apprezzamento del legislatore statale, inidoneo il frazionamento su base regionale e locale delle attribuzioni. Tale conclusione può dunque concernere non soltanto le misure di quarantena e le ulteriori restrizioni imposte alle attività quotidiane, in quanto potenzialmente fonti di diffusione del contagio, ma anche l'approccio terapeutico; i criteri e le modalità di rilevamento del contagio tra la popolazione; le modalità di raccolta e di elaborazione dei dati; l'approvvigionamento di farmaci e vaccini, nonché i piani per la somministrazione di questi ultimi, e così via. In particolare i piani di vaccinazione, eventualmente affidati a presidi regionali, devono svolgersi secondo i criteri nazionali che la normativa statale abbia fissato per contrastare la pandemia in corso.

Ognuno di tali profili è solo in apparenza confinabile ad una dimensione territoriale più limitata. Qualora il contagio si sia diffuso sul territorio nazionale, e mostri di potersi diffondere con tali caratteristiche anche oltre di esso, le scelte compiute a titolo di profilassi internazionale si intrecciano le une con le altre, fino a disegnare un quadro che può aspirare alla razionalità, solo se i tratti che lo compongono sono frutto di un precedente indirizzo unitario, dotato di una necessaria visione di insieme atta a sostenere misure idonee e proporzionate.

Sulla scorta di tali premesse, è da affermare il divieto per le Regioni, anche ad autonomia speciale, di interferire legislativamente con la disciplina fissata dal competente legislatore statale. Difatti, «ciò che è implicitamente escluso dal sistema costituzionale è che il legislatore regionale (così come il legislatore statale rispetto alle leggi regionali) utilizzi la potestà legislativa allo scopo di rendere inapplicabile nel proprio territorio una legge dello Stato che ritenga costituzionalmente illegittima, se non addirittura solo dannosa o inopportuna [...]. Dunque né lo Stato né le Regioni possono pretendere, al di fuori delle procedure previste da disposizioni costituzionali, di risolvere direttamente gli eventuali conflitti tra i rispettivi atti legislativi tramite proprie disposizioni di legge» (sentenza n. 198/2004). Sono quindi fondate, con riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera q), Cost., le questioni di costituzionalità degli artt. 1, 2 e 4, commi 1, 2 e 3, della l. regionale 11/2020, nella parte in cui surrogano la sequenza di regolazione disegnata dal legislatore statale appositamente per la lotta contro la malattia generata dal nuovo COVID-19, imponendone una autonoma e alternativa, che fa invece capo alle previsioni legislative regionali e alle ordinanze del Presidente della Giunta. È perciò evidente l'invasione della sfera di competenza legislativa esclusiva dello Stato. Ciò che rileva è la sovrapposizione della catena di regolazione della Regione a quella prescelta dalla competente normativa dello Stato, con conseguente invasione di una sfera di attribuzione sottratta all'intervento del legislatore regionale. Pertanto, la clausola di salvaguardia delle competenze statutarie, enunciata dall'art. 5, comma 2, del d.l. n. 19/2020 e dall'art. 3, comma 2, del d.l. n. 33/2020, richiamata dalla difesa regionale, non ha alcuna ragione di operare in tale ambito, atteso che la Regione resistente non può opporre alla competenza legislativa esclusiva statale alcuna attribuzione fondata sullo statuto o sulle norme di attuazione statutaria. Non vi può essere in definitiva alcuno spazio di adattamento della normativa statale alla realtà regionale, che non sia stato preventivamente stabilito dalla legislazione statale; unica competente sia a normare, la materia in via legislativa e regolamentare, sia ad allocare la relativa funzione ammnistrativa, anche in forza, quanto alle autonomie speciali, del perdurante principio del parallelismo (sentenze n. 179/2019, n. 215/2019 e n. 129/2019, n. 22/2014, n. 278/2010, n. 236/2004 e n. 43/2004).

Lo spazio concesso alle regioni per misure regionali derogatorie rispetto a quelle statali

L'art. 1, comma 16, del d.l. n. 33/2020 consente alle Regioni di applicare misure più restrittive di quelle contenute nei d.P.C.M. e, a rigide condizioni, anche «ampliative», allo scopo di assicurare che, nel tempo necessario ad aggiornare le previsioni statali alla curva epidemiologica, non sorgano vuoti di tutela, quanto a circostanze sopravvenute e non ancora prese in carico dall'amministrazione statale. È il caso, ad esempio, della sospensione delle attività didattiche prescritta con ordinanze regionali, il cui fondamento riposa non su una competenza costituzionalmente tutelata delle autonomie, ma sull'attribuzione loro conferita dall'art. 1, comma 16, del d.l. n. 33/2020.

Ciò che la legge statale permette, non è una politica regionale autonoma sulla pandemia, quand'anche di carattere più stringente rispetto a quella statale, ma la sola disciplina (restrittiva o ampliativa che sia), che si dovesse imporre per ragioni manifestatesi dopo l'adozione di un d.P.C.M., e prima che sia assunto quello successivo. È però chiaro che – alla stregua del quadro normativo statale – ciò può accadere per mezzo di atti amministrativi, in ragione della loro flessibilità, e non grazie all'attività legislativa regionale (Corte Cost. 37/2021).

Provvedimenti regionali in materia scolastica e riserva di competenza statale

Ritiene i T.A.R. Napoli V, n. 4127/2021 che «è illegittima l'ordinanza contingibile e urgente emessa dal Presidente della Regione Campania con cui, nel quadro dell'emergenza epidemiologica da Covid 19 ed in vista dell'avvio dell'anno scolastico, si impone al personale docente e non docente la sottoposizione a test sierologico o tampone.

Osserva, al riguardo, il collegio partenopeo che in materia di accertamenti e trattamenti sanitari non è sostenibile una imposizione con regolamentazione affidata a provvedimenti amministrativi, ostandovi la riserva di legge ai sensi dell'art. 1, l. n. 180/1978, dell'art. 3, l. n. 833/1978 e dell'art. 32 Cost. Ha ricordato la Sezione che l'art. 1, d.l. n. 19 del 2020 prevede che, allo scopo di contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus Covid 19, su specifiche parti del territorio nazionale ovvero, occorrendo, sulla totalità di esso, possono essere adottate una o più misure, tra quelle di cui al comma 2, per periodi predeterminati, reiterabili e rinnovabili fino al termine dello stato di emergenza, con possibilità di modularne l'applicazione in aumento ovvero in diminuzione secondo l'andamento epidemiologico, da esercitare nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente.

Il successivo art. 2, comma 1, attribuisce al Presidente del Consiglio dei Ministri il potere di emanare tali misure con uno o più decreti, su proposta del Ministro della Salute, sentiti il Ministro dell'Interno, il Ministro della Difesa, il Ministro dell'Economia e delle Finanze e gli altri ministri competenti per materia, nonché i Presidenti delle Regioni interessate, nel caso in cui riguardino esclusivamente una Regione o alcune specifiche Regioni, ovvero il Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, nel caso in cui interessino l'intero territorio nazionale.

Ha ancora affermato la Sezione che ai sensi dell'art. 1, comma 13, d.l. n. 33/2020, la disciplina dell'attività scolastica nel periodo emergenziale è stata attribuita in via esclusiva allo strumento del d.P.C.M. previsto dall'art. 2, d.l. n. 19/2020, con esclusione del potere derogatorio delle Regioni, tanto meno in senso restrittivo.

In relazione all'attività scolastica e di formazione universitaria e professionale, quindi, il d.l. n. 33/2020 non prevede una potestà derogatoria – in senso restrittivo o ampliativo – delle Regioni, trattandosi di materia interamente riservata a regolamentazione tramite d.P.C.M.; tale conclusione risulta peraltro corroborata dalla considerazione che il legislatore, come si è visto, vi ha dedicato autonoma previsione (comma 13).

Le ordinanze libere dei Sindaci

Nel periodo emergenziale i sindaci non hanno smesso, anche in questo periodo di emergenza, di esercitare i propri poteri extra ordinem, tanto che il legislatore è intervenuto, dapprima, con l'art. 35 del d.l. n. 9/2020 e poi con l'art. 3 del d.l. n. 19/2020 vietando le ordinanze contingibili e urgenti dei primi cittadini che siano in contrasto con la normativa prevista dallo Stato.

L'art. 3 in esame, in effetti, non vieta del tutto l'intervento dei sindaci in quanto prevede che: «I Sindaci non possono adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l'emergenza in contrasto con le misure statali, eccedendo i limiti di oggetto cui al comma 1», limiti che consistono in alcuni oggetti specificamente indicati dall'art. 1 comma 2 dello stesso decreto.

Due profili sono stati rilevanti durante questa emergenza: il coordinamento tra l'attività regionale e l'attività comunale e la compatibilità delle ordinanze con la disciplina statale sull'emergenza.

È stato ritenuto in giurisprudenza che, in caso di emergenza epidemiologica di rilievo internazionale, le misure di contenimento del contagio previste dalla normativa statale e, nel dettaglio, da quella regolamentare di carattere governativo, di cui al d.P.C.M. 22 marzo 2020 e al d.l. n. 19/2020 impongono il rispetto del principio di non contraddizione dell'ordinamento giuridico; per questa ragione il Sindaco può esercitare il potere di ordinanza extra ordinem, di regola affidatogli in periodo non emergenziale, ma non può assumere decisioni in contrasto con la normativa statale (T.A.R. Bari, III, n. 733/2020).

Secondo i magistrati pugliesi, il Sindaco, chiamato ad adottare ordinanze contingibili e urgenti in periodo di Covid-19, deve esercitare il suo potere in base ai seguenti criteri: a) scelta della misura nell'ambito di un catalogo definito dalla normativa statale e governativa di tipo regolamentare; b) predeterminazione della durata degli effetti del provvedimento; c) adeguata motivazione della indispensabilità della decisione straordinaria, sulla base di dati epidemiologici attendibili circa il sopravvenuto aggravamento del rischio sanitario nel territorio di riferimento.

Ha ricordato il T.A.R. che all'interno delle misure di contenimento del contagio sull'intero territorio nazionale, di cui al d.P.C.M. 22 marzo 2020, è stata rintracciata un'area di esenzione che riguarda, tra l'altro, l'attività di produzione, trasporto, commercializzazione e consegna di farmaci, tecnologia sanitaria e dispositivi medico chirurgici, nonché di prodotti agricoli e alimentari, sempre consentita. La disposizione in esame è dettata dall'esigenza di non compromettere la fruizione di beni di primaria necessità nonostante il periodo emergenziale, sulla scorta di una scelta drammatica demandata all'Autorità di Governo e al Legislatore primario, in una fase notoriamente caratterizzata dalla sussistenza di una conclamata emergenza epidemiologica di rilevanza internazionale.

Sotto tale profilo, una volta individuata l'area di inapplicabilità del divieto in sede di normativa statale, il Sindaco non può assumere provvedimenti attraverso i quali il divieto stesso si riespande e riprende vigore, perché ciò significherebbe porsi in irrimediabile contrasto con la normativa statale, effetto di certo non voluto dal legislatore statale. Ha aggiunto che anche il richiamo alla norma di cui art. 1, d.l. n. 19/2020, in base alla quale possono essere adottate misure limitative per contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus Covid-19 su specifiche parti del territorio nazionale o, occorrendo, sulla totalità di esso e per periodi predeterminati, non costituisce valido riferimento per l'esercizio di un incondizionato potere di ordinanza.

Casistica applicativa

La casistica applicativa parla di un significativo utilizzo, da parte dei sindaci, delle ordinanze contingibili e urgenti per imporre maggiori restrizioni ai cittadini. Nel fare ciò i primi cittadini hanno richiamato sia l'art. 50delT.U.E.L comma quinto primo periodo, che prevede la possibilità di utilizzare il mezzo dell'ordinanza per fronteggiare emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale sia, a volte, anche, l'art. 54comma 4 del T.U.E.L.. Il richiamo a quest'ultimo articolo sembra forse rientrare nella ormai ben nota prassi per i sindaci di citare sia l'art. 54 che l'art. 50 del T.U.E.L. nel momento in cui emettono delle ordinanze contingibili e urgenti, abitudine sicuramente da censurare. Potrebbe, però, essere anche giustificato da un'interpretazione abbastanza estensiva della nozione di incolumità pubblica che l'art. 54 comma 4-bis definisce come «integrità fisica della popolazione».

Uno dei primi esempi in tal senso è stata l'ordinanza n. 56/2020 del Comune di Roma con cui si chiudevano i parchi, le ville e le aree gioco.

Il T.A.R. Napoli V, n. 1153/2020 ha statuito in merito alla sospensione cautelare dell'ordinanzasindacale n. 249/2000 del Sindaco di Napoli con cui si ampliava l'orario degli esercizi di somministrazione in senso accrescitivo rispetto alla analoga regolamentazione operata con atti regionali, in deroga anche al regolamento comunale. Il giudice amministrativo ha ritenuto che non ricorresse il presupposto dell'urgenza richiesto per l'adozione delle ordinanze contingibili e urgenti e, comunque, che l'oggetto dell'ordinanza non rientrasse correttamente né nelle competenze conferite dall'art. 50 del T.U.E.L., né dell'art. 54 del T.U.E.L., ma piuttosto nella potestà regolamentare del Comune. Per tutti questi motivi, accoglieva l'istanza di sospensione cautelare monocratica dell'ordinanza del Sindaco di Napoli.

Il T.A.R. Bari III, n. 7333/2020 cit., invece, interviene sul rapporto tra le ordinanze contingibili e urgenti e la normativa statale. Nello specifico il giudice pugliese annulla tre ordinanze emesse dal sindaco di Peschici dell'8 aprile, 24 aprile e 3 maggio 2020 non rispettose dei presupposti richiesti alle ordinanze contingibili e urgenti in materia di emergenza sanitaria imposti dal principio di non contraddizione dell'ordinamento giuridico.

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