Decreto Legge - 25/03/2020 - n. 19 art. 1 - Misure urgenti per evitare la diffusione del COVID-19 (A)Misure urgenti per evitare la diffusione del COVID-19 (A) 1. Per contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus COVID-19, su specifiche parti del territorio nazionale ovvero, occorrendo, sulla totalità di esso, possono essere adottate, secondo quanto previsto dal presente decreto, una o più misure tra quelle di cui al comma 2, per periodi predeterminati, ciascuno di durata non superiore a cinquanta giorni, reiterabili e modificabili anche più volte fino al 31 marzo 2022, termine dello stato di emergenza [dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 26 del 1° febbraio 2020], e con possibilità di modularne l'applicazione in aumento ovvero in diminuzione secondo l'andamento epidemiologico del predetto virus1. 2. Ai sensi e per le finalità di cui al comma 1, possono essere adottate, secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso, una o più tra le seguenti misure: a) limitazione della circolazione delle persone, anche prevedendo limitazioni alla possibilità di allontanarsi dalla propria residenza, domicilio o dimora se non per spostamenti individuali limitati nel tempo e nello spazio o motivati da esigenze lavorative, da situazioni di necessità o urgenza, da motivi di salute o da altre specifiche ragioni. Ai soggetti con disabilità motorie o con disturbi dello spettro autistico, con disabilità intellettiva o sensoriale o con problematiche psichiatriche e comportamentali con necessità di supporto, certificate ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, è consentito uscire dall'ambiente domestico con un accompagnatore qualora ciò sia necessario al benessere psico-fisico della persona e purché siano pienamente rispettate le condizioni di sicurezza sanitaria2 ; b) chiusura al pubblico di strade urbane, parchi, aree da gioco, ville e giardini pubblici o altri spazi pubblici3; c) limitazioni o divieto di allontanamento e di ingresso in territori comunali, provinciali o regionali, nonché rispetto al territorio nazionale; d) applicazione della misura della quarantena precauzionale ai soggetti che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva o che entrano nel territorio nazionale da aree [,] ubicate al di fuori del territorio italiano 45; e) divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena, applicata dal sindaco quale autorità sanitaria locale, perché risultate positive al virus6; [f) limitazione o divieto delle riunioni o degli assembramenti in luoghi pubblici o aperti al pubblico;] 7 g) limitazione o sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, di eventi e di ogni altra forma di riunione o di assembramento in luogo pubblico o privato, anche di carattere culturale, ludico, sportivo, ricreativo e religioso8; h) sospensione delle cerimonie civili e religiose, limitazione dell'ingresso nei luoghi destinati al culto; h-bis) adozione di protocolli sanitari, d'intesa con la Chiesa cattolica e con le confessioni religiose diverse dalla cattolica, per la definizione delle misure necessarie ai fini dello svolgimento delle funzioni religiose in condizioni di sicurezza 9; i) chiusura di cinema, teatri, sale da concerto, sale da ballo, discoteche, sale giochi, sale scommesse e sale bingo, centri culturali, centri sociali e centri ricreativi o altri analoghi luoghi di aggregazione10; l) sospensione dei congressi, ad eccezione di quelli inerenti alle attività medico-scientifiche e di educazione continua in medicina (ECM) di ogni tipo di [riunione o] evento sociale e di ogni altra attività convegnistica o congressuale, salva la possibilità di svolgimento a distanza 11; m) limitazione o sospensione di eventi e competizioni sportive di ogni ordine e disciplina in luoghi pubblici o privati, ivi compresa la possibilità di disporre la chiusura temporanea di palestre, centri termali, centri sportivi, piscine, centri natatori e impianti sportivi, anche se privati, nonché di disciplinare le modalità di svolgimento degli allenamenti sportivi all'interno degli stessi luoghi12; n) limitazione o sospensione delle attività ludiche, ricreative, sportive e motorie svolte all'aperto o in luoghi aperti al pubblico, garantendo comunque la possibilità di svolgere individualmente, ovvero con un accompagnatore per i minori o le persone non completamente autosufficienti, attività sportiva o attività motoria, purché nel rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno due metri per l'attività sportiva e di almeno un metro per le attività motorie, ludiche e ricreative 13; o) possibilità di disporre o di demandare alle competenti autorità statali e regionali la limitazione, la riduzione o la sospensione di servizi di trasporto di persone e di merci, automobilistico, ferroviario, aereo, marittimo, nelle acque interne, anche non di linea, nonché di trasporto pubblico locale; in ogni caso, la prosecuzione del servizio di trasporto delle persone è consentita solo se il gestore predispone le condizioni per garantire il rispetto di una distanza di sicurezza interpersonale predeterminata e adeguata a prevenire o ridurre il rischio di contagio14; p) sospensione dei servizi educativi per l'infanzia di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 65, e delle attività didattiche delle scuole di ogni ordine e grado, nonché delle istituzioni di formazione superiore, comprese le università e le istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica, di corsi professionali, master, corsi per le professioni sanitarie e università per anziani, nonché dei corsi professionali e delle attività formative svolti da altri enti pubblici, anche territoriali e locali, e da soggetti privati, o di altri analoghi corsi, attività formative o prove di esame, ferma la possibilità del loro svolgimento di attività in modalità a distanza15; q) sospensione dei viaggi d'istruzione, delle iniziative di scambio o gemellaggio, delle visite guidate e delle uscite didattiche comunque denominate, programmate dalle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado sia sul territorio nazionale sia all'estero; r) limitazione o sospensione dei servizi di apertura al pubblico o chiusura dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura di cui all'articolo 101 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché dell'efficacia delle disposizioni regolamentari sull'accesso libero o gratuito a tali istituti e luoghi; s) limitazione della presenza fisica dei dipendenti negli uffici delle amministrazioni pubbliche, fatte comunque salve le attività indifferibili e l'erogazione dei servizi essenziali prioritariamente mediante il ricorso a modalità di lavoro agile; t) limitazione o sospensione delle procedure concorsuali e selettive, ad esclusione dei concorsi per il personale sanitario e socio-sanitario, finalizzate all'assunzione di personale presso datori di lavoro pubblici e privati, con possibilità di esclusione dei casi in cui la valutazione dei candidati è effettuata esclusivamente su basi curriculari ovvero con modalità a distanza, fatte salve l'adozione degli atti di avvio di dette procedure entro i termini fissati dalla legge, la conclusione delle procedure per le quali risulti già ultimata la valutazione dei candidati e la possibilità di svolgimento dei procedimenti per il conferimento di specifici incarichi16; u) limitazione o sospensione delle attività commerciali di vendita al dettaglio o all'ingrosso, a eccezione di quelle necessarie per assicurare la reperibilità dei generi agricoli, alimentari e di prima necessità da espletare con modalità idonee ad evitare assembramenti di persone, con obbligo a carico del gestore di predisporre le condizioni per garantire il rispetto di una distanza di sicurezza interpersonale predeterminata e adeguata a prevenire o ridurre il rischio di contagio17; v) limitazione o sospensione delle attività di somministrazione al pubblico di bevande e alimenti, nonché di consumo sul posto di alimenti e bevande, compresi bar e ristoranti , ad esclusione delle mense e del catering continuativo su base contrattuale, a condizione che sia garantita la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro, e della ristorazione con consegna a domicilio ovvero con asporto, nel rispetto delle norme igienico-sanitarie previste per le attività sia di confezionamento che di trasporto, con l'obbligo di rispettare la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro, con il divieto di consumare i prodotti all'interno dei locali e con il divieto di sostare nelle immediate vicinanze degli stess18i; z) limitazione o sospensione di altre attività d'impresa o professionali, anche ove comportanti l'esercizio di pubbliche funzioni, nonché di lavoro autonomo, con possibilità di esclusione dei servizi di pubblica necessità previa assunzione di protocolli di sicurezza anti-contagio e, laddove non sia possibile rispettare la distanza di sicurezza interpersonale predeterminata e adeguata a prevenire o ridurre il rischio di contagio come principale misura di contenimento, con adozione di adeguati strumenti di protezione individuale; aa) limitazione o sospensione di fiere e mercati, a eccezione di quelli necessari per assicurare la reperibilità dei generi agricoli, alimentari e di prima necessità19; bb) specifici divieti o limitazioni per gli accompagnatori dei pazienti nelle sale di attesa dei dipartimenti di emergenza-urgenza e accettazione e dei reparti di pronto soccorso (DEA/PS)20; cc) divieto o limitazione dell'accesso di parenti e visitatori in strutture di ospitalità e lungodegenza, residenze sanitarie assistite (RSA), hospice, strutture riabilitative, strutture residenziali per persone con disabilità o per anziani, autosufficienti e no, nonché istituti penitenziari e istituti penitenziari per minori; sospensione dei servizi nelle strutture semiresidenziali e residenziali per minori e per persone con disabilità o non autosufficienti, per persone con disturbi mentali e per persone con dipendenza patologica; sono in ogni caso garantiti gli incontri tra genitori e figli autorizzati dall'autorità giudiziaria, nel rispetto delle prescrizioni sanitarie o, ove non possibile, in collegamento da remoto 21; dd) obblighi di comunicazione al servizio sanitario nazionale nei confronti di coloro che sono transitati e hanno sostato in zone a rischio epidemiologico come identificate dall'Organizzazione mondiale della sanità o dal Ministro della salute; ee) adozione di misure di informazione e di prevenzione rispetto al rischio epidemiologico; ff) predisposizione di modalità di lavoro agile, anche in deroga alla disciplina vigente; gg) previsione che le attività consentite si svolgano previa assunzione da parte del titolare o del gestore di misure idonee a evitare assembramenti di persone, con obbligo di predisporre le condizioni per garantire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale predeterminata e adeguata a prevenire o ridurre il rischio di contagio; per i servizi di pubblica necessità, laddove non sia possibile rispettare tale distanza interpersonale, previsione di protocolli di sicurezza anti-contagio, con adozione di strumenti di protezione individuale; hh) eventuale previsione di esclusioni dalle limitazioni alle attività economiche di cui al presente comma, con verifica caso per caso affidata a autorità pubbliche specificamente individuate. hh-bis) obbligo di avere sempre con sé dispositivi di protezione delle vie respiratorie, con possibilità di prevederne l'obbligatorietà dell'utilizzo nei luoghi al chiuso diversi dalle abitazioni private e in tutti i luoghi all'aperto a eccezione dei casi in cui, per le caratteristiche dei luoghi o per le circostanze di fatto, sia garantita in modo continuativo la condizione di isolamento rispetto a persone non conviventi, e comunque con salvezza dei protocolli e delle linee guida anti-contagio previsti per le attività economiche, produttive, amministrative e sociali, nonché delle linee guida per il consumo di cibi e bevande, restando esclusi da detti obblighi: 1) i soggetti che stanno svolgendo attività sportiva; 2) i bambini di età inferiore ai sei anni; 3) i soggetti con patologie o disabilità incompatibili con l'uso della mascherina, nonché coloro che per interagire con i predetti versino nella stessa incompatibilità22. 3. Per la durata dell'emergenza di cui al comma 1, può essere imposto lo svolgimento delle attività non oggetto di sospensione in conseguenza dell'applicazione di misure di cui al presente articolo, ove ciò sia assolutamente necessario per assicurarne l'effettività e la pubblica utilità, con provvedimento del prefetto, assunto dopo avere sentito, senza formalità, le parti sociali interessate23. _______________ (A) In riferimento al presente articolo vedi: Circolare Ministero dell'Interno 16 marzo 2021, n. 15350/117/2/1; Circolare Ministero della Salute 21 maggio 2021, n. 22746. [1] Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, della Legge 22 maggio 2020, n. 35, in sede di conversione, successivamente dall'articolo 1, comma 1, lettere a) e b), del D.L. 30 luglio 2020, n. 83, convertito con modificazioni dalla Legge 25 settembre 2020, n. 124, dall'articolo 1, comma 1, lettera a), del D.L. 7 ottobre 2020, n. 125, convertito, con modificazioni dalla Legge 27 novembre 2020, n. 159 ; dall'articolo 1 , comma 1 del D.L. 2 dicembre 2020, n. 158, che è stato sua volta abrogato dall'articolo 1, comma 2, della Legge 29 gennaio 2021, n. 6, ulteriormente modificato dall'articolo 1, comma 1, del D.L. 14 gennaio 2021, n. 2, convertito con modificazioni dalla Legge 12 marzo 2021, n. 29, dall'articolo 1, comma 3-bis, del D.L. 18 dicembre 2020, n. 172, convertito con modificazioni dalla Legge 29 gennaio 2021, n. 6, dall'articolo 10, comma 1, del D.L. 22 aprile 2021, n. 52, convertito con modificazioni dalla Legge 17 giugno 2021, n. 87 e dall'articolo 2, comma 1, del D.L. 23 luglio 2021, n. 105, convertito, con modificazioni dalla Legge 16 settembre 2021, n. 126. Da ultimo il presente comma è stato modificato dall'articolo 2, comma 1, del D.L. 24 dicembre 2021, n. 221, convertito con modificazioni dalla Legge 18 febbraio 2022, n. 11 . [2] Lettera modificata dall'articolo 1, comma 1, della Legge 22 maggio 2020, n. 35, in sede di conversione. [3] Lettera modificata dall'articolo 1, comma 1, della Legge 22 maggio 2020, n. 35, in sede di conversione. [4] A norma dell'articolo 14, comma 1, del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla Legge 24 aprile 2020, n. 27, la misura di cui alla presente lettera non si applica agli operatori sanitari, agli operatori dei servizi pubblici essenziali e ai dipendenti delle imprese che operano nell'ambito della produzione e dispensazione dei farmaci, dei dispositivi medici e diagnostici nonché delle relative attività di ricerca e della filiera integrata per i subfornitori. [5] Lettera modificata dall'articolo 1, comma 1, della Legge 22 maggio 2020, n. 35, in sede di conversione. [6] Lettera modificata dall'articolo 1, comma 1, della Legge 22 maggio 2020, n. 35, in sede di conversione. [7] Lettera soppressa dall'articolo 1, comma 1, della Legge 22 maggio 2020, n. 35, in sede di conversione. [8] Lettera modificata dall'articolo 1, comma 1, della Legge 22 maggio 2020, n. 35, in sede di conversione. [9] Lettera inserita dall'articolo 1, comma 1, della Legge 22 maggio 2020, n. 35, in sede di conversione. [10] Lettera modificata dall'articolo 1, comma 1, della Legge 22 maggio 2020, n. 35, in sede di conversione. [11] Lettera modificata dall'articolo 1, comma 1, della Legge 22 maggio 2020, n. 35, in sede di conversione e successivamente dall'articolo 1, comma 1-bis, del D.L. 30 luglio 2020, n. 83, convertito con modificazioni dalla Legge 25 settembre 2020, n. 124. [12] Lettera modificata dall'articolo 1, comma 1, della Legge 22 maggio 2020, n. 35, in sede di conversione. [13] Lettera modificata dall'articolo 1, comma 1, della Legge 22 maggio 2020, n. 35, in sede di conversione. [14] Lettera modificata dall'articolo 1, comma 1, della Legge 22 maggio 2020, n. 35, in sede di conversione. [15] Lettera modificata dall'articolo 1, comma 1, della Legge 22 maggio 2020, n. 35, in sede di conversione. [16] Lettera modificata dall'articolo 1, comma 1, della Legge 22 maggio 2020, n. 35, in sede di conversione. [17] Lettera modificata dall'articolo 1, comma 1, della Legge 22 maggio 2020, n. 35, in sede di conversione. [18] Lettera modificata dall'articolo 1, comma 1, della Legge 22 maggio 2020, n. 35, in sede di conversione. [19] Lettera modificata dall'articolo 1, comma 1, della Legge 22 maggio 2020, n. 35, in sede di conversione. [20] Lettera modificata dall'articolo 1, comma 1, della Legge 22 maggio 2020, n. 35, in sede di conversione. [21] Lettera sostituita dall'articolo 1, comma 1, della Legge 22 maggio 2020, n. 35, in sede di conversione. [22] Lettera aggiunta dall'articolo 1, comma 1, lettera b), del D.L. 7 ottobre 2020, n. 125, convertito, con modificazioni dalla Legge 27 novembre 2020, n. 159. Vedi anche quanto disposto dal successivo articolo 5, comma 1, del medesimo D.L. 125/2020. [23] Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, della Legge 22 maggio 2020, n. 35, in sede di conversione. InquadramentoFin dal d.l. n. 6/2020 (Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da Covid-19), convertito, con modificazioni, nella l. n. 13/2020, il legislatore statale, per contrastare gli effetti della pandemia, si è affidato ad una sequenza normativa e amministrativa che muove dall'introduzione, da parte di atti aventi forza di legge, di misure di quarantena e restrittive, per culminare nel dosaggio di queste ultime, nel tempo e nello spazio, e a seconda dell'andamento della pandemia, da parte di decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. In seguito, il quadro normativo si è sviluppato con il varo dei d.l. n.19/2020 e 33/2020, con i quali una tale sequenza ha trovato ulteriore specificazione. L'art. 1 del d.l. n. 19/2020 , qui in esame, reca un vasto insieme di misure precauzionali e limitative, la cui applicazione è essere affidata a d.P.C.M., assunti, da varare dopo aver acquisito il parere dei Presidenti delle Regioni interessate, o, nel caso in cui riguardino l'intero territorio nazionale, del Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome (art. 2 del d.l. n. 19/2020). Nelle more dell'approvazione di tali decreti, per contenere un aggravamento della crisi, il Ministro della salute può intervenire mediante il citato potere di ordinanza attribuito dall'art. 32 della l. n. 833/1978. L'art. 1 del d.l. n. 33/2020 ha poi reputato opportuno attribuire uno spazio di intervento d'urgenza anche ai sindaci (comma 9), e, soprattutto, alle Regioni (comma 16), alle quali, nelle more dell'adozione dei d.P.C.M., compete l'introduzione di «misure derogatorie restrittive rispetto a quelle disposte» dal d.P.C.M., ovvero anche «ampliative», ma, per queste ultime, d'intesa con il Ministro della salute, e nei soli casi e nelle forme previsti dai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. È perciò precipuamente in tali fonti statali ad hoc, e nella successiva produzione legislativa ad esse affine (quale il d.l. n.1/2021, recante: «Ulteriori disposizioni urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da Covid-19»), che si rende necessario rinvenire il fondamento giuridico dei poteri esercitati da Stato, Regioni ed enti locali per rispondere alla pandemia. Le correzioni apportate dal d.l. n. 19/2020 al sistema di cui al d.l. n. 6/2020L'architrave del complesso normativo edificato dal d.l. 23 febbraio 2020, n. 6, ha costituito, nella prima fase delle misure di contenimento del virus, la base legale – invero molto traballante – per legittimare misure limitative di libertà e diritti fondamentali (le c.d. misure di contenimento) attraverso una serie di d.p.c.m. e di svariati provvedimenti regionali. Quello stesso d.l., all'art. 3, comma 4. aveva previsto una sanzione penale, richiamando l'art. 650 c.p., per l'inosservanza delle misure di contenimento della diffusione del virus. Ebbene, l'importanza deld.l. n.19/2020 si coglie considerando come lo stesso, all'art. 5,abroghi il d.l. n.6/2020 (salvo alcune disposizioni di rilievo molto marginale), andando così a sostituire l'architrave della disciplina dell'emergenza. I primi tre articoli del decreto-legge delineano un nuovo assetto, che ruota attorno ai seguenti cardini: a) l'estensione delle misure di contenimento del virus – se necessario – all'intero territorio nazionale. Viene così sanata dald.l. n.19/2020 la mancanza della base legale delle misure introdotte, al di fuori delle ‘zone rossè, sulla base deld.l. n.6/2020, nato come provvedimento volto a disciplinare misure di estensione locale, in quanto circoscritte a quelle sole zone; b) il carattere tassativo delle misure limitative – nel complesso 29 tipologie –, ora elencate (nell'art. 2) senza più riprodurre la clausola in bianco delle eventuali «ulteriori misure di contenimento e gestione dell'emergenza» adottabili con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. Viene così evitato un vulnus al principio della riserva di legge che la Costituzione prevede quale condizione e garanzia per limitare l'esercizio di libertà fondamentali, come quelle di cui agli artt. 16 (libertà di circolazione) e 41 (libertà di iniziativa economica) della Costituzione. Non è d'altra parte priva di significato, nella prospettiva del principio della riserva di legge e del tentativo di restituire un ruolo centrale al Parlamento, pur nell'emergenza, la previsione secondo cui «il Presidente del Consiglio o un Ministro da lui delegato riferisce ogni quindici giorni alle camere sulle misure adottate ai sensi del presente decreto» (art. 2, comma 5); c) l'adeguatezza specifica e la proporzionalità al rischio effettivamente presente, su base locale o nazionale, come criteri che legittimano l'adozione delle misure limitative per periodi predeterminati, ciascuno di durata non superiore a trenta giorni, reiterabili e modificabili anche più volte fino al 31 luglio 2020 (termine dello stato di emergenza dichiarato il 31 gennaio 2020) e con possibilità di modularne l'applicazione in aumento ovvero in diminuzione secondo l'andamento epidemiologico del virus (art. 1); una previsione questa che, nel dare rilievo alla adeguatezza rispetto al fine preventivo, alla proporzione rispetto al sacrificio di diritti e libertà fondamentali e al carattere temporaneo delle misure, sembra coerente con i principi del sistema, a partire dal fondamentale canone della ragionevolezza (art. 3 Cost.). È inoltre previsto (art. 2) che «per i profili tecnico-scientifici e le valutazioni di adeguatezza e proporzionalità», le misure sono adottate dopo aver sentito un apposito comitato tecnico scientifico; d) il carattere primario e centrale della competenza statale nell'adozione delle misure limitative. Resta infatti confermato, come già nella previsione dell'art. 3 del d.l. n. 6/2020, che le misure sono adottate di regola con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti i (o su proposta dei) presidenti delle regioni interessate, ovvero del Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome (nel caso di misure che riguardino l'intero territorio nazionale). E si conferma altresì la previsione che attribuisce al Ministro della Salute il potere di adottare le misure limitative con ordinanza, ai sensi dell'art. 32 l. n. 833/1978 (legge istitutiva del servizio sanitario nazionale) solo «nelle more» dell'adozione dei d.p.c.m. e «nei casi di estrema necessità e urgenza»; e) la competenza eccezionale delle regioni attribuita per introdurre in via d'urgenza misure limitative, tra quelle tipizzate dall'art. 1 del d.l., e solo nelle more dell'adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, con efficacia limitata fino a tale momento. Le misure possono essere adottate dalle regioni in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso. La potestà è attribuita alle regioni «esclusivamente nell'ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l'economia nazionale»; f) il divieto per i sindaci di adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l'emergenza in contrasto con le misure statali o che siano relative ad attività non di loro competenza ovvero relative ad attività produttive o di rilevanza strategica per l'economia nazionale Costituzione ed emergenza: stato d'eccezione o balancing check?L'emergenza ingenerata dalla pandemia da Covid-19, avendo reso necessaria l'adozione di misure a tutela della salute pubblica incidenti sui diritti fondamentali, ha riportato all'attenzione la nota questione relativa alla possibilità di conculcare, in situazioni di emergenza, le garanzie costituzionali poste a tutela dei diritti fondamentali (Caravita). La problematica della conformità delle misure restrittive emergenziali con l'assetto costituzionale delle fonti e con la garanzia dei diritti fondamentali va affrontata sulla premessa che la nostra Costituzione non codifica (a differenza di altre Costituzioni: cfr. l'art. 48 della Costituzione di Weimar, o l'art. 16 della Costituzione della V Repubblica francese del 1958 o la Costituzione spagnola) una vera e propria norma ‘emergenziale' volta a sospendere la rule of the law nelle situazioni di crisi del sistema (la proposta dell'inserimento di una regolamentazione di questo tipo con l'art. 76-bis è stata alla fine bocciata dall'assemblea costituente). Come noto, l'unica previsione in tal senso è quella (art. 78) che prevede la dichiarazione di guerra (che taluno evoca paradigmaticamente per nuove ‘emergenze', per esempio di matrice terroristica): a proposito della quale è interessante notare, senza poter ovviamente approfondire, come essa: a) scolpisca la garanzia formale del coinvolgimento parlamentare come principio costituzionale; b) preveda il conferimento all'esecutivo (non più dei «pieni poteri» (statuto albertino), come nella previgente previsione statutaria, ma solo) dei «poteri necessari» (con clausola che, per comune intendimento, evoca la logica della limitazione, della proporzionalità e della adeguatezza anche nella temporanea e strumentale compressione, deroga o sospensione dei diritti e delle libertà fondamentali, quale esito di un ragionevole bilanciamento di cui, da molti costituzionalisti, si argomenta l'estensione ad ogni situazione emergenziale diversa dalla guerra) (Luciani, 410). Naturalmente – sebbene abbia decisiva importanza in materia – non si colloca nella logica propriamente emergenziale (che evoca e sottende un vero e proprio ‘stato di eccezione') l'attribuzione all'esecutivo di un potere normativo, di rango primario, per i «casi straordinari di necessità ed urgenza» (art. 77, relativamente ai decreti-legge): potere che, a tacere di altri rilievi, non è in grado di alterare (ed è questo il punto) la legalità ordinaria dell'azione amministrativa. Né sarà inutile rammentare che la prospettiva «liberale» del rapporto autorità/libertà (certo fondamentale, va senza dire, se nella Costituzione la libertà e la regola e la sua restrizione l'eccezione, giustificata da un ragionevole, prevalente e misurato interesse pubblico) coglie solo uno degli aspetti della questione. È sufficiente osservare che l'art. 2 Cost. affianca significativamente (nella prospettiva «sociale») il riconoscimento di inviolabilità dei diritti individuali alla prescrizione di inderogabile soggezione ai «doveri di solidarietà», che si radicano anche nella duplice dimensione della salute che è, insieme, «fondamentale diritto dell'individuo» e, appunto, «interesse della collettività» (art. 32) e che, come tale, autorizza – sempre con la garanzia della interpositio legis – la prefigurazione di profili di obbligatorietà dei trattamenti sanitari, in funzione non solo terapeutica, ma anche (e genericamente) profilattica e perfino precauzionale (secondo il modulo confinario dell'isolamento coatto quarantenario). Certo: il problema non si risolve (solo) nella logica (pur pertinente) del consueto bilanciamento degli interessi e dei valori, affidato al canone di ragionevolezza (Grasso). Profilo decisivo, certo: ma la domanda involge, ad un livello più comprensivo, la possibilità di eccezionale limitazione, compressione e sospensione (non certo soppressione) dei diritti fondamentali per ragioni emergenziali: uno ‘stato di eccezione', appunto, per il quale si tratta di interrogarsi sulla ampiezza dei poteri dell'esecutivo, sulla (limitata) comprimibilità del controllo parlamentare (titolare della sovranità democratica), sulla strutturazione del sistema delle fonti (superprimarie, primarie, secondarie: secondo una logica di sussidiarietà verticale, peraltro), sui limiti (di proporzionalità, necessità, strumentalità, temporaneità, adeguatezza etc.). Chiaro, quindi, che la questione concerne le fonti del diritto. Da più parti – a fronte della significativa compressione della libertà di circolazione imposta dalle reiterate misure governative – si richiama l'art. 16dellaCostituzione (o addirittura, con esiti decisamente più problematici, attesa la problematica e stringente convergenza di riserva assoluta di legge e di giurisdizione, l'art. 13), che ammette e giustifica bensì la «limitazione» e la «restrizione» (per motivi di «sanità», oltre che di sicurezza collettiva) del diritto «di circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale», ma solo in quanto scolpite dalla «legge in via generale». La prospettiva sarà, dunque, anche quella affidata al quesito (uno fra i molti, peraltro, di cui si parlerà in sede di commento al successivo art. 2) se sia sufficiente un decreto emanato dal Presidente del Consiglio dei Ministri (di cui da più voci si denunzia un abuso), una ordinanza del Ministro della salute o di un Presidente di Regione o di un Sindaco – in un assetto costituzionale fondato sul principio di legalità anzitutto formale, allocativa e competenziale (cfr. artt. 97 e 118 Cost.) – a giustificare (beninteso sulla base di una dichiarazione di emergenza formalizzata da disposizione primaria) l'autoritativa incisione dei diritti fondamentali e (ordinariamente) inviolabili della persona. L'assenza di una disposizione specificamente dedicata allo stato di emergenza osta, secondo la migliore dottrina, a una sospensione dell'ordine costituzionale vigente o almeno di un suo segmento significativo, ad opera della stessa autorità statale che dovrebbe essere normalmente garante della legalità e del suo rispetto. Il nostro Stato di diritto è uno Stato di diritto necessario e permanente, non compatibile con la quiescenza dello statuto dei diritti attraverso la concessione di pieni poteri all'autorità di governo. La nostra Costituzione non garantisce il potere contro i diritti, ma i diritti dal potere (cd. «dottrina dei principi supremi»). Ne deriva che le situazioni critiche ed emergenziali non possono portare allo stato di eccezione (o assedio o guerra o emergenza) teorizzato da Carl Schmitt nel 1922 e da Giorgio Agamben nel 2003, ma vanno affrontate nell'ambito della Costituzione, sfruttando gli spazi di manovra e i modelli di contemperamento ammessi dalla nostra Carta Fondamentale. Gli atti governativi incidenti sulla sfera di libertà devono, quindi, essere autorizzati dalla legge e sottoposti al controllo giurisdizionale; essi non possono mai giungere all'annichilimento strutturale e definitivo dei diritti essenziali della persona. L'esperienza della mafia e del terrorismo ha dimostrato che la Costituzione prevede valvole di flessibilità compatibili con un parziale abbassamento (attraverso leggi o provvedimenti che sacrificano le libertà sull'altare della sicurezza o della salute) del livello di garanzia dei diritti, con la preservazione del loro nucleo centrale, ma senza cancellazione del nucleo essenziale delle libertà. Dissolution of parliaments during the sates of emergencies should not be possible: la garanzia costituzionale di diritti e il controllo giurisdizionale sulle misure emergenziali devono sempre essere garantiti (Caringella, 72). È, quindi, minoritaria la tesi che ammette la sospensione delle garanzie costituzionali, che troverebbe fondamento nel c.d. «stato di eccezione», ossia uno spazio vuoto del diritto che implica la necessità di un potere puro affrancato dalla necessità del rispetto della regola preordinata, in cui salus rei publicae suprema lex est (Hobbes: Auctoritas, non veritas, facet legem). Si tratta di situazioni in cui la situazione concreta è gestibile dall'autorità sovrana in modo esclusivamente extralegale. Una conclusione in tal senso – per quanto tutt'altro che pacifica – vanta, per questi autori, un ancoraggio nelle fonti sovranazionali, e in particolare nell'art. 15CEDU, norma (secondo alcuni schiettamente procedurale) a mente del quale gli Stati contraenti in caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione possono derogare – nella stretta misura in cui la situazione lo richieda e a condizione che tali misure non siano in conflitto con gli altri obblighi derivanti dal diritto internazionale – alle garanzie convenzionali, eccezion fatta per il diritto alla vita, il divieto di tortura, di schiavitù e del lavoro forzato (artt. 2,3 e 4 § 1 e 7 CEDU). La prospettiva convenzionale: l'art. 15 CEDUDi sicuro orienta nell'inquadramento del (non agevole) problema, la prospettiva CEDU, la quale: a ) prospetta un catalogo di diritti e libertà fondamentali in principio non omogeneo, dovendosi distinguere: a1) tra diritti assolutamente incomprimibili (diritto alla vita, divieto di tortura, divieto di schiavitù e di lavoro forzato, nullum crimen sine lege: cfr. artt. 2, 3, 4 e 7, cui adde il divieto di pena di morte ex prott. 6 e 13 e il ne bis in idem ex art. 4 prot. 7); a 2) diritti (semplicemente) qualificati, suscettibili di (ordinario) bilanciamento e correlata (ordinaria) limitazione (cfr. artt. 8, 9, 10, 11 e ivi, segnatamente, i rispettivi ‘secondi commi': cfr., altresì, significativamente, l'art. 4 prot. 2, relativamente alla libertà di circolazione, distinta dalla libertà personale); a 3) diritti a limitazione tipizzata (art. 5: diritto alla libertà e alla sicurezza); a 4) diritti a limitazione implicita (art. 6: diritto ad un processo equo); b) prefigura (e regola e procedimentalizza) una (generale) deroga agli obblighi convenzionali in caso (non solo «di guerra», ma anche) «di altro pericolo pubblico» che «minacci la vita della Nazione» e concreti uno «stato d'urgenza» (art. 15), sia pure con il (triplice e concorrente) limite della «stretta misura» richiesta dalla situazione, del rispetto degli indeclinabili obblighi internazionali e della rispondenza allo scopo (art. 18), che struttura lo scrutinio di stretta necessità in termini di legalità, adeguatezza e proporzionalità. In realtà, il richiamo all'art. 15 pone un duplice (e decisivo) problema: a) se la limitazione e compressione dei diritti fondamentali postuli (con la formalizzazione espressa di una richiesta di deroga) una qualificata dichiarazione dello stato emergenziale, ovvero si legittimi alla luce di un (ordinario) bilanciamento dei diritti in conflitto (questione che si risolve nella contrapposizione tra una legalità ordinaria e una legalità emergenziale, tra loro alternative); b) in che termini possa definirsi (nel silenzio della convenzione) la situazione di «emergenza pubblica» che attiva (o sollecita) il conflitto. È di ausilio, in questa prospettiva che vale ad integrare il sistema normativo convenzionale, il richiamo ai cc.dd. standards minimi di Parigi (The Paris Minimum Standards of Human Rights Norms in a State of Emergency) elaborati a livello internazionale, dai quali (anche qui senza poter ovviamente approfondire) è possibile quanto meno distillare: a) il principio per cui una public emergency giustifichi una declaration of a state of emergency purché sia oggetto di apposita decretazionee formalizzazione (officially proclaimed); b) la qualificazione della emergenza pubblica in termini di exceptional situation of crisis or public danger, attuale od anche solo imminente, che riguardi l'intera popolazione o una più limitata community territorialmente circoscritta; c) la legittimità (procedurale) della declaratoria affidata all'esecutivo (executive authority), alla condizione della conferma parlamentare (confirmation of legislature); d) la necessaria temporalità dello stato di eccezione (che shall never exceed the period strictly required to restore normal conditions), con predefinizione della duration of emergency, salvo proroghe peraltro subordinate ad una new declaration antecedente alla scadenza; e) l'automatica riespansione dei diritti e delle libertà suspended or restricted alla scadenza del periodo emergenzialȩsenza necessità di express revocation; f) l'inderogabilità di diritti internazionalmente riconosciuti come non supendable e not subject to derogation; g) il requisito della stretta proporzionalità della limitazione (dovendosi trattare di measures strictly proportioned to the exigence of the situation); h) il divieto di misure discriminatorie (alla luce di un canone di uguaglianza, senza distinzione di race, colour. sex, language, religion, nationality or social origin); i) la necessità di compensare la prevedibile espansione dei poteri dell'esecutivo (expansion of the authority of the executive) con la conservazione delle fundamental function of the legislature, in termini di permanente controllo, e della indefettibile garanzia dell'accesso alla giustizia (nel senso che the guarantees of the independence of the judiciary and of the legal profession shall remain intact: interessante il riferimento alla garanzia dell'esercizio delle professioni legali, essenziali al diritto di difesa) (Grasso). È in questo quadro, in definitiva, che vanno apprezzate la numerose problematiche sollevate dal contesto emergenziale pandemico. E, velocemente, si noterà; a) che ciò che è necessario alla (temporanea, strumentale, proporzionata, adeguata, bilanciata e sussidiaria) limitazione e compressione dei diritti e delle libertà non è (probabilmente: la questione è ampiamente discussa) la richiesta di deroga ex art. 15, ma la dichiarazione di emergenza pubblica, alle condizioni viste; b) che la garanzia di legalità convenzionale non è totalmente sovrapponibile a quella (ordinaria) costituzionale: per es. l'adozione di misure tramite un d.P.C.M. si giustifica nella logica di una proporzionata espansione dell'esecutivo, nella garanzia del controllo parlamentare (di fatto: previa decreto legge che dichiari l'emergenza); c) che non va esclusa, in via di principio, la concorrenza di poteri di ordinaria in materia sanitaria (cfr. art. 32 l. n. 833/1978, che conferma, nel contesto costituzionale, le previsioni del testo unico sanitario del 1934, cui ancora oggi occorre far capo per le sanzioni): si impone, come è chiaro, il coordinamento (epifania di una logica di sussidiarità verticale, cui non è estranea la previsione dell'art. 120 Cost.), sicché contesti regionali o locali possono, in principio, legittimare misure in duriorem partem, che non smentiscano o pregiudichino quelle elaborate a livello superiore. Resta, al margine, la perplessità di una limitazione della libertà personale che taluno vorrebbe affidare alla (ben più solida) garanzia dell'art. 13 Cost. (piuttosto che all'art. 16 Cost.): questione certo complessa, che l'art. 5 CEDU (che assimila l'isolamento coatto e quarantenario alla vera e propria detenzione personale), autorizza a gestire ragionevolmente (essendo trattato come diritto ordinariamente bilanciabile, sia pure a condizioni definite). Semmai, c'è spazio per osservare che una differente formulazione del testo rende plausibili interpretazioni divergenti: il testo inglese facendo, invero, leva sulla obiettiva prevention of the spreading of infectious desease, mentre quello francese di persona susceptible de propager une maladie contagieuse: sicché il dubbio, che converrà (con molti altri) lasciare aperto è se la limitazione della libertà si legittimi solo per i soggetti contagiati (e contagiosi) o anche in via più comprensivamente (e meramente) precauzionale. La portata della garanzia costituzionale dell'inviolabilitàPosto che le garanzie costituzionali sono indefettibili, occorre ora scandagliarne la portata. Si afferma tradizionalmente che la clausola di inviolabilità di cui all'art. 2 implichi uno statuto di protezione speciale e rigida, che si traduce nei corollari dell'insopprimibilità, dell'immodificabilità, dell'indisponibilità, dell'intrasmissibilità e dell'irrinunciabilità. Eppure, l'esperienza insegna che il concetto di inviolabilità non ha carattere assoluto, ma relativo. La stessa circostanza che i diritti inviolabili del singolo possono porsi in contrasto con valori pubblici, diritti inviolabili di altri soggetti o altri diritti inviolabili dello stesso soggetto impone la necessità di una comparazione che deve portare a un punto di equilibrio costituzionalmente accettabile. Nessun diritto può quindi godere di una tutela assolta, essendo fisiologica la sottoposizione limiti e condizionamenti propri delle dinamiche conflittuali (Caringella, 74). Che inviolabilità non significhi sottrazione integrale a limiti e carattere assoluto della tutela lo ricaviamo anche dalla disciplina costituzionale e legislativa, se solo consideriamo che l'art. 41 Cost. pone limiti sociali all'iniziativa economica; che l'inviolabilità del domicilio è rinunciabile (Cass. n. 25177/2014) e che i diritti di azione esplicazione del diritto fondamentale di difesa (art. 24) sono soggetti a prescrizioni e decadenze. Il carattere limitato dei diritti inviolabili è stato sottolineato dalla storica giurisprudenza costituzionale (per prima Corte cost. 1/1956; poi Corte cost. 2/1957 e Corte cost. 10/1957) secondo cui il concetto di limite è consustanziale al concetto di diritto (cfr. art. 4 della dichiarazione dei diritti del cittadino). La legislazione, nazionale e sovranazionale è, quindi, chiamata a tutelare i diritti e a fissare i limiti alla loro protezione: limiti che possono essere generali (general limited classes), o speciali; espressi o impliciti (l'ordine pubblico materiale, ossia l'ordinata convivenza sciale); e quello morale o ideale (l'insieme delle idee e delle convinzioni che sono la base identitaria dello Stato); il buon costume; il divieto di abuso. Né sarà inutile rammentare che la prospettiva «liberale» del rapporto autorità/libertà (certo fondamentale, va senza dire, se nella Costituzione la libertà e la regola e la sua restrizione l'eccezione, giustificata da un ragionevole, prevalente e misurato interesse pubblico) coglie solo uno degli aspetti della questione. È sufficiente osservare che l'art. 2Cost. affianca significativamente (nella prospettiva «sociale») il riconoscimento di inviolabilità dei diritti individuali alla prescrizione di inderogabile soggezione ai «doveri di solidarietà»; e che tali doveri si radicano anche nella duplice dimensione della salute che è, insieme, «fondamentale diritto dell'individuo» e, appunto, «interesse della collettività» (art. 32) e che, come tale, autorizza – sempre con la garanzia della interpositio legis – la prefigurazione di profili di obbligatorietà dei trattamenti sanitari, in funzione non solo terapeutica, ma anche (e genericamente) profilattica e perfino precauzionale (secondo il modulo confinario dell'isolamento coatto quarantenario). In definitiva, è inevitabile un bilanciamento tra diritti fondamentali della stessa persona, tra diritti fondamentali di persone diverse e tra diritti fondamentali e interessi generali. Nei primi due casi, lo Stato funge da regolatore dell'efficacia orizzontale dei diritti (risolvendo, ad esempio, conflitti tra libertà di opinione e reputazione; tra riservatezza e cronaca; tra libertà dell'associazione e degli associati); nel terzo opera come potere verticale. Il compito implica la fissazione dei confini e la ponderazione tra valori attraverso un'opera secondo alcuni, casistica (ad hoc balancing, in sede amministrativa); secondo altri, preferibilmente, di natura assiologica e generale (categorial balancing, in sede legale). Le numerose situazioni di crisi della Repubblica sono state affrontate con strumenti che, nel contesto dell'ordine costituzionale, hanno consentito di modulare principi costituzionali alle condizioni emergenziali. «Necessità, proporzionalità, bilanciamento, giustiziabilità e temporaneità sono i criteri con cui, secondo la giurisprudenza costituzionale, in ogni tempo, deve attuarsi una tutela sistemica e non frazionata dei principi e dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione e dai relativi limiti (Cartabia). Nessun diritto può godere di tutela assoluta, ma è condizionato dalla convivenza con gli altri. Il potere amministrativo deve comunque essere autorizzato, in omaggio al principio di legalità sostanziale e forte (vedi capitolo 4), da una legge che autorizzi l'atto amministrativo (o la fonte secondaria) con la previsione di limiti, contenuti e regole. Di qui l'inammissibilità di provvedimenti atipici e innominati violativi dello statuto dei diritti della persona e le critiche rivolte, in questa prospettiva, al primo decreto-legge Covid (art. 2 del d.l. n. 6/2020) che autorizzava il Governo centrale e le autorità sanitarie e regionali all'adozione, oltre che di una serie di misure tipiche, anche di tutti i provvedimenti, anche innominati, lesivi dei diritti fondamentali, necessari per fronteggiare l'emergenza («le competenti autorità adottano ulteriori misure di contenimento e gestione dell'emergenza»). La mancata accettazione della teorica dello stato d'eccezione nella nostra Costituzione impedisce, quindi, la sospensione della copertura costituzionale dei diritti inviolabili, con la delega al Governo di pieni poteri per fronteggiare la situazione emergenziale (il cd. luogo della decisione pura). Diritti soggettivi inaffievolibili o interessi legittimi fondamentali?Dalle coordinate esposte si ricava che la pubblica amministrazione, nell'esercizio dei poteri autoritativi ad essa attribuiti dalla legge, può talvolta incidere su posizioni giuridiche fondamentali. L'esercizio del potere, quindi, può conformare o sacrificare (anche legittimamente) siffatte posizioni giuridiche soggettive. Ci si chiede perciò se in questi casi la posizione vantata dal privato a fronte dell'esercizio del potere possa essere qualificata come un «interesse legittimo fondamentale» o se, invece, i diritti fondamentali siano insuscettibili di essere «degradati» in interessi legittimi. La questione è foriera di rilevanti conseguenze applicative. In particolare, essa rileva ai fini del riparto di giurisdizione posto che, come sancito dall'art. 103 Cost., la giurisdizione per la tutela degli interessi legittimi spetta al giudice amministrativo, mentre la giurisdizione per la tutela dei diritti soggettivi spetta al giudice ordinario (eccezion fatta per le particolari ipotesi di giurisdizione esclusiva di cui all'art. 133 c.p.a.). A partire dalla fine degli anni '70 la Corte di Cassazione ha accolto la teoria dei «diritti fondamentali inaffievolibili». In particolare, nella sentenza n. 1436/1979, con riferimento al diritto alla salute, la Corte affermò che «non è neppure configurabile un potere ablatorio dello Stato, tale da farlo degradare a interesse legittimo». Di conseguenza, secondo questa impostazione, ogniqualvolta si sia in presenza di un diritto fondamentale non potrà che sussistere la giurisdizione ordinaria posto che il potere è solo apparente, che l'art. 2 della Costituzione fissa una generale carenza di potere e che, quindi, la pubblica amministrazione agisce solo nel fatto, con comportamenti puramente illeciti che non affievoliscono, ma semplicemente pregiudicano diritti cd. rigidi, intolleranti o resistenti a tutta oltranza. Di qui il corollario del radicarsi, anche al di fuori dei casi specifici di legge (privacy, diritti degli extracomunitari), della giurisdizione del giudice ordinario, senza i limiti di cui agli artt. 2 e 4 della LAC. Negli anni successivi, detta teorica è stata estesa dalla Corte di Cassazione anche a diritti fondamentali diversi dal diritto alla salute, come il diritto all'istruzione o il diritto alla riservatezza. Più in particolare, seguendo questa logica, la giurisprudenza di legittimità ha distinto tra: a) «situazioni soggettive a nucleo variabile», in relazione alle quali si riscontra un potere discrezionale della pubblica amministrazione capace di «degradare» (all'esito di un giudizio di bilanciamento degli interessi coinvolti) i diritti ad interessi legittimi o di espandere questi ultimi sino ad elevarli a diritti; b) «situazioni soggettive a nucleo rigido», rinvenibili unicamente in presenza di quei diritti che – in ragione della loro dimensione costituzionale e della loro stretta inerenza a valori primari della persona – non possono essere definitivamente sacrificati o compromessi, per cui alla pubblica amministrazione manca qualsiasi potere discrezionale di incidere su detti diritti (Cass. S.U., n. 17461/2006). La teoria dei diritti fondamentali inaffievolibili – pur trovando ancora oggi applicazione in numerose pronunce della Corte di Cassazione – è stata sottoposta a un vaglio critico da una parte della dottrina e della giurisprudenza amministrativa atteso che trova fondamento nella ormai superata teoria della degradazione, secondo cui l'esercizio del potere sarebbe idoneo a «degradare» i diritti soggettivi in interessi legittimi (Caringella, 81). D'altronde, la tesi dei c.d. diritti fondamentali inaffievolibili risulta storicamente condizionata, essendo stata elaborata in un periodo storico in cui la tutela che il giudice amministrativo era in grado di fornire agli interessi legittimi lesi dall'azione amministrativa risultava meno garantista rispetto alla tutela offerta dal giudice ordinario ai diritti soggettivi ingiustamente lesi, in quanto ancorata a un giudizio di carattere impugnatorio teso a garantire la legalità dell'azione amministrativa piuttosto che ad assicurare una efficace tutela ai privati. È evidente allora come, alla luce dell'evoluzione giurisprudenziale e normativa – culminata con l'emanazione del codice del processo amministrativo – che ha equiparato, sotto il profilo dell'effettività della tutela, la giustizia amministrativa a quella ordinaria, neppure possono dirsi sussistenti quelle ragioni che giustificavano l'assunto dell'indegradabilità dei diritti fondamentali. Infine, l'inattualità di tale teoria trova riscontro anche nel diritto positivo, posta la sussistenza di plurime disposizioni di legge che, non potendo svolgere una comparazione astratta (valorial balancing) attribuiscono alla pubblica amministrazione il compito di effettuare un bilanciamento concreto tra i diritti fondamentali e altri interessi meritevoli di tutela (ad hoc balancing). In tutti questi casi non vi è dubbio che alla pubblica amministrazione sia dato il potere di incidere (anche) su posizioni giuridiche fondamentali, le quali dunque non possono che assumere la consistenza di interessi legittimi «fondamentali» (o diritti soggettivi condizionati dal concreto riconoscimento legale o amministrativo, per non dire dei diritti finanziariamente condizionati). L'esperienza Covid, secondo questi autori, ha ulteriormente dimostrato la necessità dell'intermediazione di provvedimenti amministrativi anche discrezionali volti a trovare la sintesi tra diritti fondamentali e interesse pubblico generale. Da ultimo, occorre ricordare che i diritti fondamentali possano essere devoluti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Si rammenta, da un lato, che la Corte costituzionale ha affermato che non vi è «alcun principio o norma nel nostro ordinamento che riservi esclusivamente al giudice ordinario – escludendone il giudice amministrativo – la tutela dei diritti costituzionalmente protetti» (Corte cost. n. 140/2007). D'altro lato, l'art. 133 lett. p )c.p.a., nel prevedere la giurisdizione esclusiva in relazione alle controversie sulla gestione del ciclo dei rifiuti, afferma che questa concerne anche le controversie relative a «diritti costituzionalmente tutelati». Deve tuttavia darsi conto che alcuni interpreti hanno sostenuto che la scelta del legislatore di specificare, unicamente con riferimento a tale ipotesi, l'estensione della cognizione ai diritti fondamentali manifesterebbe, a contrario, che in assenza di detta specificazione il giudice amministrativo non possa conoscere tali diritti. Tuttavia, in coerenza con le statuizioni della Corte costituzionale, appare preferibile ritenere che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si estenda in ogni caso alla cognizione dei diritti fondamentali, purché si tratti di controversie che presentino un collegamento, anche indiretto, con l'esercizio del potere amministrativo. Tutela verticale dei diritti della persona alla luce della pandemia: il ruolo centrale del test di proporzionalitàLa triste esperienza pandemica è stata un formidabile terreno di sperimentazione della tutela verticale dei diritti inviolabili. Sono stati compressi, per ragioni di salute pubblica, numerosi diritti fondamentali dell'uomo: circolazione, lavoro, riunione, iniziativa economica, culto, relazioni personali, auto-determinazione, diritto di voto. Sono state dettate misure draconiane come quarantene, coprifuoco, zone rosse, divieti di spostamenti, vaccinazioni obbligatorie, divieti di spostamento, didattica a distanza, chiusura di uffici ed esercizi commerciali, sospensione delle udienze e dei processi, lavoro a distanza (smart working). Sono stati adottati decreti-legge, decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, Ordinanze del Ministro della Salute e delle Autorità di Protezione Civile, Ordinanze, anche libere, di Presidenti di Regione e Sindaci. Il contenzioso è fatalmente esploso, devolvendo al giudice il delicato controllo sulla correttezza delle misure legislative a monte (rispetto del principio di eguaglianza, della riserva di l. exartt. 16 e 41 Cost. e del principio di legalità sostanziale) e delle scelte amministrative a valle (controllo della base legale, del fondamento istruttorio, del sostrato motivazionale e della proporzionalità sostanziale). Ne è emersa la forza tenace dello Stato di diritto, cui ogni misura deve essere presa con la «garanzia della fonte» e si possono adottare misure anche severe, ma mai tali da annientare in modo strutturale e permanente gli altri diritti in nome di quello alla salute. Il problema (come è chiaro) è stato affrontato nella logica del bilanciamento degli interessi e dei valori, affidato al canone di ragionevolezza e di proporzionalità. Quanto alla proporzionalità, ricordiamo che detto principio impone tre stadi di verifica (three grounds o drei-stufen theorie) per giustificare una misura, con effetti lesivi significativi, prevista dalla legge o adottata in base alla legge per perseguire un fine legittimo; detta misura deve essere: a) idonea/adeguata allo scopo (eignung o geeignetem); b) necessaria (erforderlichkeit), in ragione dell'assenza di misura meno afflittiva egualmente efficace (kein milderes mittel); c) proporzionale in senso stretto o ragionevole (angemessenem), ossia proporzionale ai fini pubblici in base agli effetti per i terzi (cd. test di proporzionalità). Di tali parametri la Consulta (sentenza Corte cost. n. 162/2014, conf. Cass. S.U., n. 96/2015) ha fatto uso per dichiarare l'incostituzionalità della l. n. 40/2014 nella parte in cui vietava senza eccezioni la fecondazione eterologa, frustrando la libertà familiare di coppie impossibilitate ad accedere altrimenti alla procreazione. Ecco i passaggi essenziali della decisione: «Il censurato divieto, nella sua assolutezza, è pertanto il risultato di un irragionevole bilanciamento degli interessi in gioco, in violazione anche del canone di razionalità dell'ordinamento, non giustificabile neppure richiamando l'esigenza di intervenire con norme primarie o secondarie per stabilire alcuni profili della disciplina della PMA di tipo eterologo. La dottrina migliore ha analizzato il tema in una prospettiva più comprensiva, in relazione alla possibilità di eccezionale limitazione, compressione e sospensione (non certo soppressione) dei diritti fondamentali per ragioni emergenziali: una situazione straordinaria, appunto, per la quale si tratta di interrogarsi sulla ampiezza dei poteri dell'esecutivo, sulla (limitata) comprimibilità del controllo parlamentare (titolare della sovranità democratica), sulla strutturazione del sistema delle fonti (super-primarie, primarie, secondarie: secondo una logica di sussidiarietà verticale, peraltro), sui limiti (di proporzionalità, necessità, strumentalità, temporaneità, adeguatezza etc.) (Caravita). La Corte Edu con sentenza resa sul caso Terhes c. Romania del 20 maggio 2021, ha ritenuto infondato il ricorso di un cittadino rumeno che, ritenendo di essere sottoposto a una detenzione amministrativa, per aver subito «per cinquantadue giorni una privazione della libertà amministrativa, extragiudiziale e non individualizzata, imposta allo scopo di prevenire la trasmissione di una malattia contagiosa», aveva adito la Corte EDU lamentando una deroga all'art. 5Cedu, La Corte EDU in primis rimarca come il ricorrente non abbia lamentato limitazioni alla libertà di circolazione ex art. 2 protocollo 4 Cedu, ma un ben più ampio vincolo al diritto di libertà (De Tommaso c Italia del 23/2/17). Infatti, contestava che non poteva uscire di casa se non per giustificati motivi e munito di un'autocertificazione scritta dello stesso, seppur non avesse il COVID, non fosse sintomatico e non fosse entrato in contatto con malati di COVID. La Corte EDU rileva, però che la privazione della sua libertà non era totale, perché, seppure in tassativi casi e in determinati momenti della giornata, poteva uscire di casa e recarsi in altri posti: non era recluso in una angusta cella e non si trovava nell'impossibilità di avere rapporti sociali (una videochiamata, una call etc. non è mai stata negata a nessuno). Inoltre, non ha fornito alcun elemento per descrivere il suo stato d'animo o su come ha vissuto questo confinamento coatto. Infine, la Corte rimarca che i contestati decreti non prevedevano misure limitative delle libertà individuali e che il ricorrente non era sottoposto ad alcun controllo delle autorità interne, perciò, la sua situazione e il lockdown in genere non erano assolutamente assimilabili alla detenzione provvisoria o ai domiciliari exart. 5Cedu. In conclusione, in ogni caso, se fossero state sollevate censure relative alle limitazioni alla libertà di movimento, sarebbero state respinte in forza di questa disposizione e anche perché volte a perseguire fini legittimi nello stretto necessario in uno stato democratico come la tutela della salute e dell'incolumità pubblica e il contrasto alla pandemia di Covid-19. Come inevitabile gli esercenti attività economiche, molti destinatari di provvedimenti di chiusura (come, ad esempio, i ristoratori) hanno impugnato i d.P.C.M. adottati nel 2020, evidenziando non pochi profili di incostituzionalità, in quanto ritenuti contrastanti, nello specifico con gliartt. 41 Cost., perché un atto amministrativo ha inciso e limitato i diritti fondamentali del lavoro e dell'iniziativa economica; con gli artt. 76 e77Cost., non potendo un decreto legge, emanato dal Governo, delegare il Capo stesso del Governo a esercitare un potere normativo; e poi ammesso e non concesso che fosse possibile questa delega del Governo a se stesso, in ogni caso sarebbe stato necessario farla in favore di un organo collegiale come il Consiglio dei Ministri e non conferendo tutto il potere normativo al solo Presidente. Si è altresì obiettato come la nostra Costituzione non preveda lo stato di emergenza, ma solo la deliberazione dello stato di guerra. Si è infine evidenziato che i d.P.C.M. non avrebbero motivato a sufficienza la scelta di chiudere determinate attività (ad esempio nel campo della ristorazione) in quanto gli studi scientifici non attribuiscono un ruolo di grave pericolo a queste attività nella diffusione del contagio. Di diverso avviso, rispetto a queta prospettazione, si è mostrato il Consiglio di Stato in un parere del 13 maggio 2021, n. 850. Orbene, per il Consiglio di Stato lo schema utilizzato dal Governo, pur discostandosi dal modello già previsto dall'ordinamento, sarebbe comunque conforme alle norme della Costituzione, producendo atti normativi sostanzialmente equiparabili a quei poteri di ordinanza previsti dalle norme sanitarie e da quelle di protezione civile. Inoltre, poiché né la legge sul sistema sanitario né il codice di protezione civile sono leggi «rinforzate», ben potevano essere derogate da un'altra legge di pari grado come appunto i decreti-legge che hanno fatto da fondamento ai d.P.C.M. del Presidente. Il Consiglio di Stato giudica «logico e ragionevole, esclusa ogni valutazione di merito politico», il fatto di aver attribuito il potere di emanare la normativa secondaria di emergenza all'organo monocratico, (ovvero al solo Presidente del Consiglio), anziché all'organo collegiale (costituito dall'intero Consiglio dei Ministri), alla luce delle evidenti ragioni di «speditezza e di semplificazione connesse alla specifica emergenza da pandemia» che hanno valorizzato il ruolo di responsabilità del Presidente del Consiglio, sancito dall'art. 92 Cost. Sempre ragioni di urgenza, «assoluta novità e inusitata gravità di questa emergenza globale, nonché la scarsa conoscenza di questo fenomeno pandemico» giustificherebbero l'adozione di «misure ordinamentali emergenziali particolarmente rapide e duttili». Non sarebbe stato possibile in concreto, secondo il Consiglio di Stato, prevedere tutte le restrizioni e i dettagli delle chiusure all'interno delle fonti normative di rango primario: «il decreto legge, per quanto agile e di rapida approvazione parlamentare, non avrebbe consentito, nel sopra descritto contesto storico, la duttilità, l'adattabilità e la flessibilità necessarie ad aderire plasticamente alla continua mutevolezza delle condizioni oggettive di sviluppo e andamento della pandemia». Il Consiglio di Stato, a sostegno della propria decisione, richiama anche un recente passaggio della Corte costituzionale (sentenza Corte cost. n. 37/2021) sulla compatibilità del sistema dei d.P.C.M. con il disegno costituzionale. «Il profilo fondamentale» si legge nel parere «che assicura la costituzionalità (sostanziale e non solo formale) di questo sistema» sarebbe costituito dal fatto che i decreti-legge definivano gli ambiti materiali, le condizioni e i limiti all'esercizio del potere emergenziale del Presidente del Consiglio. Il sistema dei d.P.C.M. attuativi della delega legale supera il vaglio di costituzionalitàLa Corte cost. 198/2021 ha respinto le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1,2 e 4 del d.l. n. 19/2020. Il nucleo della denuncia era chiaro: le norme primarie censurate (decreti-legge) avrebbero «delegato» le fonti sub-primarie (d.P.C.M.) a definire nuovi illeciti amministrativi, sicché – come recita l'ordinanza di rimessione – sarebbe stato «aggirato il principio cardine di cui agli artt. 76 e77Cost., per cui la funzione legislativa è affidata al Parlamento, che può delegarla solo con una legge-delega e comunque giammai ad atti amministrativi». La Corte oppone ai dubbi di legittimità sollevati in sede di rimessione in rilievo che nella specie si registra la adeguata tipizzazione delle misure di contenimento – coerente con l'esigenza di assicurare il corretto rapporto tra fonti primarie e fonti secondarie, soprattutto in relazione alla natura delle censure proposte dal rimettente –, accompagnata nell'economia del d.l. n. 19/2020da ulteriori garanzie, sia per quanto attiene alla responsabilità del Governo nei confronti del Parlamento, sia sul versante della certezza dei diritti dei cittadini. Il d.l. n. 19/2020 ha invero disposto la temporaneità delle misure restrittive, adottabili solo «per periodi predeterminati», e reiterabili non oltre il termine finale dello stato di emergenza (art. 1, comma 1); ha quindi stabilito che «[i]l Presidente del Consiglio dei ministri o un Ministro da lui delegato riferisce ogni quindici giorni alle Camere sulle misure adottate ai sensi del presente decreto» (art. 2, comma 5), previsione, questa, alla quale si è anteposto in sede di conversione che, salve ragioni di urgenza, «[i]l Presidente del Consiglio dei ministri o un Ministro da lui delegato illustra preventivamente alle Camere il contenuto dei provvedimenti da adottare ai sensi del presente comma, al fine di tenere conto degli eventuali indirizzi dalle stesse formulati» (art. 2, comma 1); ha infine prescritto la pubblicazione dei d.P.C.M. nella Gazzetta Ufficiale e la comunicazione alle Camere entro il giorno successivo alla pubblicazione (art. 2, comma 5). La tipizzazione delle misure di contenimento operata dal d.l. n. 19/2020 è stata corredata dall'indicazione di un criterio che orienta l'esercizio della discrezionalità attraverso i «principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso» (art. 1, comma 2). In tal senso assume rilievo – giacché supporta sul piano istruttorio la messa in atto della disciplina primaria, rendendone più concreta ed effettiva la verifica giudiziale – quanto stabilito dall'ultimo periodo dell'art. 2, comma 1, dello stesso d.l. n. 19/2020, cioè che, «[p]er i profili tecnico-scientifici e le valutazioni di adeguatezza e proporzionalità, i provvedimenti di cui al presente comma sono adottati sentito, di norma, il Comitato tecnico-scientifico di cui all'ordinanza del Capo del dipartimento della Protezione civile 3 febbraio 2020, n. 630, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 32 dell'8 febbraio 2020». La fonte primaria, pertanto, non soltanto ha tipizzato le misure adottabili dal Presidente del Consiglio dei ministri, in tal modo precludendo all'autorità di Governo l'assunzione di provvedimenti extra ordinem, ma ha anche imposto un criterio tipico di esercizio della discrezionalità amministrativa, che è di per sé del tutto incompatibile con l'attribuzione di potestà legislativa ed è molto più coerente con la previsione di una potestà amministrativa, ancorché ad efficacia generale. In sostanza, il d.l. n. 19/2020, lungi dal dare luogo a un conferimento di potestà legislativa al Presidente del Consiglio dei ministri in violazione degli artt. 76 e 77 Cost., si limita ad autorizzarlo a dare esecuzione alle misure tipiche previste. La tipizzazione operata dal d.l. n. 19/2020 rivela la sua importanza sul piano del sistema delle fonti proprio riguardo al divieto di allontanamento dall'abitazione senza giustificato motivo. Il d.l. n. 19/2020, a differenza del d.l. n. 6/2020, ha infatti specificamente previsto quali misure di contenimento le «limitazioni alla possibilità di allontanarsi dalla propria residenza, domicilio o dimora se non per spostamenti individuali limitati nel tempo e nello spazio o motivati da esigenze lavorative, da situazioni di necessità o urgenza, da motivi di salute o da altre specifiche ragioni» (art. 1, comma 2, lettera a). Il d.P.C.M. 10 aprile2020, nel prevedere, all'art. 1, comma 1, lett. a), che «sono consentiti solo gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero per motivi di salute», e nello stabilire, all'art. 8, comma 1, che tutte le disposizioni in esso contenute «producono effetto dalla data del 14 aprile 2020 e sono efficaci fino al 3 maggio 2020», si è dunque limitato ad adattare all'andamento della pandemia quanto stabilito in via generale dalla fonte primaria. Il contenuto tipizzato del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri smentisce l'ipotesi del rimettente circa il conferimento di potestà legislativa da parte del decreto-legge (Corte cost. n. 361/2010). Al riguardo, non può non ricordarsi che, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20 del r.d. n. 383/1934 (Approvazione del testo unico della legge comunale e provinciale), sollevata in riferimento – tra gli altri – agli artt. 76 e 77 Cost., a proposito delle ordinanze prefettizie contingibili e urgenti, la Consulta ha fatto richiamo alla distinzione corrente tra ««atti» necessitati» e ««ordinanze» necessitate», aventi entrambi come presupposto l'urgente necessità del provvedere, «ma i primi, emessi in attuazione di norme legislative che ne prefissano il contenuto; le altre, nell'esplicazione di poteri soltanto genericamente prefigurati dalle norme che li attribuiscono e perciò suscettibili di assumere vario contenuto, per adeguarsi duttilmente alle mutevoli situazioni» (sentenza n. 4/1977). Ebbene, la tassatività delle misure urgenti di contenimento acquisita dald.l. n.19/2020 induce ad accostare le stesse, per certi versi, agli ««atti» necessitati», in quanto «emessi in attuazione di norme legislative che ne prefissano il contenuto», sicché non è dato riscontrare quella delega impropria di funzione legislativa dal Parlamento al Governo che il rimettente ipotizza nel denunciare la violazione degli artt. 76 e 77 Cost.Quali atti a contenuto tipizzato, le misure attuative deld.l. n.19/2020 si distaccano concettualmente dal modello delle ordinanze contingibili e urgenti, che viceversa rappresentano il paradigma delle «ordinanze necessitate» (a contenuto libero), seguito dal codice della protezione civile. Malgrado il punto di intersezione rappresentato dalla dichiarazione dello stato di emergenza, le misure attuative del d.l. n. 19/2020 non coincidono, infatti, con le ordinanze di protezione civile, l'emanazione delle quali compete pure al Presidente del Consiglio dei ministri, a norma degli artt. 5 e 25 del d.lgs. n. 1/2018. Lo stesso d.P.C.M. 10 aprile 2020, applicabile nel caso di specie, pur richiamando nella premessa la dichiarazione dello stato di emergenza, fin dal titolo definisce le proprie disposizioni «attuative» del d.l. n. 19/2020, e non del codice della protezione civile. – L'alternatività dei modelli di regolazione non solleva tuttavia un problema di legittimità costituzionale. Invero, nel riconoscere che la competenza legislativa per il contenimento della pandemia spetta in via esclusiva allo Stato giacché attinente alla «profilassi internazionale» ex art. 117, comma 2, lett. q), Cost., il Giudice delle leggi ha osservato che il modello tradizionale di gestione delle emergenze affidato alle ordinanze contingibili e urgenti, culminato nell'emanazione del codice della protezione civile, «se da un lato appare conforme al disegno costituzionale, dall'altro non ne costituisce l'unica attuazione possibile», essendo «ipotizzabile che il legislatore statale, se posto a confronto con un'emergenza sanitaria dai tratti del tutto peculiari, scelga di introdurre nuove risposte normative e provvedimentali tarate su quest'ultima», come appunto accaduto «a seguito della diffusione del Covid-19, il quale, a causa della rapidità e della imprevedibilità con cui il contagio si spande, ha imposto l'impiego di strumenti capaci di adattarsi alle pieghe di una situazione di crisi in costante divenire» (sentenza Corte cost. n. 37/2021). D'altronde, come rilevato anche dal Consiglio di Stato in sede consultiva su ricorso straordinario al Presidente della Repubblica per l'annullamento di alcuni d.P.C.M. attuativi del d.l. n. 19/2020 (parere 13 maggio 2021, n. 850), la legislazione sulle ordinanze contingibili e urgenti e lo stesso codice della protezione civile non assurgono al rango di leggi «rinforzate», sicché il Parlamento ben ha potuto coniare un modello alternativo per il tramite della conversione in legge di decreti-legge che hanno rinviato la propria esecuzione ad atti amministrativi tipizzati. Trasparenza e accesso in tempo di emergenzaNel corso della fase più acuta periodo di emergenza s'è poso il problema dell'accessibilità, con lo strumento dell'accesso civico generalizzato, dei documenti relativi ai documenti relativi alle valutazioni del Comitato tecnico-scientifico poste a fondamento delle conseguenti decisioni governative di imposizione del lock-down. La normativa, e gli atti – compresi quelli endoprocedimentali – adottati durante il periodo della emergenza Covid-19, sono caratterizzati da una assoluta eccezionalità e, auspicabilmente, unicità, nel panorama ordinamentale italiano, tanto da ritenersi impossibile applicarvi definizioni e regole specifiche caratterizzanti le categorie tradizionali quali «atti amministrativi generali» ovvero «ordinanze contingibili e urgenti», pur avendo, di tali categorie, gli uni e gli altri alcuni elementi ma non tutti e non organicamente rinvenibili nelle appunto citate categorie tradizionali; Non persuade neppure la tesi che perora la qualificazione dei verbali quali «atti presupposti» per l'adozione di atti amministrativi generali, ovvero «tout court» come atti amministrativi generali: non sembra, infatti che con tale categoria di atti si possa incidere, in modo tanto significativo, su diritti fondamentali della persona, ciò che invece potrebbero fare ordinanze contingibili e urgenti che, però, nella legislazione anti-COVID, sono solo quegli atti (ad es. del Ministero della Salute) che in tal modo la legge qualifica espressamente. Prendendo le mosse da tali presupposti e dal conseguenziale rilievo che i verbali di cui si è chiesta l'ostensione hanno – nel quadro della cennata eccezionalità e specialità normativa e amministrativa – il carattere di atti procedimentali tecnici prodromici alla adozione di d.P.C.M. volti a fronteggiare la pandemia, la giurisprudenza ha ritenuto ce la domanda di accesso merita positiva valutazione in base a una interpretazione costituzionalmente orientata del sistema eccezionale ancora, auspicabilmente per poco tempo, vigente (T.A.R. Lazio, I-quater, 8615/2020; Cons. St., III, decreto 6169/2020). Casistica applicativa1) È legittimo l'isolamento obbligatorio presso il proprio domicilio con divieto assoluto di contatti con altre persone? Secondo T.A.R. Catanzaro, I, decreto 2 maggio 2020, n. 279, non va sospesa l'ordinanza sindacale n. 18 del 21 aprile 2020 la quale il ricorrente è sottoposto, in via cautelativa, alla misura dell'isolamento obbligatorio presso il proprio domicilio con divieto assoluto di contatti con altre persone, dal giorno 21 aprile 2020 fino al 4 maggio 2020 compreso, consorveglianzaattiva da parte del personale dell'ufficio dei vigili comunali e forze dell'ordine, risultando la quarantena quasi interamente effettuata. 2) Va sospesa la quarantena obbligatoria per trasgressione dell'obbligo di non circolare se è ormai quasi del tutto decorso il relativo periodo? Negativa la risposta di T.A.R. Catanzaro, I, decreto n. 221/2020: «non deve essere sospesa l'ordinanza che ha disposto la quarantena obbligatoria «con decorrenza immediata» e sino al quattordicesimo giorno dalla commissione dell'illecito amministrativo di circolazione senza giustificato e documentato motivo, alla luce della potenziale esposizione al contagio Covid-19, per mancanza di danno irreparabile, essendo ormai prossima (tre giorni) la cessazione della quarantena». Il decreto ha ricordato che nella Regione Calabria l'ordinanza del Presidente della Giunta regionale della Calabria n. 12/20 marzo 2020 ha imposto – nell'ipotesi di trasgressione dell'obbligo di circolare senza giustificato e documentato motivo, alla luce della potenziale esposizione al contagio – la misura immediata della «quarantena» obbligatoria per il periodo di giorni 14. Ha poi chiarito che nella specie l'ultimo giorno di efficacia del periodo di quarantena obbligatoria ordinato al ricorrente è prossimo (tre giorni), con la conseguenza che sembra insussistente il requisito della «estrema gravità ed urgenza» richiesta dall'art. 56 c.p.a. ai fini della concessione della misura cautelare monocratica provvisoria. 3) Quali sono le conseguenze della violazione dell'obbligo di restare a casa? Secondo T.A.R. Napoli, V, decreto n. 783/2020, non va sospeso il provvedimento emesso dalla Polizia municipale che ha diffidato il ricorrente al rientro nel proprio domicilio con imposizione dell'obbligo di permanenza domiciliare in isolamento per quattordici giorni, atteso che dall'autocertificazione dallo stesso sottoscritta non emergono le ragioni, rappresentate nell'atto introduttivo del giudizio, che avrebbero giustificato la violazione dell'obbligo di non lasciare il domicilio salvo i casi espressamente previsti. Ha chiarito il decreto che nella specie non risulta neanche comprovato il grave e irreparabile danno economico connesso all'attività lavorativa svolta. 4) Sono legittime le limitazioni, per ragioni sanitarie legate all'emergenza Coronavirus, alle uscite per fare acquisti di generi alimentari? Secondo Cons. St. III, decreto n. 2028/2020, non va sospeso il decreto monocratico del giudice di primo grado che ha respinto l'istanza di sospensione dell'ordinanza sindacale che ha disposto, per ragioni sanitarie legate all'emergenza Coronavirus, stringenti limitazioni alle uscite per fare acquisti di generi alimentari, non essendo incise posizioni di interesse o diritto degli appellanti da ritenersi irreversibilmente e definitivamente sacrificate nelle more della decisione cautelare collegiale. Ha chiarito il decreto che la valutazione, quale priorità nazionale, dell'interesse generale alla rigorosa prevenzione anti-Covid-19 non consente di ritenere irragionevolmente compressi, per il periodo della emergenza, diritti, pur rilevanti e fondamentali, dei privati istanti in relazione ad esigenze (quali le modalità di approvvigionamento alimentare) che ovviamente possono essere regolate quanto ai tempi e criteri, nell'interesse collettivo sicuramente prevalente su quello individuale. Ha aggiunto che nella valutazione dei contrapposti interessi, nell'attuale situazione emergenziale, a fronte di una compressione di alcune libertà individuali deve essere accordata prevalenza alle misure approntate per la tutela della salute pubblica Ha ricordato il decreto – richiamando Cons. St. III, dec. n. 1553/2020 – che «per la prima volta dal dopoguerra, si sono definite e applicate disposizioni fortemente compressive di diritti anche fondamentali della persona – dal libero movimento, al lavoro, alla privacy – in nome di un valore di ancor più primario e generale rango costituzionale, la salute pubblica, e cioè la salute della generalità dei cittadini, messa in pericolo dalla permanenza di comportamenti individuali (pur pienamente riconosciuti in via ordinaria dall'Ordinamento, ma) potenzialmente tali da diffondere il contagio, secondo le evidenze scientifiche e le tragiche statistiche del periodo».Le ordinanze contingibili e urgenti impugnate risultano adottate in presenza dei presupposti di necessità e urgenza in materia sanitaria e non si pongono in contrasto con le disposizioni dettate a carattere nazionale e a livello regionale, peraltro richiamate nella stessa ordinanza, tenuto conto che si limitano a rendere più stringenti alcune delle misure prese a livello nazionale e regionale con il dichiarato fine di evitare che il contagio nell'ambito comunale possa diffondersi attraverso comportamenti delle persone non in linea con l'obiettivo di limitare al massimo gli spostamenti e le uscite dalla propria abitazione per l'approvvigionamento dei necessari beni alimentari. 5) È illegittimo l'obbligo di indossare la mascherina per l'intera giornata scolastica se sono rispettate le distanze tra banchi? T.A.R. Lazio I, n. 9343/2021 ha ritenuto illegittimo ild.P.C.M. 14 gennaio2021 nella parte in cui impone l'uso delle mascherine a scuola anche in situazione di rispetto delle distanze previste dalla normativa emergenziale Covid-19 e senza prevedere alcuna misura al fine di garantire che un minore, pur privo di patologie conclamate, possa essere esonerato dall'uso della mascherina in classe ove risenta di cali di ossigenazione o di altri disturbi o difficoltà; tale d.P.C.M. si discosta dalle risultanze del Comitato Tecnico Scientifico (CTS) senza motivare e senza richiamare evidenze istruttorie di diverso avviso, in ipotesi ritenute prevalenti rispetto al parere tecnico-scientifico del CTS. V. T.A.R. Lazio I, n. 2102/2021. Il T.A.R. verifica la legittimità del d.P.C.M., essendo stata formulata riserva di azione risarcitoria, sebbene in modo generico, ai sensi dell'art. 34, comma 3, c.p.a.. Quanto al d.P.C.M. 2 marzo 2021, la Sezione ha già evidenziato l'effetto di formale legificazione delle misure in contestazione (cfr. T.A.R. Lazio I, n. 6307/2021) e, dunque, la loro non sindacabilità trattandosi di atti non amministrativi. 6) Quali sono le conseguenze della violazione dell'obbligo di rispettare le misure di contenimento del contagio degli alunni della scuola di infanzia? Secondo T.A.R. Bologna I, ord., n. 444/2021, non deve essere sospeso il provvedimento di dimissione dalla scuola di infanzia dello scolaro che ha volontariamente violato l'obbligo di rispettare le misure di contenimento del contagio (ovvero l'utilizzo delle mascherine ed il distanziamento interpersonale anche all'aperto) imposte dall'art. 1 del d.P.C.M. 2 marzo 2021 a tutela di fondamentali e inderogabili valori costituzionali (in primis artt. 2 e 32 Cost.) in considerazione della dimensione collettiva della salute basata sul principio di solidarietà, oltre che in armonia con lo stesso art. 2087 c.c. e art. 7, d.lgs. n. 65/2017. 7) È legittima l'ordinanza del Sindaco di Messina che obbliga chi intende attraversare lo stretto di Messina a registrarsi? Negativa la risposta di Cons. St. I 735/2020, che ha espresso parere favorevole sulla proposta del Ministero dell'interno di annullamento straordinario a tutela dell'unità dell'ordinamento, ai sensi dell'art. 138 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali e dell'art. 2, comma 3, lett. p), della l. n. 400/1988, dell'ordinanza del Sindaco di Messina n. 105 del 5 aprile 2020, che intende imporre a «Chiunque intende fare ingresso in Sicilia attraverso il Porto di Messina, sia che viaggi a piedi sia che viaggi a bordo di un qualsiasi mezzo di trasporto» l'obbligo di registrarsi, almeno 48 ore prima della partenza, «nel sistema di registrazione on-line www.sipassaacondizione.comune.messina.it, fornendo una serie di dati identificativi e di informazioni personali, e di «Attendere il rilascio da parte del Comune di Messina del Nulla Osta allo spostamento». Ma soprattutto l'ordinanza in questione, nella parte in cui introduce, senza alcuna base di legge, un potere comunale di previa autorizzazione all'ingresso e al transito sul territorio comunale (obbligo di «Attendere il rilascio da parte del Comune di Messina, e per esso della Polizia Municipale... del Nulla Osta allo spostamento»), si pone in contrasto diretto ed evidente con la libertà personale e la libertà di circolazione previste dagli artt. 13 e16 Cost. L'ordinanza viola, infine, anche le attribuzioni riservate allo Stato in materia di profilassi internazionale, di cui all'art. 117,secondo comma lett. q ), Cost., materia in appartenenza statale, come ribadito di recente dalla Consulta (Corte cost. n. 5/2018). 8) Va sospesa la sanzione di cessazione dell'attività commerciale in caso di violazione delle regole sulla vendita di cibi da asporto in Emilia Romagna? Negativa la risposta di T.A.R. Bologna I, decreto 24 aprile 2020, n. 183: «Non va sospeso il verbale di accertamento elevato dalla Polizia municipale, che ha irrogato la sanzione della cessazione dell'attività commerciale di vendita di prodotti al banco di gastronomia e pasticceria fresca in un supermercato senza che siano stati preconfezionati, perché tale modalità si pone in contrasto con l'Ordinanza del Ministro della Salute di intesa con il Presidente della Regione Emilia-Romagna del 3 aprile 2020 (anch'essa impugnata) nella parte in cui, per il periodo di emergenza Covid-19, ha previsto che aziende che preparano cibi da asporto all'interno di supermercati o comunque in punti vendita di alimentari, possono continuare la loro attività ma possono soltanto effettuare la vendita, o la consegna a domicilio, dei cibi preconfezionati, senza prevedere alcuna forma di somministrazione o consumo sul posto». Ha chiarito il decreto che previsioni di cui all'art. 1, comma 1, lett. a), dell'ordinanza del Ministro della Salute di intesa con il Presidente della Regione Emilia Romagna del 3 aprile 2020, fanno salva, unitamente all'attività di preparazione dei cibi da asporto all'interno dei supermercati, quella di vendita o consegna a domicilio dei cibi che siano preconfezionati e senza alcuna forma di somministrazione o consumo in loco. In particolare, la ratio sottesa alla disciplina in contestazione, secondo il senso logico- letterale delle disposizioni emanate è da ricercarsi nell'esigenza di consentire la vendita di prodotti freschi alimentari presso i banchi della gastronomia e della pasticceria fresca ma di quelli (e solo quelli) destinati all'asporto che siano preconfezionati e quindi venduti previa pesatura e in confezioni chiuse, senza che sia possibile la somministrazione o consumo sul posto. 9) Sono legittimi i limiti all'occupazione suolo pubblico nel periodo di emergenza Covid-19 per somministrazione alimenti e bevande a Roma Capitale? Positiva la risposta di Cons. St. V, n. 5175/2020, sulla base di una valutazione comparativa degli interessi nel contesto emergenziale di carattere pandemico. 10) È legittima la chiusura dei cimiteri nel periodo di emergenza Covid-19? Positiva la risposta di T.A.R. Veneto, II, decreto 205/2000, secondo cui non va sospesa l'ordinanza del Sindaco che dispone, a causa dell'emergenza epidemiologica Covid-19, la chiusura temporanea dei cimiteri, atteso che il pregiudizio lamentato (preclusione all'esercizio del diritto di culto e accesso al sepolcro del figlio a partire dal 19 marzo 2020) si è già ormai per la più gran parte (30 giorni) consumato, e che il residuo periodo di chiusura del cimitero (ulteriori 13 giorni fino al 3 maggio), ove rapportato a quello già sofferto (30 giorni) e a quello pregresso di incontestato esercizio anche quotidiano del diritto (14 anni dal 2006), non appare di rilevanza temporale tale da aggravare in modo determinante il danno già patito. 11) È legittima l'inibizione alla partecipazione fisica a cerimonie religiose? Positiva la risposta di T.A.R. Lazio I, decreto n. 3453/2020, secondo cui non va sospeso il provvedimento del 26 aprile 2020 che, nel periodo di emergenza Covid-19, mantiene l'inibizione alla partecipazione fisica alle cerimonie religiose, atteso che, in sede di comparazione di interessi prevale quello alla tutela della salute pubblica. Ha aggiunto la Sezione che il sacrificio della pur comprensibile esigenza di partecipare fisicamente alle cerimonie religiose può ritenersi in via temporanea compensato dalla possibilità di soddisfare il proprio sentimento religioso usufruendo delle numerose alternative offerte mediante gli strumenti informatici. Va sospesa la nomina del Comitato di esperti deputato a proporre le misure necessarie per fronteggiare l'emergenza Covid-19 e per la ripresa graduale nei diversi settori? 12) È legittima la sospensione dell'attività di una società che opera nel settore della comunicazione per conto di enti pubblici? Negativa la risposta di T.A.R. Palermo II, decreto n. 416/2020: deve essere sospeso il decreto del Prefetto di Palermo che dispone, nel periodo di emergenza epidemiologica Covid-19, la sospensione dell'attività imprenditoriale ex art. 1, comma 1, lett. d), d.P.C.M. 22 marzo 2020 di una società che opera nel settore della comunicazione e delle affissioni esterne attraverso svariati impianti pubblicitari, atteso che l'attività per conto di enti ed istituzioni pubbliche, quale è quella espletata dalla ricorrente, è consentita dall'art. 1, lett.a ), d.P.C.M. 22 marzo 2020, in quanto rientra nell'ambito dei «servizi di informazione e comunicazione» di cui all'allegato 1 del medesimo d.P.C.M. Ha aggiunto il decreto che sussiste pure il danno temuto, avuto riguardo alla disposta ultrattività del decreto prefettizio impugnato secondo cui «tali effetti sospensivi dovranno intendersi, in ogni caso prolungati, anche oltre il citato termine (3 aprile 2020) nel permanere delle medesime condizioni qualora la vigenza delle misure emergenziali del d.P.C.M. 22 marzo 2020 venga prorogata». 13) È legittima la sospensione delle lezioni scolastiche in presenza a causa dell'emergenza Covid 19? Eterogenee le indicazioni fornite dalla giurisprudenza, che si è divisa in ragione deli territori e delle caratteristiche dei servizi educativi. In senso negativo, in Basilicata, T.A.R. Basilicata, decreto n. 272/2000, che ha disposto il riesame dell'Ordinanza del Presidente della Giunta Regionale di Basilicata n. 44 del 15 novembre 2020, che di fatto sospende le lezioni in presenza delle scuole di ogni ordine e grado ad eccezione della scuola dell'infanzia e degli asili nido, incidendo la stessa in maniera diretta e significativa sul diritto (di rilevanza primaria) allo studio, contemplato nell'art. 34 Cost., collocato nel titolo II della carta costituzionale al pari dell'art. 32 concernente il diritto (ugualmente di rilevanza primaria) alla salute. Ad avviso del Presidente del T.A.R. Basilicata l'Autorità regionale ha il potere di introdurre, motivatamente ed in via temporanea, le ulteriori restrizioni che giudica indispensabili qualora si riveli, per esempio, la necessità di intervenire in particolari aree infraregionali a causa della specifica situazione locale, ovvero si riveli l'inadeguatezza delle misure di contenimento adottate nelle strutture scolastiche in particolari contesti; ciò, sempreché risulti insufficiente o inefficiente il ricorso a rimedi alternativi in grado di evitare o contenere l'applicazione delle restrizioni nella misura minima compatibile con le esigenze di sanità pubblica; – sembra invece da escludere, in base al quadro normativo vigente evocato dai ricorrenti, che la Regione possa, in maniera generalizzata, modificare l'assetto organizzativo dell'attività scolastica, alterando il quadro delle misure calibrate nel d.P.C.M. per effetto di un diverso apprezzamento dei parametri di rischio epidemiologico e delle misure di contenimento necessarie e sufficienti per fronteggiare la situazione quale risulta compendiata nei diversi «scenari» rappresentati e determinati dall'Autorità governativa centrale. Sulla legittimità della sospensione dell'attività didattica in presenza in Puglia T.A.R. Lecce II, decreto n. 695/2020: «Non deve essere sospesa, con decisione monocratica, l'ordinanza del Presidente della Regione Puglia n. 407 del 28 ottobre 2020, con la quale è stata disposta la didattica integrata per tutte le scuole di ogni ordine e grado sul territorio regionale, ad eccezione dei servizi per l'infanzia, e ciò in quanto il necessario contemperamento del diritto alla salute con il diritto allo studio nella attuale situazione epidemiologica vede prevalere il primo sul secondo (comunque parzialmente soddisfatto attraverso la didattica a distanza), attesa la necessità – in ragione del numero complessivo dei contagi, da apprezzare anche tenendo conto della capacità di risposta del sistema sanitario regionale – di contenere il rischio del diffondersi del virus». In senso opposto T.A.R. Bari, IIII, III, decreto 680/2020: «Deve essere sospesa, con decisione monocratica, l'ordinanza del Presidente della Regione Puglia n. 407 del 28 ottobre 2020, con la quale è stata disposta la didattica integrata per tutte le scuole di ogni ordine e grado sul territorio regionale, ad eccezione dei servizi per l'infanzia, essendo evidente l'incoerenza con l'organizzazione differenziata dei servizi scolastici disposta dal sopravvenuto d.P.C.M. 3 novembre 2020, il quale colloca la Puglia tra le aree a media criticità (c.d. «zona arancione») e che persino per le aree ad alta criticità (c.d. «zone rosse») prevede la didattica in presenza nelle scuole elementari». Ha chiarito il decreto monocratico che vi sono in Puglia molte scuole e molti studenti non sufficientemente attrezzati per la didattica digitale a distanza, di guisa che l'esecuzione del provvedimento impugnato si traduce in una sostanziale interruzione delle attività didattiche e dei servizi all'utenza scolastica. Tale rilevato profilo di inadeguatezza del sistema scolastico pugliese ad attivare subito la DAD costituisce ragione di urgenza per la quale si deve disporre la misura cautelare interinale. La possibilità di chiedere la didattica a distanza dopo il 26 aprile 2021 e sino a conclusione dell'anno scolastico è stata ritenuta legittima da Cons. St. III, decreto n. 28111/2020: «Deve essere respinta l'istanza di sospensione monocratica dell'Ordinanza del Presidente della Regione Puglia, con la quale è stato disposto che, con decorrenza dal 26 aprile 2021 e sino alla conclusione dell'anno scolastico 2020-2021, l'attività didattica delle scuole di ogni ordine e grado si svolge in presenza, salva la possibilità di chiedere la didattica a distanza per le istituzioni scolastiche della scuola primaria, della secondaria di primo grado, di secondo grado e CPIA, non ravvisandosi per gli alunni un danno grave e irreparabile in considerazione della possibilità di esercitare l'opzione per la didattica digitale integrata (DDI). 14) È legittima al sospensione dei servizi educativi dell'infanzia scolastica? In Emilia Romagna la sospensione dei servizi educativi dell'infanzia didattica ha distanza è stata promossa da T.A.R. Bologna, I, n. 120/2021: «Non deve essere sospesa in via monocratica l'ordinanza del Presidente della Giunta Regionale dell'Emilia-Romagna n. 25 del 3 marzo 2021, nella parte in cui ha previsto su tutto il territorio delle province di Bologna e di Modena, quale misura di contenimento della diffusione del virus Covid- 19, la sospensione dei servizi educativi dell'infanzia, di cui all'art. 2, d.lgs. n. 65/2017, ponendosi in coerente e logica condivisione e applicazione delle misure previste dalla vigente normativa nazionale relativamente alle aree caratterizzate da uno scenario di massima gravità e da un livello di rischio alto, come l'area metropolitana di Bologna, classificata come zona rossa. 15) È legale il divieto assoluto di manifestare durante il COVID-19? Negativa la risposta della Corte Edu in una pronuncia del 15 marzo, nel caso Communauté genevoise d'action syndicale (CGAS) c. Svizzera. La Corte ha sancito l'illegalità di un divieto assoluto di manifestare durante il Covid-19. In particolare, le limitazioni non erano comprensibili e prevedibili e non vi erano garanzie contro gli abusi stante le pene radicali previste per le deroghe e il divieto assoluto di manifestare e riunirsi. Sarebbe stato possibile adottare misure così severe – secondo la Corte di Strasburgo – solo se lo Stato avesse invocato l'art.15 Cedu che consente una deroga agli obblighi imposti dalla Convenzione in caso di guerra o grave minaccia alla vita della nazione. Nella fattispecie invece lo Stato ha derogato ai limiti discrezionali riconosciuti dalla Cedu adottando misure radicali per un periodo eccessivo e senza il dovuto controllo giurisdizionale, sì che queste misure sono state giudicate sproporzionate e non necessarie in uno stato democratico. 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