Assicurazione in caso di infortunio mortale: è ramo vita o ramo danni?

Enrico Basso
14 Giugno 2022

Il contratto di assicurazione contro gli infortuni mortali non può essere aprioristicamente ricondotto al ramo vita, per ciò solo che il rischio è riconducibile alla vita dell'assicurato. Per stabilire se si verta in presenza di assicurazione contro i danni o di assicurazione sulla vita...
Massima

Il contratto di assicurazione contro gli infortuni mortali non può essere aprioristicamente ricondotto al ramo vita, per ciò solo che il rischio è riconducibile alla vita dell'assicurato. Per stabilire se si verta in presenza di assicurazione contro i danni o di assicurazione sulla vita, con quanto ne consegue in punto di disciplina normativa applicabile (anche in tema di recesso), il giudice di merito dovrà valutare di volta in volta lo specifico assetto di interessi raggiunto dalle parti nella polizza considerata.

Il caso

Tizio stipula una polizza assicurativa con Alfa Assicurazioni che prevede, inter alia, il pagamento di una somma di denaro in caso di infortunio mortale. Poco dopo decide di recedere dal contratto, dandone formale comunicazione ad Alfa Assicurazioni, nei tempi e nei modi previsti dall'art. 177 del Codice delle Assicurazioni Private (CAP).

Alfa Assicurazioni, tuttavia, contesta a Tizio il diritto di recedere, ritenendo che l'art. 177 CAP sia riferibile ai soli contratti individuali di assicurazione sulla vita, mentre la polizza in questione sarebbe riconducibile al ramo danni.

Tizio, a questo punto, agisce in giudizio avanti al Giudice di Pace per sentir accertare l'avvenuto recesso ai sensi dell'art. 177 C.A.P. e ottenere la condanna di Alfa Assicurazioni al rimborso del premio corrisposto.

Il Giudice di Pace accoglie la domanda di Tizio, che viene poi confermata in secondo grado dal Tribunale di Vercelli.

Alfa Assicurazioni ricorre allora per cassazione, allegando violazione e falsa applicazione degli artt. 177 CAP e 1882 c.c., per aver i giudici di merito inquadrato la polizza nell'ambito del ramo vita, nonostante l'evento morte dedotto in contratto andasse considerato quale conseguenza propria di un infortunio e, quindi, ricondotto al ramo danni.

Le soluzioni giuridiche

I) Come noto, l'art. 1882 c.c. profila due macro categorie di assicurazione: quella contro i danni, che trova la sua disciplina agli artt. 1904 e ss. e quella sulla vita, disciplinata dagli artt. 1919 e ss.

I due rami danni e vita trovano, poi, una classificazione più analitica nell'art. 2 del codice delle assicurazioni private (d. lgs. 209/2005) che, per quanto d'interesse in questa sede, al comma 3 inquadra gli infortuni tra i rischi riconducibili al ramo danni.

La questione sottoposta all'attenzione della Corte di Cassazione nella sentenza in commento è quella della riconducibilità del rischio di infortunio mortale all'uno o all'altro ramo, onde stabilire, in questo caso specifico, la legittimità del recesso esercitato dall'assicurato nei 30 giorni dalla conclusione del contratto, consentito dall'art. 177 CAP in caso di assicurazione sulla vita.

La giurisprudenza aveva iniziato a occuparsi del problema ben prima dell'entrata in vigore del vigente codice delle assicurazioni private, visto che dall'inquadramento dell'infortunio mortale nell'uno o nell'altro ramo dipende l'applicabilità di vari istituti e non solo del recesso dell'assicurato attualmente previsto dall'art. 177 c.a.p.

A titolo di esempio, si pensi al diritto di surroga dell'assicuratore nei confronti del terzo responsabile previsto dall'art. 1916 c.c. per l'assicurazione contro i danni (sul punto, v. di recente Cass. civ., sez. III, 8 aprile 2021, n. 9380) o, ancora, all'obbligo di avviso al coassicuratore dell'esistenza di altre polizze previsto dall'art. 1910 c.c. e alle gravi conseguenze per l'assicurato in caso di inadempimento a tale obbligo (Cass. civ. sez. un. 10 aprile 2002, n. 5119).

II) Le sezioni unite della Cassazione, seppur prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 209/2005, si erano occupate della questione, cercando di dirimere il contrasto giurisprudenziale creatosi tra pronunzie di legittimità che riconducevano l'assicurazione contro gli infortuni mortali ora al ramo vita (ed era questo l'indirizzo maggioritario: cfr. Cass. n. 3207/1994, n. 9388/1994 e n. 6062/1998), ora al ramo danni (indirizzo sostenuto dalla dottrina prevalente, ma anche da una parte della giurisprudenza: v. Cass. n. 1078-1978, n. 3017-1986; n. 661-1988).

Ebbene, in estrema sintesi, nella sentenza n. 5119/2002 le SS.UU. ritennero che, mentre l'assicurazione contro gli infortuni non mortali ha natura indennitaria e va ricondotta al ramo danni, il rischio di infortunio mortale è, invece, tipico dell'assicurazione sulla vita e che, conseguentemente, è dalla disciplina dettata per il ramo vita che dovrebbero essere prevalentemente desunte, in relazione alle singole fattispecie concrete, le norme applicabili.

Si tratta di conclusioni che, in linea di massima, la giurisprudenza ritiene ancora valide e non superate in seguito all'entrata in vigore del CAP (Cass. civ., sez. III, 8 aprile 2021, n. 9380, secondo cui la causa del contratto di assicurazione contro gli infortuni mortali non ha funzione indennitaria -al di là del motivo del negozio che anima di volta in volta l'assicurato- bensì unicamente quella di costituire un capitale la cui attribuzione al beneficiario è certa, ma viene differita nel tempo in quanto ricollegata al rischio-morte, ossia alla durata effettiva della vita dell'assicurato).

III) Tornando al caso in esame, la sentenza in commento sembra essere meno drastica nell'escludere la possibilità che l'assicurazione contro gli infortuni mortali possa avere (solo) funzione indennitaria ed essere, di conseguenza, ricondotta al ramo danni.

In particolare, al § 15 della motivazione, si prende in considerazione l'ipotesi in cui il contratto assicurativo contro il rischio di infortunio mortale risulti totalmente privo di contenuto finanziario, non preveda piani di accumulo né un diritto di riscatto e non abbia neppure alcuna funzione previdenziale.

Così concependosi la possibilità che il rischio di morte per infortunio venga contemplato da polizze aventi cause negoziali diverse, pare dunque inevitabile che l'applicabilità, nel caso concreto, di una singola norma dettata per il ramo danni o per il ramo vita, debba dipendere da una preventiva indagine, da parte del giudice di merito, sullo specifico assetto di interessi che le parti hanno voluto raggiungere sottoscrivendo una certa polizza.

Osservazioni

Nel caso in esame, la Cassazione non si è preoccupata di stabilire se Tizio è receduto legittimamente o meno dalla polizza stipulata con Alfa Assicurazioni, quanto piuttosto di censurare il fatto che l'applicabilità della disciplina specifica per il ramo vita prevista dall'art. 177 CAP fosse stata ritenuta in modo aprioristico, per ciò solo che era assicurato il rischio di morte, quando invece sarebbe stato necessario, nella logica interpretativa poco sopra illustrata, stabilire prima se Tizio avesse stipulato una polizza infortuni mortali “di tipo danni” (con funzione indennitaria) o “di tipo vita” (con funzione previdenziale o assistenziale-solidaristica).

In effetti, chi scrive ha potuto verificare personalmente che il mercato assicurativo offre prodotti assicurativi in cui le Compagnie, in caso di decesso e a fronte del pagamento di premi annui più o meno rateizzati, si obbligano a corrispondere a favore dei beneficiari designati il capitale assicurato.

Polizze dichiaratamente rivolte “a coloro che desiderino cautelarsi dalle conseguenze che un'improvvisa scomparsa può arrecare ai propri familiari per garantire loro un futuro sereno, almeno sotto il profilo economico” e “particolarmente adatte a chi costituisce la principale fonte di reddito all'interno del proprio ambito familiare” (sic), la cui causa negoziale sembra, dunque, effettivamente indennitaria, piuttosto che, per usare le parole di Cass. n. 9380/2021, “assorbita interamente dalla funzione di costituire un capitale variabile la cui attribuzione al beneficiario è certa, ma viene differita nel tempo in quanto ricollegata al rischio morte”.

Basti pensare che il capitale assicurato è fisso e dovuto per intero sin dal versamento del primo premio; che l'attribuzione del capitale al beneficiario, a ben vedere, non è neppure certa - viste le esclusioni previste dalle condizioni di polizza in relazione a varie cause di decesso – e che non è prevista la possibilità di riscatto dei premi versati (che, in caso di interruzione del pagamento, resterebbero definitivamente acquisiti dalla Compagnia Assicuratrice).

La linea interpretativa offerta da Cass. n. 12264/2022 mi sembra dunque condivisibile: l'indagine del giudice di merito sullo specifico assetto d'interessi voluto dalle parti nel contratto assicurativo - per stabilire se, nel caso concreto, una polizza vada ricondotta al ramo danni o al ramo vita (con quanto ne consegue in punto di normativa applicabile) – trova, infatti, una giustificazione non solo sul piano teorico e astratto, ma anche nella realtà concreta del mercato assicurativo, che oggi mi sembra assicurare l'infortunio mortale in entrambe le prospettive.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.