Trust di garanzia istituito da debitore insolvente

Micol Sabbioni
27 Giugno 2022

Il trust con funzione di garanzia non viola il divieto di patto commissorio, purché l'atto istitutivo assicuri modalità di soddisfazione del creditore garantito che impediscano l'assegnazione a quest'ultimo di beni di valore superiore all'importo del credito.
Massima

Il trust istitutivo assicuri modalità di soddisfazione del creditore garantito che impediscano l'assegnazione a quest'ultimo di beni di valore superiore all'importo del credito.

Il trust con funzione di garanzia istituito da debitore insolvente è nullo per contrarietà a norme imperative in quanto atto in frode ai creditori e avente causa illecita.

Il caso

La sentenza in esame è stata pronunciata a seguito di una domanda di accertamento, promossa dalla curatela fallimentare di H.R. – imprenditore individuale tedesco (per la precisione, come riferisce la sentenza: «S. è entità di diritto tedesco indicata nell'atto istitutivo del Trust S. come “società a socio unico”, nell'atto di conferimento dei beni in trust, nel decreto dichiarativo della procedura fallimentare, e negli atti processuali invece come “ditta individuale”. In atti non è prodotta una visura relativa a tale ente») –, della nullità di un trust istituito dal medesimo, con funzione di garanzia, prima del fallimento.

Secondo quanto riportato in narrativa, l'attività svolta dal fallito consisteva nella «raccolta di capitali presso privati», con i quali effettuare investimenti, tramite la partecipazione al capitale di entità societarie (inter alia), nel settore delle energie rinnovabili.

Benché non venga precisato se detti «capitali» venissero ricevuti a titolo di rischio o di credito, in ogni modo, il naufragare dei progetti di investimento comportava l'avvio di una pluralità di procedure esecutive nei confronti di H.R., tanto da condurlo a richiedere il fallimento in proprio, che veniva dichiarato dalla Pretura di Heilbronn nel marzo 2017.

In data 1° marzo 2016, quando il debitore versava già in una situazione di insolvenza, il fallito aveva istituito un trust avente ad oggetto (tra l'altro) una quota, pari al 60% sul totale dell'80% di cui il medesimo era titolare, del capitale sociale di una s.r.l. di diritto italiano (Beta). Il trust aveva funzione di garanzia a beneficio di un creditore del fallito (Alfa, società non riconducibile all'imprenditore poi fallito), che era a sua volta altresì titolare del restante 20% del capitale sociale

Proprio a fronte della mancata restituzione delle somme dovute ad Alfa, dunque, veniva istituito il trust per cui è causa, con la funzione – espressamente indicata nell'atto istitutivo – di tutelare la posizione di tale società creditrice.

Pertanto, il fallimento agiva in giudizio nei confronti del trustee per chiedere, in via principale, la nullità del trust, nella specie lamentando la nullità per violazione del divieto di patto commissorio ex art. 2744 c.c. e del principio della par condicio creditorum.

Prima di procedere con l'esame delle questioni giuridiche sottese alla vicenda, pare opportuno delineare più precisamente i connotati del trust oggetto della controversia, per quanto possibile evincere dal provvedimento.

Il trust in discorso, soggetto al diritto maltese, è stato istituito al fine di garantire debiti del disponente e ha comportato il trasferimento dei beni vincolati in trust al trustee, il quale deve esercitare i suoi poteri nel perseguimento delle finalità del trust e nell'interesse dei suoi beneficiari, sotto la supervisione di un guardiano.

Al trustee sono state affidate:

(i) le quote di partecipazione in Beta s.r.l.; nello specifico, oltre a parte di quella di cui era titolare il fallito, l'intera quota di titolarità della società creditrice, con la conseguenza che il trustee risultava così titolare dell'80% del capitale sociale;

(ii) redditi, frutti e utilità derivanti dalla stessa Beta s.r.l.;

(iii) alcuni crediti da finanziamento soci erogati in favore di Beta s.r.l.

Dalla sentenza, tuttavia, non è dato comprendere perché sono stati conferiti nel trust anche beni già di titolarità di Alfa, società creditrice nel cui interesse è stato costituito il trust.

Si deve inoltre segnalare che la formulazione testuale delle clausole riprodotte nel testo della sentenza (pp. 10-12) fa intendere che il creditore è stato immesso propriamente nella posizione beneficiaria (i.e., che non si tratta di un trust di scopo) e che tra i beneficiari “finali” (recte: residuali) del trust figura anche il disponente stesso.

Al riguardo, veniva previsto un meccanismo tale per cui, per soddisfare la società creditrice, occorre innanzitutto accertare l'inadempimento del debitore e solo successivamente, previo parere favorevole del guardiano, trasferire alla stessa società creditrice parte o l'intero dei beni/ del fondo (o, eventualmente, procedere alla alienazione dei beni in trust).

Si precisa, infine, che il valore delle partecipazioni vincolate del trust era largamente inferiore rispetto all'ammontare del credito vantato.

Le questioni

Con riferimento alla domanda di nullità per violazione del patto commissorio di cui all'art. 2744 c.c., l'organo decisorio si pronuncia nel senso della legittimità del trust con funzione di garanzia, purché esso preveda meccanismi tali da evitare il rischio che il creditore, mediante tale operazione, possa ricevere un importo maggiore rispetto a quanto a lui dovuto.

Nel ritenere che il trust in questione non incorra nel divieto di patto commissorio, il Tribunale – condividendo l'esigenza di ampliare l'ambito applicativo della previsione legislativa – innanzitutto si sofferma sulla necessità di individuare la ratio dell'art. 2744 c.c. su un piano oggettivo-funzionale (cfr., da ultimo, Cass., 8 ottobre 2021, n. 27362; Cass., 27 ottobre 2020, n. 23553; Cass., 28 settembre 2020, n. 20420; per un inquadramento dell'istituto cfr., ad es., M. Trimarchi, Operazione negoziale e trasferimento con funzione di garanzia: la neutralizzazione del divieto del patto commissorio, in Riv. dir. civ., 2021, 715 ss): sicché, per comprendere se la previsione legislativa è violata, occorre delineare la funzione del negozio e quindi valutare il rapporto, e cioè l'eventuale sproporzione, tra l'entità del debito e il valore oggetto della garanzia. Nell'ambito di questo discorso più generale, il Tribunale ricorda quindi la posizione della giurisprudenza maggioritaria nel senso della legittimità del c.d. patto marciano, in forza del quale il bene oggetto di garanzia viene sottoposto a stima e, per acquisire tale bene, il creditore è tenuto a corrispondere l'importo eccedente l'entità del credito (ex multis: in giurisprudenza cfr. Cass., 17 gennaio 2020, n. 844; Cass., 28 gennaio 2015, n. 1625; Trib. Milano 19 gennaio 2021, n. 340, in Banca Dati Dejure; Trib. Milano, 21 febbraio 2020, n. 1660, in Banca Dati Dejure; in dottrina cfr. Dolmetta, La ricerca del «marciano utile», in Riv. dir. civ., 2017, 813 ss.).

Sulla base di queste premesse generali, l'organo giudicante, con riferimento specifico al trust in questione e alla valutazione della sua compatibilità con il divieto ex art. 2744 c.c., innanzitutto respinge l'approccio soggettivo che la curatela pretende di applicare nel caso di specie – volto ad indagare eventuali profili di responsabilità del trustee per violazione di obblighi derivanti dalla sua carica, i quali, nell'impostazione adottata dal Tribunale, avrebbero conseguenze soltanto in tema di responsabilità del trustee e non sul piano della nullità del trust – e, quindi, procede all'esame dell'atto istitutivo del trust e dell'atto di conferimento di beni in trust con un approccio oggettivo-funzionale.

In senso condivisibile, il Tribunale ritiene di escludere, nel caso di specie, che al creditore possano essere attribuiti beni vincolati in trust per un valore superiore rispetto a quanto alla stessa dovuto, grazie al meccanismo previsto per il pagamento in favore della società creditrice, nonché in conseguenza dell'esiguità del valore dei beni in trust rispetto all'importo del debito.

Analizzando la fattispecie concreta, infatti – come già esposto nel paragrafo 2.2 che precede – si evince, tra l'altro, che i beni in garanzia non erano stati posti nella disponibilità del creditore stesso, bensì di un soggetto terzo, il quale, prima di procedere al pagamento in favore del creditore, deve accertare l'inadempimento del debitore (che determina quindi anche l'accertamento del credito) e ottenere il parere favorevole del guardiano. A conferma delle garanzie offerte dal meccanismo, si aggiunge poi anche la circostanza che tra i beneficiari vi è anche il disponente, il cui diritto alla distribuzione dei beni che residuano al momento della cessazione del trust costituisce ulteriore indice delle cautele che circondano il procedimento.

Si aggiunge, infine, la considerazione che, nel caso di specie, non solo la curatela non ha provato la sproporzione tra debito e beni posti in garanzia, ma altresì parte convenuta ha evidenziato l'esiguità del valore delle partecipazioni oggetto di garanzia rispetto al complessivo debito.

Ne consegue, pertanto, il rigetto da parte del Tribunale della tesi per cui il trust con funzione di garanzia viola – in astratto e in concreto – il divieto di patto commissorio.

Sotto diverso profilo, invece, il Tribunale, in accoglimento della domanda della curatela, dichiara nullo il trust per contrarietà a norme imperative, in quanto atto in frode ai creditori, e per illiceità della causa. In particolare, viene configurata, con riferimento al primo aspetto, la violazione dell'art. 15, lett. e), della XV Convenzione de L'Aja del 1° giugno 1985 e, per quanto riguarda il secondo, degli artt. 1418, commi 1 e 2, c.c. e 216, comma 3, l. fall.

Per giungere a questa decisione, tuttavia, il Tribunale richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale che reputa nullo il trust c.d. liquidatorio, definendolo “analogo istituto”. Sulla base di queste premesse, la determinazione dei Giudici milanesi viene quindi fondata (i) sul fatto che il trust è stato istituito in un momento in cui il disponente, poi dichiarato fallito, era già insolvente e (ii) sulle concrete caratteristiche del trust.

Ritenuta anche dalle parti pacifica nella fattispecie di cui è causa la sussistenza del primo elemento, le considerazioni del Tribunale si concentrano sul secondo requisito. A tal proposito, è dirimente, nell'analisi dell'organo decisorio, il duplice rilievo per cui il trust comporta che i beni coinvolti vengano sottratti, da un lato, alla massa dei creditori del disponente, essendo invece destinati al pagamento soltanto di un determinato creditore – tenuto anche conto che viene qualificato, nell'atto istitutivo, come «patrimonio separato» rispetto sia a quello del settlor sia a quello del trustee – e, dall'altro lato, all'amministrazione da parte della procedura concorsuale.

Osservazioni

Il primo principio di diritto espresso dal Tribunale (: compatibilità del trust di garanzia con il divieto di patto commissorio, nei confini previsti dal patto marciano) è senz'altro condivisibile e di particolare interesse, in quanto rappresenta uno dei primi arresti della giurisprudenza italiana che affronta esplicitamente la tematica. Benché – come noto – sussistano anche diversi approcci con riferimento alla generale sussunzione, operata dalla sentenza, del trust nel contratto (Ginevra, La partecipazione fiduciaria in s.p.a., Milano, 2012, 38 ss.), l'idea per cui il trust con funzione di garanzia soggiace alle ordinarie regole in materia di garanzie rappresenta un avanzamento nel processo di normalizzazione del trust nell'ordinamento italiano e di maturazione.

Maggiormente delicati si presentano, invece, gli snodi argomentativi posti alla base del secondo principio di diritto, i.e. quello per cui il trust di garanzia, ove creato da un debitore insolvente, è nullo per contrarietà a norme imperative, segnatamente la par condicio creditorum e lo spossessamento proprio delle procedure concorsuali.

Ebbene, appare dubbio l'accostamento – che rappresenta il sostrato di detta conclusione – della fattispecie qui analizzata a quella del trust liquidatorio: tipologia empirica che comporta il trasferimento (o, nel caso della declaration of trust, il mutamento del regime proprietario del debitore, che diventa trustee) della totalità del patrimonio del debitore (e non solo di alcuni beni) a un trustee, con la funzione di evitare l'assoggettamento a fallimento e, quindi, con il coinvolgimento di tutti i creditori (e non di garantirne soltanto alcuni creditori), peraltro non sempre con l'immissione degli stessi in una posizione beneficiaria, e tendenzialmente senza meccanismi “marciani” (per una ricostruzione della prassi e della giurisprudenza sul punto, Spolaore, Garanzia patrimoniale e trust nella crisi d'impresa, Milano, 2018, 13 ss.).

Sembra, comunque, che il Tribunale sarebbe giunto a un'identica conclusione anche omettendo detto passaggio, atteso che il giudizio di invalidità si appunta sulla base del rilievo che l'effetto di garanzia, insito nell'operazione, collide con principi inderogabili della crisi d'impresa. Tuttavia, da siffatto argomentare dovrebbe discendere, quale corollario, che qualsiasi forma tecnica – tipica o atipica – di garanzia reale, la quale comporti il riconoscimento di diritti di priorità in capo a singoli creditori (e, quindi, non soltanto il trust), dovrebbe essere invalida ove costituita da un debitore in crisi. Ma la prospettiva rimediale tipica prevista dall'ordinamento a fronte di atti costitutivi di garanzie, e/o di qualsiasi atto dispositivo, compiuti dal debitore, anche in situazione di squilibrio economico-finanziario, è l'azione revocatoria ordinaria e/o fallimentare, piuttosto che l'azione di nullità (e la differenza non è nominalistica: a parte la diversità di effetti - la revocatoria implica solo l'inopponibilità dell'atto al creditore che agisce o alla massa dei creditori, secondo che la revocatoria sia ordinaria o fallimentare -, si pensi al regime di prescrizione dell'azione - soltanto quella di nullità è imprescrittibile-, all'onere probatorio, nonché all'operatività o non dell'art. 28 l. not.): la cui esperibilità (anche) nei confronti del trust è acclarata (e.g., v. Cass., 14 aprile 2019, n. 10498, in Banca borsa tit. cred., 2021, II, 82 ss., con nota di Spolaore, Azione revocatoria di atto istitutivo di trust tra “disposizione”, “separazione” e “protezione”, ove ulteriori riferimenti).

[Benché lo scritto sia frutto di riflessioni comuni, a Piergiuseppe Spolaore devono attribuirsi i paragrafi 1 e 4, a Micol Sabbioni devono attribuirsi i paragrafi 2 e 3].

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