Il socio illimitatamente responsabile datore di pegno può agire in regresso verso la società
26 Luglio 2022
Massima
Il socio illimitatamente responsabile di una società di persone, che abbia concesso una garanzia reale (nella specie pegno) a favore del creditore sociale per le obbligazioni sociali, pur essendo tale garanzia idonea a coprire verso il terzo creditore un debito che sul piano oggettivo è riferibile anche al socio ed aggiungendosi essa alla garanzia patrimoniale generica cui il socio illimitatamente responsabile è tenuto per legge (con l'effetto di neutralizzare il beneficium excussionis di cui beneficia il socio ex art. 2304 c.c.), a seguito dell'escussione della garanzia pignoratizia venga escussa, ha diritto di regresso verso la società (con applicazione della disciplina delle passività ai sensi dell'art. 2263 c.c.) o gli altri soci. Il caso
Il socio di una società di persone promuoveva ricorso avverso alla decisione con cui la Corte di Appello di Bologna, muovendo dall'assunto secondo il quale i debiti delle società di persone costituiscono debiti propri dei soci illimitatamente responsabili, aveva negato all'appellante (socio illimitatamente responsabile, le cui garanzie reali per debiti della società erano state escusse), la possibilità agire in regresso e in surroga nei confronti della compagine per ripetere quanto pagato in virtù di una garanzia rimasta in vita dopo la cessazione del rapporto sociale. Secondo il Collegio, il venire meno della carica di socio illimitatamente responsabile non comportava la cessazione della responsabilità illimitata per i debiti contratti dalla società allorquando l'appellante era socio accomandatario. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduceva, quindi, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., degli artt. 2290, 2291, 2313, 2315, 2318, 1203, n. 3, 1936, 1949 e 1950 c.c., in quanto la sentenza impugnata avrebbe erroneamente escluso il suo diritto di regresso e di surroga, quale socio garante, nei confronti della società. In via gradata assumeva che ulteriore error in iudicando conseguisse dalla violazione e falsa applicazione degli artt. 2263, 2269, 2289, 2290, 2291, 2313, 2315, 2318, 1203, n. 3, 1936, 1949 e 1950 c.c. per avere il giudice del gravame affermato che i debiti delle società di persone devono essere qualificati come debiti propri dei soci illimitatamente responsabili anche quando l'escussione della garanzia avvenga in seguito alla cessazione dell'adesione alla compagine sociale ed alla perdita della qualità di socio illimitatamente responsabile e questo, in entrambi i casi, per atti inter vivos, posti in essere con il consenso della società e senza riserva alcuna. Adduceva il ricorrente che il socio il cui recesso sia stato accettato dagli altri, così come perde il diritto di partecipare alla divisione del patrimonio sociale, non deve poter essere chiamato dalla società o dai cessionari a rispondere dei debiti sociali, ma solo dai creditori sociali ex art. 2269 e 2290 c.c.. E richiamava, a sostegno della propria tesi, quei precedenti con cui la stessa Corte aveva escluso che colui abbia perso la qualità di socio illimitatamente responsabile possa essere ritenuto obbligato a tenere indenni la società o i soci, compresi i cessionari della quota, per le obbligazioni sociali, anche se sorte prima della cessione o della cessazione del suo status di socio illimitatamente responsabile, in applicazione del principio generale di cui all'art. 2290 c.c. riferito alla società in nome collettivo: così, Cass., 13 dicembre 2010, n. 25123; Cass., 12 dicembre 2011, n. 525. Più recente, Cass., 22 marzo 2018, n. 7139, la quale ha espressamente sancito la validità ed efficacia delle garanzie accordate dal socio illimitatamente responsabile nell'interesse della società partecipata e a favore di terzi creditori di quest'ultima. In precedenza, invece, la stessa Corte affermava che il socio-garante, una volta escussa la garanzia e integralmente soddisfatto il terzo creditore, non avrebbe diritto di regresso nei confronti della società (debitrice principale), in quanto le obbligazioni delle società di persona sono da qualificarsi “debito proprio” del socio illimitatamente responsabile (Cass., 5 novembre 1999, n. 12310). A dire del ricorrente, la sentenza impugnata avrebbe fatto applicazione di tale ultimo orientamento, ormai superato. La Suprema Corte ha cassato la decisione impugnata con rinvio al giudice del gravame limitatamente al primo motivo di ricorso, con esortazione della Corte di Appello a fare applicazione del principio di diritto enunciato nonché a considerare “ammissibile l'azione di regresso verso la società applicando gli artt. 1298 e 1299 c.c.”. Il secondo motivo di impugnazione è rimasto assorbito, sul presupposto che “il principio di diritto copre anche la situazione del socio che sia uscito dalla società e debba rispondere in forza di una garanzia reale per debiti pregressi”. Le questioni giuridiche
Il primo motivo di ricorso pone la questione se il socio illimitatamente responsabile di una società di persone (sul regresso del socio illimitatamente responsabile di una società di persone, Salafia, Il regresso dei soci di società personali che hanno pagato un debito sociale, in Società, 2000, 674 ss.), datore di garanzia, possa agire in regresso verso la società dopo l'escussione della garanzia stessa da parte dei creditori sociali. Tale facoltà, in effetti, non è prevista in via generale da alcuna disposizione codicistica: al contrario, le norme del codice civile chiamano il socio a provvedere al soddisfacimento dei crediti sociali ove i fondi sociali risultino insufficienti, anche mediante contribuzioni aggiuntive rispetto a quelle effettuate in esecuzione dei conferimenti (si veda l'art. 2280, comma 2 c.c.). Il beneficio della preventiva escussione, in uno con la facoltà di agire in regresso, sono tipici invece dell'istituto della fideiussione, di talchè si tratta di accertare se sia possibile estendere detta facoltà anche al socio illimitatamente responsabile, sulla base di un'interpretazione estensiva delle disposizioni dettate in materia di fideiussione. Il riferimento è agli artt. 1949 e 1950 c.c., che attribuiscono al fideiussore la possibilità di agire in regresso verso il garantito in seguito all'escussione della garanzia da parte del creditore, atteso che, dopo aver provveduto al pagamento del debito, egli è surrogato nei diritti che il creditore aveva nei confronti del debitore principale ed ha il diritto di ripetere tutto quanto è stato da lui versato con gli interessi e le spese: Cass. 28 gennaio 1998, n. 831. Ciò è tanto vero, che, al fine di salvaguardare le possibilità di regresso del fideiussore, l'art. 1957 c.c. impone al creditore di agire nei confronti del debitore entro un breve termine di decadenza, pena la liberazione del fideiussore, mentre l'art.1956 c.c. trasforma “la facoltà di non dare esecuzione all'obbligazione assunta di far credito qualora sia sopravvenuta insolvibilità del debitore” (art. 1461 c.c.) in “obbligo di condotta”, la cui violazione è sanzionata con la liberazione del fideiussore dall'obbligazione di garanzia. Il Supremo Consesso aveva già avuto modo di prendere posizione sulla questione, ossia sulla possibilità di estendere al socio illimitatamente responsabile le disposizioni dettate per la fideiussione tra la fine degli anni '90 e l'inizio del nuovo secolo (Cass., 5 novembre 1999, n. 12310; Cass., 6 novembre 2006, n. 23669), inaugurando un orientamento – cui effettivamente la decisione impugnata mostra adesione – restìo a riconoscere al socio illimitatamente responsabile la possibilità di agire in regresso verso la società in seguito alla escussione della garanzia della quale (in dottrina, in senso contrario all'esercizio dell'azione di regresso da parte del socio illimitatamente responsabile, ex plurimis, Mastropaolo – Calderale, Fideiussione e contratti di garanzia personale, Torino, 1994, 393; Fragali, Fideiussione (dir. priv)., in Enc. dir., XVII, Milano, 1968, 359. Contra, Ravazzoni, Fideiussione (dir. civ.), Dig. disc. priv. sez. civ., Torino, 1992, 293). Ciò, sul presupposto della non assimilabilità della posizione del socio illimitatamente responsabile a quella del fideiussore, in quanto, mentre il fideiussore è chiamato a rispondere di un debito altrui, al contrario, il debito cui è chiamato il socio illimitatamente responsabile della società di persone è un debito proprio del socio. Simile conclusione veniva ricavata dall'interpretazione letterale delle disposizioni dettate in materia e, segnatamente, da un lato, dai suddetti artt. 1949 e 1950 c.c., e, dall'altro, dagli artt. 2257 e 2258 c.c., che, seppur non precludano al socio illimitatamente responsabile di agire in regresso verso la società, tuttavia, nel momento in cui specificano che la gestione della compagine spetta a tutti i soci, stavano a significare, nell'interpretazione datane dalla giurisprudenza, non solo la non estraneità del socio alla compagine cui appartiene, ma anche (e quindi) la non alterità dei debiti sociali rispetto alla posizione del singolo socio illimitatamente responsabile. La conseguenza è l'impossibilità per lui di “rifarsi” sulla società, sulla stregua di quanto previsto per il fideiussore dall'art. 1950 c.c. Simile conclusione troverebbe conforto nella circostanza che le uniche disposizioni in cui si rinviene traccia di una sorta di “contenimento” della responsabilità dei soci rispetto alle obbligazioni sociali sono gli artt. artt. 2268 e 2304 c.c. Ebbene, secondo la prima giurisprudenza della Cassazione, dette disposizioni, nel prevedere la possibilità che il socio richiesto di soddisfare i crediti sociali possa domandare la previa escussione del patrimonio sociale, in realtà, riguardano i rapporti tra i soci stessi e la società cui partecipano, rispetto ai quali gli eventuali coobbligati sono del tutto estranei. A tanto si aggiunga che la distinta soggettività giuridica tra la società e i soci (Cass., 5 novembre 1999, n. 12310; Cass., 7 agosto 1996, n. 7228; Cass., 26 ottobre 1995, n. 11151; Cass.,12 dicembre 1995, n. 12733. Cass., 12 dicembre 1995, n. 12733; Cass., 20 aprile 1994, n. 3773), riconosciuta dalla stessa Corte, ha carattere transitorio e strumentale, essendo i diritti e gli obblighi ad essi imputati destinati a tradursi in situazioni individuali in capo ai singoli membri. Osservazioni
La decisione in commento segna una decisa inversione di rotta rispetto alle questioni dirimenti. Complice anche la sostanziale diversità del caso di specie rispetto a quello che aveva offerto l'occasione per affermare i principi di cui sopra, gli Ermellini ritengono di doversi discostare dall'orientamento inaugurato a partire dalla fine del secolo precedente e lo fanno concentrando l'attenzione sul profilo della errata assunzione di una posizione di estraneità del socio illimitatamente responsabile rispetto alle obbligazioni sociali garantite. C'è da dire che la sentenza del '99 aveva ad oggetto una fattispecie diversa da quella sottoposta all'esame della Corte bolognese, ossia un caso nel quale l'oggetto della decisione concerneva non già una fattispecie in cui tale regresso era avvenuto, bensì una fattispecie nella quale si discuteva della pretesa del socio di sottrarsi ad un'azione esecutiva contro di lui esercitata in forza della responsabilità illimitata adducendosi che il creditore, non avendo agito tempestivamente nei confronti della debitrice né coltivando con la necessari diligenza l'azione esperita contro la società (che aveva rilevato l'azienda della debitrice, nella quale era ricompreso il bene ipotecato) aveva vanificato il beneficio, a lui concesso dall'art. 2304 c.c., di essere escusso solo in via sussidiaria, venendo meno al dovere di correttezza posto in via generale a carico del creditore, non meno che del debitore (art. 1175 c.c.).
La Corte di Bologna aveva negato la facoltà del socio appellante di agire in regresso, come si è anticipato, sul presupposto che i debiti garantiti fossero debiti “propri” del garante, a nulla valendo il fatto che la causa del credito fosse l'attività svolta dalla società. Superando il dogma della transitorietà e strumentalità della distinta soggettività giuridica tra società di persone e soci (tale per cui i debiti della prima si traducono in situazioni individuali in capo ai singoli), già noto alla stessa Cassazione, il Supremo Consesso osserva, nella decisione in commento, che, quando il socio illimitatamente responsabile paga, estingue un debito che, a prescindere che ne fosse garante, oggettivamente è lo stesso della società e degli altri soci illimitatamente responsabili. Già Cass., 10 gennaio 2017, n. 279 aveva affermato che “il ‘beneficium excussionis' concesso ai soci illimitatamente responsabili di una società di persone, in base al quale il creditore sociale non può pretendere il pagamento da uno di essi se non dopo l'escussione del patrimonio sociale, opera esclusivamente in sede esecutiva, nel senso che il creditore sociale non può procedere coattivamente a carico del socio se non dopo aver agito infruttuosamente sui beni della società, ma non impedisce al predetto creditore di agire direttamente nei suoi confronti in sede di cognizione ordinaria. Infatti, la responsabilità del socio si configura come personale e diretta, anche se con carattere di sussidiarietà in relazione al preventivo obbligo di escussione del patrimonio sociale, sicché egli non può essere considerato terzo rispetto all'obbligazione sociale, ma debitore al pari della società per il solo fatto di essere socio. Tuttavia, ove il socio illimitatamente responsabile venga convenuto in giudizio per il pagamento dei debiti della società non nella sua qualità, ma in proprio, egli è carente di legittimazione, non potendo in tal caso far valere in sede esecutiva il beneficio della previa escussione del patrimonio sociale”. Ne deriva che egli compie un atto satisfattivo che è riferibile anche alla società ed agli altri soci, giusta la solidarietà tra loro esistente ai sensi dell'art. 1299 c.c. Il fatto, cioè, che il pagamento del socio sia di per sé sufficiente ad estinguere il debito della società e, quindi, precluda al creditore di chiedere il pagamento anche alla compagine, dimostra l'identità delle due posizioni. Quindi, a prescindere dal fatto che la società di persone sia priva di personalità giuridica, giustifica il regresso del socio illimitatamente responsabile nei confronti degli altri soci, chiamati a rispondere pro quota (artt. 1298 e 1299 c.c.), salvo quanto eventualmente previsto nei patti parasociali. La peculiarità della disciplina del regresso da parte del socio illimitatamente responsabile di una società di persone, infatti, non risiede nell'indagine in ordine alla sua ammissibilità, quanto più nella sua “prospettiva funzionale”, nel senso che, concretandosi la pretesa di pagamento in una passività maturata dalla società, il socio che ha pagato, ai sensi dell'art. 2263 c.c., non potrà pretendere la quota della passività proporzionale al valore del suo conferimento. Quanto detto vale a prescindere che operi il beneficium excussionis o che il socio avesse prestato garanzia reale: ciò rileva, al più nel senso che egli non fruirà del beneficio della preventiva escussione, ma, per il resto, la disciplina delle obbligazioni solidali rimane applicabile. Ciò in quanto, anche ove il socio abbia prestato una garanzia reale (pegno o ipoteca) o personale (fideiussione), in ogni caso l'art. 1299 c.c. si sovrappone rispettivamente all'art. 1950 c.c. o all'art. 2871 c.c. La Cassazione prosegue il ragionamento ribadendo un principio che la stessa Corte aveva già affermato (Cass., 22 marzo 2018, n. 7139, che ha così affermato: “non si vuole qui porre in discussione principi consolidati, in ragione dei quali, nelle società di persone, l'unificazione della collettività dei soci e l'autonomia patrimoniale costituiscono uno strumento giuridico volto a consentite alla pluralità dei soci medesimi unitarietà di forme di azione, senza che tale pluralità venga a dissolversi nella unicità esclusiva di un autonomo soggetto di diritto; cui consegue, quale precipitato logico, l'affermazione che la responsabilità del socio illimitatamente responsabile di società di persone, in quanto prevista direttamente dalla legge, riguarda debiti che non possono dirsi a lui estranei”; cfr. anche cfr. Cass., 5 maggio 2016, n. 8944; Cass., 26 febbraio 2014, n. 4528) e cioè che il rilascio della garanzia fideiussoria o di altro genere di garanzia da parte del socio illimitatamente responsabile non incide sullo schema legale delle società di persone, ma aggiunge un titolo diverso in base al quale il creditore è in grado di agire in executivis senza che al fideiussore sia consentito avvalersi del beneficio della preventiva escussione del patrimonio sociale. Lo stesso principio vale anche ad un altro fine, ossia in relazione all'estensione “temporale” della garanzia. Nel caso sottoposto all'attenzione della Corte, infatti, il socio illimitatamente responsabile, datore di pegno, era uscito dalla società al momento in cui è stato effettuato il pagamento. Tanto offre alla Cassazione l'occasione per precisare che, proprio perché la garanzia rilasciata dal socio non incide sull'assetto sociale, quindi sulla posizione del socio come illimitatamente responsabile, ne deriva che, anche ove il pagamento del debito sociale avvenga dopo la sua uscita dalla società e questi, ai sensi dell'art. 2290 c.c., sia rimasto illimitatamente responsabile per le obbligazioni sociali pregresse, egli, pagando il creditore, direttamente o a seguito dell'escussione della garanzia, comunque adempie ad un'obbligazione che soggettivamente è riferibile sia a lui, sia alla società e agli altri soci illimitatamente responsabili. Testualmente la sentenza in commento: “…per dirla con le parole della già cit. Cass. n. 26012 del 2007, da un lato, la responsabilità solidale ed illimitata ex lege costituisce circostanza atta ad escludere l'estraneità dei debiti sociali nei confronti del socio e, dall'altro, giusta la distinzione sostanziale e processuale fra soggetto societario e socio, la fideiussione prestata da quest'ultimo in favore del primo è riconducibile fra le garanzie per obbligazione altrui ex art. 1936 cod. civ.”.
Resta quindi per lui salva la facoltà di esercitare il regresso verso la società, sempre nei limiti suddetti, a meno che, com'è chiaro, in sede di uscita dalla stessa la sua perdurante responsabilità non sia stata diversamente regolata. Le medesime argomentazioni vengono richiamate dalla Corte anche con riferimento alla questione posta dal secondo motivo di ricorso, rimasta evidentemente assorbita dalla ritenuta fondatezza del primo e quindi dal riconoscimento in favore del socio uscito dalla società della possibilità di esercitare il regresso verso la stessa e, segnatamente, dall'enunciazione del principio di diritto in forza del quale “il socio illimitatamente responsabile di una società di persone che abbia concesso una garanzia reale (nella specie pegno) a favore del creditore sociale per le obbligazioni sociali, pur essendo tale garanzia idonea a coprire verso il terzo creditore un debito che sul piano oggettivo è riferibile anche al socio ed aggiungendosi essa alla garanzia patrimoniale generica cui il socio illimitatamente responsabile è tenuto per legge (con l'effetto di neutralizzare il beneficium excussionis di cui beneficia il socio ex art. 2304 c.c.), a seguito dell'escussione della garanzia pignoratizia venga escussa, ha diritto di regresso verso la società (con applicazione della disciplina delle passività ai sensi dell'art. 2263 c.c.) o gli altri soci”. Conclusioni
Il revirement operato dalla Corte con la decisione in commento perviene ad una conclusione rispettosa del dettato normativo applicabile alla materia ed apporta un correttivo all'orientamento accolto in precedenza. Si è detto, infatti, che l'orientamento inaugurato a partire dalla fine degli anni '90, oltre a fare leva sulla carenza di autonoma soggettività della società di persone e sulla non estraneità del debito pagato al socio adempiente per negare a questo il regresso verso la società, osservava come le norme (artt. 2304 e 2268 c.c.) che prevedono la possibilità per il socio di domandare la previa escussione del patrimonio sociale, in realtà, riguardino i rapporti tra i soci stessi e la società cui partecipano, rispetto ai quali gli eventuali coobbligati sono estranei. Tuttavia, la semplice lettura dell'art. 2304 c.c., nel momento in cui preclude ai creditori sociali di “pretendere il pagamento dai singoli soci, se non dopo l'escussione del patrimonio sociale” rende opponibile anche ai primi la relazione intercorrente tra il socio e la compagine, quindi impedisce al creditore sociale di procedere coattivamente nei confronti del socio, se non dopo avere agito infruttuosamente sui beni della società (ex multis, Cass., 12 ottobre 2018, n. 25378). La relazione si atteggia, infatti, nei termini della sussidiarietà della responsabilità del socio rispetto a quella della società, così come risultante dall'art. 2268 c.c. Sotto un profilo più generale, il principio di diritto enunciato dalla Corte appare comunque coerente con la disciplina delle obbligazioni solidali e, in un certo senso, preserva la posizione del socio chiamato a rispondere anche dopo la cessazione dalla carica sociale dal rischio di vedersi del tutto preclusa la possibilità di ripetere quanto pagato anche nell'interesse degli altri soci illimitatamente responsabile. |