I corretti criteri di accertamento, determinazione e liquidazione del danno biologico permanente

Giovanni Gea
26 Luglio 2022

La Cassazione spiega le modalità con cui deve avvenire l'accertamento, la determinazione e la liquidazione del danno biologico permanente.
Massima

La liquidazione del danno biologico permanente, ove la legge non disponga diversamente, deve avvenire secondo le regole vigenti al momento della decisione e previa determinazione della percentuale di invalidità mediante i rigorosi ed oggettivi criteri medico-legali ed i più accreditati barèmes redatti con criteri di scientificità.

Il caso

Il conducente di un veicolo, rimasto coinvolto in un sinistro stradale con lesioni, conveniva in giudizio avanti il Tribunale di Vibo Valentia il conducente-proprietario della vettura antagonista e la di lui compagnia di assicurazione al fine di ottenere il risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti.

Il Tribunale, disattendendo gli esiti della CTU che aveva quantificato l'invalidità permanente nella misura del 3% e condividendo, invece, l'opinione del CTP del danneggiato, determinava “equitativamente” il danno biologico nella misura del 20% e condannava i convenuti al pagamento della somma di € 79.319,00.

La Corte d'Appello di Catanzaro, adita dalla compagnia di assicurazione, ritenuti corretti gli esiti della CTU, accoglieva l'appello e rideterminava l'importo risarcitorio nella minor somma di € 8.374,48 sulla base dei criteri stabiliti dall'art. 139 del d.lgs. 7 settembre 2005 n. 209 (Codice delle Assicurazioni Private).

Il danneggiato ricorreva in Cassazione avverso detta sentenza.

La questione

In caso di lesione del bene salute, è consentito al giudice del merito determinare “equitativamente” la percentuale di invalidità permanente e liquidare il danno in base alle regole vigenti al momento del fatto illecito ovvero la valutazione “equitativa” del danno di cui all'art. 1226 c.c.è limitata alla sola fase di determinazione del suo controvalore monetario e secondo le regole vigenti al momento della decisione?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, per quanto qui di interesse, a fronte della doglianza del ricorrente per aver la Corte d'Appello erroneamente applicato i criteri stabiliti dall'art. 139 del d.lgs. 7 settembre 2005 n. 209 n. 209 per la determinazione del grado di invalidità permanente e per la sua monetizzazione e, conseguentemente, ridotto il quantum debeatur liquidatogli dal Tribunale, dichiara inammissibile il ricorso per insufficiente esposizione dell'interesse a proporlo non avendo il danneggiato indicato quali “diversi” e “corretti” criteri (barèmes e tabelle), se adottati dalla Corte territoriale, avrebbero condotto ad un risarcimento più vantaggioso.

In ogni caso, la Suprema Corte, ritenendo che il ricorso invochi, comunque, l'applicazione di principi di diritto erronei che è doveroso confutare nell'interesse della legge ai sensi dell'art. 363, comma 3, c.p.c., coglie l'occasione per ribadire gli imprescindibili criteri di accertamento, determinazione e liquidazione del danno biologico.

Anzitutto, precisa la Suprema Corte che qualunque danno, ove la legge non disponga altrimenti, debba essere liquidato in base alle regole vigenti al momento della decisione, e non al momento del fatto illecito, ed anche laddove la legge detti in una determinata materia regole per la liquidazione del danno, è erroneo ritenere che tali regole debbano applicarsi ai soli fatti illeciti avvenuti dopo la sua entrata in vigore.

Ciò, per la semplice ragione che la liquidazione del danno non è un elemento della fattispecie astratta dell'illecito bensì un giudizio”e, come tutti i giudizi, non può che avvenire in base alle regole, di fonte normativa ovvero pretoria, vigenti al momento in cui viene compiuto.

Tale principio trova, peraltro, già pacifica applicazione in tema di danno alla salute causato da colpa medica ove la liquidazione deve avvenire in base ai criteri stabiliti dall'art. 7, comma 4, della l. 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. Legge “Gelli-Bianco”) anche per i fatti avvenuti prima della sua entrata in vigore; in tema di danno ambientale ove la liquidazione deve avvenire in base ai criteri stabiliti dall'art. 311, comma 3, del D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152, anche se l'illecito è stato commesso in data antecedente; in tema di danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale ove la liquidazione deve avvenire in base ai criteri orientativi (c.d. "tabelle”) diffusi al momento della liquidazione, e non dell'illecito; in tema danno alla salute causato da sinistri stradali ove la liquidazione deve avvenire in base i criteri stabiliti dagli artt. 138 e 139 del d.lgs. 7 settembre 2005 n. 209 (Cass., sent. n. 28994/2019); in tema di danno da ingiusta detenzione ove liquidazione deve avvenire in base al massimale vigente al momento della liquidazione, e non della detenzione; in tema di danno da occupazione appropriativa ove la liquidazione deve avvenire in base ai criteri stabiliti dal comma 7-bis, dell'art. 5-bis, della l. 359/92, anche per i fatti avvenuti prima della sua entrata in vigore.

Inoltre, precisa sempre la S.C. che, nella fattispecie in esame, anche la determinazione del grado di invalidità permanente deve avvenire secondo i criteri stabiliti dall'art. 139 del d.lgs. 7 settembre 2005 n. 209 in ragione del fatto che il sinistro è avvenuto nel 2005, quando, cioè, le tabelle di cui al D.M. 3 luglio 2003 erano in vigore già da due anni sicché, in tal caso, neppure si pone la questione sulla efficacia retroattiva della norma.

Infatti, il combinato disposto degli artt. 139 e 354 del D.Lgs. 7 settembre 2005 n. 209, impone al giudice del merito di stimare il grado di invalidità permanente in base alla tabella approvata dal D.M. 3 luglio 2003 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 11 settembre 2003, n. 211, adottato ai sensi dell'art. 5 della l. 5 marzo 2001, n. 57, come modificato dall'art. 23, comma 3, della l. 12 dicembre 2002, n. 273), vale a dire dal provvedimento di approvazione della “tabella” contenente i criteri medico-legali per la stima del danno biologico permanente compreso tra 1 e 9 punti di invalidità.

Nondimeno, anche nel caso in cui il sinistro si fosse verificato in epoca antecedente l'entrata in vigore del D.M. 3 luglio 2003, e che, dunque, si ritenga inapplicabile ratione temporis il barème medico-legale per la stima del danno biologico permanente compreso tra 1 e 9 punti di invalidità, ciò non esclude che i relativi criteri, in quanto scientificamente corretti, "possano essere utilizzati dal giudice quale parametro di valutazione" in via analogica.

Infine, precisa la Suprema Corte che il proprio isolato e non pacifico contrario precedente, rappresentato dalla sentenza n. 11048 del 13 maggio 2009 secondo cui "nella liquidazione del danno alla persona causato da sinistri stradali è inibito al giudice, per determinare il danno biologico lieve o da micropermanente, fare riferimento alle tabelle medico-legali approvate con d.m. 3 luglio 2003, quando il sinistro si sia verificato in data anteriore all'entrata in vigore del suddetto decreto …. il giudice del merito è tenuto a liquidare il risarcimento mediante una valutazione equitativa personalizzata che tenga conto della tipologia delle lesioni e delle condizioni soggettive della vittima, esponendo nella motivazione della sentenza i criteri a tal fine adottati", non è condivisibile e, dunque, non merita continuità.

E ciò per l'assorbente ragione che l'art. 1226 c.c. consente al giudice di provvedere “equitativamente” solo alla liquidazione del danno e non anche all'accertamento del fatto quale è la determinazione del grado di invalidità permanente causato da un fatto illecito.

Conseguentemente, poiché lo stabilire quale sia il grado percentuale di invalidità residuato ad una lesione personale costituisce l'accertamento di un fatto e non la liquidazione di un danno, la determinazione del grado di invalidità permanente, che non ha nulla a che vedere con la valutazione equitativa, deve necessariamente avvenire con rigorosa criteriologia medico-legale e sulla base di barémes aggiornati e condivisi dalla comunità scientifica medico-legale.

Tant'è che, come più volte stabilito dalla Suprema Corte, "all'accertamento concreto del grado percentuale di invalidità permanente sono (.) estranei i concetti di equità e di iniquità" di talché,anche nell'ipotesi in cui il D.M. 3 luglio 2003 non sia applicabile ratione temporis,in ogni caso è perfettamente lecito e consentito al giudice del merito valutare il grado di invalidità permanente in base al baréme approvato con quel decreto, in quanto comunque esso costituisce un metodo di valutazione scientificamente corretto, a fronte del quale resta esclusa la possibilità del ricorso "all'equità" (e men che meno alle personalissime convinzioni del medico-legale) per stimare il grado percentuale di invalidità permanente.

In conclusione, ferma restando l'inammissibilità del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, la Suprema Corte formula, ai sensi dell'art. 363, terzo comma, c.p.c., i seguenti princìpi di diritto:

(a) "qualsiasi tipo di danno, in assenza di diverse disposizioni di legge, va liquidato in base alle regole vigenti al momento della liquidazione, e non al momento del fatto illecito";

(b) la percentuale di invalidità permanente causata da una lesione della salute non può mai stabilirsi "in via equitativa", ma va determinata con corretto criterio medico-legale, e in base ad un barème redatto con criteri di scientificità; il barème approvato con d.m. 3.7.2003 possiede tale requisito".

Osservazioni

Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte ribadisce gli ormai consolidati principi che governano l'accertamento, la determinazione e la liquidazione del danno biologico da fatto illecito.

In particolare, è ormai pacifico nella giurisprudenza di legittimità che, in tema di risarcimento del danno biologico, l'accertamento della ontologica sussistenza della lesione dell'integrità psico-fisica, del tipo di lesione (se solo temporanea o anche permanente) ed eventualmente del grado di invalidità che secondo la scienza medica e i barèmes più accreditati possa ragionevolmente ritenersi conseguita a detta lesione, debba avvenire con criteri medico-legali rigorosi ed oggettivi idonei a fornire la dimostrazione richiesta dalla legge (Cass. Civ., Sez. III, sentenza 26 settembre 2016 n. 18773).

Del resto, ai sensi degli artt. 138 e 139 del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, “per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale” sicchè sarà precipuo compito del medico-legale stabilire, secondo i criteri scientifici di accertamento e valutazione del danno biologico tipici della medicina legale ed i barèmes (di fonte normativa come nel caso delle c.d. “micropermanenti” nell'ambito della circolazione stradale e della responsabilità medica ovvero di fonte pretoria nei restanti casi ovvero nel caso delle c.d. “macropermanenti), l'esistenza e l'entità della lesione ed i relativi postumi qualora esistenti.

Inoltre, se, dal punto di vista letterale, il danno biologico è soltanto quello "suscettibile di accertamento medico legale" (così gli artt. 138 e 139 del D.Lgs. 7 settembre 2005 n. 209, l'art. 13 D.Lgs. 23 febbraio 2000 n. 38 ed, in precedenza, l'abrogato art. 5 l. 5 marzo 2001 n. 57) ed "accertare" significa, tra le varie definizioni, “rendere certo”, “rendere sicuro”, “riconoscere per vero”, ne consegue che per potersi predicare l'esistenza (e non la mera risarcibilità) di tale pregiudizio occorre che esso sia dimostrabile sulla base di una corretta e rigorosa criteriologia accertativa medico-legale quale l'esame obiettivo e/o clinico e/o strumentale (Cass. Civ., VI-3, ordinanza 16 ottobre 2019 n. 26249).

Mentre l'accertamento della natura e del tipo di invalidità (temporanea o anche permanente) è affidato alla semeiotica medico-legale, la determinazione in punti percentuali dell'invalidità permanente è affidato ad apposite tabelle (o barèmes)che espongono in modo ragionato la maggior parte dei postumi invalidanti (o livelli di disfunzionalità) rispetto alla ordinaria sfera quotidiana comune ad ogni persona che dovesse patire quella patologia e quel particolare grado di invalidità a parità di età, sesso e condizioni di vita, suggerendo, per ciascuno di essi, il grado (da 1 a 100) di riduzione della complessiva validità dell'individuo.

Tali tabelle medico-legali (o barèmes) possono essere imposte dalla legge, come nel caso delle lesioni causate da sinistri stradali o trattamenti sanitari e dalle quali siano derivati postumi di modesta entità, in cui la valutazione dell'invalidità deve essere obbligatoriamente compiuta in base al barème approvato con D.M. 3 luglio 2003 ("Tabella delle menomazioni alla integrità psicofisica comprese tra 1 e 9 punti di invalidità").

Ove, invece, manchi una norma che imponga al giudice di valutare l'entità dei postumi in base ad un criterio stabilito dalla legge, come nel caso di lesioni di non lieve entità (comprese tra il 10% ed il 100% di invalidità permanente), in attesa della piena attuazione dell'art. 138 del d.lgs. 7 settembre 2005 n. 209, attraverso la prevista predisposizione della Tabella Unica Nazionale, la liquidazione dovrà avvenire, necessariamente, in via equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c., sulla base dell'invalidità determinata dai più accreditati barèmeselaborati dalla comunità scientifica medico-legale e degli importi monetari determinati dalle tabelle elaborate dall'Osservatorio del Tribunale di Milano vigenti al momento della decisione ed assurte a parametro nazionale di riferimento “equo” per la liquidazione del danno non patrimoniale.

Pertanto, solo dopo che il danneggiato avrà dimostrato l'esistenza e l'entità di un danno alla salute “certo” (e non meramente eventuale o ipotetico), il giudice potrà provvedere alla determinazione del suo valore monetario facendo luogo, se necessario, anche alla valutazione equitativa ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c.

Tuttavia, poichè il potere discrezionale del giudice di liquidare il danno in via equitativa non dà luogo ad un “giudizio di equità” bensì ad un “giudizio di diritto”, caratterizzato dalla c.d. “equità giudiziale” (correttiva od integrativa), l'esercizio di detto potere è subordinato alla duplice condizione, da un lato, che risulti già accertato il pregiudizio di cui si chiede la liquidazione e, cioè, la sussistenza ed entità del danno e, dall'altro, che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare (Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 4 aprile 2019, n. 9339).

Tant'è che, tale “giudizio di diritto”, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, non esonera la parte dal fornire gli elementi probatori e i dati di fatto dei quali possa ragionevolmente disporre, affinché l'apprezzamento equitativo sia, per quanto possibile, ricondotto alla sua funzione di colmare “solo” le lacune insuperabili nell'iter della determinazione dell'equivalente pecuniario del danno (Cass. Civ., Sez. III, 30 luglio 2020 n. 16344; Cass. Civ., Sez. III, 13 novembre 2019 n. 29330; Cass. Civ., Sez. III, 4 aprile 2019 n. 9339; Cass. Civ., Sez. I, 14 maggio 2018 n. 11698).

Infatti, il risarcimento monetario del danno non patrimoniale non può mai corrispondere, per sua natura, alla relativa esatta commisurazione per cui sarà imprescindibile la sua valutazione equitativa volta a determinare la compensazione economica socialmente adeguata del pregiudizio, quella, cioè, che l'ambiente sociale accetta come compensazione equa.

In conclusione, il giudice del merito, nello scegliere il metodo equitativo in base al combinato disposto di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c., compie una valutazione discrezionale di liquidazione del danno che, per non risultare arbitraria, postula, comunque, la necessità che siano fornite congrue ragioni del processo logico-giuridico attraverso il quale il criterio equitativo è stato espresso e quantificato, precisando gli elementi della fattispecie concreta tenuti presenti nella propria decisione tra cui la percentuale di invalidità permanente "determinata con corretto criterio medico-legale, e in base ad un barème redatto con criteri di scientificità".

Idoneo criterio di liquidazione per garantire l'adeguata valutazione del caso concreto e l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, è certamente il criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, al quale, peraltro, la Suprema Corte riconosce la valenza, in linea generale e nel rispetto dell'art. 3 Cost., di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno non patrimoniale alle disposizioni di cui agli art. 1226 e 2056 c.c., salva l'emersione di concrete ed eccezionali circostanze che ne giustifichino l'abbandono.

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