Il sindaco supplente quale soggetto attivo dei reati di bancarotta e il c.d. sindaco “di fatto”
01 Agosto 2022
Massima
In tema di bancarotta fraudolenta impropria, è configurabile in capo ai sindaci supplenti il concorso omissivo per violazione dei doveri di vigilanza e dei poteri ispettivi che competono ai componenti del collegio sindacale solo in caso di morte, rinunzia o decadenza dei sindaci titolari e solo nella misura in cui l'omesso controllo abbia avuto effettiva incidenza di contributo causale nella commissione del reato da parte degli amministratori. Il caso
La vicenda giudiziaria sottoposta all'attenzione della Suprema Corte origina dal ricorso avverso una ordinanza del Tribunale del riesame di Napoli presentato, tra gli altri, dagli indagati che avevano svolto il ruolo di sindaci supplenti nelle società per azioni coinvolte nel caso concreto ed a carico dei quali erano stati ritenuti sussistere gravi indizi di colpevolezza per il reato di cui all'art. 236, comma 2 n. 1) l. fall. commesso nell'ambito di procedure di concordato preventivo e ristruttrazione di debito ai sensi dell'art. 182-bis l. fall. Tra le censure mosse all'ordinanza del Tribunale partenopeo merita ricordare come le difese anche contestassero: 1) la sussistenza del reato di bancarotta “concordataria” di cui all'art. 236, comma 2 n. 1) l. fall. allorché le condotte concernano, come nel caso al vaglio, procedure di ristruttrazione di debito ai sensi dell'art. 182-bis l. fall.; 2) la possibilità che il sindaco (soltanto) supplente possa essere considerato soggetto attivo del reato di bancarotta concordataria. Tali argomentazioni difensive erano ritenute fondate dalla Corte di Cassazione, la quale annullava, senza rinvio quanto alle statuizioni relative al punto 1) e con rinvio quanto a quelle relative al punto 2), l'impugnata ordinanza.
La questione
Il tema in causa oggetto del presente commento concerne l'indicata questione sub 2), ovvero la possibilità di ritenere che il sindaco supplente possa essere considerato soggetto attivo del reato di bancarotta impropria e segnatamente di quella “concordataria”. L'art. 236 l. fall. ai commi 2 n. 1) e 3 dispone infatti che, nel caso di concordato preventivo, accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa o di convenzione di moratoria nonché nel caso di omologazione di accordi di ristrutturazione ai sensi dell'articolo 182-bis quarto comma, terzo e quarto periodo, si applicano le disposizioni degli articoli 223 e 224 l. fall., tra gli altri, ai sindaci della società, sicché ci si interroga se tale espressa indicazione del sindaco quale soggetto attivo del reato possa essere interpretata fino a ricomprendere nella categoria anche il sindaco (non effettivo ma) supplente ed é chiaro, peraltro, come il quesito qui posto si estenda a tutte le fattispecie delittuose disciplinate dagli artt. 216 e 223, comma 1 l. fall.
Le soluzioni giuridiche
Nella sentenza qui annotata, la cui massima ufficiale è quella riportata in apertura della presente nota, la Suprema Corte muove da una ricognizione dei consolidati principi relativi al tema del concorso da parte dei sindaci nei reati di bancarotta ricordando come, oltre ad eventuali condotte di natura commissiva (in concorso con altri), la responsabilità a loro carico è normalmente ravvisabile a titolo di concorso omissivo improprio secondo i principi di cui all'art. 40, comma 2 c.p. e cioè sotto il profilo della violazione del dovere giuridico di controllo che, ordinariamente, inerisce alla loro funzione. Il collegio sindacale, invero, è un tipico organo di controllo chiamato a vigilare sull'amministrazione della società con il compito di garantire l'osservanza della legge ed il rispetto dell'atto costitutivo nonché di accertare che la contabilità sia A fronte di tali premesse la Corte continua richiamando in toto quanto statuito in una precedente pronuncia (Cass., 27 aprile 2005, n. 40815, in CED Rv. 232795-01 e in Cass. pen.,2007,735 con nota di Cammaroto, Responsabilità penale dei sindaci supplenti) secondo cui l'appena menzionato obbligo giuridico, la cui violazione può astrattamente rilevare nella logica del disposto dell'art. 40, comma 2 c.p. sub specie dell'equivalenza giuridica, sul piano della causalità, tra il non impedire un evento che si ha l'obbligo di impedire ed il cagionarlo, non può che riguardare, proprio per la pregnanza della sua esplicazione, soltanto i membri effettivi e non anche i supplenti e dunque solo chi faccia parte pieno iure dell'organo collegiale. Invero i doveri di vigilanza di cui all'art. 2403 c.c. sono imposti ai membri effettivi, incombendo a quelli supplenti soltanto nei casi in cui siano di diritto subentrati ai primi. Correlativamente i poteri ispettivi spettano solo ai membri effettivi e non competono a quelli supplenti pure nell'ambito di estemporanee e autonome iniziative da parte loro.
Osservazioni
L'art. 2401 c.c. dispone che in caso di morte, rinunzia o decadenza di un sindaco subentrano ipso iure i supplenti nella composizione del collegio sindacale, del quale altrimenti non fanno parte (cfr. art. 2397, comma 1 c.c.) ed i doveri indicati dall'art. 2403 c.c. appaiono certo propri del collegio sindacale e dunque soltanto di chi lo compone. Si discute peraltro, in caso di dimissioni del sindaco, della loro efficacia giacché l'art. 2401 c.c. nulla dice circa il momento dell'effettiva assunzione della carica da parte del supplente; la Suprema Corte ha statuito in proposito che detta efficacia non consegue immediatamente alle dimissioni ma è operativa, ai sensi dell'art. 2401 c.c., con la comunicazione al sindaco supplente del subingresso nella carica, tale essendo la regola in ragione del trasferimento degli obblighi implicato dalle dimissioni stesse (così Cass., 4 maggio 2012, n. 6788 in CED Rv. 622582 - 01). Circa l'eventuale responsabilità del sindaco supplente, non si pone ovviamente questione alcuna ove questi non abbia assunto alcuna iniziativa, certo egli non facendo parte del collegio sindacale e non avendo in concreto obblighi di garanzia, sicché la sua nomina per l'appunto quale supplente risulta tamquam non esset allorché emergano eventuali condotte penalmente rilevanti da parte dell'effettivo organo di controllo, al quale, si ripete, è estraneo. Le cose si complicano allorché il sindaco, nonostante soltanto supplente, assuma iniziative atipiche come accaduto nel caso che ha originato la sentenza in commento ed in quello al vaglio della citata Cass., 27 aprile 2005, n. 40815 (la quale aveva qualificato dette iniziative come “occasionali” e “anomale”) ove il sindaco medesimo aveva partecipato alle riunioni dei collegi sindacali e sottoscritto i relativi verbali. Nonostante l'aver posto in essere simili condotte la Suprema Corte, a differenza dell'ambito gestorio ove la figura dell'amministratore di fatto è ampiamente riconosciuta, ha escluso che il sindaco supplente possa ritenersi soggetto attivo del reato concorsuale, peraltro non allontanandosi da quanto statuito dalle sezioni civili della stessa Corte secondo cui la decadenza dalla carica di sindaco di chi si trovi nella situazione di ineleggibilità prevista dall'art. 2399 c.c. (nella specie, quale dipendente della società), opera automaticamente, con la conseguenza che nei confronti di questi, pur di fatto avendo operato prima della rilevazione della causa di ineleggibilità, non può esercitarsi l'azione di responsabilità ai sensi dell'art. 146 l. fall., in particolare non essendo configurabile la figura del sindaco “di fatto” (Cass., 23 ottobre 2014, n. 22575, in CED Rv. 632823-01, in Giur. Comm.,2015, 957 con nota di Corubolo, Responsabilità del sindaco decaduto ed esercizio di fatto delle funzioni, ed in Giur. Comm., 2016,592 con nota di Riganti, Sulla (in)esistenza e sulla (ir)responsabilità del “sindaco di fatto”). La questione avrebbe meritato maggiore approfondimento, dimenticando la Corte di confrontarsi con una precedente propria statuizione in cui invece si era affermata, sia pure incidenter tantum, la rilevanza della figura del sindaco di “fatto” (Cass., 18 febbraio 2010, n. 17690, in CED Rv. 247313-01). Nel caso sotteso a tale pronuncia si lamentava l'inesistenza della delibera assembleare di nomina dei sindaci, con la conseguenza che l'azione di questi ultimi sarebbe stata giuridicamente irrilevante e dunque non avrebbero potuto rispondere dei reati loro contestati. A fronte di tale eccezione rispondeva la Suprema Corte che certamente il soggetto “di fatto” che ha esercitato ai sensi dell'art. 2639 c.c. le funzioni dell'organo di vigilanza, conserva, proprio per la fondamentale disposizione introdotta dalla riforma societaria ed avente un'efficacia generale, quantomeno la posizione di garanzia posta a tutela di quanti siano interessati all'attività societaria, collocazione che gli impone di dispiegare ogni comportamento utile a preservare la società dall'evento dannoso incombente e, quindi, di segnalare ai gestori della stessa l'illiceità della loro condotta. La sentenza in commento in effetti pare non tenere adeguatamente conto del principio costituito dalla rilevanza, nello studio del soggetto attivo nei reati propri, dell'esercizio di fatto delle funzioni tipiche di quella funzione e dunque, per ciò che qui interessa, lo svolgimento di fatto delle funzioni attribuite al collegio sindacale. Il principio in argomento appare assumere del resto portata generale, risultando affermato e ribadito in più occasioni dalla stessa giurisprudenza di legittimità e più in particolare (oltre che in tema, per l'appunto, di sindaco di fatto nell'appena citata Cass., 18 febbraio 2010, n. 17690, in CED Rv. 247313-01) allorché il soggetto agente, pur privo di investitura formale, assuma la gestione dello specifico rischio mediante un comportamento concludente consistente nella presa in carico del bene protetto (cfr. ad es. Cass., 14 gennaio 2011, n. 19558, in CED Rv. 281171-01) nonché in tema di coadiutore di fatto dell'esattore concessionario del servizio di tesoreria di un ente territoriale (Cass., 2 luglio 2010, n. 28125, in CED Rv. 247788-01), di direttore generale di fatto (Cass. 15 ottobre 2020, n. 7437, in CED Rv. 280550-03) e soprattutto di amministratore di fatto (in ultimo, tra le molte, Cass. 10 luglio 2020, n. 27264, in CED Rv. 279497-01). In questi casi tra l'altro è noto come il soggetto agente risponda del reato proprio non già quale “extraneus”, bensì quale diretto destinatario della norma incriminatrice e dunque quale intraneo. E'altresì noto, inoltre, come il citato art. 2639, comma 1 c.c., rubricato “Estensione delle qualifiche soggettive”, equipari al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione colui il quale esercita i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione in modo continuativo e significativo e non v'è dubbio che tale disposizione normativa rivesta portata generale. Anche l'art. 5 lett. a) d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 in tema di disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, peraltro, costituisce disposizione che dà rilievo all'esercizio di fatto delle funzioni, postulando la responsabilità dell'ente per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio (anche) da persone che per l'appunto esercitano, di fatto, la gestione e il controllo dello stesso, ancorché trattasi di disposizione riferita ai soggetti che rivestono una posizione apicale nella gestione dell'ente e non già all'organo di controllo. La rilevanza di fatto dell'esercizio della funzione gestoria trova riconoscimento positivo anche in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro ed in effetti l'art. 299 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 dispone che le posizioni di garanzia relative alle figure del datore di lavoro, dirigente e preposto gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuna delle figure indicate. Merita infine di essere citato l'art. 135 d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), il quale estende l'applicabilità della disciplina in tema di reati societari di cui al titolo XI del libro V del codice civile a coloro i quali svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso banche anche se non costituite in forma societaria, optando quindi per una definizione (non già formale bensì) prettamente funzionale del soggetto attivo del reato, espressamente riferendosi anche a coloro che svolgono funzioni di controllo. L'affermazione dell'irrilevanza tout court dello svolgimento di fatto delle funzioni attribuite al collegio sindacale, a fronte del principio generale di segno opposto di cui all'art. 2639 c.c. e delle altre norme citate, desta dunque perplessità, costituendo interpretazione di carattere formalistico che genera disparità di trattamento rispetto a chi abbia svolto di fatto funzioni gestorie e che consente tra l'altro di sottrarsi a responsabilità allorchè l'inziativa “anomala” del sindaco supplente risponda ad un preciso disegno, magari in accordo col sindaco effettivo sostituito arbitrariamente dal supplente in occasione di quella riunione (o quelle riunioni) del collegio sindacale. In realtà deve negarsi che il difetto della qualifica formale costituisca circostanza onde escludere aprioristicamente che il sindaco di fatto che così abbia operato in modo continuativo e significativo sia e rimanga diretto destinatario della disposizione penale, semplicemente perché egli è non altri che colui che ha agito in quella veste, ed invero la tesi contraria, di carattere formalistico perché postula, per l'appunto, l'assunzione formale della qualifica in termini civilistici, finisce per essere riduttiva: il precetto penale descrive comunque una precisa condotta dell'agire umano e prevede una sanzione che presuppone il fatto naturalistico costituito dall'aver svolto quelle funzioni, non apparendo dunque arbitrario scindere il profilo formale da quello, per l'appunto, funzionale. Né il tema in argomento può ritenersi scarsamente significativo perché statisticamente poco frequente in quanto, al contrario, deve osservarsi come detto esercizio di fatto delle funzioni sindacali si verifichi non solo in ipotesi di inizative “anomale” del sindaco supplente ma anche in tutti i casi in cui la delibera di nomina sia viziata ed a maggior ragione allorché lo stesso nomitato abbia omesso di dichiarare la propria incompatibilità e, profittando di ciò e di una eventuale impunità, abbia comunque agito. In simili casi l'esenzione da responsabilità del soggetto agente stride tra l'altro col principio generale secondo cui nemini dolus suus prodesse debet, certo avendo il sindaco violato quantomeno il dovere di informazione circa la sussistenza della causa di incompatibilità, nonché genera problemi di tutela dell'affidamento dei terzi che abbiano confidato sull'operato del collegio sindacale composto tra gli altri da quel sindaco. Al fine di evitare vuoti di tutela e disparità di trattamento sembra allora utile valorizzare una individuazione funzionale del soggetto attivo del reato proprio, come peraltro la stessa Suprema Corte più volte ha fatto, in sostanza attribuendo rilevanza generale a tale tipologia di esercizio come nel caso della citata Cass. 10 luglio 2020, n. 27264, in CED Rv. 279497-01 nella quale, pur muovendo dal riferimento all'organo gestorio, si afferma più in generale che, in tema di bancarotta fraudolenta, i destinatari delle norme di cui agli artt. 216 e 223 l. fall. vadano individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non già rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta. In analoga direzione peraltro, sia pure de iure condendo, pare essersi orientata anche la Commissione Ministeriale istituita al fine di elaborare proposte di revisione dei reati fallimentari onde adeguare le fattispecie penali alla mutata disciplina della crisi d'impresa e dell'insolvenza ed invero, come risulta dalla relazione finale recentemente presentata da detta Commissione, è stata data preferenza ad una definizione di carattere funzionale, sindaci compresi, del soggetto attivo del reato concorsuale. Questi infatti, nella proposta nuova disciplina del reato di bancarotta fraudolenta in società e consorzi di cui all'art. 322 d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi e dell'insolvenza), è individuato sia al comma 1 per i fatti delittuosi commessi anteriormente alla dichiarazione di liquidazione giudiziale sia al comma 2 per quelli posti in essere durante la procedura di liquidazione giudiziale in chiunque eserciti, anche di fatto, “le funzioni di amministrazione, direzione, controllo o liquidazione in una società o consorzio”.
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